Nel 300 l'Italia centro-settentrionale era frammentata in innumerevoli feudi e
comuni. Nello stesso periodo l'Italia meridionale e insulare comprendeva il
Regno di Napoli, sottoposto alla dinastia francese degli Angiò, e il regno di
Sicilia, sottoposto agli Aragona di Spagna.
Tra Italia centro-nord e Italia del
sud si estendeva lo Stato della Chiesa.
Nei comuni avvenivano scontri molto violenti tra le famiglie dei magnati, le
quali disponevano di piccoli eserciti personali. I magnati erano le famiglie
dominanti che lottavano per il potere. La popolazione appartenente alle
corporazioni minori era esclusa dalla rappresentanza e spesso sfogava la sua
rabbia in manifestazioni violente senza risultati.
Tra i magnati della maggior parte dei comuni riuscì ad emergere un personaggio forte che
sconfisse le famiglie rivali ed ottenne l'appoggio dei popolani, i quali
rinunciarono alla partecipazione e alla democrazia in cambio dell'ordine e della
pace.
Questi comuni a governo dittatoriale furono definiti signorie. Col tempo molti
signori ottennero un titolo nobiliare trasformando i loro domini in ducati o
principati.
La politica dell'equilibrio -
Le signorie che, con la legittimazione da parte dell'imperatore erano diventate
principati, dovettero combattere per la conservazione e per l'espansione
territoriale. Non si poteva stare in pace, la lotta per l'esistenza era
perpetua. Principati s'ingrandivano, sparivano, ricomparivano di continuo, tra
alleanze, tradimenti, avvelenamenti, matrimoni, assedi e scontri campali.
I principi italiani e i loro ambasciatori divennero maestri di diplomazia.
Alcuni principati emersero sugli altri e si estesero a una o più regioni
geografiche. Dalla grande e sanguinosa confusione emersero sei stati italiani:
Il Ducato di Savoia, il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la signoria
Firenze, lo stato della Chiesa, il Regno di Napoli.
Dopo numerosi e inutili
tentativi, nessuno di essi fu in grado di sottomettere gli altri: nacque quindi
una politica di equilibrio che sarà rotta dalle invasioni straniere del 500.
Il ducato di Milano era appartenuto prima alla famiglia dei Visconti e passando
poi agli Sforza.
La Repubblica di Venezia non aveva subito lotte intestine, era retta da un Doge
e dal Gran Consiglio, formato da membri delle famiglie aristocratiche.
La Signoria di Firenze, fondata da Cosimo de Medici e dominata dalla sua
famiglia, diventò una delle più ricche e potenti d'Europa. Dal 1469 al 1492 essa fu
retta da Lorenzo, detto il Magnifico, per la sua personalità, intelligenza e per
il Mecenatismo. Lorenzo fu il più prestigioso custode della politica
d'equilibrio.
Lo stato della Chiesa fu retto da Papi mecenati e abili politici.
Il regno di Napoli, dal 1442 fu riunito dagli Aragona alla Sicilia e alla Sardegna
dopo aver scacciato gli Angioini.
Il ducato di Savoia si estendeva tra il territorio italiano e quello francese. I
Savoia erano originari della Borgogna e tra il X e l'XI secolo avevano
conquistato numerosi feudi alpini tra Francia, Svizzera e Italia. Si erano
arricchiti controllando i passi del San Bernardo e del Moncenisio. Essendo degli
ottimi comandanti militari i Savoia offrivano il loro valore e la loro
competenza alle grandi potenze e in tal modo allargavano i propri domini a quasi
tutto il Piemonte. Nel quattrocento ottennero il titolo di duchi. Il ducato di
Savoia era completamente diverso da tutti gli altri stati italiani. Esso aveva
un duca di origine feudale e non mercantile o mercenaria. Il suo territorio era
costellato di castelli e non di fiorenti città mercantili. Torino era un piccolo
borgo.
Le milizie mercenarie -
Le lunghe guerre per la formazione e per la conservazione di signorie e
principati, nonché per la formazione degli stati nazionali, favorirono lo
sviluppo delle compagnie mercenarie, dette di ventura. I Capitani di Ventura
erano cavalieri senza terra, spesso figli cadetti di nobili famiglie. Essendo
ben addestrati nelle armi diventavano militari di professione. Erano detti
condottieri perché stipulavano dei contratti detti condotte. Ciascuno di essi
comandava una compagnia formata da ex contadini, banditi, poveri emarginati, i
quali ricevevano una paga, il mantenimento e parte del bottino ottenuto in
battaglia. Durante i periodi di pace le compagnie di ventura costituivano un problema serio
per i territori attraversati, infatti spesso si davano al saccheggio di
fattorie, bivaccavano nei villaggi e rapinavano i viaggiatori.
I nuovi ideali -
Alla fine del Medioevo l’Italia si avvia verso una grave decadenza politica, ma
contemporaneamente è il centro di una rivoluzione intellettuale, che apre un
nuovo periodo storico.
Le grandi istituzioni della civiltà medievale sono venute meno e si sono
trasformate, nuove forme di vita economica si sono inserite nella struttura
feudale, vivaci correnti internazionali di scambio hanno rotto l'immobilismo e
la ristrettezza dei mercati locali.
