|
Nell’Antico Regime
vigente in Francia, le gerarchie sociali non erano definite tanto dalla
ricchezza e dalla posizione economica, quanto dal prestigio, dalla dignità e
dalle prerogative riconosciuti ai diversi gruppi sociali. Si usa sintetizzare
questo concetto dicendo che quella dell’Antico regime non era una società di
classi, ma di ordini.
Mentre classe è un concetto economico, ordine è un
concetto di tipo giuridico. Ciascun ordine, inoltre, dava vita a istituzione
(assemblee e deputati) incaricate di rappresentarne gli interessi presso il
monarca, che incarnava il potere centrale. Il modello fondamentale prevedeva tre
ordini: il clero, la nobiltà e il terzo stato, che riuniva borghesi e contadini.
Il prestigio e i privilegi si concentravano nei primi due. Ogni ceto aveva norme
proprie, chi commetteva un reato veniva giudicato sulla base di leggi diverse, e
il tribunale che lo giudicava era composto da giudici del proprio ordine. Ma
anche città, province, regioni, categorie professionali potevano godere di
privilegi. Non vigeva il principio dell’uguaglianza giuridica. La struttura per
ordini rendeva quella società statica.
Nella società attuale è possibile modificare la propria posizione sociale: esistono
vincoli e impedimenti talora fortissimi, ma di natura economica o culturale, non
giuridica. Nell’Antico regime, l’appartenenza a un ordine tendeva a perpetuarsi
nelle generazioni.
Nella società dell’Antico regime il clero aveva una presenza vasta e capillare:
il clero deteneva il monopolio pressoché totale dell’istruzione e della pubblica
assistenza, e godeva di particolare immunità , come il diritto di non pagare
imposte sulle vaste proprietà ecclesiastiche.
Nobile era chi disponeva di un titolo (duca, marchese ecc.) che dava diritto a
determinati privilegi: da quello di portare la spada, di avere posti speciali
riservati nelle cerimonie pubbliche, di essere giudicati da tribunali composti
dai membri del proprio ordine, di avere accesso esclusivo alle alte cariche
dell’esercito e della magistratura, di godere di particolari immunità fiscali,
sino ai poteri di comando esercitati all’interno di un feudo. Egli deteneva il
monopolio economico sull’uso di mulini, frantoi, forni, torchi, nonché il diritto
di caccia. Aveva infine poteri giurisdizionali, vale a dire poteri di esercitare
all’interno del feudo funzioni pubbliche di giustizia e di polizia.
Le condizioni di vita dei contadini erano miserabili:
- prima il signore con i
suoi canoni d’affitto,
- poi con le decime (la decima parte dei raccolti
tradizionalmente devoluta al mantenimento del clero),
- infine lo Stato con le
imposte dirette e indirette
falciavano il già modesto reddito contadino.
All’est d’Europa, al lavoro massacrante delle corvèes per più giorni alla
settimana si sommava la completa dipendenza dall’arbitrio del signore: il
contadino non poteva allontanarsi dal feudo, né cercare un lavoro migliore, né
sposarsi senza il permesso del padrone e pesantissime erano le punizioni per
quelli che tentavano la fuga.
All’Ovest d’Europa, invece, la libertà giuridica
aveva attenuato le forme più odiose dello sfruttamento feudale.
Nelle città incontriamo la borghesia.
La storiografia usa il termine in un senso
più ampio, racchiudendovi diverse figure: banchiere, mercante, imprenditore,
artigiano, libero professionista, titolare di cariche pubbliche, funzionario di
stato o amministratore locale.
La mendicità e il vagabondaggio, con i loro
corollari di piccola delinquenza e banditismo, furono fenomeni sociali in vistosa
crescita nel Settecento.
Gli stati li avevano affrontati, sin dalla metà del
Settecento, con un misto di repressione e di paternalismo autoritario: con leggi
che decretavano l’espulsione dalla città dei vagabondi, con l'istituzione di
pubblica carità, come gli ospizi francesi e le case di lavoro inglesi, dove
vagabondi e indigenti di ambo i sessi e di ogni età venivano internati e
costretti al lavoro coatto, nella pretesa che ciò li avrebbe restituiti alla
società come cittadini operosi.
Le monarchie assolute furono protagoniste, nella seconda metà del Settecento, di
una politica di riforme che viene usualmente definita assolutismo illuminato:
con questo termine si vuole indicare un governo il cui sovrano si avvale del
potere assoluto per condurre una politica di riforme volta a promuovere il bene
e la felicità del suo popolo. Certamente il clima culturale illuministico giocò
un ruolo rilevante nell’indirizzare l’opera dei sovrani riformatori, ma essa
trova le sue motivazioni più profonde nella necessità di affermare in modo nuovo
l’autorità dello stato.
Esaminiamo in breve l’opera delle maggiori monarchie europee, a cominciare da
quella asburgica di Maria Teresa (1740-80) e Giuseppe II (1780-90).
Maria Teresa
assoggettò la nobiltà all’imposta fondiaria (da cui era esente). Giuseppe II
(1780-86) seguì con forza una politica mirante ad affermare l’autorità dello
stato sulla chiesa: furono soppressi 700 conventi, le cui proprietà vennero
incamerate dallo stato per finanziarie opere assistenziali. In materia di
giustizia emanò un nuovo codice penale (1787), che fissava pene uniche per tutti i
sudditi, aboliva la tortura e riduceva il ricorso alla pena di morte.
In Prussia, Federico II detto il Grande, favorì la colonizzazione delle terre,
la Prussia fu il primo paese a sancire, nel 1763, l’obbligatorietà all’istruzione
elementare.
Durante l’impero di Maria Teresa e di Giuseppe II, la Lombardia fu investita da
un cinquantennio di riforme destinate a lasciare tracce profonde. Gli
illuministi lombardi parteciparono in prima persona alla politica di riforme
della monarchia asburgica, quali Piero Verri e Cesare Beccarla.
Durature furono anche le firme nel granducato di Toscana di Pietro Leopoldo di Asburgo-Lorena (1747-92), che vi regnò dal 1765 al 1790. Fu istituita la libertà
di commercio senza imposizioni fiscali. In campo giudiziario l’opera più
importante è il Codice penale del 1786, con cui si eliminavano alcune delle più
gravi distorsioni della giustizia vigente nell’Antico regime.
LA FRANCIA ALLA VIGILIA DELLA
RIVOLUZIONE
Un viaggiatore
che, all'inizio dell'Estate 1789 percorresse le polverose strade d'Europa, non
avrebbe notato nulla di particolare.
I tre "stati"
feudali - ecclesiastici, nobili ed il cosiddetto terzo stato, ovvero tutto il
resto della popolazione - erano ancora saldamente al loro posto.
La situazione
francese alla fine del '700 era quantomeno contraddittoria: in molti settori il
paese transalpino appariva all'avanguardia dell'Europa: i suoi 25 milioni di
abitanti equivalevano ad un quarto della popolazione Europea e facevano della
Francia il paese più fittamente popolato del Vecchio Continente.
Nel campo intellettuale
i suoi filosofi, scrittori ed artisti dettavano legge su tutti i paesi civili. I
suoi eserciti costituivano la massima forza militare del tempo. Economicamente
la Francia era seconda solo all'Inghilterra e poteva vantare un'agricoltura
fiorente, un'industria sviluppata ed una vigorosa attività commerciale e
marinara, che imponeva sul mercato i vini, le porcellane, le sete, gli articoli
di lusso francesi e copriva metà del fabbisogno Europeo di zucchero grazie alle
colonie delle Antille.
Per altri aspetti la Francia era però ancora
estremamente arretrata rispetto al proprio tempo: infatti il Re di Francia,
contrariamente a buona parte dei Regimi Europei
trasformatisi in liberali,
continuava ad essere il padrone assoluto per grazia di Dio, dei beni e delle
vite dei propri sudditi. A questi non era garantita nessuna libertà né tantomeno alcun diritto
non sorvegliabile dall'autorità Regia: al contrario bastava una "lettre de cachet", un
semplice biglietto inviato dal Re, per seppellire un cittadino in prigione, a
tempo indeterminato e senza processo.
Nei paesi Europei dove la Monarchia
Assoluta si era mantenuta in vita, i governanti del '700 sotto la spinta
dell'Illuminismo avevano apportato modifiche in senso razionale e moderno ai
loro sistemi amministravi, comprimendo i privilegi della nobiltà e del clero.
Sebbene la Corona avesse avocato a sé da tempo quelle funzioni di
amministrazione locale, di tutela dell'ordine pubblico e di difesa militare, che
solevano nel Medioevo essere assolte dalla nobiltà e dal clero, questi ultimi
conservavano privilegi esorbitanti. La nobiltà anzi aveva approfittato della
debolezza dei sovrani per accaparrarsi il monopolio degli alti gradi della
Chiesa e dell'esercito o per farsi mantenere dall'erario. Per un complesso di
anacronistiche consuetudini, che nessuno si era curato di riformare, la Francia
del '700 assomigliava più ad un accozzo variopinto di territori, che ad uno
stato razionalmente organizzato. Da provincia a provincia variavano leggi,
istituzioni, sistemi fiscali e talvolta pure pesi e misure. L'esercizio della
giustizia e del commercio, infine, era intralciato e reso arduo e tortuoso
dall'intricata selva di privilegi feudali o di dogane interne.
Le cause prossime della
rivoluzione
Per più di un
secolo prima che Luigi XVI
salisse al trono (1774) la Francia aveva vissuto periodiche crisi economiche
dovute alle lunghe guerre sostenute durante il regno di Luigi XIV, alla cattiva
gestione degli affari nazionali da parte di Luigi XV, alle perdite subite nella
guerra coloniale anglo-francese (1754-1763) e all'indebitamento per i prestiti
alle colonie americane in guerra per l'indipendenza (1775-1783).
Poiché era
sempre più insistente la richiesta di una riforma fiscale, sociale e
amministrativa, nell'agosto 1774 il nuovo re nominò controllore generale Anne-Robert-Jacques Turgot, che impose severe economie di spesa. Quasi tutte le
riforme furono tuttavia boicottate dai membri più reazionari del clero e della
nobiltà che, appoggiati dalla regina Maria Antonietta,
imposero le dimissioni di Turgot e si opposero anche al suo successore, il
finanziere e statista Jacques Necker. Questi dovette a sua volta lasciare
l'incarico, ma si guadagnò il favore popolare pubblicando un resoconto delle
finanze reali, che rivelava l'altissimo costo del sistema dei privilegi e dei
favoritismi.
Il vero problema era stato compreso benissimo sia dal Turgot che
dal Necker e probabilmente sarebbe stato compreso anche da chi non avesse mai ricoperto l'incarico di
Controllore Generale ed era che il solo Terzo Stato non poteva accollarsi tutto
il peso dei contributi da pagare allo Stato: infatti
i 300.000 privilegiati del clero e della nobiltà avrebbero potuto senza problemi
accollarsi alcune spese e far decollare un paese così prospero, almeno in
teoria, economicamente. Luigi XV e Luigi XVI però erano stati assolutamente
indolenti e si capiva che la Francia era in fondo ai loro interessi. La Regina Maria Antonietta, sposata con Luigi XVI nel 1781, dopo Necker, trovò il ministro
delle finanze che almeno inizialmente poteva sembrare ideale, cioè un ministro
che non chiedesse soldi ai nobili ed al clero ma continuasse a tassare il Terzo
Stato: si trattava di Calonne. Un altro problema era costituito dalla malafede
degli appaltatori che si occupavano di riscuotere le tasse, i quali si tenevano
buona parte degli incassi ricavati dalla loro occupazione versandone alle casse
del Re una parte minima: infatti chiunque ne avesse avuto l'occasione cercava di
ingannare il proprio Re e di approfittarne: così facevano i nobili e così
facevano i ricchi banchieri che prestavano grandi quantità di denaro per
riscuoterle con interessi altissimi. Alla fine la corona sfiorò la bancarotta.
La convocazione degli stati generali
Anche Calonne
dovette però avanzare la proposta di tassare il Clero e la Nobiltà per salvare
lo Stato ma, la Regina Antonietta, pose il veto anche sulla sua decisione e portò
al ministero delle finanze Loménie de Brienne, un nobile, che però giunse alle
conclusioni dei suoi predecessori.
La nobiltà si ribellò a questa idea ed alla
decisione della Corona di applicare queste tassazioni. La nobiltà di spada
minacciava di tornare alle antiche turbolenze feudali, mentre la nobiltà di toga
portava avanti l'idea di dover convocare gli
Stati Generali per poter varare una decisione di quel tipo. L'ultima
assemblea degli Stati Generali era stata convocata nel 1614 ma, la voce della
nobiltà, fu sorretta in modo particolarmente acceso anche dalla borghesia,
postasi a capo di tutto il Terzo Stato: questi temevano infatti che la Monarchia
si sbarazzasse dei debiti con un atto d'imperio. La tensione accumulata sul
piano politico e sociale venne a sommarsi con quella provocata da una
carestia causa dei cattivi raccolti e dalla
crescente disoccupazione figlia di una crisi delle industrie. Il Re di fronte a
tutto questo confluire di nervosismi si impaurì e richiamò Jacques Necker, che
dopo la sua prima cacciata si era conquistato la simpatia dei più pubblicando un
resoconto delle finanze reali, che rivelava l'altissimo costo del sistema dei
privilegi e dei favoritismi, e convocò gli Stati Generali per il Maggio 1789.
