Armi - Dalla clava ai droni

Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt et lapides et item silvarum fragmina rami et flamma atque ignes, post quam sunt cognita primum. Posterius ferri vis est aerisque reperta (“Antiche armi furono le mani, le unghie, i denti, le pietre e i rami spezzati nelle selve, poi le fiamme e il fuoco appena furono noti. Più tardi fu scoperta la forza del ferro e del bronzo”). Così Lucrezio nel Libro V del suo De Rerum Natura descriveva la nascita delle armi. Dalle prime armi naturali, quelle possedute anche dagli animali (unghie e denti) si passò dunque all’arma da pugno, il primo prolungamento fisico dell’uomo.
L’origine etimologica del termine “arma” è sfuggente. La parola potrebbe derivare dal latino arma, plurale di un supposto armum, che gli antichi dedussero da arceo, che significa “respingere”, oppure da armus (armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio” e indicava qualcosa di appeso alle spalle. Alcuni filologi hanno ammesso che la parola potrebbe derivare dal celtico harn, cioè “ferro”, o anche dall’antico germanico har che significa “esercito” o ancora dallo svedese harnad, “guerra”. Di sicuro il termine “arma” deriva dalla stessa radice da cui deriva “ramo” ed è in diretta relazione con l’inglese o tedesco arm (“braccio”).

Sin dalle origini dell’umanità l’evoluzione delle armi ha seguito di pari passo quella dell’uomo. Infatti, l’invenzione e lo sviluppo delle armi sono sempre state una delle preoccupazioni nella storia dell’umanità, sia per il miglioramento della caccia, sia per la difesa, la guerra e l’ordine interno. La qualità e il tipo di armi che si possiedono qualificano il livello scientifico, tecnologico e bellico di uno Stato.
Il funzionamento di molte armi si basa sulla creazione di una elevata energia cinetica per poter lanciare oggetti di vario tipo sul nemico. Dalla iniziale forza muscolare umana si passò all’uso di materiali elastici e di leve semplici per la produzione di armi da lancio (ad esempio, fionde oppure catapulte). Successivamente la polvere da sparo permise di trasformare in maniera estremamente efficace e rapida l’energia chimica in energia cinetica attraverso esplosioni controllate, aumentando quindi la potenza offensiva.
Con le scoperte scientifiche del XIX e del XX secolo, alle cosiddette armi convenzionali si sono via via aggiunte o sostituite armi più sofisticate chearmi preistoriche fanno ricorso a tecnologie avanzate basate sull’uso della chimica (veleni o tossine), della biologia (armi batteriologiche, armi con ceppi di batteri o di virus letali).
La scoperta delle leggi che regolano il comportamento degli atomi ha permesso, invece, di utilizzare l’energia contenuta in una massa, aprendo la strada alla realizzazione della bomba atomica e poi di quella all’idrogeno. Oggi anche la neuroscienza e l’ingegneria genetica sono al servizio della guerra, con armi sempre più sofisticate, pericolose e ambigue.

Nella preistoria la quotidiana esigenza di proteggersi dall’attacco di animali e di cacciarli spinse l’uomo a costruirsi attrezzi particolari per la difesa e la caccia. Ogni uomo preistorico produceva le proprie armi autonomamente, dando un valore sacrale a questo attrezzo.
I ritrovamenti archeologici inducono a ritenere che le prime armi usate dall’uomo abbiano fatto la loro comparsa durante l’ultima glaciazione, circa 70.000 anni fa: si trattava di zagaglie, arponi e cuspidi, ma sicuramente la prima arma utilizzata dall’uomo fu la pietra, usata come corpo contundente e quindi scagliata contro il nemico o gli animali.
La clava pare sia stata la prima e quindi la più antica arma fabbricata dall’uomo. Seguirono la mazza a punta di corno, la lancia con punta d’osso o di legno indurito al fuoco, e l’arco.
L’arco segnò una vera e propria rivoluzione innovativa, poiché basato su un differente sistema di propulsione rispetto alla lancia. Quindi, fu necessario reinventare alcuni componenti, come la punta, per rendere le frecce adatte alle specifiche forze esercitate dall’arco. Probabilmente alla base dell’invenzione del sistema arco-freccia vi è l’osservazione del trapano ad archetto, utilizzato dall’uomo preistorico per accendere il fuoco.
Le tracce più antiche relative all’uso dell’arco e della freccia risalgono al Paleolitico Superiore, ne sono una testimonianza le famose raffigurazioni pittoriche di cacciatori nella grotta di Altamira in Spagna.
Furono gli Egizi a perfezionare quest’arma: attraverso l’utilizzo di listelli d’osso inventarono l’arco composto. Questa evoluzione accrebbe la distanza e la precisione del tiro e la capacità di penetrazione delle frecce, ora con la punta metallica. Un arco egizio poteva colpire il bersaglio fino a una distanza di quasi trecento metri.