L'impero ha perduto di fatto la sua importanza.
La Chiesa, dilaniata dal grande scisma e oggetto della polemica dei riformisti,
ha abbandonato la pretesa di egemonia politica sul mondo cristiano, pur
mantenendo, nell'interno degli Stati, privilegi e potere. Nelle città la
gerarchia feudale è stata spezzata e si è creata una maggiore mobilità sociale
di ceti e di individui; il potere dello Stato, del monarca, ha cominciato ad
affermarsi sull'anarchia feudale.
Questi ed altri fenomeni mettono in crisi la civiltà medievale.
Per lungo tempo,
però, questi fatti nuovi, queste nuove esperienze, non modificano la concezione
del mondo, dell'uomo, dei rapporti tra l'individuo e la società, che rimane
ancora la concezione medievale.
Il mercante traffica e si arricchisce, la borghesia tende ad affermare un
concetto di dignità sociale non più basato sulla nascita, i sovrani vogliono
affermare la propria autorità, gli scienziati tendono ad una maggiore libertà di
ricerca, ma ognuno di questi protagonisti si scontra non solo con le vecchie
istituzioni, ma anche con il modo di concepire la vita e l’uomo, che è poi il
suo stesso modo di pensare.
Non pochi mercanti, scienziati, letterati, sono presi da scrupoli, da
pentimenti, da dubbi: molti rinnegano in punto di morte gli atteggiamenti tipici
dei tempi nuovi.
In effetti, anche nell'età in cui si formano e si sviluppano i comuni e gli
stati nazionali l’attività umana, gli interessi terreni, sono subordinati ai
fini ultraterreni; la vita è vista in funzione del regno di Dio, la stessa
ragione è subordinata alla fede.
La tensione spirituale, che percorre l'età medievale e la caratterizza, continua
ancora oltre il XII secolo, ma è sempre più in contrasto con le nuove forme di
attività umana che si vanno affermando praticamente.
Con l'inizio dell'età moderna, è questa concezione generale del mondo che
comincia a mutare, sono questi ideali che cominciano a decadere. Le nuove
esperienze politiche, economiche, sociali, tecniche, finiscono col creare le
condizioni del superamento della cultura medievale.
Da esse sorge un movimento di idee che tende a sovvertire gli ideali
tradizionali: è l'inizio di una evoluzione che giungerà alla sua piena maturità
nel XVIII secolo.
In Italia nasce una sorta di contraddizione tra la fioritura di nuove idee e
opere d'arte e di cultura, e la decadenza politica e la relativa stasi sociale. Le corti di quei principi e signori che abbiamo visto impegnati in lotte senza
quartiere tra loro, ospitano gli studiosi, gli scienziati, gli artisti che
elaborano le nuove idee, sono il centro di questo movimento culturale, che da
qui si irradia in Europa.
L'eroe di questa fase della civiltà umana non è più
colui che si dedica alla rinunzia, che orienta il suo spirito verso
l'affermazione della fede, ma l'uomo che esercita il suo spirito critico, che
afferma pienamente le sue energie, che carpisce i segreti e le leggi della
natura.
Fiducia nell'uomo, affermazione del valore dell'individuo, culto della
bellezza:
sono questi alcuni aspetti del modo di pensare e di sentire che si
afferma nel Rinascimento.
I modelli classici -
Il movimento inizia con la riscoperta e lo studio dei grandi scrittori
dell'antichità classica. Già la definizione di humanae litterae, che allora fu
data a questi studi e che diede origine al termine umanesimo, ne indica la
caratteristica centrale rispetto all'orientamento degli studi medievali,
d'impronta prevalentemente teologica. Gli antichi manoscritti vengono ripresi,
esaminati, confrontati.
Di Umanesimo si parla dunque soprattutto per indicare un filone di studio e di
pensiero indirizzato prevalentemente alla conoscenza dei classici e a una
riflessione storica, filosofica e letteraria concentrata sui valori dell’uomo e
della sua esistenza terrena. Esso fu soprattutto un grande movimento di idee.
Umanisti furono, nel Quattrocento, gli italiani Giovanni Pontano, Lorenzo Valla,
Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e lo stesso pontefice Pio II.
Al termine Umanesimo si affiancò successivamente quello di Rinascimento,
utilizzato dal pittore e storico dell’arte Giorgio Vasari (1511-74) per
sottolineare che fra il Quattro e il Cinquecento era iniziata “una nuova era di
rinascita e rigenerazione dell'umanità”.
Questa riscoperta dei classici non è soltanto un fatto di erudizione:
personaggi, modi di vita, atteggiamenti morali e politici del mondo classico,
vengono assunti e proposti come modelli da imitare.
È tipico il caso di Cola di Rienzo, la cui ammirazione per Roma antica si
intreccia strettamente con il suo programma politico immediato. Non si tratta,
però, di un semplice ritorno all’antico. Anche se gli umanisti imitano nelle
loro opere i modelli classici e adottano la lingua latina (non quella
ecclesiastico-medievale, bensì l'autentica lingua latina classica), nella
sostanza essi tendono soltanto a trarre ispirazione dal mondo antico per
affrontare in modo nuovo i problemi della loro epoca. E il mondo classico,
studiato con metodo critico e con una raffinata tecnica filologica, si rivela
fecondo di insegnamenti e ricco di suggestioni.