Il fermento politico
La
capitolazione del Re aveva un significato che andava al di là della stretta
convocazione dell'Assemblea: infatti risvegliava le fantasie fino a quel punto
sopite di poter veramente cambiare tutto il sistema organizzativo Statale
Francese. Infatti Gli Stati Generali non si tenevano da 175 anni e la loro
riesumazione, almeno agli occhi del popolo era sintomo che qualcosa di grosso
stava per accadere:
la Forma Statale ritenuta ideale era, fino a quel momento,
la Monarchia Costituzionale, a modello Inglese. La Francia fu attraversata da
momenti di effervescenza che fecero crollare ogni tentativo di censura: l'Esagono
fu sommerso da una marea di
opuscoli
prodotti da altrettanti clubs formatisi anch'essi sulla scia Inglese. In ogni
circoscrizione gli elettori formularono in appositi cahiers de doléances le
richieste che i deputati all'Assemblea degli Stati Generali avrebbero dovuto
avanzare per correggere i lamentati abusi.
Gli stati
generali
Il 5 Maggio
1789 fu il grande giorno: le porte della Reggia di Versailles si aprirono ed
accolsero al loro interno le numerose delegazioni dei 3 Stati che fino ad allora
avevano convissuto in territorio Francese. La discussione principale però venne
subito fuori e riguardava... le modalità con cui tenere la discussione: la
domanda era questa: i 3 Stati avrebbero dovuto riunirsi ognuno per conto suo in
3 separate Camere dalle quali sarebbe uscito un solo voto oppure l'Assemblea era
da tenersi in una unica sede mentre ogni deputato poteva esprimere il proprio
voto? Nobiltà e parte del Clero naturalmente caldeggiavano la prima
possibilità: riunite in una unica decisione le due camere meno numerose, ma più
ricche, avrebbero messo in minoranza la popolazione del Terzo Stato; a sua volta
questo mirava a far approvare la scelta di far votare ad ogni deputato
singolarmente: infatti erano 600 i rappresentanti degli ordini di questo Stato,
più di quelli dei due ordini privilegiati messi insieme (550). Dopo sei
settimane di impasse i rappresentanti del Terzo Stato, guidati da Emmanuel-Joseph-Séyèn e dal Conte Honorè-Gabriel de Mirabeau, in aperta sfida
alla Monarchia che sosteneva Nobiltà e Clero, si riunirono in un'altra sede e
proposero agli altri deputati di unirsi alla loro Assemblea. Il Re per tutta
risposta si limitò a far chiudere le porte di tutte le stanze della Reggia, meno
quelle della Palestra del Giuoco della Pallacorda che fu subito presa come sede
della nuova Assemblea Nazionale. Ai 600 si unirono anche 150 del Basso Clero.
L'Assemblea fu detta Nazionale perché a conti fatti rappresentava la stragrande
maggioranza della popolazione e si attribuì il potere esclusivo di legiferare in
materia fiscale. Ancora una volta l'indolenza del Re si rivelò estremamente
dannosa: sottovalutando l'importanza di questa 'rivolta' nata in seno
all'Assemblea che lui era stato costretto a convocare, di fatto promosse
ulteriori iniziative sempre più mirate a privarlo di diversi poteri.
Tutti i
membri dell'Assemblea Costituente giurarono che non si sarebbero mai più sciolti
fino a che la Francia non avesse avuto una nuova costituzione; questo giuramento
fu detto "Giuramento della pallacorda"
con riferimento esplicito al luogo dove era stato formulato.
Il 27 giugno il Re
si arrese alla manifestazione non violenta della maggior parte dei suoi deputati
e decretò che l'Assemblea Nazionale tornasse ad essere unita ed il 9 Luglio si
formò così l'Assemblea Nazionale Costituente.
La presa della
Bastiglia
In effetti
nelle intenzioni del Re c'era quella di salvare la sua Monarchia ed era anche
disposto a trasformarla in Costituzionale pur di mantenere ben salda la
divisione fra i tre Stati. Luigi XVI non aveva alcuna intenzione di
riconciliarsi con i rivoltosi: la sua decisione era soltanto una ritirata
strategica, grazie al cui effetto poteva di nascosto organizzare delle truppe
che si radunassero in Parigi per controllare i Patrioti. Tra il 27 Giugno ed il
1 Luglio lui richiamò 20.000 soldati delle truppe reali nella regione di Parigi, apparentemente
per proteggere l'Assemblea e prevenire disordini nel resto della città. Il
giorno 11 Luglio il Re cacciò nuovamente Jacques Necker e questo fu per i
Parigini un segno che il Re stava cominciando ad organizzare una qualche
risposta contro i Rivoluzionari. Gli oratori agli angoli delle strade, come
Camille Desmoulins istigarono i propri compatrioti a resistere.
Nel 13 Luglio bande
di Parigini assalirono un negozio di armi per prepararsi a quello che ancora
nessuno pensava potesse accadere. A Parigi si sparse la voce che fosse stato
ordinato un attacco sulla città partente dalla Bastiglia. Il popolo allora
assalì la Bastiglia, il carcere simbolo del dispotismo reale; la lotta fu dura e
molti Parigini persero la vita nella battaglia che però alla fine riportò la
loro vittoria sulle truppe del Re. Molti soldati furono
massacrati mentre dall'altra parte della città due ufficiali sospettati di aver
fatto parte del complotto Reale ai danni dei Parigini furono linciati;
era il
giorno 14 Luglio 1789.
In 26 delle 30 più grandi città della Francia si
istituirono nuove entità municipali affiancate da nuovi organi di Polizia,
comandati dal Marchese
Lafayette,
eroe della Rivoluzione Americana. La nuova milizia popolare prese il nome di
Guardia Nazionale. Intanto il Conte di Artois ed altri nobili, presi dalla
paura, fuggirono all'estero. La caduta della Bastiglia ed il martirio di alcuni
Parigini sacrificatisi per la libertà fu un evento spettacolarmente simbolico,
una specie di miracoloso trionfo del popolo contro il potere dei soldati Reali.
Luigi XVI capitolò: non voleva che una guerra civile si svolgesse nelle sue
strade. A Parigi il Re stesso inaugurò il nuovo
Tricolore:
Bianco per i Borboni, Rosso e Blu per i Parigini.
La rivolta dei contadini
I contadini
nelle campagne attuarono una 'rivoluzione parallela' che mischiava assieme alla
causa patriottica anche l'ansietà verso le tradizionali aspirazioni. La rivolta
dei contadini fu autonoma ma comunque rinforzò il sollevarsi della città
favorendo l'Assemblea Nazionale. I contadini possedevano soltanto il 40% delle
terre che coltivavano e prendevano le altre dalla nobiltà, dalla borghesia o
dalla Chiesa. La popolazione però dall'inizio di questo sistema crebbe e la
suddivisione delle terre di generazione in generazione cominciò a farsi
problematica, riducendo il margine di sopravvivenza in molte famiglie. Le
innovazioni nell'organizzazione dello Stato esasperarono ancor più i contadini:
gli storici hanno dibattuto se queste fossero state innovazioni capitalistiche,
ma comunque nelle campagne regnava il malcontento alimentato anche dalle
oppressive tasse reali e dagli scarsi rifornimenti di cibo. In Luglio in diverse
regioni i contadini saccheggiarono i castelli dei nobili bruciando i documenti
che registravano le loro obbligazioni feudali. Questa rivolta contadina in
seguito sfociò in parte nel movimento conosciuto come Regno del Terrore.
Comunque i contadini si rivoltarono con una notevole violenza e determinazione e
contribuirono in buona parte a far apparire il Terzo Stato estremamente forte,
compatto ed invincibile.
La notte del 4 agosto ed il nuovo regime.
Trascinata da
questi eventi l'Assemblea Nazionale Costituente nel corso della notte del 4
Agosto votò le abolizioni delle immunità fiscali del clero e della nobiltà, la
cessazione di ogni privilegio particolare e la soppressione delle corvées e dei
diritti feudali in cambio di un risarcimento in denaro da parte dei contadini.
Una Francia nuova stava nascendo, unitaria nelle sue leggi e nelle sue idee:
gettandosi alle spalle la antica rete di privilegi, il 4 Agosto permise
all'Assemblea di costruire un nuovo regime.
Il 27 Agosto l'Assemblea divulgò la
Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino
in cui esponeva le proprie
linee di pensiero principali e con cui si sanciva la morte dell'Ancién Regime.
Gli autori della Dichiarazione cercarono di dare alla stessa un significato 'universale':
un deputato del tempo disse che questa Dichiarazione doveva portare i significati
della Rivoluzione a tutto il Mondo, come i coraggiosi cittadini di Filadelfia a
loro modo avevano raggiunto la libertà.
L'assemblea nazionale costituente ristruttura la Francia
Nelle elezioni
dei deputati degli Stati Generali, la scarsa preparazione degli operai e dei
contadini aveva fatto sì che la maggioranza dei rappresentanti del Terzo Stato
fosse composta di borghesi. Anche nell'Assemblea Nazionale Costituente,
pertanto, nobili di idee progressiste, ricchi borghesi e professionisti (specie
uomini di legge) costituirono la maggioranza e poterono indirizzarne i lavori
conformemente ai loro punti di vista. In seno alla maggioranza, tuttavia, si
distinsero presto correnti politiche diverse, designate con i classici nomi di
destra e sinistra, a seconda del loro modo di disporsi nell'aula delle riunioni
rispetto al presidente della seduta. Le varie correnti politiche organizzarono
poi, fuori dall'Assemblea, dei propri circoli, come luoghi di riunione e di
discussione politica. Il più importante di questi circoli o clubs fu quello dei
Giacobini,
così detto dall'ex-convento dei Domenicani (Jacobins) dove si tenevano le
sedute. Esso ebbe, in un primo tempo almeno, indirizzo monarchico-costituzionale
e progressista, conformemente alle tendenze della media borghesia Francese, e fu
capeggiato da Alessandro de Lameth, sebbene ne facessero parte anche elementi
più decisamente democratici o addirittura Repubblicani, come il giornalista
Camillo Desmoulins ed un giovane avvocato di Arras,
Maximelien Robespierre.
L'ala più conservatrice dei monarchico-costituzionali, identificatesi con la
nobiltà liberale e l'alta borghesia, si raccolse invece nel Club degli Amici
dell'89 ed ebbe come esponenti il Lafayette, il
Mirabeau ed
il Bailly. Poiché gli avvenimenti dell'Ottobre 1789 avevano mostrato come al
Sovrano e all'Assemblea Nazionale Costituente non restassero altri schermi,
dinanzi alle violenze della folla, al di fuori delle baionette della Guardia
Nazionale del Lafayette, del controllo esercitato dal Bailly sul Comune di Parigi
e dell'ascendente personale del Mirabeau, questi tre personaggi finirono con
l'essere i mediatori tra la Corona ed il Paese e, quindi, gli arbitri della
situazione politica.
Attraverso di loro, la nobiltà liberale e la ricca
borghesia, mirante ormai a sostituire al privilegio antico del sangue quello
nuovo della ricchezza, poterono influenzare profondamente il lavoro della
Costituente. La Costituzione infatti si ispirava alle dottrine del Montesquieu
sulla separazione dei poteri ed a quelle del Rousseau sulla sovranità popolare.
Volle quindi dividere il potere legislativo da quello esecutivo e da quello
giudiziario, affermando in pari tempo il principio dell'elezione dal basso delle
cariche pubbliche. Affidò dunque il potere legislativo ad una assemblea
legislativa, eletta dai cittadini; il potere giudiziario a giudici anch'essi
elettivi; il potere esecutivo al Re ed ai suoi ministri, responsabili di fronte
all'Assemblea. Il Re non riuscì nemmeno a conservare totalmente il potere di
veto sulle leggi emanate dall'Assemblea: infatti poteva opporsi per due volte
consecutive all'approvazione della stessa legge, ma se questa avesse passato per
tre volte consecutive in tre anni l'approvazione dei Legislatori, sarebbe
divenuta automaticamente legge, senza che il Re potesse opporsi in alcun
modo. Il diritto di voto fu riservato ai soli cittadini attivi, cioè paganti la
quantità minima di imposte. Fra i cittadini attivi stessi, solo i più ricchi
potevano accedere alle cariche pubbliche e quindi dirigere la vita politica.
Ancora non potevano votare le donne, perché ritenute troppo emozionali ed adatte
piuttosto ai ruoli materni.
Amministrativamente, la Francia venne divisa in 83
dipartimenti, di estensione approssimativamente uguale, a loro volta divisi
in
distretti, cantoni e comuni. Ogni circoscrizione doveva avere una
amministrazione elettiva, con la solita discriminazione tra cittadini attivi e
passivi.
