Fine
dell’Impero di Carlo Magno
Carlo Magno morì nell’814, dopo 46 anni di regno.
La civiltà carolingia è
considerata da alcuni storici, in ordine di tempo, la prima civiltà del
medioevo, che abbia in sé elementi nuovi e vitali.
Se l'opera del grande
imperatore ebbe per la civiltà così durevoli conseguenze, assai rapido fu invece
lo sfacelo dell'Impero politico-militare di Carlo Magno.
La vastità di questo
Impero era stata la conseguenza di una serie di conquiste fortunate, ma le
popolazioni che lo costituivano erano molto diverse. Lo stesso dicasi
dell'ordinamento amministrativo, fondato più che altro sull'autorità indiscussa
di un uomo, da tutti ritenuto quasi un inviato da Dio.
L'Impero durò come durano
le rapide e fortunate creazioni dei grandi condottieri, finché l'autore di tanta
grandezza visse; e subito crollò, non appena l'eroe è sorpreso dalla morte.
Anche l'ordinamento amministrativo dell'Impero, non poteva dirsi adeguato
all'ampiezza del territorio e rispondente alla complessità del governo.
Le
contee e i marchesati erano ben lontani dall'avere la consistenza e il
coordinamento delle antiche circoscrizioni provinciali dei Romani; per la loro
struttura economica, quasi esclusivamente naturale, dovevano reggersi con
un'autonomia amministrativa, la quale tendeva ogni giorno di più a divenire
indipendenza politica. A favorire questo progressivo decentramento contribuì la
difficoltà delle comunicazioni, grave per tutti gli Stati del medioevo,
gravissima per un Impero tanto vasto, che avrebbe richiesto una rete stradale
non inferiore a quella dei Romani e in piena efficienza.
Assai difettoso fu inoltre il sistema di successione, che Carlo Magno accettò
dalla tradizione franca, cioè la divisione del regno fra i figli; sistema questo
che favorì le guerre fratricide e portò l'Impero a un più rapido dissolvimento.
I
successori di Carlo Magno e la divisione dell'Impero
Alla rovina dell'Impero contribuì anche colui, che, unico superstite dei figli
di Carlo Magno, dovette succedergli nella carica, Lodovico il Pio (detto anche il
Bonario), uomo di una incredibile vigliaccheria, vittima dei suoi scrupoli
religiosi, delle sue mogli intriganti e dei suoi avidi figliuoli. Tra questi,
che erano tre, Lotario, Pipino e Lodovico, egli divise l'Impero, suscitando la
ribellione di Bernardo, figlio di Pipino (il defunto secondogenito di Carlo
Magno), ribellione che finì con la sconfitta, l'accecamento e la morte
dell'infelice giovane (818); il Regno d'Italia, che Bernardo aveva ereditato dal
padre, passò a Lotario, il primogenito di Lodovico il Pio, già destinato a
succedere al padre nella dignità imperiale.
La pace però non doveva durare a lungo. Essendo rimasto vedovo, l'imperatore
volle sposare in seconde nozze Giuditta, figlia di Guelfo, conte di Baviera,
donna ambiziosissima. Costei nell'823 mise al mondo un bambino, Carlo (il futuro
Carlo II il Calvo), e pretese che l'imperatore venisse ad una nuova divisione
dell'Impero in quattro parti, favorendo così anche il neonato. Ma i figli del
primo matrimonio non vollero saperne, guerreggiarono contro il padre, lo fecero
prigioniero e lo sottoposero a indecorose umiliazioni (833).
Alla morte di Lodovico il Pio (840), gli succedette il maggiore dei suoi figli,
Lotario, il quale prese il titolo di imperatore, ma non riuscì a farsi
riconoscere dai fratelli Carlo e Lodovico (Pipino era morto nel1'838), i quali
nei loro Stati si mantenevano indipendenti.
Ne venne
una guerra, che durò fino all'843: in quell'anno i tre contendenti si
accordarono fra di loro, firmando quel trattato di Verdun, che spezzava in tre
parti l'Impero carolingio.
I territori alla destra del Reno, furono assegnati a Lodovico, detto appunto il
Germanico. Egli ebbe così quella parte della moderna Germania, che si trova fra
il Reno e l'Oder; più il Baden, il Wuttemberg, la Baviera, l'Austria e
gl'incerti possedimenti orientali.
