Arma antiqua manus ungues dentesque
fuerunt et lapides et item silvarum fragmina rami et flamma atque ignes, post
quam sunt cognita primum. Posterius ferri vis est aerisque reperta (“Antiche
armi furono le mani, le unghie, i denti, le pietre e i rami spezzati nelle
selve, poi le fiamme e il fuoco appena furono noti. Più tardi fu scoperta la
forza del ferro e del bronzo”). Così Lucrezio nel Libro V del suo De Rerum
Natura descriveva la nascita delle armi. Dalle prime armi naturali, quelle
possedute anche dagli animali (unghie e denti) si passò dunque all’arma da
pugno, il primo prolungamento fisico dell’uomo.
L’origine etimologica del termine “arma” è sfuggente. La parola potrebbe
derivare dal latino arma, plurale di un supposto armum, che gli antichi
dedussero da arceo, che significa “respingere”, oppure da armus (armòs, in
greco) che significa “omero” o “braccio” e indicava qualcosa di appeso alle
spalle. Alcuni filologi hanno ammesso che la parola potrebbe derivare dal
celtico harn, cioè “ferro”, o anche dall’antico germanico har che significa
“esercito” o ancora dallo svedese harnad, “guerra”. Di sicuro il termine “arma”
deriva dalla stessa radice da cui deriva “ramo” ed è in diretta relazione con
l’inglese o tedesco arm (“braccio”).
Sin dalle origini dell’umanità l’evoluzione delle armi ha seguito di pari passo
quella dell’uomo. Infatti, l’invenzione e lo sviluppo delle armi sono sempre
state una delle preoccupazioni nella storia dell’umanità,
sia per il miglioramento della caccia, sia per la difesa, la guerra e l’ordine
interno. La qualità e il tipo di armi che si possiedono qualificano il livello
scientifico, tecnologico e bellico di uno Stato.
Il funzionamento di molte armi si basa sulla creazione di una elevata energia
cinetica per poter lanciare oggetti di vario tipo sul nemico. Dalla iniziale
forza muscolare umana si passò all’uso di materiali elastici e di leve semplici
per la produzione di armi da lancio (ad esempio, fionde oppure catapulte).
Successivamente la polvere da sparo permise di trasformare in maniera
estremamente efficace e rapida l’energia chimica in energia cinetica attraverso
esplosioni controllate, aumentando quindi la potenza offensiva.
Con le scoperte scientifiche del XIX e del XX secolo, alle cosiddette armi
convenzionali si sono via via aggiunte o sostituite armi più sofisticate che
fanno ricorso a tecnologie avanzate basate sull’uso della chimica (veleni o
tossine), della biologia (armi batteriologiche, armi con ceppi di batteri o di
virus letali).
La scoperta delle leggi che regolano il comportamento degli atomi ha permesso,
invece, di utilizzare l’energia contenuta in una massa, aprendo la strada alla
realizzazione della bomba atomica e poi di quella all’idrogeno. Oggi anche la
neuroscienza e l’ingegneria genetica sono al servizio della guerra, con armi
sempre più sofisticate, pericolose e ambigue.
Nella preistoria la quotidiana esigenza di proteggersi dall’attacco di animali e
di cacciarli spinse l’uomo a costruirsi attrezzi particolari per la difesa e la
caccia. Ogni uomo preistorico produceva le proprie armi autonomamente, dando un
valore sacrale a questo attrezzo.
I ritrovamenti archeologici inducono a ritenere che le prime armi usate
dall’uomo abbiano fatto la loro comparsa durante l’ultima glaciazione, circa
70.000 anni fa: si trattava di zagaglie, arponi e cuspidi, ma sicuramente la
prima arma utilizzata dall’uomo fu la pietra, usata come corpo contundente e
quindi scagliata contro il nemico o gli animali.
La clava pare sia stata la prima e quindi la più antica arma fabbricata
dall’uomo. Seguirono la mazza a punta di corno, la lancia con punta d’osso o di
legno indurito al fuoco, e l’arco.
L’arco segnò una vera e propria rivoluzione innovativa, poiché basato su un
differente sistema di propulsione rispetto alla lancia. Quindi, fu necessario
reinventare alcuni componenti, come la punta, per rendere le frecce adatte alle
specifiche forze esercitate dall’arco. Probabilmente alla base dell’invenzione
del sistema arco-freccia vi è l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato
dall’uomo preistorico per accendere il fuoco.
