|
La disastrosa sconfitta subita dalla Russia
nella guerra contro il Giappone, mettendo in piena luce l'inefficienza e la
corruzione del regime zaristico, contribuì a scatenare le tendenze
rivoluzionarie che da tempo minavano la società russa.
Alla morte violenta dello zar Alessandro II
(1818-1881),
ucciso in un attentato terroristico il 13 marzo 1881, aveva fatto seguito
una feroce repressione.
Il nuovo zar, Alessandro III (1881-1894), con il
pieno appoggio della Chiesa ortodossa e della nobiltà (le due colonne dell'autocrazia zarista), cancellò ogni traccia delle
timide concessioni fatte dal padre.
Per
legittimare in qualche modo la propria politica di integrale restaurazione
dell'autocrazia, Alessandro III ricorse agli appelli alla
salvaguardia dei valori tradizionali della "grande madre Russia". La polizia
politica (Ochrana) infierì contro oppositori e studenti universitari,
accusati di essere pericolosi propagatori di idee contrarie all'autentico
rito nazionale e sovvertitrici dell'ordine sociale;
le popolazioni non russe
dell'Impero vennero sottoposte a una brutale russificazione;
le religioni
diverse da quella ortodossa furono perseguitate.
Contro gli ebrei venne lasciata
mano libera al cieco risentimento popolare, che sfociò in sanguinose
repressioni (pogrom).
Sotto
Alessandro III e, successivamente, Nicola II (1894-1917) ben poco fu fatto
per risolvere i problemi delle masse popolari, specialmente contadine, che
premevano tumultuosamente per ottenere condizioni di vita più tollerabili.
Riforme
notevoli, ma non certo atte ad alleviare le più misere condizioni, erano
state promosse da Sergej Julevic Vitte, ministro delle comunicazioni, delle
finanze e dell'industria dal 1892 al 1903: egli inasprendo la
pressione fiscale sulle campagne, era riuscito a stabilizzare il rublo e a
favorire quindi quel flusso di capitali stranieri che aveva largamente
contribuito al decollo industriale della Russia. Per ammodernare le
infrastrutture del paese egli aveva inoltre promosso la costruzione della
ferrovia transiberiana.
Ma la stessa
borghesia, che pure aveva cominciato ad assumere una certa importanza grazie
appunto al diffondersi di nuovi metodi di produzione, si vedeva negati i più
elementari diritti politici. Essa pertanto esprimeva le proprie aspirazioni
nel Partito democratico-costituzionale (meglio noto come Partito
cadetto); così come il proletario rurale e urbano trovava i propri
difensori nelle minoranze dell'intellighenzia che militavano nel
Partito socialista rivoluzionario e nel Partito socialdemocratico
russo.
Indipendentemente da questi ristretti gruppi politici, che solo più tardi
avrebbero svolto una funzione determinante, le masse popolari esprimevano
comunque la loro protesta attraverso frequenti ribellioni, regolarmente
represse con spietata durezza dall'autocrazia zarista.
Il crescente
malcontento portò, il 22 gennaio 1905, ad un imponente manifestazione popolare.
Guidati dal pope Gapon,
il corteo di lavoratori marciò sul palazzo d'inverno.
I manifestanti non
intendevano chiedere un cambiamento di regime, né mettere in discussione la
sovranità dello zar, ma soltanto presentare una petizione con cui
supplicavano lo zar di porre termine alla guerra col Giappone, nonché di
ottenere alcuni provvedimenti di riforma - come la convocazione di
un'assemblea costituente - e miglioramenti salariali. Il popolo si rivolse
al sovrano come a un padre reclamando la sua protezione - la presenza di
intere famiglie e le icone che rappresentavano lo zar ne sono una chiara
dimostrazione. Nonostante ciò i dimostranti furono accolti dalle fucilate
dei soldati che provocarono molte centinaia di morti e di feriti, tanto che
quel giorno è passato alla storia col nome di domenica di sangue.
L'indignazione
popolare divampò allora diffusamente per tutta la Russia. Operai, soldati e
marinai, si sollevarono spontaneamente, rilevando la profondità del
malcontento che covava sotto la cenere, e il moto di protesta assunse ben
presto le dimensioni di un autentica rivoluzione, da "oggetto" passivo della
violenza delle autorità, il popolo divenne "soggetto" attivo della
rivoluzione.
Il 22 giugno
1905, dopo l'uccisione per mano di un ufficiale, di un marinaio,
l'equipaggio della corazzata Potemkin si ammutinò, impadronendosi
della nave. I ribelli issarono la bandiera rossa nella baia di Sebastopoli,
sul mar Nero, e dopo aver fatto scalo a Odessa puntarono sulla Romania, dove
ottennero asilo politico.
Per la prima
volta fecero la loro comparsa i soviet (consigli), organismi rappresentativi
dei lavoratori sorti in modo spontaneo a Pietroburgo e, successivamente,
nelle altre principali città. Il moto rivoluzionario toccava così il suo
apogeo. Il 17 ottobre lo zar si risolse finalmente a sottoscrivere un
Manifesto, col quale si impegnava solennemente a concedere le
fondamentali libertà politiche e a istituire un parlamento elettivo o
Duma.