I paesi che oggi formano la Francia occidentale e centrale, dall'Atlantico alla
Schelda, alla Mosa e alla Saona, passarono a Carlo II il Calvo
Il Regno d'Italia toccò a Lotario, il quale ebbe ancora un vasto territorio,
intermedio tra la Germania e la Francia, che comprendeva la Provenza, la
Borgogna, la Lorena (Lotharingia), la Renania, l'Olanda. Lotario fu riconosciuto
imperatore, ed ebbe entro i suoi confini le maggiori città dell'Impero di Carlo
Magno, cioè Colonia, Treviri, Aquisgrana.
Questa divisione non aveva una base etnica assoluta: specialmente il regno di
Lotario, chiuso tra Francia e Germania, con la lontana appendice dell'Italia,
dimostrava una scarsa consistenza. Perciò nuovi smembramenti e nuove divisioni
succedettero a quella stipulata nell'843 a Verdun.
Lo smembramento dell'Impero
Dopo il trattato di Verdun la monarchia carolingia visse lacerata da sempre
nuove discordie e suddivisioni, minacciata da continui attacchi dei Normanni,
degli Slavi, dei Saraceni. Tuttavia nell'879 l'Impero tornò a riunirsi sotto lo
scettro di Carlo III il Grosso; ma fu tale l'inettitudine e la codardia di quel
sovrano, che i grandi del regno, ribellatisi, lo deposero dal trono nell'887.
Egli morì l'anno seguente (888).
Allora avvenne il definitivo smembramento dell'Impero. Gli Italiani acclamarono
re Berengario marchese del Friuli, i Tedeschi Arnolfo duca di Carinzia, i
Francesi Oddone conte di Parigi : tutti e tre questi sovrani appartenevano più o
meno direttamente alla discendenza di Carlo Magno. Nella Provenza, nella
Borgogna, nella Lorena, nella Moravia si costituirono Stati indipendenti con
sovrani propri.
Il feudalesimo - La decadenza dell'Impero e il frazionamento feudale
I settantatre anni di guerre civili, dalla morte di Carlo Magno (814) alla
deposizione di Carlo il Grosso (887), precipitarono l'Impero nell’anarchia.
Crollato l'organismo dello Stato, si ridestarono tutte le forze locali, che già
fin dai secoli della decadenza di Roma erano cresciute a dismisura; esse, di
fronte all'improvviso mancare della forza centripeta statale, agirono come forza
centrifuga, e provocarono il frazionamento dell'autorità politica.
I primi ad alzare la testa furono i grandi proprietari terrieri. Essi già da secoli
esercitavano sui servi della gleba un'autorità quasi assoluta; inoltre, con la
loro potenza economica, avevano assorbito la piccola proprietà e costretto i
coloni, abbandonati dallo Stato crollante, a porsi sotto la loro protezione.
Questi latifondisti tendevano a divenire, entro l'ambito delle loro terre, quasi
altrettanti piccoli sovrani, e non aspettavano che l'occasione propizia per
attuare il loro sogno.
Allo stesso modo i conti e i marchesi, nominati
dall'imperatore suoi rappresentanti nelle contee e nelle marche, governavano i
territori, ad essi affidati, con un'autonomia, che diveniva sempre maggiore,
quanto più grave si faceva la debolezza del governo.
Non diversamente si
comportarono i vescovi e gli abati, che tendevano a comandare con la spada sui
fedeli sottomessi al loro pastorale.
Allo stato unitario di Carlo Magno succedette quel frazionamento politico detto
feudalesimo. Esso si diffuse in quasi tutti i paesi dell’impero carolingio.
Origine del feudo
Il feudalesimo, nella sua struttura economica essenziale, non può dirsi un
fenomeno nuovo, ma la sua originalità sta nel carattere politico che
assunse nei tempi posteriori a Carlo Magno. Per comprendere l’origine del
feudalesimo è necessario tenere presenti tre istituzioni romano-germaniche
sviluppatesi nel tardo impero e durante la formazione dei regni romano-barbarici. Tali istituzioni sono
il beneficio, il vassallaggio,
l’immunità.
Su queste tre istituzioni si fonda giuridicamente il feudalesimo.
Occorre ricordare che nell’alto medioevo l’unica vera ricchezza è la terra e che
il bottino maggiore quando si fa una conquista è costituito dai terreni più
fertili. Questi spettano di diritto al re, il quale ne distribuisce una parte
consistente tra i guerrieri che lo hanno aiutato militando a proprie spese e
senza ricevere uno stipendio. Questa donazione personale, vitalizia e
inalienabile era il beneficio. In altre parole la terra non diveniva proprietà
(allodio) del beneficiario, ma rimaneva di diritto al re; il beneficiario
conservava l’usufrutto a vita.