Le tracce più antiche relative all’uso dell’arco e della freccia risalgono al
Paleolitico Superiore, ne sono una testimonianza le famose raffigurazioni
pittoriche di cacciatori nella grotta di Altamira in Spagna.
Furono gli Egizi a perfezionare quest’arma: attraverso l’utilizzo di listelli
d’osso inventarono l’arco composto. Questa evoluzione accrebbe la distanza e la
precisione del tiro e la capacità di penetrazione delle frecce, ora con la punta
metallica. Un arco egizio poteva colpire il bersaglio fino a una distanza di
quasi trecento metri.
Gli Hyksos, la popolazione asiatica che invase l’Egitto, rivoluzionarono l’arte
della guerra con l’invenzione del carro da combattimento, progenitore del
moderno carro
armato. Dotato di quattro ruote, trainato originariamente da quattro buoi o
muli, il carro degli Hyksos trasportava una piattaforma di tiro, su cui erano
posizionati arcieri o lancieri. Successivamente anche quest’arma fu perfezionata
attraverso la sostituzione delle ruote piene con ruote a raggi e cerchiate in
metallo e l’eliminazione di due ruote: il carro divenne più agile e veloce e
poté essere trainato da cavalli.
Dopo la scoperta del ferro e del rame, quella del bronzo rese le scuri, i
coltelli e le daghe ancor più resistenti. Se gli Ittiti furono probabilmente i
primi a utilizzare le armi di ferro, gli Assiri le adottarono sistematicamente.
Proprio questo popolo, assieme a Persiani e Greci diede un contributo
fondamentale all’arte di inventare e
perfezionare strumenti sempre più
pericolosi.
Gli Assiri inventarono l’ariete, la torre da assedio e la scala portatile. I
Greci perfezionarono la balista (o ballista), una potente macchina che lanciava
grandi dardi o pietre sferiche. I Persiani diedero il loro contributo nel campo
navale, inventando la trireme, una nave da combattimento che utilizzava come
propulsione, oltre alla vela, circa centosettanta rematori (da cui deriva il
nome greco); a prua c’era un grande rostro di ferro (oggetto da sfondamento)
mentre sul ponte operavano arcieri e frombolieri.
Alla fine del VII secolo a.C. un’orda di combattenti a cavallo di ceppo iranico,
gli Sciiti, pone le premesse per rendere le armi di pugno mobili: l’utilizzo del
cavallo. Fino alla diffusione delle armi da fuoco, l’armato a cavallo eserciterà
un primato assoluto sui più diversi campi di battaglia.
Nel Medioevo nuove armi da offesa e da difesa rivoluzionano l’arte della guerra
e degli assedi. La “francisca” è una di queste armi. Inventata dai Franchi, dal
quale prese il nome, è una scure da lancio perfettamente bilanciata, a manico
corto di legno con lama a un taglio. Da essa si sviluppano poi l’alabarda, a
doppia lama, e l’ascia ricurva a lama tripla, il terribile “martello di
Lucerna”. Quest’ultima arma ha un brocco lungo e affusolato, simile a uno
stiletto, che lo fa somigliare « a dispetto del suo nome» più a uno spiedo che
a un martello.
Il Medioevo inventò l’arma da lancio più letale del periodo: il trabucco, una
grande fionda costituita da un braccio di legno lungo che raggiungeva anche
quindici metri. Anche se poco preciso, il trabucco aveva un’enorme potenziale
distruttivo che permetteva di demolire mura e torri. Era dotato di un braccio
munito a una estremità di un contrappeso e dall’altra di una sacca con il
proiettile (pietre, oggetti infuocati) che poteva superare il peso di cento
chili. Quando il contrappeso era lasciato cadere, il proiettile partiva
violentemente in avanti, proprio come avviene con una fionda.
La vera rivoluzione tecnologica nelle armi si ebbe però attorno al 1250 quando
gli alchimisti europei individuarono le giuste proporzioni con cui mescolare
salnitro purificato, carbone di legna polverizzato e zolfo, per ottenere la
polvere da sparo. È questione del tutto oziosa il cercare di individuare un
inventore della polvere da sparo: di sicuro sappiamo che il più antico
riferimento alla formula della polvere pirica si trova in un’opera cinese del
1044, il Wujung zongyao. Nell’impero cinese, tuttavia, questa polvere nera non
ebbe molto successo come arma.