Larghi poteri venivano lasciati ai Comuni, fra cui l'esazione delle imposte e
l'organizzazione della Guardia Nazionale. In pratica, dunque, ogni Municipio
veniva ad essere come una piccola roccaforte dei ceti abbienti, arbitri di
esigere le imposte secondo i propri criteri ed addirittura di tenere una loro
forza armata, attraverso la Guardia Nazionale. I dipartimenti erano quindi
strumenti di decentralizzazione per i motivi sopra elencati, ma anche,
contemporaneamente, di centralizzazione, perché rappresentavano l'unità dello
Stato Francese e la sua uniformità: questa contraddizione piacque ai 'dirigenti'
che la mantennero viva con fermento particolare. La nuova mappa amministrativa
creò anche i presupposti per una riforma di tipo giuridico. I rivoluzionari
stabilirono una corte civile in ogni distretto ed una corte criminale in ogni
dipartimento ed ogni altro cambiamento fu fatto in vista di un sistema giuridico
più immediato ed accessibile. L'Assemblea cercò di riaprire anche la vita
economica del paese smantellando l'apparato di tasse e tariffe ed incentivando
l'iniziativa personale e la competizione; inoltre, almeno in teoria, i contadini
ora potevano coltivare le loro terre come volevano.
Poiché da secoli il Clero
Francese, coerentemente ai principi Gallicani, era strettamente subordinato allo
Stato, la Costituzione ritenne di dover completare la propria opera, riordinando
anche le strutture Ecclesiastiche. Nacque così la Costituzione civile del Clero,
che realizzava antiche aspirazioni di Gallicani e di Giansenisti, introducendo
il principio elettivo nelle nomine dei Parroci e dei Vescovi, stabilendo che
questi ultimi venissero consacrati da una commissione di Arcivescovi, senza più
andare a Roma per farsi investire dal Papa o pagargli alcun tributo, e
sopprimendo infine gli ordini Religiosi.
A quest'ultima decisione si era giunti
anche per criteri di economia nelle finanze stabili: infatti non bisogna
dimenticarsi del clamoroso deficit in cui lo Stato Francese era terminato a causa
della dissolutezza delle classi più agiate. Neppure il Necker era riuscito a
sanare in qualche modo questa grave falla e perciò la Costituente, su proposta
del Vescovo di Autun,
Talleyrand,
aveva stabilito che gli immensi beni fondiari del clero venissero incamerati
dallo Stato, il quale, in cambio, si sarebbe addossato l'onere del mantenimento
del culto (Novembre 1789).
Con la vendita dei beni del clero, infatti, si
sperava di poter colmare il deficit del bilancio e, nell'attesa di questa
vendita, si era pensato di fornire al tesoro i mezzi indispensabili per far
fronte alle necessità più urgenti, mediante l'emissione di titoli di credito o assegnati, garantiti appunto sulla massa dei beni Ecclesiastici ancora invenduti.
A mano a mano che lo stato avesse poi incassato il ricavato della vendita di
questi beni, avrebbe provveduto a rimborsare i detentori degli assegnati.
In
realtà le cose si svolsero in modo molto diverso dal previsto. L'assegnato,
accolto con scarsa fiducia sul mercato finanziario, specie all'estero, non tardò
a perdere di valore rispetto alla moneta metallica. Lo Stato, d'altra parte,
assillato dal bisogno di denaro, anziché rimborsare i detentori degli assegnati
con il ricavato della vendita dei beni del Clero, continuò ad emettere in
quantità crescente questi titoli di credito. Il desiderio dei detentori di
assegnati di liberarsi al più presto di questa carta moneta svalutata accelerò
vertiginosamente la circolazione degli assegnati stessi, scatenando così
un'inflazione di proporzioni sempre più gravi. E si ebbero allora le conseguenze
inevitabili di ogni fenomeno del genere: mentre industriali e commercianti
potevano pagare i loro debiti in moneta svalutata e quindi imprimere un
formidabile impulso ai loro affari, le merci salivano di prezzo, seminando la
fame nella Capitale e quindi ingigantendo il fermento Rivoluzionario.
Ciò
nonostante, l'operazione ebbe conseguenze quanto mai importanti per la Francia.
Mentre l'inflazione serviva di sprone alla borghesia cittadina, lo spezzamento
del latifondo Ecclesiastico creava tutto un vasto ceto di nuovi proprietari
terrieri, il cui peso politico doveva presto rivelarsi determinante. Ognuno di
essi, infatti, si sentì cointeressato, personalmente, alle sorti della
Rivoluzione e disposto a qualsiasi sacrifico, anche estremo, pur di non lasciar tornare l'Ancien
Régime.
Tensioni politiche - Ma fu la
politica religiosa che più divise la società Francese e generò opposizione alla
Rivoluzione. Più preti avevano inizialmente sperato che dopo la riforma si
potesse ritornare al Cattolicesimo Romano ed ai suoi ideali di base. Ma
constatarono che la Chiesa stessa non avrebbe collaborato nel processo.
La
nazionalizzazione delle proprietà della Chiesa diede la responsabilità allo
Stato per regolare gli affari temporali Ecclesiastici. Nella sua propria
autorità l'Assemblea ridusse il numero delle Diocesi e riallineò i confini con
quelli dei nuovi dipartimenti.
Sotto la Costituzione Civile del Clero (Luglio
1790) i Vescovi dovevano essere eletti dalle Assemblee elettorali dei
dipartimenti mentre i Parroci dovevano essere scelti dagli elettori dei
distretti. Il portavoce del Clero dichiarò che l'Assemblea dovesse negoziare le
Riforme con un il Concilio Nazionale della Chiesa. Nel Novembre 1790 l'Assemblea
ordinò che i Vescovi ed i Parroci dovessero giurare sottomissione allo Stato. Ci
fu una frazione fra Preti Costituzionali e Preti Refrattari. Come i Refrattari
ed i Costituzionali richiesero il supporto popolare contro i loro rivali, i
parrocchiani non poterono rimanere neutrali. Le intense discordie locali
sfociarono nella realizzazione della Costituzione Civile del Clero.
L'opinione pubblica - Non era stato
chiarito quale fosse il ruolo dell'opinione pubblica ed il meccanismo attraverso
cui si potesse esprimere. La spettacolare diffusione delle libere stampe e clubs
politici costituirono la risposta. L'Assemblea cercò di incentivarli di volta in
volta ma di non assecondarli. Parigi che aveva solo 4 ufficiosi giornali
all'inizio del 1789 vide più di 130 nuovi periodici entro la fine dell'anno, il
più delle volte di vita breve. Bordeaux aveva solo un giornale nel 1789, ma 16
apparvero nei due anni successivi. Mentre alcuni giornali rimasero politicamente
neutrali, molti ebbero radicali opinioni politiche. Come le stampe, i clubs
velocemente si sparsero nelle province. Più di 300 città ebbero clubs entro la
fine del 1790 e 900 nella metà del 1791. Uno studio ha contato che 5000 villaggi
ebbero clubs tra il 1790 ed il 1795.
Inizialmente i clubs promossero
l'educazione civile e pubblicizzarono le riforme dell'Assemblea. Ma alcuni
divennero più attivisti cercando di influenzare le decisione politiche con
petizioni, di esercitare sorveglianze sulle autorità costituite e di denunciare
quando queste fossero inefficienti.
La fuga di Varennes
La politica
Ecclesiastica della Costituente, tuttavia, se da una parte legava vasti ceti
alla Rivoluzione, dall'altra creava un conflitto assai aspro con la Santa Sede,
che condannava i principi della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del
Cittadino e rifiutava di accettare la Costituzione Civile del Clero.
Il Clero,
cui la Costituente volle imporre di giurare obbedienza alla Costituzione Civile,
si divise da allora in poi in uno Scisma. Se la Rivoluzione, fino ad allora, non
aveva avuto altri avversari che la parte più retriva e quindi più scredita
dell'Aristocrazia, adesso doveva affrontare l'ostilità di quella parte non
indifferente del Paese, che intendeva ubbidire alle decisioni Papali.
La crisi
suscitata dalla Costituzione Civile del Clero, mentre turbava Luigi XVI e la sua
coscienza di Cattolico, faceva rinascere in lui la speranza - mai del resto
abbandonata - di trionfare sulla Rivoluzione e
restaurare l'assolutismo Monarchico. Pur atteggiandosi infatti, esteriormente,
a Monarca costituzionale all'Inglese, per ingannare Lafayettisti e
Lamethisti, e profittando della sregolata condotta personale del Mirabeau per
guadagnarselo col denaro, il Re inviava di nascosto agenti presso le Corti
straniere ed in particolare presso l'imperatore Leopoldo II d'Asburgo onde
sollecitarne l'appoggio contro i Rivoluzionari.
La morte del Mirabeau consunto
dai propri vizi (Aprile 1791), abbandonando completamente Luigi XVI
all'influenza della Corte, dava infine l'ultimo colpo alla situazione. Il 20
Giugno 1791 il Re fuggiva da Parigi travestito, per recarsi in Lorena, mettersi
alla testa di truppe fedeli ivi radunate, e quindi marciare sulla capitale e
schiacciare l'Assemblea Nazionale Costituente.
Ma a Varennes fu riconosciuto e
poi ricondotto a Parigi, a suo grande scorno, mentre la Costituente lo
sospendeva dalle sue funzioni. Se in precedenza il principio monarchico non era
mai stato messo in discussione, il tentativo di fuga e gli intrighi del Re con lo
straniero contro la Francia facevano precipitare il prestigio della Corona ed
affacciarsi decisamente le tendenze Repubblicane, fino ad allora quasi
inesistenti.
Un Club di
Cordiglieri
-
così detto dalla sua sede, un antico Convento di Francescani - a tendenza
accesamente democratico-repubblicana era appoggiata da Camillo Desmoulins,
Giorgio
Danton e
dal medico ginevrino JeanPaul
Marat e
trovava seguito entusiastico nelle folle Parigine.
Dietro al Terzo Stato
Borghese, si affacciava ormai il Quarto Stato Plebeo dei Sansculottes, cioè del
proletariato, indossante i pantaloni lunghi da operaio, anziché i corti
calzoncini di lusso (culottes) dell'alta società. Davanti a questa minaccia, la
borghesia dimenticava persino le colpe del Re e si sforzava di salvare la
Monarchia, per salvare altresì il nuovo sistema politico creato a proprio
vantaggio.
E così la Costituente in cui la Borghesia dominava, non solo ricorse
all'espediente di far passare per un ratto la fuga del Re e reintegrò il Sovrano
nelle sue funzioni, onde permettergli di sanzionare la nuova Costituzione, ma
fece stroncare a fucilate dalla Guardia Nazionale del Lafayette una
dimostrazione Repubblicana organizzata dai Cordiglieri (Strage del Campo di
Marte, Luglio 1791).
Le ripercussioni di questo tentativo di reazione borghese
si fecero sentire anche nei clubs: i Cordiglieri dovettero interrompere le loro
sedute, mentre i ricchi borghesi moderati formarono il nuovo Club dei
Foglianti,
ritirandosi dal Club dei Giacobini, che fu da allora diretto dal Robespierre su
una linea sempre più accentuatamente repubblicana e democratica. La Costituzione
fu infine accettata da Luigi XVI e l'Assemblea Nazionale Costituente si sciolse
nel 30 Settembre 1791 per lasciare il posto all'Assemblea Legislativa.
L'assemblea legislativa
La legge
elettorale, escludendo dal voto i cittadini passivi, aveva consentito alla
Borghesia di perpetuare il proprio predominio anche in seno all'Assemblea
Legislativa. Ad una destra Fogliante, tuttavia si contrapponeva nell'Assemblea
una sinistra molto forte capeggiata dai Girondini, un gruppo politico che si era
raccolto attorno ad una frazione di deputati originari del dipartimento della
Gironda e che era concorde su un programma di decisa Democrazia politica, anche
se non era insensibile agli interessi della classe borghese e conservatrice.
Per
di più la Costituente aveva stabilito prima di sciogliersi che nessuno dei suoi
componenti potesse essere eletto deputato nell'Assemblea Legislativa.
Quest'ultima
si componeva dunque di uomini nuovi alla vita politica e non di rado assai
giovani, la cui inesperienza doveva fortemente pesare sullo sviluppo degli
avvenimenti. Sulle prime il duello destra-sinistra si svolse sul terreno della
legalità, facendo succedere ad un iniziale Ministero di Foglianti, un successivo
Ministero di Girondini, col Roland agli interni ed il Dumouriez agli Esteri. Ma
i Girondini si trovavano stretti tra gli intrighi reazionari della Corte e
l'impazienza della folla Parigina, mobilitata dai Cordiglieri e dai più estremi
Giacobini come Robespierre.
E con avventata leggerezza ritennero che tali
contrasti potessero essere assopiti, lanciando il Paese intero nell'avventura di
una guerra. Come si è visto, dalla Corte Francese già più volte erano partiti
appelli alle Corti straniere, perché queste intervenissero contro la
Rivoluzione.
Tutti però erano caduti nel vuoto, in quanto ognuna delle potenze
Europee era troppo impegnata nella soluzione di altri problemi per avere forze
disponibili contro la Francia:
Leopoldo II doveva sottomettere il Belgio, ove le
precipitose riforme di Giuseppe II avevano scatenato una grave insurrezione;
Russia e Prussia erano intente a preparare una nuova spartizione della Polonia;
l'Inghilterra stava allargando il proprio dominio nell'India ed era felice che
una crisi interna paralizzasse la Francia, impedendole di contrastare il passo
nel campo coloniale.