Gli Hyksos, la popolazione asiatica che invase l’Egitto, rivoluzionarono l’arte della guerra con l’invenzione del carro da combattimento, progenitore del moderno carro armato. Dotato di quattro ruote, trainato originariamente da quattro buoi o muli, il carro degli Hyksos trasportava una piattaforma di tiro, su cui erano posizionati arcieri o lancieri. Successivamente anche quest’arma fu perfezionata attraverso la sostituzione delle ruote piene con ruote a raggi e cerchiate in metallo e l’eliminazione di due ruote: il carro divenne più agile e veloce e poté essere trainato da cavalli.
Dopo la scoperta del ferro e del rame, quella del bronzo rese le scuri, i coltelli e le daghe ancor più resistenti. Se gli Ittiti furono probabilmente i primi a utilizzare le armi di ferro, gli Assiri le adottarono sistematicamente. Proprio questo popolo, assieme a Persiani e Greci diede un contributo fondamentale all’arte di inventare e

 perfezionare strumenti sempre più pericolosi.
Gli Assiri inventarono l’ariete, la torre da assedio e la scala portatile. I Greci perfezionarono la balista (o ballista), una potente macchina che lanciava grandi dardi o pietre sferiche. I Persiani diedero il loro contributo nel campo navale, inventando la trireme, una nave da combattimento che utilizzava come propulsione, oltre alla vela, circa centosettanta rematori (da cui deriva il nome greco); a prua c’era un grande rostro di ferro (oggetto da sfondamento) mentre sul ponte operavano arcieri e frombolieri.
Alla fine del VII secolo a.C. un’orda di combattenti a cavallo di ceppo iranico, gli Sciiti, pone le premesse per rendere le armi di pugno mobili: l’utilizzo del cavallo. Fino alla diffusione delle armi da fuoco, l’armato a cavallo eserciterà un primato assoluto sui più diversi campi di battaglia.

Nel Medioevo nuove armi da offesa e da difesa rivoluzionano l’arte della guerra e degli assedi. La “francisca” è una di queste armi. Inventata dai Franchi, dal quale prese il nome, è una scure da lancio perfettamente bilanciata, a manico corto di legno con lama a un taglio. Da essa si sviluppano poi l’alabarda, a doppia lama, e l’ascia ricurva a lama tripla, il terribile “martello di Lucerna”. Quest’ultima arma ha un brocco lungo e affusolato, simile a uno stiletto, che lo fa somigliare « a dispetto del suo nome» più a uno spiedo che a un martello.
Il Medioevo inventò l’arma da lancio più letale del periodo: il trabucco, una grande fionda costituita da un braccio di legno lungo che raggiungeva anche quindici metri. Anche se poco preciso, il trabucco aveva un’enorme potenziale distruttivo che permetteva di demolire mura e torri. Era dotato di un braccio munito a una estremità di un contrappeso e dall’altra di una sacca con il proiettile (pietre, oggetti infuocati) che poteva superare il peso di cento chili. Quando il contrappeso era lasciato cadere, il proiettile partiva violentemente in avanti, proprio come avviene con una fionda.
La vera rivoluzione tecnologica nelle armi si ebbe però attorno al 1250 quando gli alchimisti europei individuarono le giuste proporzioni con cui mescolare salnitro purificato, carbone di legna polverizzato e zolfo, per ottenere la polvere da sparo. È questione del tutto oziosa il cercare di individuare un inventore della polvere da sparo: di sicuro sappiamo che il più antico riferimento alla formula della polvere pirica si trova in un’opera cinese del 1044, il Wujung zongyao. Nell’impero cinese, tuttavia, questa polvere nera non ebbe molto successo come arma.
Dal 1300 al 1800, le armi da fuoco convissero con le armi bianche: delle prime non si poteva più fare a meno, ma le seconde erano ancora necessarie. Così, accanto a spade e lance di vari tipi, comparvero cannoni da campo, schioppi, moschetti, archibugi, spingarde (grossi fucili), colubrine (cannoni a mano), tutte armi che utilizzavano l’energia prodotta dall’accensione della polvere pirica per lanciare a distanza

corpi solidi chiamati proiettili.