Dal 1300 al 1800, le armi da fuoco convissero con le armi bianche: delle prime
non si poteva più fare a meno, ma le seconde erano ancora necessarie. Così,
accanto a spade e lance di vari tipi, comparvero cannoni da campo, schioppi,
moschetti, archibugi, spingarde (grossi fucili), colubrine (cannoni a mano),
tutte armi che utilizzavano l’energia prodotta dall’accensione della polvere
pirica per lanciare a distanza
corpi solidi chiamati proiettili.
Nel 1540 l’italiano Camillo Vettelli costruì il primo prototipo di pistola. Era
un fucile di piccole dimensioni, che si poteva tenere in una mano, con un
meccanismo di accensione a ruota. Nel campo delle armi da fuoco un grandissimo
progresso arriva dagli Stati Uniti intorno al 1800 con l’invenzione del Revolver
da parte di Samuel Colt nel 1835.
Nel XVII secolo la comparsa di un’altra arma da fuoco, il moschetto, rivoluzionò
il ruolo della fanteria. Diretto e immediato erede dell’archibugio, il moschetto
era un fucile ad acciarino, in cui la carica di polvere da sparo era innescata,
come nel cannone, da uno stoppino acceso. Il fucile così congegnato poteva
sparare un colpo ogni due o tre minuti.
Rispetto al suo predecessore, il moschetto presenta una serie di importanti
miglioramenti: una canna molto più lunga (e però più pesante), allo scopo di
raggiungere una maggiore gittata, la calciatura dell’arma, ora con una
sagomatura assai più anatomica, tale da renderla idonea a essere appoggiata alla
spalla del tiratore. Rispetto al suo antesignano, pertanto, il moschetto
introdusse il concetto di una mira più accurata, e non di semplicemente “sparare
avanti”.
La successiva invenzione della rigatura della canna triplicò la gittata e la
precisione dei fucili, mentre il passaggio alla retrocarica rese quest’armi più
funzionali.
La comparsa della baionetta, una punta montata sulla canna di un fucile, diede
alle armi portatili una doppia funzione: quella di essere arma da tiro e da
combattimento corpo a corpo. Normalmente si parla di invenzione della baionetta
nella città francese di Baiona (secondo alcuni addirittura ai primi del
Cinquecento), da cui il nome. Tuttavia non esiste alcun fondamento storico, a
parte la similitudine tra i due nomi (basti pensare che quattro sono le Baiona,
di cui due in Spagna).
Nel XVIII secolo comparvero sia la prima rudimentale bomba a mano sia la prima
mitragliatrice. La prima consisteva in una semplice palla cava di ghisa,
riempita di polvere nera e innescata da uno stoppino acceso. La seconda era un
fucile capace di sparare proiettili a ripetizione.
La prima mitragliatrice fu la Puckle Gun, presentata per la prima volta al
pubblico nel 1718. La prima mitragliatrice efficace fu invece la Gatling,
brevettata nel 1862. Entrambe non erano azionate dal proprio rinculo, ma da una
forza manuale tramite apposita manovella.
A partire dal XX i progressi scientifici e tecnologici hanno consentito di
costruire armi sempre più perfette e potenti. Nella prima guerra mondiale gli
eserciti hanno potuto disporre di carri armati, aerei da guerra, sottomarini e
armi chimiche (gas lacrimogeni e gas nervino), tutti dalle conseguenze
devastanti anche per le popolazioni civili. Sul fronte di guerra si è
generalizzato l’uso della mitragliatrice.
La seconda guerra mondiale è il conflitto delle due bombe atomiche, sganciate
dagli statunitensi sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. L’esplosione
di una bomba atomica scalda l’aria fino a dieci milioni di gradi centigradi,
vaporizzando e bruciando tutto ciò che incontra. Le sue radiazioni distruggono
la struttura molecolare dei tessuti.
La bomba atomica è stata poi soppiantata dalla bomba H, cioè all’idrogeno, e dai
missili definiti “intelligenti” perché in grado sia di seguire un bersaglio in
movimento sia di colpire con precisione un obiettivo predefinito.
La tecnologia atomica è stata applicata anche a mezzi armati, come portaerei,
fregate lanciamissili, incrociatori, sommergibili, bombardieri, tutti a
propulsione nucleare.