Anche gli Aristocratici Francesi emigrati all'estero, specialmente dopo la Fuga di Varennes, si erano dati molto da fare per aizzare i
monarchi d'Europa contro la Francia giungendo persino a costituire in Worms una
specie di Governo in esilio con una propria Diplomazia ed un piccolo esercito.
Ma l'unico risultato da essi raggiunto fu quello di indurre l'Imperatore
Leopoldo II ed il Re di Prussia, Federico Guglielmo II a pubblicare nell'Agosto
1791 il Manifesto di Pillnitz, cioè una proclama in cui i due Sovrani
accennavano in forma quanto mai vaga alla possibilità in avvenire di un
intervento in favore di Luigi XVI.
Nonostante l'agitarsi degli emigrati e lo
scandalo destato dalla Rivoluzione nelle Corti e nell'Aristocrazia, era chiaro
insomma che, per il momento almeno, nessuno aveva voglia di muovere guerra alla
Francia. Ma queste manovre di emigrati e queste manifestazioni di ostilità nelle
Corti Europee nei confronti della Rivoluzione, per quanto praticamente innocue,
erano tuttavia sufficienti ad impaurire coloro che avevano acquistato i beni del
Clero o avuto parte in qualche modo nella Rivoluzione mentre irritavano la
suscettibilità patriottica dei Francesi.
In questo clima di esasperazione e di
paura, trovavano facili ascolti voci terrificanti secondo le quali alla Corte
Francese si sarebbe formato un Comitato Austriaco, capeggiato dalla Regina, con
l'intento di aprire le porte allo straniero e fare macello dei patrioti ed era
facile che ne traessero profitto i Girondini, per decidere il paese alla guerra.
Essi erano convinti, infatti, che i popoli si sarebbero sollevati contro i
rispettivi Monarchi, in nome dei principi dell'89, consentendo agli eserciti
Francesi una facile vittoria e che d'altronde il Re, una volta scoppiata la
guerra, si sarebbe stretto con la Nazione contro lo straniero. Così, sarebbe
stato superato ogni dissenso interno mentre la vittoria militare avrebbe
consolidato il prestigio del Regime Costituzionale, sventando ogni trama
reazionaria. Il Re nel suo intimo era convinto che la guerra si sarebbe risolta
in un disastro, ma era anch'egli favorevole all'apertura delle ostilità, sicuro
che l'insuccesso militare avrebbe screditato il Regime Costituzionale e
consentito il ritorno all'Assolutismo.
Nell'Assemblea Legislativa, soltanto una
infima minoranza, ispirata dal Robespierre che ben intuiva i propositi del Re ed
avrebbe preferito che la Rivoluzione consolidasse le sue conquiste all'interno,
contro gli elementi controrivoluzionari che ancora detenevano leve fondamentali
della vita della Nazione, si oppose alla guerra. Tutto il resto provò entusiasticamente l'apertura delle ostilità contro la Casa d'Austria ove da poco
l'Imperatore Francesco II era succeduto sul trono a Leopoldo II (Aprile 1792).
La caduta della monarchia - Ma ogni
illusione svanì davanti alla tragica realtà dell'impreparazione dell'esercito
Francese.
Gli ufficiali aristocratici non avevano alcuna voglia di battersi per
la Rivoluzione ed abbandonavano i loro posti, i soldati si sbandavano o
disertavano, le fortezze capitolavano davanti al nemico, mentre l'Imperatore riusciva senza grossi problemi a concludere un'alleanza con il Re di Prussia
contro la Francia.
Solo la necessità di sorvegliare contemporaneamente la
situazione della Polonia, impedendo l'impegno profondo degli Austro-Prussiani,
salvò in quei giorni la Francia dal disastro. Ma i rovesci
militari bastarono ugualmente a gettare nel panico il paese e a diffondere il
sospetto di tradimento da parte del Re.
Sempre più attanagliato fra le sconfitte
da una parte e gli intrighi della Corte dall'altra, il Ministero Roland presentò
allora a Luigi XVI tre decreti, contemplanti
--> lo scioglimento della Guardia Reale,
composta di elementi dell'Aristocrazia,
--> la deportazione dei Preti refrattari,
sospetti di fare propaganda disfattista
--> la creazione di un campo trincerato di
20.000 volontari sotto Parigi, col proposito ufficiale di difendere la città
dall'avanzata nemica e quello tacito di intimidire la Corte.
Il Re allora oppose
il proprio veto agli ultimi due decreti, sciolse il Ministero Girondino e
richiamò al Governo i Foglianti.
Ma chi ancora risolse la situazione in senso
rivoluzionario fu il Popolo di Parigi. Il 20 Giugno 1792 la Reggia delle Tuileries fu invasa dalla folla ed il Sovrano fu costretto a richiamare al
Governo i Girondini, mentre l'Assemblea Legislativa dichiarava la Patria in
pericolo e rivolgeva al paese un appello per una grande leva di volontari, onde
sbarrare la strada al nemico. Il comandante nemico, Duca di Brunsawick, emanava
allora da Coblenza un proclama, in cui si minacciava la distruzione di Parigi,
in caso di nuovi attentati contro la persona di Luigi XVI, e la fucilazione
delle Guardie Nazionali, colte con le armi in mano, come ribelli al proprio Re.
In quel proclama, il popolo aveva ormai la prova della connivenza del Sovrano
con il nemico e la folla, mobilitata dai Cordiglieri e dalla sinistra Giacobina,
esplodeva daccapo, impadronendosi del Palazzo di città, destituendo la
Municipalità Borghese ed insediando un comune Rivoluzionario di estrema sinistra
Democratica.
Il 10 Agosto 1792 infine le Tuileries furono assaltate per la seconda
volta, dopo che il Popolo rivoltoso massacrò gli Svizzeri posti a
guardia e costringendo il Re a rifugiarsi presso l'Assemblea Legislativa che lo
sospendeva di nuovo dalle sue funzioni.
Neppure l'Assemblea Legislativa era però ormai in
grado di dominare la situazione e sotto la pressione della folla era costretta
ad indire nuove elezioni, stavolta a suffragio universale, per una Convenzione
Nazionale, la quale avrebbe dovuto dare alla Francia una nuova Costituzione a
carattere democratico ed ugualitario, anziché borghese e moderato.
Invano il Lafayette cercò di muovere con un corpo di truppe contro la Capitale, per
ristabilire la Monarchia Costituzionale: fallito questo tentativo, anch'egli
andò ad ingrossare le file degli emigrati realisti all'estero, seguito a breve
distanza dallo stesso de Lameth.
L'esperimento Monarchico-Costituzionale era
ormai definitivamente tramontato. La Legislativa affidò il potere ad un
Consiglio Esecutivo Provvisorio, comprendente oltre al Roland ed altri Girondini, anche l'audace ed impetuoso Consigliere Danton. Ma, di fatto, il
potere era nelle mani del Comune Rivoluzionario, sostenuto dai Sansculottes e
dall'indomita energia dei Giacobini del resto della Francia.
Era il Comune che
provvedeva con febbrile rapidità ad arruolare volontari, a spedirli al fronte,
ad apprestare la capitale per la difesa estrema, a radunare provvigioni per
l'esercito, ancora mancante di tutto, dalle munizioni alle scarpe, dai fucili ai
vestiti. E, con uno slancio magnifico di entusiasmo, i volontari sorgevano,
laceri, scalzi, ma armati di una decisione indomabile, sotto il Tricolore blu-bianco-rosso e cantando un inno recato dai volontari di Marsiglia e che era
stato battezzato la
Marsigliese.
Ma dietro a loro, le folle fremevano, sovraeccitate dalle notizie paurose del
fronte, alla convinzione di essere insidiate da ogni parte da una rete di
traditori, dagli articoli incendiari che il Marat pubblicava sul suo giornale,
"L'amico del popolo". Tutto ciò contribuì a creare un'atmosfera tesa di sospetti
e di terrore, che d'improvviso si scaricò in un assalto alle carceri, compiuto
da bande di massacratori, i quali trucidarono oltre 1600 prigionieri fra cui
anche non pochi innocenti o carcerati per reati comuni (Stragi di Settembre).
Intanto anche il Brunswick avanzava, ma in mezzo a gravi difficoltà, accresciute
dall'abilità con cui il Generale Dumoriez manovrava le sue truppe. E finalmente
il 20 Settembre 1792, sui colli di Valmy, il fuoco dei Francesi arrestava gli
Austro-Prussiani, costringendoli ad un ripiegamento che il maltempo autunnale
doveva poi convertire in una disastrosa ritirata. In sé, era un successo di ben
modesta entità; ma il suo valore morale era immenso: l'Europa Conservatrice
aveva creduto che, abbattuta la Monarchia, non vi fosse in Francia altro che il
caos e doveva accorgersi adesso che la Rivoluzione poteva aver ragione degli
eserciti mercenari dei Re. Presente a quella giornata, il poeta
germanico Goethe affermava in sostanza che da quel giorno e da quel luogo
s'iniziava un'epoca nuova nella storia del Mondo. Lo stesso giorno a Valmy, la
legislativa si scioglieva, cedendo il posto alla Convenzione Nazionale; il
giorno seguente, quest'ultima proclamava l'abolizione della Monarchia in Francia
e l'instaurazione della Repubblica.
La convenzione nazionale -
La Convenzione
Nazionale era naturalmente per intero composta da deputati Repubblicani, ma era
frazionata in 3 gruppi politici principali: la destra, costituita dai Girondini,
il centro o palude, che non aveva ancora una linea politica ben determinata
sebbene contasse la maggioranza dei deputati, e la sinistra o Montagna, composta
da deputati provenienti, per la maggior parte, dal Club dei Giacobini, quale si
era venuto ricostituendo dopo la secessione dei Foglianti, e, perciò,
decisamente Democratici e sempre più inclini ad un programma di rivendicazioni
sociali. I Girondini, che sfruttavano anche il senso di raccapriccio diffuso
dalle Stragi di Settembre, avevano con loro la Borghesia delle province, ove i
nuovi proprietari di terre e tutti coloro che avevano fatto fortuna con la
Rivoluzione, sebbene decisi ad impedire il ritorno dell'Ancien Régime,
intendevano godere in pace i frutti del proprio successo. Per questo, i
Girondini poterono avere da principio la maggioranza nella Convenzione e
continuare a governare la Francia. Essa però era giunta al potere col programma
della guerra ideologica della Rivoluzione contro i Troni assoluti: doveva quindi
mostrarsi capace di vincere la guerra o cadere travolta sotto le sue
responsabilità.
In effetti nell'Autunno del 1792 gli Eserciti Francesi passarono
di vittoria in vittoria e trovarono attiva collaborazione al di là delle
frontiere della Francia nei simpatizzanti locali per le idee rivoluzionarie.
Furono così occupati il Belgio e la Renania, mentre insorgeva anche Basilea e
gli abitanti stessi invitavano i Francesi nei territori Sabaudi della Savoia, di
Nizza e del Contado di Oneglia.
In questi ultimi territori soltanto si delineò
una corrente favorevole all'unione con la Francia. Ma la Convenzione Nazionale
passò sopra alla volontà delle popolazioni interessate, affermando che le Alpi
ed il Reno erano frontiere naturali della Francia, e decretò l'annessione di
tutti i paesi occupati, nel Dicembre 1792. In tal modo, essa abbandonava il
piano ideale della guerra per la liberazione dei popoli e ricalcava le orme
dell'imperialismo del Re Sole, ordinando inoltre anche l'invasione dell'Olanda.
Se la Francia Rivoluzionaria riprendeva la politica estera dell'Ancièn Regime,
era pertanto inevitabile che l'Inghilterra riorganizzasse contro di lei la
Coalizione Europea, con cui aveva stroncato il Re Sole.
La 1° coalizione europea
L'Inghilterra
venne così distolta da quella politica di pace e di riordinamento coloniale, che
essa aveva iniziato sotto l'abile guida del Ministro William Pitt, il Giovane, e
costretta a riprendere le armi contro la Francia. ed anche i propositi di
riforme interne furono soverchiati in Inghilterra dall'allarme gettato dalla
Rivoluzione Francese non solo nel Partito Tory, sostenitore del Ministro Pitt,
ma in parte degli Whigs stessi. Fu appunto un Whig, già simpatizzante per gli
Americani l'Anglo-Irlandese William Burke (1728-1797), a scrivere quelle
Riflessioni sulla Rivoluzione Francese, in cui l'ostilità alle idee
Rivoluzionarie trovò la sua più famosa espressione. Il Burke, infatti,
contrapponeva alla violenza popolare della Rivoluzione la maestosa continuità
storica della Monarchia Costituzionale Inglese, delineando una teoria organica
dello Stato, basata sull'esistenza di inevitabili e benefiche disuguaglianze:
mentre alla Corona, alla Chiesa Nazionale, all'Aristocrazia spettava dunque una
funzione nell'interesse generale, il popolo trovava anch'esso la sua funzione: sorreggendo con la sua volenterosa fiducia l'organismo statale e quindi
ricavandone anch'esso la sua parte di benefici.