Situazione socioeconomica della Russia
tra il 1914 e 1917 -
Nel 1914, a
differenza delle altre potenze europee, la Russia viveva ancora in un
paradossale intreccio di arretratezza semifeudale e di capitalismo
industriale moderno.
Nella Russia del tardo '800 e del primo '900, infatti,
l'industrializzazione, promossa e accelerata dal Vitte, è particolarmente
avanzata nelle regioni minerarie degli Urali, nella zona petrolifera di Baku
e
intorno alle grandi città di Mosca e di Pietroburgo, ed è alimentata da un
massiccio intervento statale e da un forte afflusso di capitali europei. Fra
il 1888 e il 1913 la rete ferroviaria viene più che raddoppiata, le
esportazioni (principalmente di materie prime) crescono di quattro volte, le
importazioni (principalmente di manufatti), di cinque. Gli operai, che nel
1890 erano circa 1.400 salgono a quasi 3.000.000 ai primi del '900, e il
loro numero è in continua ascesa. Ma al promettente sviluppo economico non
si accompagna alcun miglioramento nella vita dei lavoratori, retribuiti con
salari miserandi, costretti a lavorare per 10-12 ore al giorno, privi di
ogni diritto di sciopero e di organizzazione sindacale.
In condizioni diverse, ma
certo non migliori, vivono le masse di gran lunga più numerose dei
contadini, i quattro quinti dei quali, dopo l'abolizione nel 1861 della
servitù della gleba, sono rimasti legati alle comunità semifeudali dei
mir. Con la continua crescita della popolazione, le terre dei mir
vengono divise tra le famiglie delle singole comunità in appezzamenti sempre
più piccoli, e le comunità devono pagare solidalmente le imposte e il
riscatto previsto dalla riforma di Alessandro II, non ancora estinto nel
1906.
Lo stato
preleva principalmente dai contadini le somme necessarie per pagare gli
interessi dei capitali prestati dagli stranieri, cosicché i contadini,
nonostante l'insufficienza delle loro entrate, sostengono gran parte del
costo dell'industrializzazione, mentre il mir, che comporta obblighi
e diritti collettivi incompatibili con l'avvento di una società borghese,
ostacola il progresso dell'agricoltura, già di per sé molto arretrata per
scarsità di capitali.
La borghesia
russa di allora comprendeva liberi professionisti, commercianti, finanzieri, direttori
tecnici, funzionari: questa classe non ha sufficiente forza
economico-politica per imporsi come egemone nel processo di rinnovamento del
paese né per imporre allo zar l'auspicata svolta democratico-costituzionale,
infatti non ha alle spalle un lungo periodo di tirocinio politico e inoltre
gran parte degli impianti e delle fabbriche appartengono non a borghesi,
russi ma a capitalisti stranieri o allo
Stato.
Al vertice della
società russa, come autentico retaggio di feudalesimo, sta la nobiltà terriera,
che circonda lo zar e ne condiziona e consiglia la politica, o che vive in
provincia curando la gestione dei propri latifondi e monopolizzando
l'amministrazione periferica.
La nobiltà
considera mostruose anche le riforme promosse dal Vitte e dallo Stolypin,
responsabili di aver introdotto nella «Santa Russia» i metodi capitalistici di
produzione, tanto che, quando nel settembre 1911 lo Stolypin cade vittima di un
attentato, molti pensano non senza ragione che il «rivoluzionario» autore
dell'assassinio sia in realtà un agente dell'Okhrana,
la polizia
politica segreta zarista, postosi al servizio degli ambienti più reazionari.
La forte presenza
della nobiltà conferisce un'impronta arcaica alla Russia dell'epoca, che risulta
divisa piuttosto in caste che in classi: un abisso invalicabile
separa infatti i contadini russi (mugik) e gli operai, reietti e
analfabeti - dal mondo dei ricchi e dei nobili che, per cultura, costumi, stile
di vita, presumono di appartenere a un'umanità superiore e diversa.
La rivoluzione del
1905 non ha modificato radicalmente il regime politico.
La prima Duma, eletta
nel 1906 secondo modalità che favoriscono gli agrari e i nobili a scapito dei
contadini e degli operai, viene sciolta dallo zar dopo solo due mesi di vita
perché la maggioranza cadetta invoca una riforma democratica della legge
elettorale e pretende di esercitare il controllo sul governo, che invece -
secondo la costituzione allora concessa - risponde del proprio operato soltanto
allo zar.
Nel paese si succedono intanto disordini molto gravi e ammutinamenti
nelle file stesse dell'esercito, a fronte dei quali - con la connivenza
documentata delle autorità - si consumano anche nuovi sanguinosi pogrom.
Viene, allora
chiamato alla presidenza del Consiglio il ministro degli interni Pëtr Arkadevic
Stolypin (luglio 1906), che per ristabilire l'ordine nelle campagne procede
bensì a una grande riforma agraria, ma non appena si scontra con
l'opposizione dei cadetti, non esita né a stroncare le proposte
democratiche da loro avanzate, né a imporre una serie di drastiche limitazioni
alla libertà di propaganda, né infine a far sciogliere il 16 giugno del 1907,
anche la seconda Duma eletta in gennaio.
Infine la terza Duma (1907-1912),
eletta con una nuova legge che accentua ulteriormente i privilegi dei grandi
proprietari, evita lo scioglimento anticipato in quanto è formata da una
maggioranza conservatrice, che appoggia il governo senza ovviamente pretendere,
alcuna concessione di carattere liberale.