Mentre le armi atomiche hanno ampliato il potenziale distruttivo della guerra,
analoghi sviluppi sono stati attuati nel campo delle armi convenzionali. La
capacità di fuoco dell’artiglieria classica è raddoppiata; la gittata dei razzi
ampliata enormemente; il tritolo è stato sostituito con nuovi esplosivi chimici
che hanno moltiplicato la potenza deflagrante delle bombe; l’ingegneria ha
prodotto nuovi materiali più robusti, maneggevoli e leggeri; nuovi congegni di
mira a raggi laser collegati a calcolatori riescono a scovare un bersaglio posto
a duemila metri di distanza anche in condizioni di oscurità, fumo, pioggia o
neve.
Dall’inizio del XX secolo, le conoscenze nel campo microbiologico ed
epidemiologico, della fisica, della genetica hanno aperto la via allo sviluppo
più sistematico di armi micidiali. Molte armi chimiche e biologiche sono state
usate nel corso delle guerre contemporanee, sebbene bandite dalla Convenzione di
Parigi del 1993, le prime, e dalla Convenzione internazionale di Londra nel
1972, le seconde.
A parte il tristemente famoso erbicida alla diossina Agent Orange (nome in
codice derivato dal colore delle strisce presenti sui fusti usati per il suo
trasporto), utilizzato dagli statunitensi in Vietnam, e che ha provocato
micidiali effetti sulla natura e sulla popolazione (cancro e disfunzioni
immunitarie), altri armi si sono affacciate nei moderni conflitti. Tra queste la
bomba al fosforo bianco.
Arma chimica a tutti gli effetti è una bomba che non incendia edifici o mezzi
militari ma brucia l’ossigeno nell’area coinvolta dall’esplosione, in un
diametro di circa centocinquanta metri. Il fosforo bianco a contatto con l’aria
produce anidride fosforica generando calore, l’anidride fosforica, a sua volta,
reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo
acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte
restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto
organico. Quindi, i vapori
dispersi dall’esplosione di una bomba al fosforo inalati dalle persone provocano
la morte o per avvelenamento o per l’effetto "bruciatura", questo poiché
l’inalazione dei vapori di fosforo, oltre a corrodere le mucose e gli organi
interni, avvelena la vittima reagendo con l’ossigeno. Per i pochissimi
sopravvissuti all’esposizione sono pressoché certi danni permanenti quali
l’anemia e la necrosi ossea.
Altro ordigno ritenuto non convenzionale e la bomba FAE (Fuel-Air Esplosive),
meglio conosciuta come “bomba tagliamargherite”. Arma con uranio impoverito e un
derivato del napalm, si basa sul principio della bomba molotov: una miscela di
combustibile liquido e aria, innescata in un contenitore adeguato, che sviluppa
una potenza esplosiva molte volte superiore a quella del tritolo. La bomba è
lanciata da aerei in volo con un sistema di paracaduti che ne rallentano la
caduta, permettendo al bombardiere di allontanarsi, mentre un sistema di
radio-innesco permette di farla esplodere a qualche metro da terra. L’ordigno è
capace di radere al suolo una circonferenza di un chilometro di diametro. La FAE,
già utilizzata in Vietnam è stata recentemente impiegata in Afghanistan per
stanare i Talebani nascosti nelle caverne delle montagne di Tora Bora.
Anche la bomba chiamata DIME, acronimo di Dense Inert Metal Esplosive, è un
ordigno non convenzionale. Si tratta di una bomba con una testata di fibra di
carbonio e resina epossidica integrata con acciaio, che al momento
dell’esplosione si frantuma in piccole schegge e, nello stesso momento, fa
esplodere una carica che spara una lama di polvere di tungsteno caricata di
energia che brucia e distrugge tutto quello che incontra nell’arco di
quattro-dieci metri. Per i sopravvissuti all’esplosione quest’arma ha a lungo
termine un effetto altamente cancerogeno.
Un’altra evoluzione nel campo delle armi contemporanee è quella che riguarda gli
armamenti fondati sugli ultimi principi della fisica: armi a puntamento di
energia, armi geofisiche, armi a onde di energia o psicotroniche.
Le armi a “puntamento di energia” appartengono a una classe di armamenti che
comprende numerosi dispositivi capaci di indirizzare sui bersagli in modo molto
preciso ed efficace svariate forme di energia non cinetica. In sostanza,
l’obiettivo non è colpito da un proiettile o da una forza d’urto di
un’esplosione, ma da radiazioni elettromagnetiche, onde acustiche, raggi di
calore a elevata energia, raggi laser.