Ai conservatori, infatti, la valorizzazione della civiltà e della cultura
greco-latine appare come un mezzo per sovvertire i valori religiosi, morali,
politici e sociali.
Il largo uso del latino da parte degli umanisti dimostra che l'umanesimo fu un
movimento culturale ristretto, che non mirava ad espandersi. Ciò malgrado esso
volle determinare un rinnovamento intellettuale e morale, ben al di là della
creazione di una moda e di un gusto letterario.
Protagonisti - Tra i maggiori protagonisti della prima fase dell'umanesimo, particolarmente
impegnati nella ricerca dei testi classici furono, dopo Petrarca e Boccaccio, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Niccolò
Cusano.
Il Salutati (1331-1406), che ebbe incarichi politici di rilievo nella
repubblica fiorentina alla fine del 300, promosse la diffusione delle lettere di
Cicerone e l'istituzione di una cattedra di greco, affidata ad uno studioso
bizantino, nell'Università di Firenze.
Poggio Bracciolini trasse occasione dalla
partecipazione al concilio di Costanza per svolgere insieme ad un gruppo di
dotti una intensa attività di ricerca nei monasteri tedeschi, traendone frutti
sorprendenti.
Il superamento dello scisma, la riforma della Chiesa, appaiono come problemi da
collocare nel più vasto quadro di un rinnovamento della concezione generale
dell'uomo.
Leonardo Bruni non è soltanto un ricercatore di manoscritti, ma è anche uno
storico ed uno scrittore politico immerso nel suo tempo;
Niccolò Cusano, la cui
attività di ricercatore si svolge intensa nel periodo del concilio di Basilea, è
anche uno dei maggiori filosofi europei del secolo XV. Il suo contributo al
superamento degli schemi medievali di pensiero è fondamentale.
Da queste premesse — cioè dalla riscoperta della civiltà greco-latina intesa
come una spinta al generale ripensamento dei valori intellettuali e morali —
scaturì una meravigliosa fioritura artistica e letteraria, di pensiero
scientifico e filosofico; sorse cioè il Rinascimento (come lo battezzò uno
storico francese del secolo scorso, il Michelet), prosecuzione e sviluppo
dell'umanesimo, che del Rinascimento è stato il primo avvio. Ora la cultura si
libera dalla imitazione dei classici, dall'attività di riscoperta, si impegna
più decisamente nella creazione di opere originali, nello sforzo di creare una
civiltà moderna, ispirata all'antica ma distinta da questa. La parola d'ordine
non è più l'imitazione dei classici, ma l'espressione e l'affermazione di se
stessi, del proprio mondo interiore, al di là dello studio degli autori antichi.
I temi della nuova cultura -
Tema fondamentale della nuova cultura è l'affermazione della centralità
dell'uomo nell'ordine universale della creazione, di contro alla svalutazione
dell'umano che era tipica del pensiero di tutto il Medioevo. Opere come quelle
di Giannozzo Manetti (De dignitate et excellentia hominis, 1452) e di Pico della
Mirandola (Oratio de hominis dignitate, 1486) sono tra le più significative di
tutta una letteratura dedicata a questo argomento.
Pico (1463-1494) è colui che porta avanti più rigorosamente la concezione
dell'uomo « libero artefice e costruttore di se stesso », capace di dominare la
natura.
È facile comprendere la forza di liberazione, sul piano psicologico,
intellettuale e morale, che queste posizioni dovevano avere.
Nel corso del Quattrocento l’interesse per la cultura del mondo classico si
diffuse nelle corti dei principi e dei signori delle maggiori città italiane.
Erano ambienti diversi da quelli ecclesiastici, dove avevano grande peso anche
valori diversi da quelli della religione: valori legati alla vita, alla
ricchezza, al potere, alla ricerca del bello.
La vita terrena non fu più vista soltanto come un momento di passaggio verso la
vita eterna e le riflessioni dei filosofi si concentrarono sul significato e sul
valore dell’esistenza dell’uomo.
Proprio perché poneva l’attenzione sull’uomo, questa nuova tendenza della
cultura fu chiamata Umanesimo.
Gli umanisti non arrivarono mai a negare l’importanza e il significato di Dio e
della religione: sostennero però che la fede non era in contrasto con il
desiderio dell’uomo di affermarsi.
Fu questo l’inizio di una rivoluzione che modificò profondamente la cultura
italiana ed europea.
Nel campo dell'educazione avviene un capovolgimento di metodi: all'insegnamento
meccanico e per formule di un sapere raccolto in pochi testi scolastici si
sostituisce lo stimolo alla ricerca razionale, all'esercizio dello spirito
critico, all'osservazione metodica della natura.
I modelli di « virtù » che si presentano agli allievi non sono più gli asceti
che disprezzano il mondo, ma eroi umani impegnati nello sviluppo di se stessi e
del proprio io.
L'insegnamento si svolge in un ambiente sereno, come in quella scuola, la
«Giocosa», che Vittorino da Feltre organizza a Mantova nel 1423, dove lo studio
si accompagna al gioco ed all'esercizio fisico ed i fanciulli poveri sono
accomunati ai ricchi.
