Nel pomeriggio del 28 luglio
1943, mentre Mussolini prigioniero sbarcava a Ponza dal
cacciatorpediniere “Persefone”, un altro prigioniero lo osservava con il
binocolo. Poi scriverà sul suo diario: “scherzi del destino! Trentanni
fa eravamo in carcere insieme, legati da un’amicizia che pareva sfidare
il tempo e le tempeste della vita. Ed ora eccoci entrambi sulla stessa
isola, io per decisione sua, lui per decisione del re”.
Pietro Nenni aveva conosciuto
Mussolini ne carcere di Forlì, dove soggiornarono a lungo per una
manifestazione contro la Libia.
Era il 1911, Nenni aveva 20
anni, Mussolini 28. Anche le loro mogli, o meglio “libere compagne”
diventarono amiche frequentando il parlatorio.
Rachele con in braccio la
piccola Edda, Carmen era incinta di Giuliana.
I 2 giovani si erano già
incontrati (o scontrati) durante uno dei tanti comizi che infuocavano
allora la Romagna.
Mussolini era infatti un
socialista rivoluzionario, Nenni era mazziniano, ma non per questo meno
ribelle.
“Il carcere avvicina e
fortifica l’amicizia” scriverà Nenni “Mussolini ed io passavamo ore
nella stessa cella, giocando a carte, leggendo e facendo progetti per il
nostro confuso avvenire.” Fu così che i due romagnoli fraternizzarono.
Mussolini provava una sorta di istinto paterno per il giovinetto miope,
con tanto coraggio e voglia di imparare. Nenni ammirava quel compagno
più anziano e più istruito di lui (Mussolini era maestro, Nenni era
cresciuto all’orfanotrofio).
L’anno dopo (1912) Nenni fu
di nuovo arrestato per avere applaudito l’anarchico Antonio d’Alba che
aveva sparato al re e Mussolini aveva messo sottosopra Forlì per
reclamare la sua scarcerazione. Col risultato di finire dentro anche lui
per aver detto: “ Se il cittadino Savoia cadesse per una pistolettata,
ciò sarebbe un atto di giustizia”.
In seguito i due amici
lasciarono la Romagna: Mussolini per andare a dirigere l’Avanti! e Nenni
il Lucifero, due fogli sovversivi che, grazie alla loro penna infuocata
raggiungeranno di colpo una vasta diffusione.
Benché militanti di partiti
concorrenti continuarono a stimarsi. Scriveva Nenni: “ Una grande
contraddizione rende inutile la propaganda rivoluzionaria dell’’Avanti!.
Dirò di più: Mussolini è un galantuomo che innegabilmente agisce in
buona fede. Il guaio è che egli è un rivoluzionario alla testa di un
partito riformista.”
Mussolini ribatteva: “Tale
prosa ci fa piacere: esse dimostra, fra l’altro – e questo è
l’importante – che la lealtà polemica non è sempre una pietosa,
irraggiungibile aspirazione.
I due si trovarono di nuovo
insieme nel 1914, durante la stagione prerivoluzionaria della “Settimana
Rossa”.
Nenni finì ancora in cella e
Mussolini gli scriveva: “ Carissimo Pietro, vengo a portarti la mia
parola fraterna. Tu non hai bisogno di conforto, come non ne avevi
quando abbiamo fatto insieme un po’ di apprendistato carcerario. Se
ripenso a quei giorni provo tanta nostalgia…Un abbraccio Benito.
L’anno dopo, (1915) scoppiò
la guerra mondiale e Mussolini, convinto interventista, lasciò il PSI
per andare a dirigere “Il Popolo d’Italia”. Nenni approvò quel gesto “
Fui d’accordo con Musoolini” scriverà “per la battaglia interventista,
anche se mossi da premesse diverse: per me era l’ultima guerra del
risorgimento, per lui una guerra rivoluzionaria…”
Poi Nenni si arruolò
volontario e Mussolini (che lo raggiungerà nei bersaglieri) pubblicò la
sua foto sul Popolo d’Italia con la didascalia ”Nenni fu uno dei più
giovani rivoluzionari della settimana Rossa ora nasconde la camicia del
rivoluzionario sotto il pastrano grigioverde del volontario. A Pietro,
nostro giovane amico, i più fraterni auguri.”
Nel dopoguerra l’amicizia
resta solida, anche se le posizioni politiche si stanno invertendo:
Nenni si avvicina ai Socialisti, Mussolini se ne allontana.
Ma continuano a frequentarsi:
Nenni è spesso ospite dei Mussolininella loro casa milanese. La piccola
Ed dina lo chiama “zio Pietro”. Nel frattempo la rivoluzione russa aveva
sconvolto la sinistra italiana.