In corrispondenza al beneficio ricevuto il beneficiario diveniva vassallo del
re, gli giurava fedeltà, (omaggio) e si dichiarava suo uomo, suo fedele e lo
riconosceva come signore.
L’obbligo maggiore del vassallo nei confronti del signore era il servizio
militare, prestato gratuitamente, poi venivano i tributi in natura o in denaro,
l’ospitalità al signore e alla sua corte in caso di passaggio, la divisione
delle prede in guerra ecc.
Il beneficio, congiunto al vassallaggio, si definisce
Feudo, il beneficiario si definisce feudatario, la cerimonia di assegnazione del
feudo è l’investitura.
Il feudo, quale risultato dell'unione del beneficio al vassallaggio, non
rappresenta in fondo che il godimento di una terra in corrispondenza di un
servizio da prestarsi dal vassallo al suo signore: é dunque un fatto
economico-sociale.
A dargli invece un carattere politico contribuiscono le
immunità, cioé le frequenti esenzioni dalla giurisdizione del sovrano.
S'incomincia a concedere che il beneficio, il quale era vitalizio e personale,
divenga perpetuo e trasmissibile agli eredi; così fa Carlo il Calvo nell'877 col
celebre Capitolare di Kiersy per i feudi maggiori; così farà Corrado II il
Salico per i feudi minori (1037). In tal modo s'indebolisce il vincolo che lega
in perpetuo il beneficio al re, e si toglie al sovrano la possibilità di
eleggere ogni volta il nuovo beneficiato: alla nomina regia è sostituito il
diritto ereditario.
Poi ecco nuove immunità : esenzione dal tributo, diritto di
battere moneta, esonero in molti casi dal servizio militare, concessione di
imporre tasse entro il feudo, trasferimento al vassallo della podestà
giudiziaria: in una parola, il beneficiato o feudatario diviene, se non di
diritto, almeno di fatto, un sovrano, perché assume a poco a poco tutte quelle
prerogative, che noi siamo soliti vedere nello Stato. In tal modo il feudo perde
il carattere primitivo di beneficio, e si trasforma in una signoria politica.
Unico avanzo dell'antica sudditanza al re é il vincolo di vassallaggio, che, in
teoria almeno, rimane immutato.
Gerarchia feudale
Il feudalesimo si sviluppò dunque rigogliosamente, avendo trovato nelle
precedenti istituzioni romano-germaniche un terreno propizio, e finì per
sostituirsi allo Stato unitario, ormai in pieno sfacelo. Il re rimase, come
autore della grandezza di tutti i vassalli; ma il suo potere divenne tanto più
debole quanto maggiori erano state le concessioni di benefici e di immunità, da
lui fatte a vantaggio dei suoi fedeli, i quali spesso si trovarono più forti di
lui, e gli negarono non. di rado obbedienza.
Si formarono un’infinità di piccoli
domini autonomi, legati al sovrano dal vincolo sempre più fragile del
vassallaggio. Ma poi i vassalli maggiori incominciarono anch'essi a distribuire
parte delle terre ricevute in beneficio dal re ai loro fedeli, i quali
prestarono essi pure l'omaggio al signore, lo servirono come soldati a cavallo,
si obbligarono a condurre uomini d'arme in suo aiuto, e divennero così vassalli
minori, valvassori (vassi vassorum) o semplicemente militi. La società feudale é
dunque ordinata a piramide: stanno alla base i militi e i valvassori; poi,
sopra, i vassalli maggiori, e sul vertice il re, che é il principio ideale
dell'autorità di tutti. La compagine sembra saldamente costituita, perché le
singole parti sono legate fra loro dal vincolo del vassallaggio. Di fatto però é
assai sconnessa, poiché il frazionamento politico favorisce l'individualismo e
attutisce il senso della disciplina; il feudalesimo infatti si avviò assai
presto verso l'anarchia.