La quarta Duma (1912-1917), composta
nonostante tutto da una maggioranza liberal-democratica, conduce bensì una
decisa opposizione ai governi, ma riesce solo a ottenere che essi si avvicendino
continuamente, senza mutarne però l'indirizzo politico reazionario.
Una riforma
veramente significativa, come si è detto, viene però attuata dallo Stolypin, che
tiene la presidenza del consiglio sino al 1911. Egli è convinto che il mir
sia un'unità produttiva antiquata e inefficiente, quindi favorisce in ogni modo
la formazione di proprietà individuali capitalistiche, sia abolendo i riscatti
che i mir dovrebbero pagare collettivamente, sia autorizzando i contadini
a vendere i loro diritti di proprietà comune e a liberarsi così dagli obblighi
che ne derivano. In tal modo ottiene un duplice risultato: per un verso facilita
e accelera la nascita di una classe di liberi e ricchi proprietari di terre
(detti più tardi kulak), per l'altro stimola l'esodo dal mir di
manodopera che potrà essere ingaggiata nelle attività industriali.
La riforma
Stolypin, varata nel 1906, consegue un notevole successo: più di sei milioni di
famiglie, sui sedici che ne avevano diritto, abbandonano effettivamente il
mir nel corso di un decennio, e più di dieci milioni di ettari di terra,
sciolti da ogni vincolo passano alla libera disponibilità dei loro
padroni; ma la nuova classe dei kulak rimane pur sempre ultraminoritaria
rispetto alle plebi rurali sfruttate.
Pertanto, anche dopo la riforma, mentre
circa 30.000 famiglie di nobili di latifondisti e di kulak
posseggono un
terzo del suolo nazionale gli altri due terzi sono
suddivisi fra 13-14 milioni di famiglie: gli agricoltori ricchi posseggono
mediamente terreni 225 volte più estesi di quelli dei contadini poveri. Questi
ultimi non solo dispongono di terreni insufficienti, ma per la loro miseria non
sono in grado di procurarsi i mezzi per uno sfruttamento razionale delle loro
esigue proprietà, e spesso si riducono alla condizione di braccianti salariati (mugik)
o alternano il lavoro sul proprio campo col lavoro alle dipendenze di un
padrone.
Lo scenario politico
- Gli schieramenti politici russi, presenti prima
della guerra, erano così suddivisi:
>> Gli
Anarchici, guidati da Mikhail Bakùnin (1814-1876), che sostenevano
i metodi rivoluzionari delle congiure e degli attentati ed erano contrari ad
ogni forma di collettivismo. Essi rappresentavano il cosiddetto
sottoproletariato ed attribuivano la massima importanza all'iniziativa di
singoli individui e di piccoli gruppi di avanguardia.
>> I
Populisti, che rappresentavano un complesso movimento politico,
genericamente affine al socialismo utopistico che si fonda su un presunto
istinto rivoluzionario delle masse contadine. Sostengono il passaggio diretto al
socialismo senza passare dall'esperienza capitalista. Per questo scopo si
organizzavano in gruppi clandestini combattendo il regime con azioni
terroristiche.
>> I
Nichilisti, che costituiscono un movimento filosofico-letterario, che
contrapponeva alla liberazione sociale, quella individuale, riaffermando
l'importanza delle "minoranze pensanti".
§
>> I
Marxisti, intesi come effettivi sostenitori delle teorie di Karl Marx.
In seguito all'opera di Plechanov prima e di Lenin poi, il movimento diventerà
la base per la nascita del Partito operaio socialdemocratico russo. Esso si
rivolge al proletariato industriale sostenendo la lotta di classe condotta da
grandi masse e la collettivizzazione dei beni di produzione. Successivamente
nascono:
§
>> Partito
costituzionale democratico o Partito
cadetto: d'ispirazione liberale, esso rappresenta la borghesia russa, per la
tenacia con cui si batterono contro l'autoritarismo zaristico, i cadetti
goderono di un certo prestigio sino alla rivoluzione bolscevica dell'ottobre
1917. Decisivo fu il ruolo di opposizione nei confronti dei "governi zaristi".
§
>> Socialisti Rivoluzionari (comunemente
designati con le iniziali «SR»), riprendendo alcuni temi cari al populismo,
concentravano la propria attenzione sulle campagne e puntavano sulla naturale tendenza dei contadini al socialismo.
§
>> Partito operaio socialdemocratico
russo: fondato a Minsk
nel 1898 da nove rappresentanti di disparate organizzazioni locali delle grandi
città (Pietroburgo, Mosca, Kiev) , destinato vent'anni più tardi ad assumere la
guida della rivoluzione, è ancora di dimensioni assai modeste nel 1903, quando
riunì all'estero, prima a Bruxelles poi a Londra, il suo II° Congresso.
Risale a questo congresso la distinzione fra bolscevichi e menscevichi,
che in realtà, nonostante i ripetuti tentativi di conciliazione, costituirono
fin d'allora due diversi partiti e, nel 1912, si separarono anche formalmente.
I
bolscevichi, guidati da Lenin, sostenevano la tesi del partito compatto,
centralizzato, formato sostanzialmente da rivoluzionari di professione,
impegnati fino in fondo nella lotta politica. I menscevichi ponevano invece una
prospettiva più aperta e graduale, capace di mobilitare un grande movimento di
opinione, che doveva in primo luogo battersi per una riforma democratica della
società, lasciando al futuro il trapasso al socialismo.