Nel 1540 l’italiano Camillo Vettelli costruì il primo prototipo di pistola. Era un fucile di piccole dimensioni, che si poteva tenere in una mano, con un meccanismo di accensione a ruota. Nel campo delle armi da fuoco un grandissimo progresso arriva dagli Stati Uniti intorno al 1800 con l’invenzione del Revolver da parte di Samuel Colt nel 1835.
Nel XVII secolo la comparsa di un’altra arma da fuoco, il moschetto, rivoluzionò il ruolo della fanteria. Diretto e immediato erede dell’archibugio, il moschetto era un fucile ad acciarino, in cui la carica di polvere da sparo era innescata, come nel cannone, da uno stoppino acceso. Il fucile così congegnato poteva sparare un colpo ogni due o tre minuti.
Rispetto al suo predecessore, il moschetto presenta una serie di importanti miglioramenti: una canna molto più lunga (e però più pesante), allo scopo di raggiungere una maggiore gittata, la calciatura dell’arma, ora con una sagomatura assai più anatomica, tale da renderla idonea a essere appoggiata alla spalla del tiratore. Rispetto al suo antesignano, pertanto, il moschetto introdusse il concetto di una mira più accurata, e non di semplicemente “sparare avanti”.
La successiva invenzione della rigatura della canna triplicò la gittata e la precisione dei fucili, mentre il passaggio alla retrocarica rese quest’armi più funzionali.
La comparsa della baionetta, una punta montata sulla canna di un fucile, diede alle armi portatili una doppia funzione: quella di essere arma da tiro e da combattimento corpo a corpo. Normalmente si parla di invenzione della baionetta nella città francese di Baiona (secondo alcuni addirittura ai primi del Cinquecento), da cui il nome. Tuttavia non esiste alcun fondamento storico, a parte la similitudine tra i due nomi (basti pensare che quattro sono le Baiona, di cui due in Spagna).
Nel XVIII secolo comparvero sia la prima rudimentale bomba a mano sia la prima mitragliatrice. La prima consisteva in una semplice palla cava di ghisa, riempita di polvere nera e innescata da uno stoppino acceso. La seconda era un fucile capace di sparare proiettili a ripetizione.
La prima mitragliatrice fu la Puckle Gun, presentata per la prima volta al pubblico nel 1718. La prima mitragliatrice efficace fu invece la Gatling, brevettata nel 1862. Entrambe non erano azionate dal proprio rinculo, ma da una forza manuale tramite apposita manovella.

A partire dal XX i progressi scientifici e tecnologici hanno consentito di costruire armi sempre più perfette e potenti. Nella prima guerra mondiale gli eserciti hanno potuto disporre di carri armati, aerei da guerra, sottomarini e armi chimiche (gas lacrimogeni e gas nervino), tutti dalle conseguenze devastanti anche per le popolazioni civili. Sul fronte di guerra si è generalizzato l’uso della mitragliatrice.
La seconda guerra mondiale è il conflitto delle due bombe atomiche, sganciate dagli statunitensi sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. L’esplosione di una bomba atomica scalda l’aria fino a dieci milioni di gradi centigradi, vaporizzando e bruciando tutto ciò che incontra. Le sue radiazioni distruggono la struttura molecolare dei tessuti.
La bomba atomica è stata poi soppiantata dalla bomba H, cioè all’idrogeno, e dai missili definiti “intelligenti” perché in grado sia di seguire un bersaglio in movimento sia di colpire con precisione un obiettivo predefinito.
La tecnologia atomica è stata applicata anche a mezzi armati, come portaerei, fregate lanciamissili, incrociatori, sommergibili, bombardieri, tutti a propulsione nucleare.
Mentre le armi atomiche hanno ampliato il potenziale distruttivo della guerra, analoghi sviluppi sono stati attuati nel campo delle armi convenzionali. La capacità di fuoco dell’artiglieria classica è raddoppiata; la gittata dei razzi ampliata enormemente; il tritolo è stato sostituito con nuovi esplosivi chimici che hanno moltiplicato la potenza deflagrante delle bombe; l’ingegneria ha prodotto nuovi materiali più robusti, maneggevoli e leggeri; nuovi congegni di mira a raggi laser collegati a calcolatori riescono a scovare un bersaglio posto a duemila metri di distanza anche in condizioni di oscurità, fumo, pioggia o neve.