All'estremo opposto del Burke
invece si posero i Radicali Inglesi, fautori di idee Democratiche la cui estrema
punta fu rappresentata da William Godwin (1756-1836). Precursore capostipite
delle posteriori idee dell'Anarchismo con la sua ricerca intorno alla Giustiza
Politica (1793). La maggioranza Parlamentare, tuttavia, fece blocco attorno al
Pitt ed ai Tories, lasciando isolati i Whigs guidati da Charles Fox, i quali
insistevano per la Riforma elettorale e per una politica amichevole verso la
Francia. L'Inghilterra assunse la funzione di guida della lotta contro la
Rivoluzione, così sul terreno ideologico, come su quello politico. Ai primi del
1793, sorgeva così la prima Coalizione Europea, comprendente - oltre
all'Inghilterra, l'Austria e la Prussia - anche la Russia, la Spagna ed il Re di
Sardegna, il Pontefice Pio VI, il Re di Napoli ed il Granduca di Toscana. La
Francia era ormai accerchiata da una formidabile cintura di avversari, nel
frattempo, la Gironda accumulava altri fatali errori nella sua politica interna.
Già essa si era attirata una pericolosa impopolarità allorché si era discussa la
sorte dello spodestato Luigi XVI. Dopo la scoperta delle prove della connivenza
di costui con il nemico, la Montagna si era fatta interprete dell'esasperazione
popolare chiedendo la condanna a morte del Sovrano. La Gironda, invece, nel
riposto pensiero che la persona del Re potesse essere utile per concludere
a migliori patti la pace con la coalizione aveva adottato una tattica dilatoria.
In questo modo, essa si era attirata i sospetti dell'opinione pubblica, avviata ormai a scorgere traditori ovunque, mentre non riusciva a salvare la testa del
Sovrano, che
difatti cadeva il
21 Gennaio
1793 sotto la
ghigliottina.
Ma soprattutto la Gironda era resa impopolare dalla sua politica economica, di
fronte alla crisi inflazionistica che, polverizzando la moneta, induceva i
produttori di derrate alimentari ad imboscarle anziché scambiarle sul mercato
con assegnati ormai privi di valore. Le masse infatti, spinte dalla fame,
reclamavano a gran voce misure di emergenza contro il mercato nero, calmieri sui
prezzi, requisizioni di viveri presso i produttori, condanne di speculatori. Il
governo invece si ostinava in una politica liberista, che, mentre favoriva gli
interessi dei più abbienti, scatenava il furore degli affamati. Contro il
moderatismo dei Girondini, la Montagna tendeva a far proprie le rivendicazioni
delle classi popolari e dei loro più potenti agitatori, o Arrabbiati,
guadagnandosi così il favore delle masse proletarie della Capitale. Bastava
ormai che i successi militari si interrompessero perché la Gironda soggiacesse
all'urto dei sansculottes e della Montagna. Ed i rovesci giunsero ai primi del
1793, allorchè Austriaci, Prussiani ed Inglesi cominciarono a buttare i Francesi
fuori dall'Olanda, dal Belgio e dal Renanio, mentre gli Spagnoli si affacciavano
sui Pirenei ed i Piemontesi sulle Alpi. Le leve ordinate dalla convenzione per
rifornire di soldati gli eserciti, esasperando i contadini, determinavano lo
scoppio di una terribile rivolta nella
Vandea
sobillata dal Clero Refrattario e capeggiata dalla Nobiltà Realista. Ad Aprile,
il Doumouriez dava il colpo finale al prestigio della Gironda cercando di
ripetere la mossa del Lafayette, cioè la marcia su Parigi per restaurare la
Monarchia, e passando subito dopo al nemico. Ancora una volta, Parigi decise la
partita con la sua insurrezione: il 2 Giugno 1793 la folla e la Guardia
Nazionale della Capitale circondavano la Convenzione, imponendo l'arresto dei
Capi della Gironda. La via era ormai aperta alla dittatura della Montagna, cioè
ad un pugno di uomini che, avendo rotto dietro di sè ogni ponte con il passato,
non aveva più altra strada che vincere con la Rivoluzione o perire con lei.
Il comitato di salute pubblica
In effetti la
situazione era spaventosa.
Il nemico avanzava da ogni parte; la Vandea in fiamme
inghiottiva uno dopo l'altro gli eserciti inviati a sottometterla, la carestia e
l'inflazione crescevano implacabilmente; in 60 dipartimenti su 83 i Girondini
sfuggiti all'arresto dopo il Colpo di Stato del 2 Giugno 1793, provocarono la rivolta
contro la convenzione. Grazie a questa rivolta gli Inglesi poterono impadronirsi
della principale base navale Francese, Tolosa, e della flotta ivi ancorata.
A
Luglio, lo stesso Marat cadde pugnalato da una fanatica Girondina, Carlotta Corday. Ma all'ostilità della Borghesia Girondina, la Montagna rispondeva
legando sempre più le masse popolari alla propria causa. Immediatamente essa
decretava la confisca dei beni degli emigrati e li metteva in vendita in modo
tale da permetterne l'acquisto ai meno abbienti; aboliva il riscatto in denaro
dei diritti feudali, che la Costituente aveva decretato dopo la Notte del 4
Agosto; faceva votare dalla Convenzione una nuova Costituzione (Costituzione
dell'Anno I della Repubblica) a carattere accentuatamente Democratico. I
contadini, in modo speciale, venivano così attratti dalla parte del nuovo
Governo. La Costituzione dell'Anno I, tuttavia, non doveva entrare mai in
vigore. Alla rivolta tendenzialmente federalistica dei dipartimenti contro la
capitale, la Montagna rispondeva infatti instaurando la dittatura centralistica
della Convenzione. La separazione del potere legislativo dall'esecutivo, o le
autonomie locali di cui tanto si era preoccupata la costituente, sparivano,
mediante l'uso adottato dalla convenzione di inviare propri rappresentanti in
missione - cioè propri membri con poteri praticamente illimitati - nei
dipartimenti malfidi o presso gli eserciti. Ai ministeri inoltre sin
dall'indomani del tradimento di
Domouriez,
la Convenzione aveva sovrapposto un "Comitato di Salute Pubblica" tratto dal
proprio seno, con funzioni di supremo controllo.
A questo primo comitato,
capeggiato dal Danton e dimostratosi impari al compito, succedeva un nuovo
comitato, presto dominato dall'inflessibile
Robespierre. Ormai la fusione del potere legislativo con quello esecutivo
sboccava sempre più chiaramente nella dittatura illimitata.
Passato giustamente
alla storia come il Gran Comitato, quest'ultimo portò insieme al vanto della
salvezza della Rivoluzione la responsabilità delle terribili misure di emergenza
che a tal fine vennero adottate.
Con sovraumana energia, esso infatti decretò
la leva in massa dei cittadini abili alle armi e ne creò dal nulla l'armamento
grazie alla capacità di uno dei suoi membri, Lazzaro
Carnot,
l'infaticabile "organizzatore della vittoria". Eliminò spietatamente i traditori,
gli inetti ed i codardi dall'ufficialità, sostituendoli con una nuova
generazione di comandanti, quasi tutti giovanissimi e provenienti da quei
sottoufficiali plebei, cui l'Ancien Regime vietava l'accesso agli alti gradi e
per i quali pertanto la causa della Rivoluzione si identificava con quella del
proprio avvenire personale.
E furono appunto questi improvvisati generali, come
lo Jourdan, lo Hoche, il Moreau, che in pochi mesi capovolsero la situazione
militare, salvando la Francia dall'invasione, prima della fine del 1793.
Intanto
il comitato cercava di affrontare il problema dell'inflazione della carestia,
imponendo il tesseramento, il blocco dei prezzi dei salari, il corso forzoso
dell'assegnato, operando requisizioni di viveri, di materiali, di braccia da
lavoro, levando imposte straordinarie sui ricchi, minacciando la ghigliottina
agli accaparratori di derrate ed agli speculatori.
Alla contro-rivoluzione Vandeana o Girondini esso opponeva il Terrore, contenendo la Vandea insorta fra
spietate esecuzioni in massa dei ribelli, schiacciando l'insurrezione Girondina
nei dipartimenti e togliendo Tolosa agli Inglesi.
I rappresentanti in missione
della Convenzione, come il Fouché, il
Barras, lo
Charlier massacravano a centinaia gli insorti a Lione, a Marsiglia ed a Nantes.
Un tribunale rivoluzionario mandava alla ghigliottina altre centinaia di veri o
supposti Controrivulozianri, di cui la terribile legge dei sospetti popolava le
carceri: Foglianti come il Bailly, Girondini, Generali Netti, Preti Refrattari,
Aristocratici, Membri della Famiglia Reale, come la Regina Maria Antonietta o il
Cugino del Re Filippo d'Orleans, cui nulla valse aver cambiato il proprio nome
in
Filippo Egalité ed aver sposato la causa Rivoluzionaria al punto di votare la
Morte di Luigi XVI.
Pur in mezzo a queste tragiche lotte, la Convenzione non
dimenticava di promuovere una legislazione, anticipatrice non di rado di quelli
che in avvenire sarebbero stati frutti delle più progredite Democrazie. Così va
ricordata la legge per l'istruzione elementare gratuita ed obbligatoria, quella
per l'abolizione della schiavitù dei negri nelle colonie, l'introduzione del
sistema metrico-decimale etc.
Il
regno del terrore
Il 5 Settembre
1793 i Parigini manifestarono nuovamente per domandare che la Convenzione
assicurasse loro il cibo a prezzi abbordabili e ponesse il terrore nell'ordine
del giorno. Capeggiata dal Comitato di Salute Pubblica, la Convenzione placò
gli animi del movimento popolare con alcune azioni decisive: ad esempio proclamò
la necessità dell'instaurazione del terrore contro i nemici della Rivoluzione e
stabilì un sistema di prezzi e controlli fiscali totalmente nuovo. La Legge dei
Sospetti diede potere ai rivoluzionari locali di arrestare coloro i quali con la
loro condotta, relazioni o esposizioni orali o scritte, avevano mostrato loro
stessi come parteggiatori della tirannia o del federalismo e nemici della
libertà: tra il 1793 ed il 1794 sotto questa Legge furono arrestati oltre 200.000
cittadini e 10.000 perirono.
Furono emanate circa 17.000 condanne a morte dalle
commissioni militari
e dai Tribunali Rivoluzionari del terrore, il 72% delle quali nelle due zone di
scontri civili più forti: il Sud-Est Federalista e la regione dell'Ovest, la
Vandea. Comunque almeno un terzo dei dipartimenti vissero tranquilli emanando al
massimo una decina di condanne a morte. Dall'inizio la mentalità terrorista
popolare aveva aiutato la Rivoluzione a decollare. I linciaggi dei nemici della
gente avevano costellato le scene della Rivoluzione ed erano culminate con le
Stragi di Settembre. Ma ora i capi della Rivolta cercavano di controllare questa
mentalità e paradossalmente il loro tentativo era quello di rendere il Terrore
qualcosa di ordinato legalizzato e legislato. Per i Giacobini più esaltati
ideologicamente come Robespierre e Saint-Just, il terrore avrebbe rigenerato la
nazione attraverso la promozione di principi come l'eguaglianza e l'interesse
pubblico: nelle loro menti esisteva un legame fra terrore e virtù: "la virtù,
senza il terrore è fatale; il terrore, senza la virtù, è più povero". Non si
fecero distinzioni: nobili, ecclesiastici, borghesi e soprattutto contadini e
operai furono condannati come renitenti alla leva, disertori, ribelli o
responsabili di altri crimini. Al clero, il gruppo proporzionalmente più
colpito, fu imposta l'abolizione del calendario giuliano, sostituito da quello
repubblicano. Il Comitato di salute pubblica di Robespierre tentò di riformare
la Francia secondo i concetti di umanitarismo, idealismo sociale e patriottismo;
nello sforzo di istituire una "repubblica della virtù", si enfatizzò la
devozione alla nazione e alla vittoria, combattendo corruzione e ribellione. Il
23 novembre 1793, la Comune di Parigi (la prima, detta anche Comune
rivoluzionaria), presto seguita in tutta la Francia, chiuse le chiese, iniziando
la predicazione della religione rivoluzionaria nota come "culto della Dea
Ragione". Ciò accrebbe le differenze tra i giacobini, guidati da Robespierre, e
i seguaci dell'estremista Jacques-René Hébert, che costituivano una forza
notevole alla Convenzione e nel governo parigino. Frattanto, la campagna contro
la coalizione antifrancese raccoglieva vittorie e respingeva gli invasori;
contemporaneamente il "Comitato di Salute Pubblica" schiacciava le insurrezioni di
monarchici e girondini.
La reazione di termidoro
Ai primi del
1794, i pericoli più gravi per la Francia erano ormai scongiurati. Ma proprio
questo allentarsi della pressione esterna rendeva più violenti all'interno i
conflitti fra i vari gruppi dirigenti della Rivoluzione, intensificando
ulteriormente il funebre lavoro della ghigliottina. Per trionfare della Gironda,
la Montagna s'era appoggiata sulle masse popolari ed aveva praticato una
politica economica d'emergenza, diretta a favorire i Sansculottes a spese della
più ricca borghesia.