Motivi di rinnovamento religioso e di critica della Chiesa sono tutt'altro che
estranei alla cultura rinascimentale. Un esempio insigne, in tale campo, è
quello di Lorenzo Valla (1407-1457). Con il saggio "De falso eredita et ementita
donatione Constantini" egli dimostrò la falsità di un documento sul quale la
Chiesa aveva basato la legittimazione formale del suo potere temporale. La sua
polemica contro la chiesa mondana, ipocrita e corrotta nasceva da una religiosità
profonda, sentita come fatto personale e interiore, che era comune ai più
illuminati pensatori della sua epoca e che trovò poi la sua più alta espressione
nell'opera di Erasmo da Rotterdam.
Anche la scienza e la teoria politica rinnegano la soggezione a premesse e fini
metafisici. Leonardo da Vinci dà un altissimo esempio di geniale
spregiudicatezza scientifica, cercando una spiegazione razionale e sperimentale
dei fenomeni naturali che cadono sotto la sua osservazione ed elaborando su
questa base progetti e macchine che aprono orizzonti prima sconosciuti alla
tecnica. E Niccolò Machiavelli, sgombrando il terreno dal moralismo che ha
sempre accompagnato la riflessione politica, si propone di indagare nel
meccanismo dello Stato senza altre preoccupazioni che non siano quelle della
vitalità e dello sviluppo dello Stato stesso.
La ragione e la volontà sono le forze di cui l'uomo dispone per dominare gli
eventi e creare i fondamenti della convivenza civile.
Se alcuni tra i maggiori umanisti (come Lorenzo Valla e Pico della Mirandola)
subirono persecuzioni che resero loro difficile la vita e molti non ebbero il
riconoscimento e l'aiuto che meritavano, in genere le classi dirigenti ebbero un
atteggiamento positivo nei confronti dei protagonisti del Rinascimento. La
fioritura rinascimentale fu agevolata dal favore che scrittori, artisti e
pensatori incontrarono presso le corti dei principi italiani, i papi umanisti
(soprattutto Leone X, 1513-1521, uno dei figli di Lorenzo dei Medici) e le più
ricche e potenti famiglie private.
Roma, Firenze, Milano, Napoli e gli altri minori centri principeschi si
arricchirono di stupende opere architettoniche, di palazzi, di biblioteche, di
preziose raccolte di dipinti e di sculture; opere che, suscitando ammirazione
per la loro bellezza, erano nello stesso tempo testimonianze della nuova
concezione della vita, più libera, più umana, più razionale.
Le costruzioni di Filippo Brunelleschi (1377-1446), di Leon Battista Alberti
(1404-1472) e di Donato Bramante (1444-1515), le pitture di Raffaello Sanzio
(1483-1520), di Leonardo da Vinci (1459-1519), le sculture e gli affreschi di
Michelangelo Buonarroti (1475-1564) non sono che gli esempi più famosi del
meraviglioso spirito creativo che soffia sull'Italia in questo periodo.
Pur nella grande diversità delle sue manifestazioni, l'arte rinascimentale ha un
tratto comune: il realismo. La natura non è più trasfigurata, ma studiata
scientificamente dagli artisti, per poter essere rappresentata ed imitata in sé
e per sé, per la sua intrinseca bellezza ed armonia.
Non soltanto la realtà della natura è l'oggetto dell'artista, ma anche la realtà
della società in cui egli vive con i suoi « eroi » e protagonisti della vita
politica, culturale, mondana: da qui la diffusione della ritrattistica, gli
splendidi ritratti di condottieri, signori, dame del mondo rinascimentale.
La stampa -
Nel 1434 l'orafo tedesco Giovanni Gutenberg costruì dei caratteri mobili,
incidendo su pezzi di legno le singole lettere, con le quali si potevano
comporre le parole e le pagine. Poco dopo al legno fu sostituito il metallo.
Ebbe inizio così la tipografia. Il primo libro, una Bibbia in latino, fu
stampato dal Gutenberg a Magonza, nel 1457. Ad esso seguirono, accanto ai testi
religiosi, moltissime opere di cultura profana (i libri stampati prima del 1500
si chiamano incunaboli).
Il costo dei libri, che fino ad allora erano stati pazientemente copiati a mano,
diminuì moltissimo mentre aumentò enormemente la quantità dei libri disponibili.
L’arte della stampa si affermò dopo il 1456, data nella quale Gutenberg pubblicò
la sua prima opera importante, la Bibbia. Ciò non avvenne senza difficoltà
tecniche, perché i caratteri mobili che servivano per formare le lettere
dovevano essere fabbricati in una lega metallica né troppo dura né troppo
morbida, risultato del corretto dosaggio di piombo, stagno e antimonio.
L’invenzione della stampa si diffuse molto rapidamente, grazie agli artigiani
stampatori che viaggiavano da un paese all’altro con i propri materiali. Il
primo libro stampato a Parigi è del 1471, a Lione del 1473, a Venezia del 1470,
a Napoli del 1471. Nell’arco di pochi anni sorsero poi delle officine stabili.