Usi feudali
Durante il periodo feudale si diede grande importanza alla dichiarazione di
vassallaggio, che si faceva con la solenne cerimonia dell'investitura. In un
giorno fissato, alla presenza della corte e spesso anche del popolo, il vassallo
s'inginocchiava ai piedi del suo signore e compiva l'atto di omaggio,
giurandogli fedeltà. Allora il signore investiva il vassallo, cioè lo metteva in
possesso del feudo, consegnandogli un simbolo in relazione alla qualità del
feudo: un gonfalone, una spada o uno scettro se si trattava di un feudo
cospicuo; una zolla, un mazzo di spighe se si trattava di semplici terre. Da
quel momento il vassallo doveva prestare ossequio al suo signore, aiutarlo in
guerra con milizie proprie, corrispondergli donativi e tributi; se veniva meno
al suo giuramento, era dichiarato fellone, cioè traditore, e spogliato del
feudo.
Il feudatario aveva sui suoi sudditi piena e legittima giurisdizione.
Questi dovevano a lui prestazioni personali (corvées), il pagamento dei prodotti
del suolo, il servizio militare e un’infinità di tasse e balzelli. In compenso
di tutto questo il feudatario provvedeva alla difesa del feudo,
all'amministrazione della giustizia e talora anche alle esigenze dell'annona.
Il
suo giudizio, come il suo governo, era insindacabile, poiché, venuta meno la
forza del potere centrale dello Stato, non funzionarono più né i tribunali
d'appello né l'istituzione carolingia dei missi dominici; alle leggi generali
dell'Impero si sostituirono le consuetudini feudali, che divennero presto la
consacrazione dell'arbitrio. Sotto l'organizzazione feudale si nascondeva dunque
un formidabile assolutismo, a tutto vantaggio di una classe, poco numerosa ma
potentissima perché armata, la quale schiacciava le masse, numerose, ma deboli
perché inermi.
Eppure il feudalesimo, in mezzo all'anarchia del periodo dei Carolingi,
rappresentò l'unica forma possibile di governo. Lo prova la rapida e trionfale
diffusione che ebbe in tutti i paesi, dominati già da Carlo Magno o che
sentirono l'influenza della civiltà franca. I centri di irradiazione furono la
Francia e la Germania; da questi paesi il feudalesimo passò in Inghilterra,
nella Scandinavia, nella Polonia e in altri Stati dell'Europa orientale. In
Italia penetrò subito nelle regioni settentrionali, dove però visse fino alla
nascita dei liberi Comuni; entrò più tardi nell'Italia meridionale, portatovi
dai Normanni, e vi rimase molto a lungo.
L'economia feudale
Il feudalesimo, sebbene nella sua forma esteriore si presenti come un fenomeno
politico-militare, nella sua intima natura si rivela un fatto di carattere
prevalentemente economico: esso non è altro che la consacrazione legale del
monopolio della ricchezza terriera, usurpato da pochi privilegiati a danno delle
popolazioni asservite. Il fenomeno é dunque essenzialmente agrario. La campagna,
fonte delle maggiori ricchezze, prende il sopravvento sulla città, già tanto
decaduta attraverso le invasioni barbariche.
Il castello del feudatario diviene
il cuore anche della vita economica. Questa vita è la conferma decisiva di quel
ritorno all'economia naturale, a cui il trionfo dei barbari ha da secoli
sospinto il mondo civile. Tutti vivono dei prodotti della terra: il feudatario
che da essa trae la sua ricchezza, il colono che vede pagato il suo lavoro,
non in moneta, ma col prodotto del suolo. E il feudo é come un mercato chiuso:
ciò che entro il feudo si produce, entro il feudo si consuma; nullo é il
traffico, onde il danaro è rarissimo, mentre frequente é il baratto, come nei
tempi primitivi; grande é la miseria degli umili, ai quali il lavoro assicura
appena quel che basta per non morire. Ricco è solo colui che possiede la terra,
poiché egli, pur non avendo molto danaro, dispone dei prodotti del suolo, che
sono l'unica ricchezza di quei tempi.
Le classi sociali
Ecco quali sono le classi sociali durante il feudalesimo :
La nobiltà. - Nella società feudale il primo luogo é tenuto dalla nobiltà
fondiaria, composta di grandi e di piccoli feudatari, laici ed ecclesiastici, la
quale possiede quasi tutte le terre, esercita su di esse i poteri sovrani, vive
del reddito terriero, e sola ha il diritto di costituire la milizia, cioé la
massa dei cavalieri, che sono il nerbo dell'esercito feudale. Suddivisa in
molteplici gradazioni, organizzata secondo le gerarchie del vassallaggio e le
esigenze dell'ordinamento militare, la nobiltà é una classe compatta, gelosa dei
suoi diritti, forte e violenta; dal punto di vista feudale essa costituisce anzi
l'unica vera classe sociale, essendo tutte le altre escluse dall'ordinamento
militare, e quindi al di fuori della organizzazione feudale.