Nè quest'ultima aveva reagito, fintanto che aveva
dovuto tremare per la minaccia dell'invasione esterna e della restaurazione
dell'Ancien Régime. Ma, passato il pericolo, essa chiedeva ormai un allentamento
delle misure d'emergenza e la fine del terrore, trovando i propri interpreti nei
cosiddetti Indulgenti, come il Danton ed il Desmoulins, dietro ai quali manovrava
tutto un torbido mondo di affaristi, ingrassati sulle forniture militari o sulle
speculazioni finanziarie, cui non era estranea neppure la mano dello spionaggio
Inglese, mirante ad accelerare la corsa precipitosa dell'assegnato e, con ciò,
ad aggravare il marasma interno della Francia.
Per quanto dura verso i ricchi,
però, la politica
economica della Montagna non era riuscita a dominare la situazione, così da
strappare davvero le masse alla miseria. Per quanto avesse introdotto un
rigoroso controllo statale sull'economia, il Robespierre restava anzi un
discepolo convinto degli Illuministi e quindi un fautore della proprietà
privata, nè avrebbe concepito che lo Stato potesse avocarla a sè, come più tardi
avrebbero sostenuto i socialisti. Se dunque la borghesia protestava contro la
dittatura del Robespierre per bocca degli Indulgenti, dall'altra parte,
agitatori estremisti come Hébert ed i cosiddetti Arrabbiati, minacciavano di
sollevare le masse contro lo stesso Comitato di Salute Pubblica, reclamando la
spoliazione di tutti i ricchi e spingendo la politica anticlericale della
Rivoluzione fino a travolgere lo stesso Clero Costituzionale ed arrivare ad una
vera e propria
de-cristianizzazione della Francia.
Per un certo tempo, il
Robespierre sembrò cedere alla pressione degli Héberisti e degli Arrabbiati. Per
la loro campagna antireligiosa furono chiuse la maggior parte delle Chiese
ancora aperte; si fece della Cattedrale di Parigi il Teatro di grottesche feste
in onore alla Dea Ragione, impersonata per l'occasione da una ballerina; si
sostituì il Calendario Cristiano con quello Rivoluzionario in cui si calcolavano
gli anni dalla nascita della Repubblica, si introducevano feste civili al posto
di quelle religiose e si davano nuovi nomi ai mesi, traendoli dalle vicende delle
stagioni o dai lavori agricoli.
Si approvò inoltre una legge - di cui però gli
eventi successivi avrebbero impedito l'attuazione - per la quali tutti i beni
dei sospetti sarebbero dovuti essere confiscati e distribuiti fra i Repubblicani
poveri, realizzando così un trapasso di proprietà ancora più gigantesco di
quello prodotto già dalla liquidazione dei beni del Clero o degli Emigrati. Il
Robespierre, invero, nella sua profonda onestà, detestava il losco ambiente
degli Indulgenti e contro di loro egli difendeva - come i soli mezzi per salvare
la Rivoluzione - sia la politica economica della Montagna, diretta a favorire i
Sansculottes a spese della Borghesia, sia la Dittatura della Convenzione,
assieme al Terrore, che dell'una e dell'altra era la logica conseguenza. Però
non condivideva nemmeno l'Ateismo ed il furibondo estremismo sociale dell'Hébert
o degli Arrabbiati. E quindi sfruttando la loro rivalità reciproca, riuscì a
sbarazzarsi di ambedue, mandandoli nel Marzo-Aprile 1794 alla ghigliottina.
Restato, così, solo dominatore della Francia, cercò di instaurare il culto
dell'Essere Supremo, teorizzato dal suo maestro Rousseau, e di attuare il Regno
dell'Uguaglianza e della virtù, inasprendo ulteriormente il Terrore.
La
procedura del Tribunale Rivoluzionario perdette sino le ultime parvenze di
regolarità, concedendo ai giudici di condannare gli imputati sulla base di
semplici 'prove morali' della loro colpevolezza, e centinaia di condanne a morte vennero
pronunziate nei brevi mesi di quello che passò alla storia come il Gran Terrore.
Il Robespierre, d'altra parte, non si rendeva conto del pericolo a cui si
esponeva, spingendo sempre più la Rivoluzione verso soluzioni di carattere
egualitario e chiudendosi al tempo stesso in un completo isolamento con le sue
spietate epurazioni. In seno alla Montagna medesima, troppa gente aveva fatto
fortuna rapidamente e con mezzi poco limpidi perchè i ricchi, alla fine, non
sentissero il bisogno di sbarazzarsi dell'estremismo egualitario e del
puritanesimo fanatico del Robespierre. Fra i membri della Convenzione, ormai
invasi dalla paura per se medesimi, si delineò così una congiura contro il
Robespierre, guidata da due manovrieri senza scrupoli, come l'ex Prete
Fouchè e
l'ex Visconte Barras, quantunque l'uno e l'altro, fino a poco prima, fossero
stati fra i più sanguinari terroristi.
Il 9 Termidoro (27 Luglio 1794), in una
drammatica seduta della Convenzione, costoro investirono violentemente il
Robespierre, accusandolo di volersi fare Tiranno della Francia, e ne ottennero
l'arresto. Vanamente il Comune tentò la notte seguente di liberarlo, mobilitando
i Sansculottes: stanchi, affamati, convinti che la fine del Terrore fosse anche
la fine del blocco dei loro salari, gli operai si mossero così fiaccamente che
la Convenzione potè sopraffarli senza difficoltà. La mattina seguente, il
Robespierre ed una ventina dei suoi seguaci erano mandati alla ghigliottina,
senza neppure un'ombra di processo, e la stessa sorte subivano poco dopo i
membri del Comune Rivoluzionario. Con altrettanta furia di quella che la
Montagna aveva impiegato contro i propri avversari, si scatenava adesso la
reazione della Borghesia. Congiurati di Termidoro e superstiti Girondini, usciti
dai loro nascondigli si univano in una sanguinosa persecuzione dei Montagnardi. Al
Terrore Rosso degli uni rispondeva ora il Terrore Bianco degli altri, specie nel
Mezzogiorno. I clubs dei Giacobini erano chiusi in tutta la Francia. Come
sollevati da un incubo, i nuovi potenti - avventurieri della finanza e della
politica, proprietari delle terre già appartenenti al Clero ed all'aristocrazia,
generali venuti su dal nulla attraverso rapide, stupefacenti carriere - si
accingevano a difendere con ogni mezzo queste loro fortune ed a imporle con le
armi all'Europa intera.
La rivoluzione e l'Europa
La spinta militare della Francia era dovuta,
oltre a quelli militari, anche a interessi politici ed
economici.
Per i dirigenti repubblicani la mobilitazione patriottica contro il nemico e
contro la congiura degli aristocratici serviva a cementare l'unità del
popolo, scaricando all'esterno i contrasti e le difficoltà della repubblica.
Inoltre essi dichiaravano che la conquista dei territori confinanti e la
confisca delle ricchezze dei popoli sconfitti dovevano essere ritenute una
giusta ricompensa per i sacrifici sostenuti dall'armata rivoluzionaria.
A sua volta la borghesia francese, protagonista della rivoluzione, vedeva nella
guerra contro l'Inghilterra un mezzo per contrastare lo sviluppo impetuoso delle
industrie e dei commerci britannici.
Benché
accerchiata da tanti avversari la Francia Rivoluzionaria era riuscita a vincere
le forze della Coalizione Europea. Per spiegare questi successi si deve in primo
luogo tenere conto delle innovazioni portate dalla Rivoluzione nella condotta
stessa della guerra. Gli eserciti della Coalizione conservavano le
caratteristiche di quelli dell'Ancien Regime. Erano formati, cioè, da soldati
di mestiere, e quindi da un materiale umano costoso e difficile a sostituirsi
rapidamente; comandati da ufficiali promossi in base all'anzianità, e quindi
naturalmente inclini alla prudenza; limitati nelle proprie mosse dalla
necessità di non distanziarsi dai magazzini di approvvigionamento e dalle modeste
disponibilità finanziarie dei propri governi.
All'infuori di quello Inglese
infatti i governi della Coalizione dominavano su Paesi agricoli come Prussia ed
Austria, e si appoggiavano sull'Aristocrazia fondiaria tradizionale.
Benché l'Inghilterra
accordasse loro cospicue sovvenzioni finanziarie, dunque, erano sempre a corto
di denaro, sia per la scarsezza dei capitali dei loro paesi, sia per la
necessità di non spremere troppo la classe più abbiente, cioè la nobiltà
fondiaria.
La conseguenza di ciò era una condotta di guerra quanto mai cauta e
lenta, intesa a fare economia di uomini e di denaro. La Rivoluzione invece aveva
risolto drasticamente il problema dell'arruolamento attraverso la coscrizione
obbligatoria, e quello finanziario legislativo attraverso le requisizioni del
Terrore e l'emissione illimitata degli Assegnati, aggiungendovi più tardi
l'imposizione di gravi contribuzioni di guerra e magari il saccheggio
organizzato dei territori occupati dalle sue truppe.
L'ideologia Giacobina,
infatti, si prestava a meraviglia, per giustificare queste spoliazioni
presentandole ora come misura diretta a colpire i Reazionari a vantaggio dei Sansculottes ed ora come doveroso contributo dei popoli 'liberati' alla guerra
Rivoluzionaria.
Gli eserciti della Rivoluzione quindi anzichè fare economia di
uomini e di mezzi tendevano a gettarsi allo sbaraglio, avanzando entro il
territorio nemico e risolvendo colà i propri problemi logistici: nè i loro
giovani generali, avvezzi a vedere ghigliottinati i propri colleghi timidi ed
irresoluti e prossimi invece a fulminee carriere i più audaci si preoccupavano
davvero della condotta cauta della guerra.
Sotto il loro impeto pertanto
generali e mercenari dell'Ancien Regime andavano in frantumi: già nel 1794
Belgio e Renania erano stati rioccupati dai Francesi: subito dopo anche l'Olanda
era invasa e trasformata in una Repubblica
Batava sul
modello di quella di Francia. In secondo luogo la Rivoluzione conduceva ad una
guerra ideologica di popolo, anziché ad una guerra dinastica di monarchi al modo
dell'Ancien Regime.
Per quanto brutali ne fossero le rapine, i Generali della
Rivoluzione erano profondamente convinti degli "immortali principi" dell'89
simboleggiati dal trinomio 'Libertà, Eguaglianza, Fraternità' sulle loro
bandiere. Benché arruolati con la coscrizione obbligatoria, i loro soldati erano
pure i figli dei contadini che la Rivoluzione aveva affrancato dalla nobiltà. Il
mercenario della Coalizione si batteva solo per una paga o per timore di una
punizione: il soldato della Rivoluzione sentiva di battersi per la sua propria
causa. Figlio del popolo e della Rivoluzione, anzi, l'esercito continuava anche
dopo Termidoro ad essere una Roccaforte Giacobina.
L'Europa, d'altra parte,
pullulava di simpatizzanti della Rivoluzione specie tra gli intellettuali
formati dall'Illuminismo e dai Borghesi influenzati dalle Logge Massoniche.
Taluni di questi simpatizzanti, come Vittorio
Alfieri,
erano stati presto disgustati dagli eccessi sanguinosi dei Rivoluzionari.
In
cambio la svolta Democratica rappresentata dalla Convenzione Nazionale aveva
trovati vasti consensi internazionali di cui era simbolo la presenza nella
Convenzione stessa di stranieri, quali il Tedesco Anacharsis Klootz e
l'Anglo-Americano Tom Paine.
E se questi ultimi, a loro volta, erano stati
travolti dal Terrore si delineava in cambio tutto un Giacobinismo Europeo i cui
seguaci destavano l'allarme delle Corti con il proprio fermento e si sforzavano
di favorire l'estensione internazionale della Rivoluzione.
Nel 1794, gli eserciti
Francesi, dopo aver rioccupato il Belgio e la Renania, entravano anche
nell'Olanda, i cui patrioti davano allora vita ad una Repubblica Batava
modellata su quella della Francia ed a lei alleata. Nello stesso tempo, anche in
Italia si ebbero congiure Giacobine cui i governi assolutisti rispondevano con
sanguinose repressioni.
Attivi in particolare furono i Giacobini Piemontesi come
i Fratelli Junod a Torino, lo storico Carlo Botta ed il Vercellese Giovanni
Antonio Ranza, la cui attività cospirativa venne stroncata dai Savoia con
numerose condanne a morte, tra cui quella dei Junod.
Analoghe congiure e
repressioni si ebbero nello Stato Pontificio, ove un fallito moto insurrezionale
a Bologna costò la vita ai Patrioti Zamboni e De Rolandis; nel Regno di Napoli,
ove la cospirazione trovò alimento in ambienti Massonici e fu schiacciata con
centinaia di arresti e le condanne a morte di Emanuele De Deo, Vincenzo
Vitaliani e Vincenzo Giuliani; in Sicilia ove salì il patibolo il Giurista
Democratico Francesco Paolo Di Blasi (1795). In Sardegna, si ebbe inoltre
un'insurrezione anti-feudale, capeggiata da Gian Maria Angioy che tenne in
fermento l'isola per qualche anno.