Nel 1480 più di 100 città europee avevano le loro stamperie e nel 1500 ben 236. Si
è calcolato che gli incunaboli (libri stampati prima del 1500) ebbero una
tiratura globale di 20 milioni di copie; questa cifra è ancora più
impressionante se si pensa che l’Europa a quell’epoca contava forse 70 milioni
di abitanti, la grandissima maggioranza dei quali era analfabeta.
In Italia, l'arte tipografica ebbe un illustre rappresentante, Aldo Manuzio (m.
nel 1515) che svolse intensamente la sua attività a Venezia, rendendosi famoso
anche per l'eleganza dei caratteri usati e per il finissimo gusto delle sue
edizioni (edizioni aldine). Il Manuzio fu uno dei primi a stampare le opere dei
classici greci.
L'arte -
Già nel Trecento figure di altissimo rilievo, come Giotto (1266-1337), Paolo
Uccello (1397-1475), Simone Martini (1284-1344), avevano dato importanti
contributi all’arte italiana. Nei due secoli successivi vi fu nel nostro paese
un’impressionante fioritura di pittori, scultori, architetti e artisti di ogni
genere, che disseminarono l’Europa dei loro capolavori. Per quanto riguarda
l’architettura, furono dapprima rinnovate le città italiane e in un secondo
tempo quelle europee, in molti casi costruite ancora in legno. Brunelleschi
(1377-1446), Bramante (1444-1514), Leon Battista Alberti, Francesco di Giorgio
Martini (1439-1502) e Michelangelo costruirono splendide chiese, grandi
basiliche ornate da cupole gigantesche, palazzi e fortezze.
Furono addirittura migliaia i pittori di scuola veneziana, fiorentina, romana e
napoletana che lavorarono per i signori, i principi, le grandi famiglie italiane
e le principali corti europee. Tiziano (1490-1576) fu il pittore dell’imperatore
Carlo V e del re Filippo II di Spagna; Leonardo lavorò per Francesco I di
Francia; Raffaello (1483-1520), fu attivo a Roma per i papi. La splendida
fioritura artistica italiana si prolungò fino a tutto il Seicento. Pittori,
scultori, architetti, scenografi, musicisti, ma anche artigiani e tecnici
italiani invasero letteralmente l’Europa, dando un contributo straordinario alla
formazione di un’arte e di una cultura comune a tutti i maggiori Paesi europei.
La letteratura del Rinascimento -
L’opera letteraria italiana che divenne il simbolo del Rinascimento in tutta
Europa fu l’Orlando Furioso, poema scritto da Ludovico Ariosto (1474-1533). Ne
vennero stampate innumerevoli edizioni in pochi anni. Persino coloro che non
sapevano leggere, si tramandavano brani dell’Orlando a memoria. Tramite questo
poema dell’amore, dell’avventura e della fantasia l’Ariosto diffuse in modo del
tutto nuovo un tema che aveva avuto grande fortuna nel Medioevo: quello delle
imprese dei cavalieri e dei paladini di Carlo Magno. Altro grande autore del
Cinquecento fu Torquato Tasso (1544-95), che scrisse in versi la Gerusalemme
Liberata, un poema dedicato alla prima crociata.
Il pensiero politico e la ricerca storica -
Il Rinascimento italiano fu uno straordinario momento di sviluppo delle arti, ma
anche la filosofia, la letteratura, il pensiero politico, la ricerca
storica attraversarono innovazioni di grande rilievo. Il fiorentino Niccolò
Machiavelli (1469-1527), è considerato l’iniziatore del pensiero politico
moderno. Egli studiò la politica come arte del governare, liberandola dai
rapporti con la religione o la morale. Lasciò un’opera, Il principe, considerata
ancora oggi un grande classico della scienza politica. Lo stesso Machiavelli fu
anche uno storico di rilievo, come anche Francesco Guicciardini (1483-1540), che
scrisse la Storia d’Italia. Storici, pensatori, letterati trovarono un largo
spazio nelle corti di signori, principi e sovrani. Lavorarono come educatori,
segretari, diplomatici, consiglieri politici, spesso anche all’estero (in
Francia, Spagna o Germania). Talvolta questo rapporto di dipendenza li
costrinse a subire delle umiliazioni, ma spesso permise loro di creare opere di
livello altissimo.
La scienza -
L’interesse per l’uomo e per la natura determinò anche una vivace ripresa
dell’indagine scientifica. Nel Medioevo la scienza si era affidata non tanto
all’osservazione diretta dei fatti quanto alla lettura di testi autorevoli:
nella Bibbia o nell’opera del filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) si
rintracciavano le spiegazioni dei fenomeni naturali. In accordo con la più alta
opinione che l’uomo del Rinascimento ebbe di se stesso, la scienza si liberò dal
timore del confronto col passato e si affidò
alle proprie ricerche e alle
proprie libere valutazioni. Si cominciò a discutere l’uso che sino ad allora si
era fatto della Bibbia, un testo religioso, come fonte di precise conoscenze
scientifiche.