Le armi geofisiche (Programma HAARP - High Frequency Active Auroral Research
Program), invece, sono bombe specifiche per provocare anomalie meteorologiche e
fisiche, come precipitazioni piovose di forte intensità, innalzamento della
temperatura, scosse telluriche, tsunami.
Con armi psicotroniche, infine, s’intende la peculiarità di controllare il
comportamento del nemico attraverso la gestione del suo sistema nervoso per
mezzo di onde elettromagnetiche. Gli effetti di quest’arma sono fisiologici e
possono provocare dei cambiamenti biologici, neurologici e comportamentali.
L’ultima frontiera delle armi contemporanee riguarda l’ingegneria genetica.
Infatti, le conquiste ottenute nelle tecnologie d’ingegneria genetica hanno
dirottato l’interesse scientifico su quello militare, facendo diventare la
guerra genetica la nuova frontiera della corsa agli armamenti. Nuovi scenari si
sono così aperti con la possibile modifica genetica dei batteri in modo da
“tarare” le armi su caratteristiche genetiche specifiche per colpire non solo
determinate popolazioni e/o etnie, evitando quindi gli "effetti collaterali"
tipici delle armi chimiche e batteriologiche, ma anche il mondo vegetale e
animale.
Notizie su questo terribile argomento le ritroviamo già nel numero del novembre
1970 della Military Review in un articolo intitolato “armi etniche”. L’autore
dell’articolo era Carl Larson, capo del Dipartimento di genetica umana
all’Istituto di genetica di Lund, Svezia. Lo scienziato spiegava che le
variazioni genetiche tra le etnie comportano differenze nella tolleranza a varie
sostanze e come un’arma biologica può sfruttare queste varianti genetiche e
invalidare o uccidere un intero e determinato gruppo etnico.
Quest’arma offre il vantaggio di uccidere con precisione e in maniera
industriale solo “chi si vuole uccidere” e, allo stesso tempo, evitare gli
“effetti collaterali” a danno dell’attaccante, tipici delle armi
batteriologiche.
Le nuove tecnologie basate sul dna ricombinante, possono essere quindi usate per
programmare geni in microrganismi infettivi, allo scopo di aumentarne la
residenza agli antibiotici, la virulenza e la stabilità ambientale. È possibile
così inserire geni letali in microrganismi innocui, ottenendo come risultato
degli agenti biologici che non sono riconosciuti come pericolosi dal corpo umano
che, di conseguenza, non sviluppa alcuna risposta.
L’ingegneria genetica può anche essere usata per distruggere specie o ceppi
specifici di piante coltivate o di animali domestici, se lo scopo è quello di
paralizzare l’economia di un Paese.
Il drone, per i non addetti ai lavori, è un piccolo aeromobile, controllato a
distanza da un pilota. Inventato negli Stati Uniti negli anni Trenta, venne
perfezionato durante il periodo della Guerra fredda. Gli archivi storici
americani hanno svelato che il fenomeno degli avvistamenti di oggetti volanti
non identificati, i famosi Ufo, che avevano
ispirato film, libri e alimentato teorie di invasioni di alieni dallo spazio
negli anni Cinquanta e Sessanta, altro non erano che voli sperimentali di droni
militari
americani.
Dopo l’11 settembre e l’avvio della guerra al terrorismo internazionale, il
drone è diventato, dagli Stati Uniti a Israele, dalla Siria all’Iraq e perfino a
Gaza da Hamas, l’arma preferita per le operazioni militari in terra nemica. I
responsabili militari vedono nella nuova arma la migliore tecnologia possibile e
ne suggeriscono l’uso in tutti i teatri di guerra. Droni con missili letali
possono librarsi per ore sopra potenziali bersagli, in attesa del momento più
opportuno per colpire; possono uccidere sospetti terroristi con relativa
precisione, anche se con qualche rischio di vittime civili.
Ancora meglio, i droni non mettono in pericolo le vite dei propri soldati; i
piloti sono al sicuro e comodi nei loro centri di controllo, a migliaia di
chilometri di distanza. Esistono diversi modelli di droni, il cui peso va da
meno di un chilogrammo a diverse tonnellate, come l’americano Global Hawk della
Northrop Grumman, che può volare a 40mila metri di altezza, in qualsiasi
condizione meteo, da Langley in Virginia (sede del quartier generale della Cia)
all’Afghanistan e ritorno senza scalo, o l’israeliano Eitan, un gigante da
quattro tonnellate e mezzo di peso, 14 metri di lunghezza e 26 di apertura
alare, capace di volare per 36 ore portandosi dietro mille chili di attrezzature
fra bombe, missili e sistemi d'osservazione.