Dall’inizio del XX secolo, le conoscenze nel campo microbiologico ed epidemiologico, della fisica, della genetica hanno aperto la via allo sviluppo più sistematico di armi micidiali. Molte armi chimiche e biologiche sono state usate nel corso delle guerre contemporanee, sebbene bandite dalla Convenzione di Parigi del 1993, le prime, e dalla Convenzione internazionale di Londra nel 1972, le seconde.
A parte il tristemente famoso erbicida alla diossina Agent Orange (nome in codice derivato dal colore delle strisce presenti sui fusti usati per il suo trasporto), utilizzato dagli statunitensi in Vietnam, e che ha provocato micidiali effetti sulla natura e sulla popolazione (cancro e disfunzioni immunitarie), altri armi si sono affacciate nei moderni conflitti. Tra queste la bomba al fosforo bianco.
Arma chimica a tutti gli effetti è una bomba che non incendia edifici o mezzi militari ma brucia l’ossigeno nell’area coinvolta dall’esplosione, in un diametro di circa centocinquanta metri. Il fosforo bianco a contatto con l’aria produce anidride fosforica generando calore, l’anidride fosforica, a sua volta, reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico. Quindi, i vapori dispersi dall’esplosione di una bomba al fosforo inalati dalle persone provocano la morte o per avvelenamento o per l’effetto "bruciatura", questo poiché l’inalazione dei vapori di fosforo, oltre a corrodere le mucose e gli organi interni, avvelena la vittima reagendo con l’ossigeno. Per i pochissimi sopravvissuti all’esposizione sono pressoché certi danni permanenti quali l’anemia e la necrosi ossea.
Altro ordigno ritenuto non convenzionale e la bomba FAE (Fuel-Air Esplosive), meglio conosciuta come “bomba tagliamargherite”. Arma con uranio impoverito e un derivato del napalm, si basa sul principio della bomba molotov: una miscela di combustibile liquido e aria, innescata in un contenitore adeguato, che sviluppa una potenza esplosiva molte volte superiore a quella del tritolo. La bomba è lanciata da aerei in volo con un sistema di paracaduti che ne rallentano la caduta, permettendo al bombardiere di allontanarsi, mentre un sistema di radio-innesco permette di farla esplodere a qualche metro da terra. L’ordigno è capace di radere al suolo una circonferenza di un chilometro di diametro. La FAE, già utilizzata in Vietnam è stata recentemente impiegata in Afghanistan per stanare i Talebani nascosti nelle caverne delle montagne di Tora Bora.
Anche la bomba chiamata DIME, acronimo di Dense Inert Metal Esplosive, è un ordigno non convenzionale. Si tratta di una bomba con una testata di fibra di carbonio e resina epossidica integrata con acciaio, che al momento dell’esplosione si frantuma in piccole schegge e, nello stesso momento, fa esplodere una carica che spara una lama di polvere di tungsteno caricata di energia che brucia e distrugge tutto quello che incontra nell’arco di quattro-dieci metri. Per i sopravvissuti all’esplosione quest’arma ha a lungo termine un effetto altamente cancerogeno.


