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Nenni
(1891) e Mussolini (1883), nemici per la pelle
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Nel pomeriggio del 28 luglio 1943, mentre Mussolini prigioniero sbarcava a Ponza dal cacciatorpediniere “Persefone”, un altro prigioniero lo osservava con il binocolo. Poi scriverà sul suo diario: “scherzi del destino! Trentanni fa eravamo in carcere insieme, legati da un’amicizia che pareva sfidare il tempo e le tempeste della vita. Ed ora eccoci entrambi sulla stessa isola, io per decisione sua, lui per decisione del re”.

Pietro Nenni aveva conosciuto Mussolini ne carcere di Forlì, dove soggiornarono a lungo per una manifestazione contro la Libia.

Era il 1911, Nenni aveva 20 anni, Mussolini 28. Anche le loro mogli, o meglio “libere compagne” diventarono amiche frequentando il parlatorio.

Rachele con in braccio la piccola Edda, Carmen era incinta di Giuliana.

I 2 giovani si erano già incontrati (o scontrati) durante uno dei tanti comizi che infuocavano allora la Romagna.

Mussolini era infatti un socialista rivoluzionario, Nenni era mazziniano, ma non per questo meno ribelle.

“Il carcere avvicina e fortifica l’amicizia” scriverà Nenni “Mussolini ed io passavamo ore nella stessa cella, giocando a carte, leggendo e facendo progetti per il nostro confuso avvenire.” Fu così che i due romagnoli fraternizzarono. Mussolini provava una sorta di istinto paterno per il giovinetto miope, con tanto coraggio e voglia di imparare. Nenni ammirava quel compagno più anziano e più istruito di lui (Mussolini era maestro, Nenni era cresciuto all’orfanotrofio).

L’anno dopo (1912) Nenni fu di nuovo arrestato per avere applaudito l’anarchico Antonio d’Alba che aveva sparato al re e Mussolini aveva messo sottosopra Forlì per reclamare la sua scarcerazione. Col risultato di finire dentro anche lui per aver detto: “ Se il cittadino Savoia cadesse per una pistolettata, ciò sarebbe un atto di giustizia”.

In seguito i due amici lasciarono la Romagna: Mussolini per andare a dirigere l’Avanti! e Nenni il Lucifero, due fogli sovversivi che, grazie alla loro penna infuocata raggiungeranno di colpo una vasta diffusione.

Benché militanti di partiti concorrenti continuarono a stimarsi. Scriveva Nenni: “ Una grande contraddizione rende inutile la propaganda rivoluzionaria dell’’Avanti!. Dirò di più: Mussolini è un galantuomo che innegabilmente agisce in buona fede. Il guaio è che egli è un rivoluzionario alla testa di un partito riformista.”

Mussolini ribatteva: “Tale prosa ci fa piacere: esse dimostra, fra l’altro – e questo è l’importante – che la lealtà polemica non è sempre una pietosa, irraggiungibile aspirazione.

I due si trovarono di nuovo insieme nel 1914, durante la stagione prerivoluzionaria della “Settimana Rossa”.

Nenni finì ancora in cella e Mussolini gli scriveva: “ Carissimo Pietro, vengo a portarti la mia parola fraterna. Tu non hai bisogno di conforto, come non ne avevi quando abbiamo fatto insieme un po’ di apprendistato carcerario. Se ripenso a quei giorni provo tanta nostalgia…Un abbraccio Benito.

L’anno dopo, (1915) scoppiò la guerra mondiale e Mussolini, convinto interventista, lasciò il PSI per andare a dirigere “Il Popolo d’Italia”. Nenni approvò quel gesto “ Fui d’accordo con Musoolini” scriverà “per la battaglia interventista, anche se mossi da premesse diverse: per me era l’ultima guerra del risorgimento, per lui una guerra rivoluzionaria…”

Poi Nenni si arruolò volontario e Mussolini (che lo raggiungerà nei bersaglieri) pubblicò la sua foto sul Popolo d’Italia con la didascalia ”Nenni fu uno dei più giovani rivoluzionari della settimana Rossa ora nasconde la camicia del rivoluzionario sotto il pastrano grigioverde del volontario. A Pietro, nostro giovane amico, i più fraterni auguri.”

Nel dopoguerra l’amicizia resta solida, anche se le posizioni politiche si stanno invertendo: Nenni si avvicina ai Socialisti, Mussolini se ne allontana.

Ma continuano a frequentarsi: Nenni è spesso ospite dei Mussolininella loro casa milanese. La piccola Ed dina lo chiama “zio Pietro”. Nel frattempo la rivoluzione russa aveva sconvolto la sinistra italiana.