Di grande rilievo furono gli sviluppi delle scienze naturali:
biologia, zoologia, botanica. Lo studio del corpo umano fece grandi progressi
soprattutto grazie al belga Andrea Vesalio (1514-64). Altrettanto importanti
furono i passi avanti fatti nel campo dell’astronomia, soprattutto per opera del
polacco Niccolò Copernico (1473-1543). Osservando il moto dei pianeti, egli
dimostrò che è la Terra a girare intorno al Sole e non, come si credeva,
viceversa. L’enciclopedismo, cioè la capacità di approfondire molte discipline,
non caratterizzò solo gli artisti e i filosofi, ma anche gli scienziati. Oltre
al caso già citato di Leonardo, artista e scienziato insieme, ricordiamo quello
di Girolamo Cardano (1501-76), medico, scienziato, matematico, ideatore di
dispositivi meccanici ancora oggi in uso.
Il Rinascimento in Europa -
Il primo trentennio del secolo XVI vede il trionfo della civiltà del
Rinascimento anche nei paesi transalpini. In Germania, in Francia, in
Inghilterra, in Spagna, nei Paesi Bassi si incomincia ad abbandonare lo stile
gotico per il nuovo stile modellato sui classici che viene dall'Italia; si
chiamano a lavorare pittori e scultori ed architetti italiani, come Francesco I
fa con Leonardo da Vinci e con il geniale orafo fiorentino Benvenuto Cellini;
nelle corti si assumono i modi di vita idealizzati nel Cortegiano da Baldassarre
Castiglione.
Il moto umanistico di riscoperta e studio dei classici romani e greci, di
critica alla cultura medievale assunse, nei paesi transalpini, un carattere più
accentuatamente polemico.
Gli umanisti transalpini svilupparono arditamente i fermenti critici e le
aspirazioni di riforma religiosa già delineatisi nell'umanesimo italiano del
Quattrocento. Essi adottarono il metodo filologico per penetrare il significato
dei testi del Vecchio e Nuovo Testamento o per studiare i padri della Chiesa ed
ereditarono le aspirazioni dei neo-platonici fiorentini, come Marsilio Ficino e
Pico della Mirandola ad uno spiritualismo filosofico.
Ovviamente, questo umanesimo evangelico entrò in polemica contro gli epigoni
della cultura medioevale, ancora assai forte oltralpe, a cominciare dai frati,
difensori della scolastica. Dalla Francia alla Germania e dalla Svizzera
all'Inghilterra, si accese così una battaglia fra l'eredità del Medioevo, e
l'aspirazione umanistica ad un rinnovato cristianesimo, fondato sui testi della
Scrittura e dei Padri, più ricco di interiorità ed umanità ed al tempo stesso
più aperto al progresso delle intelligenze e della cultura.
Tra i più famosi umanisti ricordiamo,
il tedesco GIOVANNI REUCHLIN (1455-1522),
notissimo per i suoi studi di greco e di ebraico e per le aspre polemiche
sostenute con frati e preti;
il francese GIOVANNI LEFÉVRE D'ESTAPLE (1450-1536),
seguace del pensiero del Ficino e dei neoplatonici fiorentini, traduttore dei
Vangeli in francese, grande studioso dei padri della Chiesa dei primi secoli;
gli inglesi GIOVANNI COLET (1466-1519) e TOMMASO MORO (1478-1535), l'autore
della famosa Utopia, raffigurazione di un ideale stato perfetto di sapore
neoplatonico;
lo spagnolo LUDOVICO VIVES (1492-1560), teorico dell'umanesimo
evangelico nel campo dell'educazione.
Il più famoso è Erasmo di Rotterdam (1466-1536). Erasmo fu uno spirito
profondamente europeo, che sentì una sorta di ideale comunione con tutti gli
uomini dotti sinceramente religiosi e con tutti gli spiriti illuminati e nobili
del suo tempo.
Viaggiatore e lavoratore infaticabile, percorse l'Italia, la Francia, risiedette
in Inghilterra, dove insieme con gli amici Colet e Moro, fu tra i promotori di
un rinnovamento culturale, letterario e religioso, che ebbe il proprio centro
nella università di Oxford; passò qualche anno in Svizzera, a Basilea, già
famosa per i progressi dell'arte tipografica, e si ritirò poi a morire in
Germania a Friburgo di Brisgau.
Dovunque passò, ammirato ed applaudito, prodigò la sua dottrina di filologo, il
suo sottile umorismo, la sua aristocratica serenità spirituale. La sua edizione
critica del testo greco del Nuovo Testamento, ebbe il valore di una pietra
miliare nell'evoluzione spirituale europea. Nel suo Manuale del cavaliere
cristiano egli espresse l'ideale di un cristianesimo liberato da ogni
superstizione e grossolanità, di una sorta di evangelismo umanistico, in cui
l'interiorità cristiana si sposasse alla serena nobiltà morale dei classici. Nel
suo Elogio della Follia, infine, cosparse di sottile canzonatura la vecchia
teologia scolastica, i frati ignoranti, superstiziosi, intolleranti, la
corruzione della Curia romana. Erasmo non intendeva provocare una rivoluzione, ma le opere di Erasmo, lette
avidamente da migliaia di lettori da un capo all'altro dell'Europa, accolte come
autorità indiscussa da una generazione intera di discepoli e di ammiratori
devoti, finirono per diventare simboli della battaglia fra l'umanesimo e la
scolastica.