La lotta della Francia contro la Coalizione
insomma, anziché come una lotta fra Stati si configurava come una Guerra Civile
Europea in cui i Francesi potevano contare su larghe simpatie all'interno degli
Stati stessi con cui si battevano. In terzo luogo, infine, mentre la Francia era
tutta impegnata nella Guerra Rivoluzionaria, le potenze della Coalizione avevano
anche altro obiettivi da perseguire, per cui non di rado si trovavano in
contrasto reciproco.
Austria, Prussia e Russia avevano da sorvegliare la Polonia
i cui Patrioti tentavano di trasformare l'anacronistica struttura del loro Regno
in una Monarchia Costituzionale, svincolata da ogni ingerenza straniera. Mentre
l'Austria, dunque, era impegnata con la Francia, Prussia e Russia, avevano operato
la Seconda Spartizione della Polonia (1793).
I Polacchi tentavano la riscossa,
guidati da un veterano della Rivoluzione Americana, Taddeo Kosciusko, ma erano
battuti dai Russi del generale Suvaroff, ed Austria, Russia e Prussia finivano
per spartirsi tra di loro l'infelice paese per la terza volta nel 1795. La
questione Polacca provocava però tanta gelosia tra le Corti di Vienna e di
Berlino, che la Prussia faceva pace con la Francia, abbandonando i territori
sulla sinistra del Reno pur di avere mano libera in Polonia. Analogo conflitto
si delineava tra l'Inghilterra, desiderosa di assicurare alle sue esportazioni
il mercato delle immense Colonie Spagnole d'America, e la Spagna, intenzionata
viceversa a conservare il proprio monopolio coloniale. Anche la Spagna pertanto
faceva pace con la Francia e nel 1796 si alleava addirittura con lei,
consentendo così alla Repubblica di sfruttare le non trascurabili forze di mare
Spagnole, oltre a quelle dell'Olanda, già ridotta in Stato di vassallaggio.
IL
DIRETTORIO
La situazione
interna della Francia si manteneva viceversa assai grave.
I Termidoriani,
abbattendo il Robespierre, si erano illusi di tornare ad un regime di libertà e
normalità. Ed in effetti per reazione al Puritanesimo fanatico dei
Robespierristi, la Francia aveva assistito dopo Termidoro ad un allentarsi
generale di tutti i freni: i nuovi ricchi ostentavano sfrontatamente la propria
sete di piaceri e di facili guadagni: un clima di scandali e di affarismo
dilagava, fatto di notorie ruberie di fornitori militari, di tracotante
indisciplina di generali e di sfacciata venalità degli uomini politici: il crollo
della Montagna e quindi della politica economica del Terrore lasciava il campo
alla speculazione, portando al massimo l'inflazione e la corsa dei prezzi. Ma le
masse popolari affamate tornavano ad ascoltare i superstiti Giacobini, sognanti la
riscossa contro i Termidoriani, mentre gli elementi più moderati tornavano a
vagheggiare la Monarchia, come l'unico mezzo per uscire dal caos.
Stretti dalla
minaccia Giacobina da una parte e da quella monarchica da un'altra, i
Termidoriani erano costretti perciò a ricorre alla forza per mantenersi al
potere sbandando alternativamente da un estremo all'altro.
Nel 1795, infatti, la Convenzione domava una rivolta degli operai Parigini con 9
condanne a morte di ex Montagnardi ed una sterzata verso la destra Monarchica,
per cui il Terrore Bianco giungeva al colmo nel Mezzogiorno ed il feroce Anticlericalsimo degli anni precedenti cedeva ad un Regime di separazione tra
Stato e Chiesa che alla fine permise la ripresa del culto Cattolico.
Ma allora
l'agitazione Monarchica, accompagnata da una recrudescenza della rivolta in Vandea si fece tanto minacciosa, che la Convenzione sterzò in senso opposto,
facendo massacrare i Vandeani dalle sue truppe ed elaborando una Costituzione
dell'Anno III, intesa a consolidare il Regime Repubblicano su posizioni
Conservatrici. Con questa, cioè, il sistema Democratico del suffragio Universale
era abbandonato di nuovo per quello del suffragio ristretto ai soli abbienti,
mentre il potere esecutivo era daccapo distinto da quello legislativo, per
evitare la ripetizione della Dittatura Rivoluzionaria della Convenzione: l'uno
per tanto era affidato ad un direttorio di 5 membri e l'altro ad un consiglio
dei 500 ed un consiglio degli anziani. E poichè i realisti tentavano di impedire
l'entrata in vigore della nuova Costituzione minacciando la rivolta, la
Convenzione affidò la propria difesa al Barras che il 13 Vendemmiale (5 Ottobre
1795) faceva mitragliare i Monarchici insorti dai cannoni del Generale
Napoleone
Bonaparte.
Ma, schiacciato il pericolo Monarchico a destra, risorgeva puntualmente quello Giacobino a sinistra. Nei quartieri popolari di Parigi,
invero, si faceva strada la propaganda del giornalista Francois
Babeuf
(1760-1796) noto sotto lo pseudonimo Caio Gracco e dell'oriundo Italiano Filippo
Buonarroti
(1761-1837), che già superavano le posizione stesse della Montagna, reclamando
non solo l'eguaglianza politica, ma altresì l'eguaglianza economica dei
cittadini. Essi affermavano cioè che i lavoratori, costituenti l'enorme
maggioranza del popolo erano sfruttati da una minoranza di capitalisti:
proponevano perciò l'abolizione della proprietà privata e la gestione dei mezzi
di produzione da parte dello Stato che ne avrebbe diviso il ricavato fra tutti i
cittadini in ragione dei loro bisogni. Il direttorio, pertanto, schiacciò la
Congiura degli Uguali promossa dal Babeuf e dal Buonarroti per attuare le
proprie idee, mandando l'uno a morte ed incarcerando l'altro con altri compagni
(1796). Anche questo, però, servì soltanto ad incoraggiare i Monarchici i quali,
nelle elezioni dell'Aprile 1797 riportavano un tale successo che il Direttorio
fece appello allo spirito Repubblicano dell'esercito e mercé il suo appoggio
procedette al Colpo di Stato del 18 Fruttidoro, per cui una quantità di elezioni
furono annullate arbitrariamente e parecchi esponenti monarchici furono
decapitati o deportati. L'opinione pubblica cominciava ad assuefarsi al sistema
dei Colpi di Stato ed al periodico intervento dei militari nella politica. E
proprio questa fatale assuefazione avrebbe finito un giorno per aprire la via
del potere ad un Generale vittorioso.
Napoleone Bonaparte e la Campagna D'Italia
Le difficoltà
del Direttorio erano accresciute dalla caotica situazione delle finanze
francesi, nonostante gli sforzi che il Direttorio stesso aveva compiuto per
ricostruire l'apparato fiscale e liberarsi dalla massa esorbitante della
circolazione cartacea. Ma proprio queste difficoltà interne spingevano il
Direttorio ad una politica bellicosa: una vittoria militare gli appariva infatti
come il solo modo per consolidare il proprio prestigio rispetto a Monarchici e
Giacobini e per risolvere il problema finanziario con le contribuzioni dei paesi
occupati. Ai primi del 1796, pertanto, l'infaticabile Lazzaro Carnot, che
manteneva in seno al Direttorio le sue funzioni di direttore militare,
progettava un'offensiva di grandi proporzioni, mediante due eserciti, agli
ordini dei Generali Jourdane e Moreau, che avrebbero dovuto invadere la Germania
e puntare su Vienna.
Un terzo esercito, con forze minori, avrebbe dovuto
facilitare questo piano, tenendo impegnate in Italia le forze del re di Sardegna
e parte di quelle Austriache.
Data la modestia del suo compito, questo esercito venne affidato al giovanissimo
ed ancora oscuro Generale Bonaparte, di cui il Barras voleva compensare i
servigi resi in occasione della Rivolta Monarchica del 13 Vendemmiale.
Napoleone Bonaparte era un tipico generale della Rivoluzione. Aveva potuto diventare
ufficiale di artiglieria già sotto l'Ancien Régime, in quanto la Monarchia di Francia, dopo l'annessione dell'Isola Corsa dove Napoleone era nato, cercava di
guadagnarsi le simpatie della stessa isola e più segnatamente della sua
Aristocrazia, classe del Bonaparte.
Le condizioni economiche della sua famiglia
erano però misere e così Napoleone aveva passato anni di vera povertà fino a
quando la Rivoluzione non venne a strapparlo dall'oscurità. Divenne amico dei
più fervidi Giacobini e partecipò all'assedio di Tolone contro i Girondini e gli
Inglesi con il grado di Capitano, e quivi si era cosí distinto da meritarsi la
nomina di Generale ad appena 24 anni.
La Reazione di Termidoro lo aveva
nuovamente posto da parte ma riuscì comunque ad entrare a far parte dei salotti
dei Nuovi Ricchi di Termidoro e giunse fino a sposare una Signora assai più
anziana di lui e dal passato notoriamente burrascoso: Giuseppina Beauharnais,
vedova di un Generale ghigliottinato dal Terrore. A questa donna fu tra l'altro
attribuita anche una relazione con il Barras che colse l'occasione per far
riemergere Napoleone nella rivolta del 13 Vendemmiale ed assicurandogli il
comando dell'Esercito d'Italia. Questo era ridotto a 36000 uomini armati male ed
equipaggiati peggio, avvezzi a vivere di rapina, con una disciplina molto
approssimativa ed il morale a terra dopo sconfitte contro nemici troppo più
forti di loro.
Ma bastò che il Bonaparte ne assumesse il comando perchè questo
esercito cambiasse marcatamente volto ed iniziasse una delle più stupefacenti
avventure della Storia Europea.
La politica dinastica dell'Ancien Regime già
minava sordamente lo schieramento Austro-Sardo con le sue eterne diffidenze
reciproche.
Se Vienna infatti sospettava che il Re Vittorio Amedeo III
(1773-1796) volesse imitare i voltafaccia dei Savoia nelle guerre del '700,
accordandosi con i Francesi per strappare agli Austriaci Milano, anche Torino
sospettava l'Imperatore d'Austria di voler trarre profitto dalla guerra per
ritogliere allo Stato Sabaudo i territori fra la Sesia ed il Ticino, guadagnati
dai Savoia nelle guerre di Successione.
Ma a far precipitare le cose
sopravvennero le manovre fulminee del Bonaparte che nel Marzo del 1796 si
incuneava fra i Sardi del Generale Colli a gli Austriaci del Beaulieu, isolando
i primi e battendoli in una serie rovinosa di scontri.
Poche settimane bastavano
ad indurre Vittorio Amedeo III a disertare il Campo della Coalizione ed a
firmare l'armistizio di Cherasco (28 Aprile), cedendo Nizza e Savoia alla Francia
e consentendo al Bonaparte di trasformare il Piemonte in una base di operazioni
contro la Lombardia.
Subito dopo, anche il Beaulieu era aggirato, sbaragliato a
Lodi (10 Maggio) e costretto a rinchiudersi nella piazzaforte di Mantova.
Restati alla mercè del vincitore, i Duchi di Parma e di Modena, le Repubbliche
di Genova e di Lucca, il Granduca di Toscana ed il Pontefice erano costretti ad
implorare pace, aprendo i loro territori alle truppe Francesi, pagando grosse
contribuzioni di guerra e cedendo opere d'arte e manoscritti preziosi, che il Bonaparte si affrettava a spedire a Parigi, per abbagliarla con la testimonianza
dei propri trionfi.
Il Re di Napoli usciva a sua volta dalla Coalizione.
Un
tentativo di sbloccare Mantova, compiuto da un esercito Austriaco del Würmser,
era stroncato fra il Luglio ed il Settembre in una serie di scontri allo sbocco
delle Valli Alpine, e la stessa sorte subiva a Novembre un tentativo del
Generale Alvinczy, dopo tre giorni di furiosi combattimenti attorno ad Arcole.
Intanto la folle Oligarchia Veneziana, che sperava di salvarsi
chiudendosi in un'inerte neutralità, vedeva il proprio territorio corso a gara
da Austriaci e Francesi, ed il Pontefice, che tentava di riprendere la guerra,
era nuovamente sconfitto e subiva patti ancor più duri nella Pace di Tolentino
del Febbraio 1797, per cui cedeva definitivamente Avignone e le Legazioni di
Bologna e Ferrara. Nello stesso mese, anche Mantova si arrendeva.
Il risveglio dell'Italia sulla scia di Napoleone
Dietro alle
truppe del Bonaparte avanzavano le idee della Rivoluzione. I patrioti Italiani
infatti cercarono in un primo di tempo di seguire le orme dei loro cugini
d'oltrealpe stampando opuscoli e cercando di diffondere le nuove idee di
libertà ed uguaglianza. Ciò nonostante fu proprio il Napoleone a dar loro le
prime delusioni: i suoi modi erano sì geniali ma certo non molto delicati e le
sue ruberie unite alle incitazioni del Clero e dei sostenitori dell'Antico
Regime, provocava in vari luoghi rivolte popolari soffocate con il sangue.
Ad
ogni modo la miccia in Italia era stata accesa e la Rivoluzione Francese stava
per esportare i primi frutti.