Molti socialisti volevano “fare come in Russia” mentre Mussolini già teorizzava una confusa terza via. “La nostra rivoluzione – scriveva – se sarà inevitabile dovrà avere  impronta romana senza influenze tartariche o moscovite”.

Neanche Nenni vedeva di buon occhio la Rivoluzione d’Ottobre. Così, quando nel 1919 Mussolini fonda a Milano il “Fascio dei combattenti”, Nenni risponda da Bologna facendosi promotore di un’analoga iniziativa.

Su questo episodio si discuterà molto in seguito e Nenni, sotto ricatto dai comunisti, sarà costretto a negarlo. In realtà il “fascismo del 19” era un movimento di sinistra, tanto è vero – anche se preferisce non ricordarlo – che nel 1934 il PCI clandestino lanciò un appello ai “proletari in camicia nera “ proponendo una fusione sulla base del “programma fascista del 1919”.

Ma torniamo a quel marzo di 81 anni fa.

In una segnalazione della Questura di Bologna si legge: “Nenni si è fatto promotore della fondazione del fascio dei combattenti esponendo un programma riassunto in questa espressione: né coi bolscevichi, né coi monarchici, ma per la rivoluzione e la Costituzione”.

Il fascio di Bologna ebbe vita brevissima e si sciolse non appena Nenni si rese conto che l’indirizzo impressovi da Mussolini mirava in ben altra direzione.

Diventato socialista e giornalista dell’’Avanti! Nenni continua a punzecchiare amichevolmente il futuro duce, ma ne traccia anche un ritratto realista: “Possiede un oscuro fascino di condottiero. E’ un uomo forte che vuole distinguersi, essere il primo, per una strada o per un’altra. Potrà fare molto bene o molto male, ma comunque farà molto parlare di sé”.

Mai previsione fu più azzeccata. I due si videro per l’ultima volta nel maggio 1922, a Cannes, a una conferenza internazionale.

Nenni era inviato dell’Avanti!, Mussolini del Popolo d’Italia, ma già sapeva di avere la vittoria in pugno: tra 5 mesi dopo la marcia su Roma, sarebbe diventato capo del governo.

I cecchi amici passeggiarono fino all’alba sulla Croissette conversando in dialetto romagnolo.

Cosa si dissero? ”I due nottambuli parlarono a lungo” scriverà Nenni molti anni più tardi.

“Una vecchia amicizia, un’origine comune, tante battaglie combattute insieme, tale era il passato che li univa, ma ora le loro posizioni li opponevano violentemente”.

Probabilmente Nenni preferì sorvolare sul succo centrale della rimpatriata. Possiamo solo immaginare che Mussolini gli avrà sicuramente offerto un posto di rilievo nel governo che si accingeva a formare. Tuttavia, anche se ciò accadde, Nenni si comportò con coerenza. Scelse per se e per i suoi familiari (la moglie e tre bambine) l’esilio e il rischio.

Rischiò molto infatti. Vent’anni dopo in Francia, catturato dalle SS (sua figlia Vittoria era già stata avviata col marito verso un campo di sterminio, Nenni salvò la vita per miracolo.

Un miracolo misterioso ancora oggi. Arrestato come agente di Stalin, il leader socialista fu deportato in Germania con il solito vagone piombato.

Ma su quel carro rimase stranamente dal 12 marzo al 5 aprile del 1943.

Cosa gli stava capitando? Lui stesso lo chiese a lungo. Probabilmente fra Roma e Berlino, qualcuno stava discutendo il suo caso. Il fatto è quando aprirono il vagone, Nenni scoprì di trovarsi al Brennero. Due carabinieri lo stavano aspettando. “Provai il desiderio di baciarli”  racconterà in seguito.

L’ordine era di accompagnare il prigioniero al confino nell’isola di Ponza dove doveva rimanere “per tutta la durata dell’attuale conflitto”, il che, a ben bedere, significava la salvezza.

Fu Mussolini a salvarlo? Nel diario che l’ex Duce redasse nel crepuscolo di Salò si legge: “Quando giunsi a Ponza vi era confinato Nenni. Oggi sarà un uomo libero. Ma se è ancora in vita lo deve proprio a me. Sono molti anni che non lo vedo, ma non credo che sia cambiato molto.

Qualche tempo dopo, il 28 aprile 1945, quando giunse a Roma nella redazione dell’Avanti” la notizia della fucilazione di Mussolini, Sandro Pertini, che era vicino a Nenni racconterà:

“Aveva gli occhi rossi, era molto commosso, ma volle ugualmente dettare il titolo: Giustizia è fatta”.

 

Da un articolo di Arrigo Petacco