Non si trattava di una battaglia puramente culturale: ogni aspirazione di
riforma religiosa diventava aspirazione alla riforma della società stessa, data
la potenza e la ricchezza dell'apparato ecclesiastico. Chiesa e Stato, religione
e società erano talmente connessi che non si poteva riformare l'uno senza
toccare l'altro e viceversa. Non a caso, l'Utopia del Moro sorgeva da
un'accorata protesta contro i mali sociali dell'Inghilterra del tempo e
disegnava il profilo di una società di stampo comunistico.
Come vedremo, anzi, proprio dalla critica umanistica della società dovevano
trarre alimento i grandi incendi rivoluzionari, religiosi e sociali insieme, che
agitarono l'Europa nel secolo XVI.
La nuova geografia economica e politica -
Nello stesso tempo in cui l'Europa comincia a vantare una propria cultura, degna
di porsi accanto all'Umanesimo italiano comincia ad essere contestata anche
l'indiscussa supremazia economica, che Firenze e Venezia, Milano e Genova,
detenevano da secoli.
Accanto all'industria tessile, specialmente della seta, il segreto della
ricchezza degli italiani consisteva nel monopolio, da essi esercitato
tradizionalmente nel traffico delle spezie e in quello del denaro liquido. I
Veneziani caricavano le spezie nei porti del Levante e le rivendevano a
compratori venuti da ogni parte d'Europa e specialmente a mercanti tedeschi di
Augusta, di Norimberga, che le smerciavano nei paesi settentrionali.
I banchieri di Firenze, Genova e Milano eccellevano da secoli nel traffico di
denaro liquido. Se vogliamo, renderci conto delle ragioni della prosperità
dell'Italia del Rinascimento, dobbiamo sempre ricordare come minima fosse ancora
in tutta Europa la circolazione del denaro. Non solo si ignorava quel prezioso
mezzo di scambio che è la carta moneta, ma si disponeva di una massa di oro e di
argento addirittura irrisoria, in confronto a quella che doveva uscire nei
secoli successivi dalle viscere del suolo dei continenti extraeuropei.
Mentre le grandi monarchie assolute abbisognavano di imponenti somme di denaro
per le proprie necessità politiche e militari, l'Europa non disponeva di denaro
liquido altrimenti che prendendolo in prestito, a tassi esorbitanti, dai
finanzieri italiani, soli o quasi nel loro tempo a poterne procurare con
facilità.
Nel secolo XVI, però, questo monopolio bancario italiano cominciava ad essere
infirmato dalle fortune crescenti dei mercanti della Germania, come la celebre
casa dei Fugger di Augusta, arricchitisi rivendendo le spezie dei Veneziani.
Tra
questi mercanti tedeschi, a cominciare dai Fugger , e la dinastia di Asburgo, si
erano stabiliti, nel Quattrocento, rapporti di affari, destinati ad avere
ripercussioni di importanza eccezionale nella storia europea.
Gli Asburgo, bisognosi di denaro per sviluppare un'ambiziosa politica
dinastica, trovavano nei mercanti di Augusta i
propri finanziatori abituali. In compenso questi ultimi si facevano cedere dagli
Asburgo il diritto di sfruttare le risorse minerarie degli stati austriaci, ove
riuscivano a sviluppare in grandi proporzioni l'estrazione dell'argento, grazie
all'adozione di nuovi ritrovati tecnici, come quello delle pompe per liberare
dalle acque le gallerie sotterranee.
Già cospicua di suo, l'importanza di questo argento austriaco controllato dai
mercanti tedeschi doveva accrescersi, parallelamente a quella dei rapporti di
affari tra gli Asburgo e la finanza germanica di Augusta, con la scoperta
portoghese della Via delle Indie.
Negli anni stessi in cui le grandi monarchie europee cominciavano a lottare per
il dominio sull'Italia, ed in cui Erasmo cominciava ad affidare i suoi scritti
alla nuovissima arte della stampa, i conquistatori portoghesi si spandevano nei
mari delle Indie, spazzando via i mercanti arabi, che fino ad allora erano stati
gli intermediari consueti delle spezie tra i paesi dell'Oriente ed i porti
dell'Egitto e della Siria.
Già nel 1504, i veneziani recatisi a caricare le spezie nel Levante erano
costretti a tornare a mani vuote, per il monopolio che i portoghesi avevano
imposto ai paesi produttori di queste preziose merci.
Ma questi avventurieri del Portogallo, capaci di sterminare coi loro cannoni i
mercanti arabi e di terrorizzare i piccoli principati asiatici dei paesi delle
spezie, non disponevano né dell'attrezzatura tecnica, né dell'abilità
commerciale, necessarie per vendere le merci dell'Oriente nel resto d'Europa.
Sino dal principio perciò, per lo smercio delle spezie, i portoghesi avevano
dovuto fare capo ad uno dei massimi centri commerciali dell'Occidente, cioè alle
Fiandre.