Dopo l'entrata nella I° guerra mondiale, le
sconfitte del 1914-15 erano costate ai Russi più di
due
milioni di uomini e avevano comportato la perdita di grandi quantità di
materiale bellico. La stessa vittoriosa avanzata del Brusilov nel 1916 aveva
dovuto essere precocemente interrotta e alla fine fu risolta in un grave
insuccesso, seguito da sempre più numerose diserzioni.
Disastri analoghi, avevano subito tutti i paesi belligeranti, ma altrove si era
corsi ai ripari mediante tempestive rettifiche politiche e militari, la Russia
zarista si dimostrava incapace di ogni trasformazione. La stessa borghesia
liberale, che si era spontaneamente mobilitata per sostenere lo sforzo bellico
con svariate iniziative, era guardata con sospetto. Fra gli alti funzionari non
pochi parteggiavano per gli Imperi Centrali, perché temevano il contagio
democratico dei Francesi e degli Inglesi; altri speravano che la vittoria dei
nemici fornisse l'occasione per abrogare anche le precarie conquiste
costituzionali del 1905.
Dopo l'assassinio dello Stolypin, ultimo autentico
statista dell'ancien régime, si erano avvicendati al governo uomini
retrivi e del tutto insignificanti. Gli ambienti di corte, e specialmente la
zarina Alessandra, subivano la nefasta influenza di Grìgorij Efimovic
Novych, più noto sotto lo pseudonimo di Rasputin: un santone
ciarlatano e guaritore, senza i buoni uffici del quale era ben difficile trovare
udienza presso i sovrani.
Verso
la fine del 1916 la quarta Duma eleva una indignata protesta contro questa
situazione intollerabile, e un complotto, cui partecipa anche un parente
dello zar, pone termine agli intrighi di Rasputin eliminandolo (30 dicembre
1916).
Ma, di fronte a questi episodi che sono soltanto i sintomi della ben
più vasta crisi dell'esercito e del paese, lo zar non sa reagire altrimenti
che rafforzando la polizia e disponendosi a nuove repressioni, ormai
chiaramente impraticabili dato che egli non può più contare sull'obbedienza
dell'esercito.
La rivoluzione
russa, ebbe un inizio abbastanza modesto, se paragonato al suo successivo
decorso.
Il 23 febbraio 1917, infatti, ottantamila operai manifestarono per
le vie di Pietrogrado, la capitale dell’Impero
dello zar, protestando contro il catastrofico tributo di morte, fame e
sofferenza versato nella guerra.
In tre o quattro
giorni fu il caos: le guarnigioni aderirono apertamente alla rivolta,
fraternizzando con gli insorti; il presidente del parlamento, la Duma, si
rivolse allo zar invitandolo ad accettare un governo popolare. I comandanti
delle armate russe, impegnate al fronte, appoggiarono il parlamento. Il 2
marzo Nicola II (1868-1918), l’ultimo dei Romanov, prese atto della realtà e
abdicò.
Un impero sconfinato, con otto milioni di uomini al fronte, crollò
dunque in meno di una settimana, sotto il peso di una serie di violente e
scoordinate convulsioni. Le perdite umane, su 140 milioni di abitanti,
furono mille e trecento.
L'8
marzo 1917 (23 febbraio) gli operai di Pietrogrado
insorgono perché la città è rimasta priva di pane. Le truppe di guarnigione
si rifiutano di sparare sulla folla. Come nel 1905 si formano i soviet degli
operai e dei soldati (ormai acquisiti alla causa della rivoluzione). La Duma
preme perché si formi un nuovo governo, ma lo zar la scioglie. I liberali
più autorevoli, riuniti in un comitato provvisorio della Duma, cercano di
«ristabilire l'ordine statale e sociale» e di «creare normali condizioni di
vita nella capitale», nominando un governo provvisorio e chiedendo
l'abdicazione dello zar Nicola II, quando anche i suoi generali gli
dichiarano di non poter più rispondere dei loro reparti, si risolve
finalmente ad abdicare in favore del fratello, granduca Michele (14
Marzo), che peraltro, data la situazione, rifiuta la corona, ormai
evidentemente priva di significato.
Dal 17
marzo la Russia è dunque di fatto una repubblica, anche se ufficialmente lo
sarà solo dal settembre per le resistenze opposte dai moderati, che non
vorrebbero dichiarare decaduta la monarchia. E in questa repubblica - mentre
è in corso un caotico processo di trasformazione - emergono due opposti
punti di riferimento: il governo provvisorio, presieduto dal principe
Georgij L'vov,
liberale e sostenuto dalla borghesia, e il soviet di
Pietrogrado, formato da SR, menscevichi, bolscevichi e socialisti
indipendenti, sostenuto dalle masse popolari. Sull'esempio di
Pietrogrado, altri soviet si formano nelle
principali città della Russia occidentale e più tardi anche nelle campagne.