Un’altra evoluzione nel campo delle armi contemporanee è quella che riguarda gli armamenti fondati sugli ultimi principi della fisica: armi a puntamento di energia, armi geofisiche, armi a onde di energia o psicotroniche.
Le armi a “puntamento di energia” appartengono a una classe di armamenti che comprende numerosi dispositivi capaci di indirizzare sui bersagli in modo molto preciso ed efficace svariate forme di energia non cinetica. In sostanza, l’obiettivo non è colpito da un proiettile o da una forza d’urto di un’esplosione, ma da radiazioni elettromagnetiche, onde acustiche, raggi di calore a elevata energia, raggi laser.
Le armi geofisiche (Programma HAARP - High Frequency Active Auroral Research Program), invece, sono bombe specifiche per provocare anomalie meteorologiche e fisiche, come precipitazioni piovose di forte intensità, innalzamento della temperatura, scosse telluriche, tsunami.
Con armi psicotroniche, infine, s’intende la peculiarità di controllare il comportamento del nemico attraverso la gestione del suo sistema nervoso per mezzo di onde elettromagnetiche. Gli effetti di quest’arma sono fisiologici e possono provocare dei cambiamenti biologici, neurologici e comportamentali.
L’ultima frontiera delle armi contemporanee riguarda l’ingegneria genetica. Infatti, le conquiste ottenute nelle tecnologie d’ingegneria genetica hanno dirottato l’interesse scientifico su quello militare, facendo diventare la guerra genetica la nuova frontiera della corsa agli armamenti. Nuovi scenari si sono così aperti con la possibile modifica genetica dei batteri in modo da “tarare” le armi su caratteristiche genetiche specifiche per colpire non solo determinate popolazioni e/o etnie, evitando quindi gli "effetti collaterali" tipici delle armi chimiche e batteriologiche, ma anche il mondo vegetale e animale.
Notizie su questo terribile argomento le ritroviamo già nel numero del novembre 1970 della Military Review in un articolo intitolato “armi etniche”. L’autore dell’articolo era Carl Larson, capo del Dipartimento di genetica umana all’Istituto di genetica di Lund, Svezia. Lo scienziato spiegava che le variazioni genetiche tra le etnie comportano differenze nella tolleranza a varie sostanze e come un’arma biologica può sfruttare queste varianti genetiche e invalidare o uccidere un intero e determinato gruppo etnico.
Quest’arma offre il vantaggio di uccidere con precisione e in maniera industriale solo “chi si vuole uccidere” e, allo stesso tempo, evitare gli “effetti collaterali” a danno dell’attaccante, tipici delle armi batteriologiche.
Le nuove tecnologie basate sul dna ricombinante, possono essere quindi usate per programmare geni in microrganismi infettivi, allo scopo di aumentarne la residenza agli antibiotici, la virulenza e la stabilità ambientale. È possibile così inserire geni letali in microrganismi innocui, ottenendo come risultato degli agenti biologici che non sono riconosciuti come pericolosi dal corpo umano che, di conseguenza, non sviluppa alcuna risposta.
L’ingegneria genetica può anche essere usata per distruggere specie o ceppi specifici di piante coltivate o di animali domestici, se lo scopo è quello di paralizzare l’economia di un Paese.


Il drone, per i non addetti ai lavori, è un piccolo aeromobile, controllato a distanza da un pilota. Inventato negli Stati Uniti negli anni Trenta, venne perfezionato durante il periodo della Guerra fredda. Gli archivi storici americani hanno svelato che il fenomeno degli avvistamenti di oggetti volanti non identificati, i famosi Ufo, che avevano ispirato film, libri e alimentato teorie di invasioni di alieni dallo spazio negli anni Cinquanta e Sessanta, altro non erano che voli sperimentali di droni militari

 americani.

Dopo l’11 settembre e l’avvio della guerra al terrorismo internazionale, il drone è diventato, dagli Stati Uniti a Israele, dalla Siria all’Iraq e perfino a Gaza da Hamas, l’arma preferita per le operazioni militari in terra nemica. I responsabili militari vedono nella nuova arma la migliore tecnologia possibile e ne suggeriscono l’uso in tutti i teatri di guerra. Droni con missili letali possono librarsi per ore sopra potenziali bersagli, in attesa del momento più opportuno per colpire; possono uccidere sospetti terroristi con relativa precisione, anche se con qualche rischio di vittime civili.

Ancora meglio, i droni non mettono in pericolo le vite dei propri soldati; i piloti sono al sicuro e comodi nei loro centri di controllo, a migliaia di chilometri di distanza. Esistono diversi modelli di droni, il cui peso va da meno di un chilogrammo a diverse tonnellate, come l’americano Global Hawk della Northrop Grumman, che può volare a 40mila metri di altezza, in qualsiasi condizione meteo, da Langley in Virginia (sede del quartier generale della Cia) all’Afghanistan e ritorno senza scalo, o l’israeliano Eitan, un gigante da quattro tonnellate e mezzo di peso, 14 metri di lunghezza e 26 di apertura alare, capace di volare per 36 ore portandosi dietro mille chili di attrezzature fra bombe, missili e sistemi d'osservazione.