Le Fiandre, a loro volta, giusto in questi anni, erano passate sotto lo scettro
di Massimiliano d'Asburgo, grazie al matrimonio di quest'ultimo con Maria di
Borgogna, erede di Carlo il Temerario. Era quanto mai naturale, pertanto, che
anche i mercanti della Germania, tradizionali finanziatori degli Asburgo, si
dirigessero immediatamente verso le Fiandre, aprendovi succursali delle loro
banche e dei loro empori ed unendosi ai commercianti locali nello sfruttamento
delle spezie trasportate dai Portoghesi.
Ai primi del sec. XVI, oscurando ormai gli altri centri tradizionali delle
Fiandre, come Bruges o Malines, il porto di Anversa si trasformava nel massimo
mercato internazionale delle spezie e al tempo stesso in uno dei massimi centri
della speculazione finanziaria. Così nel campo dell'attività bancaria, come in
quello del traffico delle spezie, dunque, gli italiani cominciavano ad essere
battuti dalla concorrenza straniera.
Tutto un nuovo sistema di scambi cominciava a delinearsi. Per un verso,
l'incessante flusso di metallo prezioso che passava attraverso Augusta e le
altre città mercantili tedesche determinava una crescita implacabile dei prezzi.
Il rincaro della vita aggravava le condizioni degli strati più umili della
popolazione tedesca stessa e scatenava la crisi nelle campagne, ove piccoli
feudatari e contadini si trovavano in difficoltà crescenti.
Per un altro verso, la grande finanza augustana e fiamminga allargava sempre più
i propri tentacoli, mentre rafforzava i propri vincoli con gli Asburgo. Per
comperare spezie in Asia, i portoghesi avevano bisogno di argento con cui
pagarle, e quindi dovevano stringersi ai grandi dominatori del mercato
dell'argento, cioè ai banchieri tedeschi di Augusta e di Anversa. Per recarsi
nei mari dell'Estremo Oriente, avevano bisogno di navi, cioè di legname, di
pece, di canapa per vele e cordami, di cui il loro paese difettava quasi
completamente.
Di colpo, l'importanza della massima riserva di queste materie prime, cioè il
bacino del Mar Baltico, si ingigantiva. Sorgeva all'orizzonte politico
dell'Europa un nuovo problema, destinato ad occuparlo fino a tutto il sec. XVIII,
cioè il controllo del Baltico e delle sue rive. Una furibonda lotta si scatenava
da parte dei mercanti insediati ad Anversa per rompere quel monopolio del
Baltico, che l'Hansa tedesca aveva detenuto per secoli.
Navi e denaro del grande commercio fiammingo-tedesco appoggiavano il re di
Danimarca, Cristiano II (1512-23), contro l'Hansa, fino alla disfatta di quest'ultima
ed all'imposizione di una sorta di egemonia danese sul Baltico, mediante il
controllo dello stretto del Sund, cioè della porta stessa di questo mare
diventato ormai tanto prezioso. Col denaro ricavato dal Danegeld, cioè dal
pedaggio che gli pagavano le navi in transito attraverso il Sund, Cristiano II
poteva arruolare soldati
mercenari tedeschi, trasformando in senso assolutistico
le antiquate strutture feudali del suo stato e domare sanguinosamente la Svezia
ribelle.
Parallelamente all'avanzata del grande capitale finanziario di Augusta e di
Anversa, procedeva l'avanzata dei suoi alleati politici, gli Asburgo, mediante
la consueta abilità diplomatica e la loro consueta tattica matrimoniale.
Già Massimiliano d'Asburgo, come si è visto, aveva concluso il matrimonio di suo
figlio Filippo il Bello con la principessa Giovanna la Pazza, figlia di
Ferdinando d'Aragona e di Isabella di Castiglia.
Morto Filippo il Bello, suo figlio Carlo d'Asburgo, il futuro Carlo V, era stato
insediato al governo delle Fiandre (1506): una sua sorella, adesso veniva
congiunta in matrimonio con Cristiano II di Danimarca, suggellando così sul
terreno dinastico quella spinta verso il Baltico, che già aveva realizzato per
conto suo il capitalismo tedesco-fiammingo.
Ma eventi ancora più importanti si profilavano all'orizzonte. Nel 1516, la morte
di Ferdinando il Cattolico lasciava a Carlo d'Asburgo l'eredità delle corone di
Castiglia e di Aragona, coi loro domini italiani di Napoli, Sicilia e Sardegna e
con le nuove terre d'America, che si aprivano alla conquista spagnola.
Una turba di cortigiani e di speculatori fiamminghi seguiva immediatamente il
giovane Asburgo nella Spagna, che veniva così a cadere nelle maglie del giuoco
politico e finanziario facente capo ad Anversa ed Augusta. Sin dall'inizio il
nuovo sovrano spagnolo si trovava nella necessità di ricorrere ai prestiti dei
Fugger e dei loro consorti, ipotecando le rendite dei suoi domini.
In quanto erede di Carlo il Temerario e dei rancori inveterati dei duchi di
Borgogna contro la monarchia di Francia, Carlo d'Asburgo veniva così a spostare
l'asse della politica spagnola: la Spagna si trovava inchiodata in permanenza ad
una politica anti-francese, la quale aveva il proprio centro più nelle Fiandre
che nella penisola iberica, subordinando a quest'ultima ogni suo più vitale
interesse.
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