Rientrato dall'esilio svizzero con l'aiuto dei Tedeschi, che consideravano
il "disfattismo nazionale" da lui propugnato un'arma potente rivolta contro
la Russia,
Lenin giunge a Pietrogrado
nell'aprile 1917 e, coerentemente con la sua diagnosi sui soviet, pubblica
immediatamente le tesi (note appunto come «Tesi di aprile») sui Compiti
del proletariato nella rivoluzione attuale. Il proletariato - egli
sostiene - deve battersi perché il potere passi per intero ai soviet, i
quali, se non potranno per il momento eliminare la proprietà privata e
operare il trapasso al socialismo, dovranno almeno assumere il controllo
«della produzione sociale e della distribuzione dei prodotti», ossia di
tutta l'attività economica. Questa scelta, riassunta nella parola d'ordine
«Tutto il potere ai soviet», viene inizialmente respinta a grande
maggioranza dagli stessi bolscevìchi, ma alla
distanza essa risulterà decisiva per le sorti della Russia e per la vittoria
della rivoluzione, quale Lenin la concepiva.
Gli obiettivi di
Lenin erano:
- conquistare la
maggioranza nei soviet, sorti, come già nel 1905, a fianco al potere legale
che si andava rapidamente sgretolando;
- lanciare le
parole d’ordine della pace, del pane, del controllo della produzione;
- avviare, la
seconda fase della rivoluzione e rovesciare il governo provvisorio, già
definitivamente screditato dal tragico fallimento dell’offensiva d’estate.
Il completo crollo
dell’economia di guerra, del sistema dei trasporti, delle riserve, dei
salari, delle scorte alimentari, il fermento dei contadini, il flagello
dell’inflazione, la crisi economica e sociale assunsero vaste proporzioni.
I bolscevichi
seppero approfittarne in vari modi: non erano identificati con la screditata
elite politica, potevano sfruttare l’attività politica dal basso,
costituivano un’alternativa radicale attraente, si alleavano, assai spesso,
con i soviet locali guidati dal Soviet centrale di
Pietrogrado,
ed espressione genuina
della politica popolare.
L’ultimo successo
per il governo provvisorio fu la repressione della rivolta di Pietroburgo, a
metà luglio, quando soldati e operai armati impedirono la partenza per il
fronte di alcuni reparti: l’iniziativa, di cui i bolscevichi cercarono di
servirsi, fallì.
I leader bolscevichi furono costretti alla fuga.
Lenin,
stavolta, riparò in Finlandia.
Tuttavia, nonostante
questo brusco arresto, la situazione si faceva rapidamente favorevole ai
bolscevichi. Il principe L'Vov si dimise, e fu
sostituito da Kerenskij, screditato dal
fallimento dell’offensiva d’estate e da una politica personale che gli aveva
alienato le simpatie del suo stesso partito, il
social-rivoluzionario, e dei moderati.
A lui era apertamente contrapposto l’uomo forte di
turno, il generale Kornilov, comandante dell’esercito.
Questi, ai primi di settembre, richiese con un
ultimatum il passaggio dei poteri alle autorità militari: Kerenskij, facendo
appello alle forze socialiste (compresi i bolscevichi) e distribuendo armi alla
popolazione, riuscì a stroncarlo.
Ma veri vincitori dalla vicenda erano usciti
proprio i bolscevichi, legittimati agli occhi della popolazione e capaci di
conquistare la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e Mosca.
I tempi, finalmente, erano maturi. La decisione di rovesciare il governo, maturata in
una drammatica riunione del Comitato Centrale del partito il 23 ottobre, fu
fortemente avversata anche da alcuni compagni di Lenin: contrari erano Gregorij
Zinov’ev e Lev Kamenev, due fra le personalità principali del partito, ad
esempio. Favorevole, invece, un altro leader di prestigio, Lev Davidovic
Bronstein (meglio noto come Trotzkij), organizzatore e regista
dell’insurrezione.
Nonostante i tentativi governativi di allontanare
i reparti ribelli ed arrestare i dirigenti bolscevichi, la mattina del 7
novembre (25 ottobre in Russia) soldati e guardie rosse (operai armati)
circondarono, isolarono e poi, in serata, occuparono il Palazzo d’Inverno,
ex-residenza zarista e sede del governo provvisorio, dopo aver preso possesso
dei punti nevralgici della città, incontrando scarsissima resistenza tra gli
sfiduciati reparti di guardia: un assalto quasi incruento, destinato ad
assurgere a simbolo, sulla falsariga della presa della Bastiglia.
Nello stesso momento a Pietrogrado si riuniva il
Congresso Panrusso dei Soviet, l’assemblea dei rappresentanti dei Soviet di
tutto l’ex-impero.
Il Congresso sancì l’avvenuta presa del potere in
due modi: facendo appello ai belligeranti per una pace “giusta e democratica, senza annessioni e senza indennità”, e stabilendo, lapidariamente, la
soppressione della proprietà terriera, “senza alcun indennizzo”, per
accattivarsi le simpatie delle masse contadine. Gli altri partiti protestarono
vivacemente, senza tradurre le proteste in azioni pratiche. Non organizzarono scioperi né manifestazioni, puntando
le carte sulla prossima convocazione dell’Assemblea Costituente, le cui elezioni
furono fissate per novembre.
Lenin, nel libello intitolato “Stato e
rivoluzione”, scriveva nell’agosto invocando “il più stretto controllo da parte
della società e dello stato”. E nei primi mesi del governo, il partito istituì
in effetti ciò che questi definiva la “dittatura del proletariato”.