La borghesia. - Comprende gli abitanti dei borghi e delle città (cives,
burgenses = borghesi), raccolti essi pure nell'ambito del feudo, ma viventi
abbastanza in libertà per attendere alle piccole industrie e ai traffici. Tra
costoro sono molti i Latini, gente sul cui animo fanno scarsa presa le idee
feudali; essi tendono naturalmente ad una sempre maggiore libertà, si appoggiano
più volentieri al vescovo che al feudatario, prendono parte alla vita municipale
che va risorgendo, cominciano ad assorbire, col lavoro e con modesti traffici,
il poco danaro, che é in circolazione, e preparano la rivolta al feudalesimo con
la formazione del Comune.
I servi della gleba. - Nelle campagne vive la popolazione
agricola, più direttamente soggetta al feudatario, del quale coltiva le terre e
a cui obbedisce come a sovrano. Dal proprio lavoro essa non ritrae alcuno stipendio in
danaro; generalmente il feudatario assegna al colono un appezzamento di terreno,
del cui prodotto egli deve vivere con la famiglia. Questo terreno è quasi
sempre assai piccolo, spesso incolto e poco fertile, si che, tra le popolazioni
dell'età feudale, quella dei contadini è forse la più disgraziata.
Appartengono
a tale classe le infinite varietà di rustici, massari, servi, coloni, i quali
tutti tendono a divenire una classe uniforme di servi della gleba, viventi in
una semi-schiavitù. La loro situazione é peggiorata dall'obbligo di prestazioni
gratuite a favore del feudatario (corvatae = corvées; onera; angariae), dalle
imposizioni di decime sui raccolti spettanti al contadino, dalla pretesa del
signore di esigere nuove taglie o tasse per ogni atto della vita giuridica, come
il maritaggio per il consenso al matrimonio dei sudditi, il mortuario per
l'autorizzazione delle successioni, il mutaggio per la permutazione di fondi
colonici. Si aggiungano inoltre i diritti di pedaggio per passare su di un ponte
o per una strada, di ripatico per navigare sui fiumi, di foratico per negoziare
sui mercati, di erbatico per condurre animali al pascolo, di molitura per usare
del mulino del feudatario, e finalmente i dazi fiscali, e si avrà un'idea
dell'enormità delle gravezze imposte alle classi inferiori dalla nobiltà
feudale. Che se gli abitanti dei borghi e delle città riuscirono spesso a
sfuggire tale cumulo di angherie, le popolazioni agricole dovettero sottostarvi,
senza speranza di pietà. Per tal modo, quando le città prepararono la riscossa
contro il feudalesimo, il malcontento e l'esasperazione delle classi agricole
divennero la leva, con cui i Comuni riuscirono a scalzare e a rovesciare
la struttura feudale.
Industrie e commercio nell'età feudale. - Rispetto all’agricoltura il
feudalesimo rappresenta un notevole miglioramento in confronto dei precedenti
periodi barbarici. La presenza del signore sui propri terreni riattiva
l'agricoltura che, profittando della sicurezza garantita dalla forza del
feudatario, non ha a temere le distruzioni dei barbari o le devastazioni dei
predoni. Quanto alle industrie, esse si riducono alla forma domestica, gli
schiavi o i servi del signore esercitano i mestieri (ministeria); solo nelle
città e nei borghi stanno artigiani liberi e forse anche rudimentali
corporazioni.
Ma il commercio diventa una cosa difficile, prima di tutto perché
é quasi impossibile viaggiare, non permettendo il signore che i suoi uomini, già
così scarsi, lo abbandonino; poi perché i rigidi confini tra feudo e feudo, le
dogane, i controlli, i pedaggi finiscono per ostacolare il traffico, che si
riduce così tutto nelle fiere, dove il grosso dei venditori é dato da mercanti
girovaghi, spesso ebrei, sempre poi d'importanza assai limitata.
Quanto al
grande commercio d'oltre mare, esso esorbita dalla economia feudale ed è tutto
in mano di chi domina il mare, cioè dei Bizantini, degli Arabi e delle
repubbliche marinare italiane.
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