Molti socialisti volevano
“fare come in Russia” mentre Mussolini già teorizzava una confusa terza
via. “La nostra rivoluzione – scriveva – se sarà inevitabile dovrà
avere impronta romana senza influenze tartariche o moscovite”.
Neanche Nenni vedeva di buon
occhio la Rivoluzione d’Ottobre. Così, quando nel 1919 Mussolini fonda a
Milano il “Fascio dei combattenti”, Nenni risponda da Bologna facendosi
promotore di un’analoga iniziativa.
Su questo episodio si
discuterà molto in seguito e Nenni, sotto ricatto dai comunisti, sarà
costretto a negarlo. In realtà il “fascismo del 19” era un movimento di
sinistra, tanto è vero – anche se preferisce non ricordarlo – che nel
1934 il PCI clandestino lanciò un appello ai “proletari in camicia nera
“ proponendo una fusione sulla base del “programma fascista del 1919”.
Ma torniamo a quel marzo di
81 anni fa.
In una segnalazione della
Questura di Bologna si legge: “Nenni si è fatto promotore della
fondazione del fascio dei combattenti esponendo un programma riassunto
in questa espressione: né coi bolscevichi, né coi monarchici, ma per la
rivoluzione e la Costituzione”.
Il fascio di Bologna ebbe
vita brevissima e si sciolse non appena Nenni si rese conto che
l’indirizzo impressovi da Mussolini mirava in ben altra direzione.
Diventato socialista e
giornalista dell’’Avanti! Nenni continua a punzecchiare amichevolmente
il futuro duce, ma ne traccia anche un ritratto realista: “Possiede un
oscuro fascino di condottiero. E’ un uomo forte che vuole distinguersi,
essere il primo, per una strada o per un’altra. Potrà fare molto bene o
molto male, ma comunque farà molto parlare di sé”.
Mai previsione fu più
azzeccata. I due si videro per l’ultima volta nel maggio 1922, a Cannes,
a una conferenza internazionale.
Nenni era inviato
dell’Avanti!, Mussolini del Popolo d’Italia, ma già sapeva di avere la
vittoria in pugno: tra 5 mesi dopo la marcia su Roma, sarebbe diventato
capo del governo.
I cecchi amici passeggiarono
fino all’alba sulla Croissette conversando in dialetto romagnolo.
Cosa si dissero? ”I due
nottambuli parlarono a lungo” scriverà Nenni molti anni più tardi.
“Una vecchia amicizia,
un’origine comune, tante battaglie combattute insieme, tale era il
passato che li univa, ma ora le loro posizioni li opponevano
violentemente”.
Probabilmente Nenni preferì
sorvolare sul succo centrale della rimpatriata. Possiamo solo immaginare
che Mussolini gli avrà sicuramente offerto un posto di rilievo nel
governo che si accingeva a formare. Tuttavia, anche se ciò accadde,
Nenni si comportò con coerenza. Scelse per se e per i suoi familiari (la
moglie e tre bambine) l’esilio e il rischio.
Rischiò molto infatti.
Vent’anni dopo in Francia, catturato dalle SS (sua figlia Vittoria era
già stata avviata col marito verso un campo di sterminio, Nenni salvò la
vita per miracolo.
Un miracolo misterioso ancora
oggi. Arrestato come agente di Stalin, il leader socialista fu deportato
in Germania con il solito vagone piombato.
Ma su quel carro rimase
stranamente dal 12 marzo al 5 aprile del 1943.
Cosa gli stava capitando? Lui
stesso lo chiese a lungo. Probabilmente fra Roma e Berlino, qualcuno
stava discutendo il suo caso. Il fatto è quando aprirono il vagone,
Nenni scoprì di trovarsi al Brennero. Due carabinieri lo stavano
aspettando. “Provai il desiderio di baciarli” racconterà in seguito.
L’ordine era di accompagnare
il prigioniero al confino nell’isola di Ponza dove doveva rimanere “per
tutta la durata dell’attuale conflitto”, il che, a ben bedere,
significava la salvezza.
Fu Mussolini a salvarlo? Nel
diario che l’ex Duce redasse nel crepuscolo di Salò si legge: “Quando
giunsi a Ponza vi era confinato Nenni. Oggi sarà un uomo libero. Ma se è
ancora in vita lo deve proprio a me. Sono molti anni che non lo vedo, ma
non credo che sia cambiato molto.
Qualche tempo dopo, il 28
aprile 1945, quando giunse a Roma nella redazione dell’Avanti” la
notizia della fucilazione di Mussolini, Sandro Pertini, che era vicino a
Nenni racconterà:
“Aveva gli occhi rossi, era
molto commosso, ma volle ugualmente dettare il titolo: Giustizia è
fatta”.
Da un articolo di Arrigo
Petacco
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