Finora, il mercato dei droni per uso militare è stato nelle mani degli Stati
Uniti e di Israele. Negli ultimi anni anche la Cina e l’India hanno scoperto le
potenzialità dei droni e hanno cominciato a produrne di propri con intento
militare. Iran e Russia starebbero perfezionando prototipi armati e l’industria
europea degli armamenti sta studiando alcuni progetti esecutivi. Gli Stati
Uniti, dall’avvio delle operazioni in Afghanistan nell’ottobre del 2001 fino a
oggi, hanno lanciato più di 1600 attacchi di droni in Afghanistan, Iraq,
Pakistan, Yemen, Somalia, Libia, perfino in un caso nelle Filippine. Israele ha
colpito decine di leaders di Hamas con missili sparati da droni che volavano
sopra il cielo della striscia di Gaza; anche nella crisi degli ultimi giorni,
gli israeliani stanno usando molto i droni e Hamas ne ha addirittura lanciato un
piccolo esemplare armato sui cieli israeliani che è stato abbattuto dalla
contraerea. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Negli
Stati Uniti un recente rapporto stilato da una commissione indipendente di
esperti, ex alti funzionari del Pentagono e delle forze armate americane,
presieduta dal generale in pensione John P. Abizaid, già comandante delle truppe
di Washington in Iraq, ha sollevato molte riserve sull’uso indiscriminato dei
droni. Secondo gli esperti, la Casa Bianca, sia sotto Bush ma ancor più nell’era
Obama, ha mostrato troppa dipendenza sulla strategia delle uccisioni mirate con
i droni, facendone un pilastro della guerra al terrorismo internazionale. Dopo
un decennio di attacchi dei droni l’obiettivo non è stato realizzato: piuttosto
che essere debellati, i gruppi terroristi si sono moltiplicati. L’uso diffuso e
incontrollato di droni ha creato una reazione negativa verso gli Stati Uniti in
tutto il mondo e non solo nei villaggi remoti in Pakistan e nello Yemen. Il
generale in pensione Stanley McChrystal, dall’alto della sua esperienza di ex
comandante americano in Afghanistan, ricorda come le operazioni dei droni hanno
creato un forte risentimento verso gli americani da parte della popolazione
civile.
Finora Cia, Pentagono, Mossad, Hamas e quanti hanno utilizzato i droni per
operazioni militari, spesso per omicidi mirati hanno operato segretamente, in
assenza di un quadro giuridico internazionale. Il segretario generale dell’Onu,
Ban Ki-moon, ha in più occasioni criticato il ricorso ai droni per i raid
militari, auspicando che la materia possa essere presto disciplinata dalle leggi
internazionali, incluso il diritto umanitario.
Qualche tentativo di creare un quadro regolamentare si è fatto ultimamente, ma
ci si è limitati agli aspetti riguardanti gli standard di sicurezza del volo.
Non esiste invece un codice di condotta basato su principi etici, che impedisca
il lancio del missile, per esempio in presenza di civili a rischio accanto
all’obiettivo da eliminare. Per affrontare e risolvere tutti questi temi, la
Commissione Europea ha costituito l’European rpas steering group (Ersg), formato
dalle istituzioni comunitarie in stretta collaborazione con l’Agenzia europea di
difesa (Eda).
Parallelamente, gli Usa hanno stanziato alcuni miliardi di dollari approvando la
Faa modernization and reform act che comprende anche l’integrazione dei droni
nello spazio aereo comune. Lo scorso maggio, il presidente Obama, in un discorso
all’Accademia militare di West Point , ha riaffermato l’importanza strategica
dei droni per la difesa nazionale ma ha riconosciuto la necessità di diminuirne
il ricorso nella lotta antiterroristica in paesi stranieri e regolarne l’uso a
livello internazionale. Obama ha anche emanato una direttiva presidenziale per
trasferire l’uso letale dei droni dalla Cia al Pentagono.
Chi arriverà primo tra Stati Uniti ed Europa nella gara per scrivere una nuova
legislazione internazionale per l’uso dei droni armati, fisserà gli standard
mondiali per questo settore, privilegiando le tecnologie della propria industria
e creando un vantaggio comparativo a danno della concorrenza. Forse è per
questo, e non per il rimorso di migliaia di vittime civili innocenti, che i
giuristi americani ed europei si sono messi finalmente al lavoro.