Finora, il mercato dei droni per uso militare è stato nelle mani degli Stati Uniti e di Israele. Negli ultimi anni anche la Cina e l’India hanno scoperto le potenzialità dei droni e hanno cominciato a produrne di propri con intento militare. Iran e Russia starebbero perfezionando prototipi armati e l’industria europea degli armamenti sta studiando alcuni progetti esecutivi. Gli Stati Uniti, dall’avvio delle operazioni in Afghanistan nell’ottobre del 2001 fino a oggi, hanno lanciato più di 1600 attacchi di droni in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Yemen, Somalia, Libia, perfino in un caso nelle Filippine. Israele ha colpito decine di leaders di Hamas con missili sparati da droni che volavano sopra il cielo della striscia di Gaza; anche nella crisi degli ultimi giorni, gli israeliani stanno usando molto i droni e Hamas ne ha addirittura lanciato un piccolo esemplare armato sui cieli israeliani che è stato abbattuto dalla contraerea. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
 

Negli Stati Uniti un recente rapporto stilato da una commissione indipendente di esperti, ex alti funzionari del Pentagono e delle forze armate americane, presieduta dal generale in pensione John P. Abizaid, già comandante delle truppe di Washington in Iraq, ha sollevato molte riserve sull’uso indiscriminato dei droni. Secondo gli esperti, la Casa Bianca, sia sotto Bush ma ancor più nell’era Obama, ha mostrato troppa dipendenza sulla strategia delle uccisioni mirate con i droni, facendone un pilastro della guerra al terrorismo internazionale. Dopo un decennio di attacchi dei droni l’obiettivo non è stato realizzato: piuttosto che essere debellati, i gruppi terroristi si sono moltiplicati. L’uso diffuso e incontrollato di droni ha creato una reazione negativa verso gli Stati Uniti in tutto il mondo e non solo nei villaggi remoti in Pakistan e nello Yemen. Il generale in pensione Stanley McChrystal, dall’alto della sua esperienza di ex comandante americano in Afghanistan, ricorda come le operazioni dei droni hanno creato un forte risentimento verso gli americani da parte della popolazione civile.

Finora Cia, Pentagono, Mossad, Hamas e quanti hanno utilizzato i droni per operazioni militari, spesso per omicidi mirati hanno operato segretamente, in assenza di un quadro giuridico internazionale. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha in più occasioni criticato il ricorso ai droni per i raid militari, auspicando che la materia possa essere presto disciplinata dalle leggi internazionali, incluso il diritto umanitario.

Qualche tentativo di creare un quadro regolamentare si è fatto ultimamente, ma ci si è limitati agli aspetti riguardanti gli standard di sicurezza del volo. Non esiste invece un codice di condotta basato su principi etici, che impedisca il lancio del missile, per esempio in presenza di civili a rischio accanto all’obiettivo da eliminare. Per affrontare e risolvere tutti questi temi, la Commissione Europea ha costituito l’European rpas steering group (Ersg), formato dalle istituzioni comunitarie in stretta collaborazione con l’Agenzia europea di difesa (Eda).

Parallelamente, gli Usa hanno stanziato alcuni miliardi di dollari approvando la Faa modernization and reform act che comprende anche l’integrazione dei droni nello spazio aereo comune. Lo scorso maggio, il presidente Obama, in un discorso all’Accademia militare di West Point , ha riaffermato l’importanza strategica dei droni per la difesa nazionale ma ha riconosciuto la necessità di diminuirne il ricorso nella lotta antiterroristica in paesi stranieri e regolarne l’uso a livello internazionale. Obama ha anche emanato una direttiva presidenziale per trasferire l’uso letale dei droni dalla Cia al Pentagono.

Chi arriverà primo tra Stati Uniti ed Europa nella gara per scrivere una nuova legislazione internazionale per l’uso dei droni armati, fisserà gli standard mondiali per questo settore, privilegiando le tecnologie della propria industria e creando un vantaggio comparativo a danno della concorrenza. Forse è per questo, e non per il rimorso di migliaia di vittime civili innocenti, che i giuristi americani ed europei si sono messi finalmente al lavoro.