L’Assemblea, nata in gennaio, accoglieva
solo per un quarto (175 su 707) i bolscevichi, che subirono una grande sconfitta
elettorale, con soli nove milioni di voti: venne allora rapidamente sciolta ad
opera di militari rossi.
Proprio con lo scioglimento della Costituente, il
potere bolscevico rompeva definitivamente con le altre componenti socialiste sia
con la tradizione democratica occidentale. Una rigida autorità fu esercitata sul
popolo dei Soviet, fu cancellato ogni ricordo di culture e istituzioni
“borghesi”, fu ripristinata la polizia segreta, l’esercito fu riorganizzato.
Il contrasto tra bolscevichi e menscevichi riproduceva il disaccordo tra
riformisti e massimalisti creatosi tra i socialisti occidentali.
Le somiglianze però erano solo teoriche: In Europa occidentale si erano
sviluppati la borghesia e il liberalismo insieme con il sindacato e i partiti
socialisti che, a costo di dure lotte, avevano ottenuto il riconoscimento e il
diritto di esistere.
In Russia invece tutti i poteri appartenevano alla nobiltà zarista, mentre
scarso peso politico aveva la poco numerosa borghesia.
Inoltre il liberalismo non aveva casa in Russia e la polizia era particolarmente
spietata contro ogni forma di organizzazione politica o sindacale.
La base del partito menscevico era formata da operai specializzati, tipografi,
ferrovieri, piccoli borghesi della classe impiegatizia; i bolscevichi avevano la
base tra gli operai generici e tra i più poveri.
Vladimiri Ulianov detto Lenin era un esponente della piccola nobiltà terriera
che era diventato uno dei leaders del partito bolscevico.
Egli aveva rovesciato l'idea Marxista secondo cui la rivoluzione della classe
operaia si sarebbe compiuta nei paesi più industrializzati come conseguenza del
crescente sfruttamento degli operai da parte della borghesia.
Lenin sosteneva, al contrario, che la rivoluzione avrebbe avuto luogo nei paesi
più arretrati e poveri per le insostenibili condizioni di vita dei lavoratori.
Questa elaborazione del pensiero marxista venne poi definito marxismo-leninismo.
Secondo Lenin la parte più politicizzata e "cosciente" della popolazione aveva
il compito di guidare e di fornire i metodi e le strategie a tutti gli altri
anche a costo di imporli con la forza.
Il suo minuscolo partito, quindi, sarebbe diventato la guida e l'avanguardia
rivoluzionaria di una nuova società comunista.
La nuova società nata dalla rivoluzione si sarebbe basata sulla dittatura del
proletariato (cioè sul dominio di tale classe sociale sulle altre, che avrebbero
finito con lo scomparire) e sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione.
La collettivizzazione avrebbe dovuto riguardare anche le terre riscattate da
milioni di contadini dopo l'abolizione della servitù della gleba.
Quindi si prospettava una società senza proprietà privata, senza classi sociali
e senza più religione.
Società contadina -
Escluso e lontano dall’idea rivoluzionaria bolscevica restava tuttavia il mondo
contadino: un mondo disperso in un territorio sterminato, chiuso in piccole
realtà separate l’una dall’altra. Nel primo Novecento i viaggi erano ancora
difficili e ogni regione della Russia contadina viveva una sua vita tradizionale
scandita dal ritmo delle stagioni. D’inverno l’attività agricola si riduceva
quasi a nulla a causa delle proibitive condizioni climatiche, della neve e del
gelo. Poi, in primavera, iniziava il disgelo e si ritornava alla vita dei campi.
Ogni villaggio viveva raccolto intorno a pochi edifici: la chiesa, il mulino,
l’officina, del fabbro, in qualche caso la stazione delle diligenze e poi in
quella della ferrovia. Dal punto di vista economico la campagna russa presentava
situazioni e figure diverse. Molti erano i braccianti e i contadini poveri,
proprietari di minuscoli fazzoletti di terra che li condannavano a una vita di
miseria e stenti.
I contadini russi erano in gran parte analfabeti e legati a una cultura orale
fatta di racconti e di leggende, di favole e di avventure,erano anche fortemente
tradizionalisti e molto religiosi. Fra loro la Rivoluzione di Lenin avrebbe
trovato enormi difficoltà.7
La rivoluzione di febbraio -
Coinvolto nella prima guerra mondiale, il grande impero russo aveva dimostrato
la fragilità e la debolezza della sua organizzazione politica e militare.
In particolare, mentre le numerose sconfitte mettevano a nudo l'impreparazione
dell'esercito, la produzione agricola si riduceva sempre di più, anche perché la
maggior parte dei soldati proveniva dalle campagne, che restarono alle cure
delle donne e dei vecchi.
Durante l'inverno 1916-17 vi fu una dura carestia e molte città rimasero
addirittura prive di generi alimentari. La fame provocò sollevazioni popolari e
disordini. Nel febbraio 1917 violente dimostrazioni operaie contro il governo
imperiale scoppiarono a Pietrogrado.
Fu questa la prima fase della rivoluzione, la cosiddetta rivoluzione di
Febbraio. L'imperatore Nicola II fu costretto ad abdicare a favore del fratello
Michele, il quale tuttavia rifiutò di assumere il potere. Cessò così di esistere
l'impero degli zar.