I patrioti Italiani che avevano acclamato il Bonaparte come liberatore, subivano tosto una amara delusione. Nella Pace di
Campoformio con cui si chiudeva la guerra contro l'Austria, l'ideologia
Rivoluzionaria della fraternità dei popoli, cedeva daccapo alla cinica Ragion di
Stato tradizionale.
La Francia perciò, in cambio della cessione del Belgio e di
Milano, consentiva agli Asburgo di annettersi la maggior parte del territorio
della Repubblica Veneta, compresa la stessa Venezia, sacrificando senza
esitazione i patrioti Italiani. Intanto però i territori della Transpadana e
Cispadana si riunivano nella Repubblica Cisalpina, il primo embrione di Stato
Nazionale Italiano con una propria amministrazione, un proprio esercito, un
proprio tricolore. Si venne così a creare un vasto spazio economico unitario
sostituito al frazionamento anteriore: il suo centro, Milano, ricca di traffici
e di vita intellettuale, si avviava a svolgere la funzione di capitale morale
dell'Italia intera. Intanto, mentre Napoleone era impegnato nella Campagna
d'Egitto per fiaccare gli Inglesi, il Direttorio, senza badare al rischio cui si
esponeva, continuava le proprie avventure, invadendo la Svizzera, trasformata in
Repubblica Elvetica (Marzo 1798), e cacciando tutti i Monarchi d'Italia.
Savoia
e Borboni ripararono gli uni in Sardegna e gli altri in Sicilia, sotto la tutela
delle flotte Inglesi: Pio VI era tradotto in Francia, ove si spense in
prigionia. A Roma sorse una Repubblica Romana (Febbraio 1798), a Napoli, una
Repubblica Partenopea (Gennaio 1799); il Piemonte fu annesso alla Francia.
Il colpo di stato del 18 brumaio
Una brillante
vittoria del Generale Massenna a Zurigo salvò nel Settembre 1799 la Francia
dall'invasione dei Russi. Ma le sconfitte avevano talmente screditato il Regime
del Direttorio, che tutti ne attendevano prossima la caduta.
Il Bonaparte,
allora, lasciando disinvoltamente il suo Esercito d'Egitto, ormai votato a
sicura catastrofe, se ne tornò solo in Francia e quivi si accordò con un gruppo
di politicanti, desiderosi di salvarsi dall'imminente naufragio del Direttorio,
fra cui il vecchio Sieyés, l'ex Vescovo Talleyrand, divenuto intanto il miglior
diplomatico della Francia, ed il losco Fouchè sempre pronto ad ogni intrigo.
Un
colpo di Stato, preparato da costoro, ed eseguito da truppe fedeli a Napoleone, abbattè quindi, il 18 Brumaio (9 Novembre), il Direttorio e portò ad una nuova
Costituzione (Costituzione dell'Anno VIII), elaborata dal Sieyés, che,
attraverso una macchinosa e complicata struttura, serviva in realtà a sanzionare
la Dittatura personale del Bonaparte stesso ed il predominio di notabili,
espressione della ricca Borghesia.
--> Il potere esecutivo era affidato ad un
Consolato di 3 membri, di cui però uno, cioè il Bonaparte, col titolo di primo
console era in pratica arbitro di ogni decisione.
--> Il potere legislativo era
spartito tra vari organi: un Consiglio di Stato, che preparava le leggi, un
Tribunato, che le discuteva senza facoltà di votarle, un Corpo legislativo, che
le approvava senza facoltà di discuterle, nonchè un Senato Conservatore. I loro
membri, però, anzichè eletti dai cittadini, erano nominati dall'Esecutivo, in
base a lista di nobiltà, sulla cui compilazione, al solito, il Governo aveva
voce definitiva.
--> Il potere Giudiziario toccava ai Magistrati di nomina
Governativa anzichè Elettiva.
Il Governo infine era arbitro delle
amministrazioni locali di cui nominava i maires nei Comuni ed i prefetti nei
Dipartimenti. Poteri ampissimi spettavano poi al Ministero di Polizia, affidato
a quel Fouchè, che giustamente fu detto il 'Genio Tenebroso' del Regime
Napoleonico.
La Francia, dopo, aver tentato invano di
diventare una Monarchia Costituzionale di stampo Inglese, poi una Repubblica
Democratica di stampo Americano, tornava ai sistemi autoritari dell'Ancien
Régime, pure conservando della Rivoluzione tutti gli spostamenti di fortune e
l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e davanti al fisco. Ma proprio
questo assicurava la Borghesia Repubblicana minacciata dalla riscossa dei
Giacobini e Monarchica ed appagava insieme quegli ambienti conservatori, che
sinora guardavano con nostalgia al passato Monarchico. Completava questo successo la fine dell'anarchia
monetaria, mediante la creazione di una Banca di Francia, controllata dallo
Stato, e la stabilizzazione del Franco Francese. Il rialzo dei titoli di rendita
che si verificava allora nella Borsa di Parigi dava eloquentemente la misura
della fiducia che il nuovo Regime destava nei ceti abbienti.
Subito dopo, il Bonaparte scese in Italia e lanciò il Moreau in Germania. Una folgorante
vittoria del primo a Marengo (Giugno 1800). Ed un ancor più risolutivo successo
del secondo a Hohenlinden (Dicembre) bastavano a terminare la guerra,
costringendo l'Austria a firmare la Pace di Lunèville (1801), con cui essa
rientrava nelle frontiere di quella di Campoformio. La Francia pertanto tornava
ad annettersi il Belgio e resuscitava la Repubblica Batava in Olanda e quella
Elvetica in Svizzera.
In Italia essa recuperava il Piemonte, donde i Savoia
fuggivano daccapo in Sardegna, e resuscitava la Repubblica Ligure e la
Cisalpina. Quest'ultima nominava il Bonaparte suo Presidente e cambiava il
proprio nome in Repubblica Italiana, quasi a permettere ai nostri Patrioti il
prossimo compimento dell'Unità Nazionale.
La Toscana, eretta in Regno d'Etruria, era
consegnata al Duca di Parma, Cognato del Re di Spagna, di cui il Bonaparte voleva
premiare la lunga fedeltà: il Territorio Parmense, viceversa, era annesso pure
alla Francia.
Le
"repubbliche sorelle" italiane
L'ingresso dell'esercito napoleonico in Italia e le vittorie sui Piemontesi e
sugli Austriaci favorirono la nascita di alcune "repubbliche sorelle" che si
ispiravano agli ideali e alle conquiste della rivoluzione francese. Nel dicembre
del 1796 le popolazioni di Reggio, Modena, Ferrara e Bologna proclamarono la
Repubblica cispadana, che per prima adottò come emblema il tricolore bianco,
rosso e verde. La Cispadana, però, ebbe breve vita, perché nel luglio del 1797
fu sciolta e aggregata assieme alla Romagna e ad alcuni territori veneti e
toscani alla Repubblica Cisalpina, sorta in Lombardia, con capitale Milano. Nel
1798 le truppe francesi conquistarono Roma e deposero il papa Pio VI, poi
deportato in Francia; Lazio, Umbria e Marche furono riuniti nella Repubblica
Romana.
Infine nel gennaio del 1799 a Napoli, in seguito alla penetrazione dell'esercito
napoleonico nell'Italia centrale e meridionale, nacque la Repubblica Napoletana
(o partenopea).
Le repubbliche italiane ebbero, come vedremo, una vita molto breve perché furono
tutte abbattute nel 1799. Tuttavia riuscirono a darsi delle costituzioni simili
a quella francese e presero importanti provvedimenti economici e civili:
l'abolizione dei privilegi fiscali, la riforma del sistema giudiziario con
l'introduzione dei codici napoleonici e la confisca e la vendita delle proprietà
della Chiesa.
Il dibattito politico e l'attività dei giacobini italiani
Fin dai primi anni della rivoluzione francese, le notizie degli avvenimenti e le
nuove idee rivoluzionarie provenienti da Parigi si erano diffuse in Italia,
malgrado la rigida censura e i controlli imposti dai sovrani degli stati
italiani. Si formarono così anche nel nostro paese gruppi di giacobini
appartenenti soprattutto alle classi urbane (intellettuali, professionisti,
borghesi) che erano stati già sensibilizzati dalle idee dell'Illuminismo.
Nel biennio 1792-1793 questi gruppi organizzarono insurrezioni e congiure in
diverse regioni, che furono tutte scoperte e si conclusero con condanne a morte.
Il programma dei giacobini italiani, tra i quali spiccava Filippo Buonarroti,
affrontava alcuni problemi che diventeranno centrali nella prima metà
dell'Ottocento, durante il Risorgimento:
-La difesa delle libertà democratiche,
- il problema dell'unità e dell'indipendenza nazionale,
- l'istruzione e
l'educazione delle masse contadine e proletarie per legarle alla repubblica e
alla democrazia,
- l'esigenza di rinnovare tutte le forme
tradizionali della cultura e della vita civile.
La reazione dei sanfedisti
L'arrivo delle truppe francesi e la nascita delle repubbliche italiane trovarono
l'appoggio entusiastico dei giacobini italiani, ma furono seguiti anche da
un'ondata di insurrezioni controrivoluzionarie in tutta l'Italia.
Particolarmente violenta fu la reazione nel sud, dove si formò un esercito di
"sanfedisti", formato da contadini, popolani e anche briganti che combattevano
in nome della santa fede e dei Borboni contro la Repubblica partenopea.
Nel 1799 l'esercito sanfedista, appoggiato da una flotta inglese, abbatté la
Repubblica partenopea riportando sul trono Ferdinando VI di Borbone, le cui
truppe ristabilirono il governo pontificio sui territori romani.
Intanto un esercito austro-russo, approfittando del ritorno di Napoleone in
Francia, era avanzato nella pianura Padana, mettendo in difficoltà la Repubblica
Cisalpina. Ma la minaccia fu respinta da Napoleone il quale nel 1800 sconfisse
gli Austriaci a Marengo e nel 1802 trasformò la Repubblica cisalpina nella
Repubblica italiana.
Le cause delle rivolte antigiacobine
Per quali ragioni molti Italiani, in particolare i contadini del sud, si erano
ribellati ai Francesi e alle repubbliche giacobine italiane?
Alla maggioranza della popolazione suonavano insignificanti le richieste di
libertà e costituzione rivendicate dai rivoluzionari giacobini, i quali
appartenevano soprattutto al ceto borghese più colto delle città.
D'altra parte la vendita delle proprietà feudali della Chiesa e della nobiltà
spesso fu condotta con lentezza e ad avvantaggiarsene furono soprattutto i
proprietari borghesi, più che i braccianti senza terra.
I contadini avevano anche un forte attaccamento alle tradizioni e alla
religione, e quindi guardavano con sospetto i rivoluzionari e le loro idee
anticlericali, soprattutto dopo la deportazione del papa in Francia; e questi
sentimenti popolari erano abilmente sfruttati dall'aristocrazia e dal clero che
spesso guidarono le rivolte sanfediste.
Infine non dobbiamo dimenticare che i soldati francesi spesso si comportavano
più come dei conquistatori che come dei liberatori, perché requisivano i
prodotti agricoli, saccheggiavano le abitazioni, distruggevano i raccolti
durante le battaglie.
Nell'Italia settentrionale le rivolte antifrancesi furono organizzate anche da
giacobini che aspiravano all'unità d'Italia e che quindi rifiutavano la nascita
di repubbliche "sorelle", cioè di fatto sottomesse alla Francia. La delusione
dei patrioti era cresciuta dopo il trattato di Campoformio, con il quale
Napoleone aveva ceduto la Repubblica di Venezia all'Austria; era sorta così la
"Società dei raggi"; una società segreta che nel 1799 aveva organizzato
insurrezioni nell'Italia settentrionale, in nome dell'unità e dell'indipendenza
dell'Italia.
In
Europa
L'Inghilterra nel frattempo aveva conquistato Malta e costretto
alla resa i Francesi in Egitto. Ma la fiducia tributata dalla Borghesia Francese
al Primo Console si propagava a quella Inglese facendole sperare una lucrosa
ripresa dei traffici con la Francia.
Cadeva pertanto il Ministero Pitt e si
arrivava alla Pace di
Amiens nel
1802, per cui l'Inghilterra guadagnava l'Isola di Trinidad, tolta alla Spagna
e quella di Céylon in Asia tolta all'Olanda promettendo in cambio di
evacuare Malta e l'Egitto. Poco dopo anche la Germania subiva un rimaneggiamento
per cui il numero dei suoi Stati si riduceva ad 83 con la soppressione di una
quantità di feudi e città libere a vantaggio della Baviera, del Baden e del
Württenberg, vassalli della Francia, nonchè della Prussia, che in tal modo era
compensata della neutralità da essa mantenuta durante la guerra della II
Coalizione.
In conclusione il Bonaparte appagava il voto dei Francesi anelanti
alla pace ma desiderosi altresì di mantenere le conquiste della Rivoluzione,
cioè le 'frontiere naturali', nel Belgio, sul Reno e sulle Alpi, nonchè la
cintura di Repubbliche Vassalle, che delle 'frontiere naturali' costituivano la
salvaguardia, ed una posizione egemonica sia in Italia che in Germania.
|