Dopo il crollo della monarchia zarista, due furono le forze che spontaneamente
si organizzarono per prendere in mano le sorti della Russia: da una parte la
borghesia liberale, dall'altra gli operai e, in parte minore, i contadini. Si
formò un governo provvisorio, guidato da un principe liberale che aveva
l'appoggio della borghesia. Gli operai delle fabbriche, i contadini delle zone
prossime alle città e i soldati formarono dei soviet (in russo soviet vuol dire
"consiglio") che avrebbero dovuto governare le fabbriche, le città, i villaggi e
i reparti dell'esercito.
Quella dei soviet non era un'esperienza nuova: se ne erano formati anche durante
la Rivoluzione del 1905 ed erano stati sciolti quando il governo zarista aveva
ripreso il controllo della situazione.
Il governo borghese e il popolo dei soviet erano divisi da un profondo
disaccordo su molti punti, ma in particolare sulla condizione della guerra: il
governo infatti intendeva proseguire la guerra a fianco degli alleati
dell'Intesa, mentre le classi popolari, quelle che avevano subito le sofferenze
più dure, desideravano una pace immediata.
La rivoluzione d'ottobre -
A metà del giugno 1917 un'offensiva dell'esercito russo fu fermata dai tedeschi
e si risolse in un ennesimo disastro militare. La guarnigione di Pietrogrado si
rivoltò contro il governo invitando il soviet della città a prendere tutto il
potere. La rivolta fallì e molti esponenti del partito bolscevico furono
arrestati. Lenin fuggì in Finlandia. La guida del governo fu affidata al
socialista Kerenskij nella speranza che questi potesse riconquistare il consenso
popolare.
La politica di Kerenskij fu ambigua su un punto che invece era ormai decisivo
per il popolo russo: la pace.
Egli prese tempo, rimandando ogni decisione. Debole fu inoltre la sua posizione
nei confronti di un colpo di stato tentato dal generale Kornilov, comandante
supremo dell' esercito per stabilire una dittatura militare. Il colpo di stato
fu sventato dai bolscevichi che organizzarono la resistenza armata contro il
generale e decisero di prendere il potere.
Durante la notte fra il 6 e il 7 novembre 1917 formazioni armate bolsceviche
occuparono tutti i punti strategici di Pietrogrado. L'8 novembre presero
d'assalto e conquistarono il palazzo d'inverno, un'antica residenza imperiale
dove era riunito il governo Kerenskij. Istituirono poi il nuovo governo
rivoluzionario: il soviet dei commissari del popolo. Secondo il calendario
allora in uso in Russia la data del 7 novembre corrispondeva al 25 ottobre. E'
per questo che la rivoluzione iniziata in quel giorno è nota come la Rivoluzione
d'Ottobre.
Le prime iniziative prese dal governo rivoluzionario furono l'impegno a firmare
una pace immediata con la Germania (pace di Brest- Litovsk) e un decreto che
confiscava le grandi proprietà terriere. Con un altro decreto fu stabilito il
controllo degli operai sulla produzione industriale.
La guerra civile - L'armata rossa contro le armate bianche e l'intervento
straniero.
Dopo la pace con la Germania la situazione continuò ad essere drammatica: in
tutto il paese infuriava infatti la guerra civile.
Contro il governo rivoluzionario si schierarono i generali rimasti fedeli
all’imperatore, con le loro armate che furono dette armate bianche. La
controrivoluzione trovò l’appoggio delle regioni che volevano costituirsi in
repubbliche indipendenti come l’Ucraina, la Georgia, il Caucaso e l'Armenia.
Le grandi potenze: Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, per evitare che
la rivoluzione si allargasse fuori dai confini russi, inviarono truppe a
sostegno delle armate bianche.
Lenin e Lev Davidovic Trotzkij, suo strettissimo collaboratore, agirono con
grande durezza e decisione. Trotzkij in persona organizzò un esercito fedele
alla rivoluzione, l’Armata rossa. Lo zar, già imprigionato in una località di
campagna,
Ekaterinenburg, venne fucilato con tutta la sua famiglia (1918). Lenin
istituì una polizia politica, la Ceka, che perseguitò in modo spietato la
borghesia, i contadini e perfino gli esponenti socialisti, rivoluzionari e
anarchici che non avevano aderito al partito bolscevico.
La guerra civile fu crudele e sanguinosa, tanto che si è parlato di "terrore
bianco" e "terrore rosso".
Moltissimi pagarono con la vita , fucilati o impiccati, la scelta di sostenere
l’una o l’altra parte.
Il 1921 segnò la vittoria dell’Armata rossa: le truppe straniere vennero
ritirate, si arresero i generali zaristi, furono sconfitti i governi autonomi
che si erano formati in Ucraina, Georgia, Armenia. Nacque un nuovo stato:
l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. (URSS).
La nuova
politica economica
- Problemi enormi attendevano il nuovo governo sovietico, che aveva confiscato
tutti i mezzi di produzione (terre, industrie, macchinari, miniere) e li aveva
dichiarati di proprietà collettiva. La produzione agricola era nel frattempo
calata al 55% rispetto a quella degli anni precedenti la guerra, mentre quella
industriale era crollata addirittura al 10% e il commercio estero quasi non
esisteva più. Lenin stesso si rese conto che non era possibile creare da un
giorno all'altro una vera economia comunista. Trovò quindi una soluzione di
compromesso che chiamò Nuova Politica Economica (abbreviato in NEP). I contadini
furono autorizzati a mantenere una certa quantità di terre in proprietà privata.
Solo le proprietà che superavano certe dimensioni divennero collettive.
Nei settori dell'industria e del commercio lo Stato si limitò ad appropriarsi di
tutte quelle aziende che impiegavano più di 20 dipendenti per un totale di circa
37.000 imprese. Restarono private quelle di dimensioni inferiori. In sostanza,
restarono in mano ai privati molte proprietà contadine di dimensioni
medio-piccole, gran parte del commercio interno, le piccole aziende familiari.
Nonostante i severi limiti posti alle attività private, la NEP diede subito
fiato alla disastrata economia sovietica: negli anni 1923-24 solo il 38,5% della
produzione totale era frutto del lavoro del settore statale, mentre tutto il
resto provenne dalle libere attività dei privati. La percentuale della
produzione privata sul totale salì a oltre il 98% nell'agricoltura, grazie
soprattutto all'intraprendenza dei Kulàki, i contadini benestanti.
Stalin -
Nel 1924, alla morte di Lenin, il potere passò a Stalin, che si
sbarazzò con la forza di ogni rivale. Negli anni successivi egli affermò con
spietata durezza il suo potere personale. Rivale di Stalin per il potere, ma
anche sul piano politico, era stato Trotzkij, l'eroe della difesa contro le
armate bianche. Trotzkij avrebbe voluto
l'esportazione del modello
rivoluzionario sovietico, Stalin invece voleva mantenere il socialismo in Russia
senza impegnarsi per il socialismo nel resto del mondo. Trotzkij fu costretto a
scappare dalla Russia, ma Stalin lo fece uccidere da un sicario in Messico.
Lo stalinismo - culto della personalità e terrore
Stalin ebbe un immenso potere, un potere assoluto superiore a quello dei sovrani
dell'antichità perché molto più capillare organizzato ed efficiente nel punire e
anche nel prevenire ogni possibile forma di opposizione. Dopo lo sterminio dei
kulaki il regime staliniano si fece ancora più oppressivo. Le persecuzioni cominciarono a colpire non soltanto gli oppositori ma anche gli intellettuali e
gli artisti, gli ufficiali dell'Armata Rossa, i vecchi bolscevichi di cui Stalin
temeva il prestigio, e persino molti fedeli dirigenti comunisti. Bastava un
semplice sospetto un'accusa di frazionismo (= volontà di dividere il partito) o
di deviazionismo (= allontanamento, deviazione della linea politica ufficiale)
per essere processati, torturati, costretti a confessare colpe mai commesse, e
poi giustiziati o inviati nei campi di lavoro forzato.
La potente e temutissima polizia politica, i funzionari dello Stato Sovietico e
del partito comunista, pretesero di regolare ogni aspetto della vita quotidiana
dei cittadini. Fu imposto il culto della personalità di Stalin "geniale" erede
di Lenin e "padre" del popolo sovietico. Centinaia di migliaia e forse ancora di
più (è difficile calcolarle, perché molte persone semplicemente scomparvero senza
lasciare traccia) furono le vittime del periodo compreso fra il 1934 e il 1939 ,
che fu detto del terrore staliniano o delle grandi purghe.
L'eco della rivoluzione - In Occidente le notizie provenienti dalla
Russia sollevarono grandi preoccupazioni ed emozioni. I governi e le classi
dirigenti ebbero il timore che il contagio rivoluzionario si allargasse. L'invio
delle truppe occidentali in aiuto dei generali zaristi e delle armate bianche
non fu sufficiente a sconfiggere la Rivoluzione, ma la guerra creò enormi
difficoltà alla nuova dirigenza bolscevica e al nuovo stato comunista. Anche per
questo motivo prevalsero le idee di Stalin sul rafforzamento del comunismo
all'interno della Russia e sulla rinuncia di esportare la Rivoluzione nel resto
del mondo. Fortissime invece furono le emozione e le speranze che la Rivoluzione
fece nascere nelle classi popolari dell'Occidente soprattutto fra gli operai. La
diffusione delle informazioni era allora assai più lenta e difficile che adesso.
La Russia inoltre era un paese vastissimo e lontano dove le comunicazioni erano
ben poco sviluppate. Per lungo tempo tutto ciò che si seppe in Occidente della
Rivoluzione fu che il popolo si era ribellato e aveva preso il potere. Anche
dopo quando maggiori notizie cominciarono a circolare poco o nulla trapelò delle
crudeli lotte di potere che avevano luogo al vertice dello Stato Comunista,
della tirannia imposta da Stalin al paese e delle persecuzioni che di lì a poco
si sarebbero abbattute su chiunque avesse osato opporsi .
In questa situazione molti pensarono alla Russia sovietica per lungo tempo come
al paradiso dei lavoratori: un paese dove il popolo poteva governarsi da sé,
dove si era liberato con le proprie mani dall'oppressione e dallo sfruttamento.
Anche se questo, molto più tardi, non si sarebbe rivelato vero, l'idea di "fare
come in Russia" divenne per molti , che vi credettero in assoluta buona fede, un
ideale traguardo di politica e giustizia sociale.
|
|