LA RIFORMA PROTESTANTE
-
Nel corso del Medioevo la Chiesa diede spesso grande importanza non solo alla
sua missione spirituale, ma anche al potere, alle ricchezze, alla politica.
A causa del crescente bisogno di denaro per il mantenimento della corte e
l’abbellimento di Roma, alcuni pontefici incoraggiarono la vendita delle
indulgenze. Organizzata da banchieri e affidata a spregiudicati banditori, essa
divenne via via più scandalosa. In particolare sollevò forti proteste quella che
ebbe luogo per finanziare la costruzione della nuova basilica di San Pietro nel
1517.
Contro lo scandalo delle indulgenze levò la sua protesta il tedesco Martin
Lutero. Egli scrisse 95 tesi contro la Chiesa di Roma. Inoltre tradusse in
tedesco e fece stampare la Bibbia, per renderla comprensibile a tutti nel 1534.
Lutero negava la possibilità di salvezza dell’anima ottenuta in cambio di denaro
(indulgenza) e sosteneva la predestinazione, negando perciò il libero arbitrio.
Inoltre Lutero sosteneva la libera interpretazione dei testi sacri e quindi
l’inutilità della Chiesa come organizzazione.
Le idee di Lutero ebbero uno straordinario successo. La Bibbia in tedesco si
diffuse fra il popolo. Svariati principi tedeschi lo appoggiarono, sia contro le
pretese della Chiesa cattolica in materia di tasse sia contro l’autorità
dell’imperatore cattolico Carlo V. Ne seguì una lunga guerra contro
l’imperatore. Nel 1555 la pace di Augusta riconobbe solo per i sovrani il
principio della libertà di religione: i popoli dovevano adeguarsi alla scelta
religiosa del proprio re. Alcuni stati della Germania abbracciarono la religione
protestante, altri rimasero cattolici.
In alcuni paesi ebbe successo la riforma di Calvino (1536), basata sulla
dottrina della predestinazione e su un forte rigore morale. I calvinisti furono
chiamati ugonotti in Francia e puritani nel mondo anglosassone. In Inghilterra il re Enrico VIII si staccò dalla Chiesa cattolica per motivi
politici. Desiderava infatti ottenere il divorzio dalla moglie, la spagnola
Caterina d’Aragona, ma il pontefice, che non voleva inimicarsi la Spagna, non lo
concesse. Il sovrano inglese la considerò un’offesa contro la sua autorità. Nel
1534 fece perciò approvare l’Atto di supremazia, con il quale decretava la
separazione dalla Chiesa di Roma e la nascita della Chiesa anglicana, di cui il
re era il capo.
IL
PROBLEMA DELLA RIFORMA DELLA CHIESA -
Già prima della ribellione di Lutero il problema della riforma della Chiesa era
considerato molto importante da molti cristiani. Forti si erano state le
richieste di un risanamento morale.
Per molti si trattava di una riforma morale, per altri invece, la riforma doveva
sconvolgere le strutture fondamentali della Chiesa stessa.
Dopo i concili di Costanza e Basilea molti erano favorevoli a considerare
l'autorità dell'assemblea dei vescovi superiore a quella del papa. In Francia si
era inclini alla strutturazione di una chiesa nazionale diretta dai vescovi e
controllata dal re.
Princìpi analoghi erano diffusi anche fuori dalla Francia, e diverse erano le
voci che consideravano il papa un usurpatore delle prerogative vescovili e un
oppressore dell'autonomia delle chiese locali.
Ancora più estreme erano le posizioni di Giovanni Wycleff (1330-1384) e Giovanni
Huss (1369-1415). Essi sostenevano che l'autorità in materia di fede consisteva
nella Scrittura, invece che nel magistero papale, che la redenzione dell'uomo
avveniva per fede nell'interno della coscienza di ciascuno, indipendentemente
dalla minuziosa osservanza di pratiche esteriori, ed auspicavano un ritorno alla
semplicità apostolica.
Dalla metà del sec. XV, tuttavia, le correnti conciliaristiche (coloro che
consideravano il Concilio superiore al papa) ed i seguaci del Wycleff e dello
Huss sembravano avere perduto qualsiasi importanza.
Gli hussiti sopravvivevano ancora in Boemia, il tentativo compiuto da Luigi XII
di radunare un concilio antipapale (1511) era caduto miserevolmente tra
l'indifferenza generale.
A far scattare la Riforma non sarebbero stati, perciò, questi movimenti di base,
ma altre circostanze di carattere spirituale e materiale nei primi del
cinquecento.
In primo luogo il vasto rinnovamento spirituale mosso da Erasmo e da altri
umanisti. Esso aveva esercitato profonda influenza nella coscienza religiosa
degli ambienti più colti di Europa, diffondendovi un desiderio di rinnovamento
spirituale, ma anche un certo fastidio nei confronti della vecchia scolastica e
l'avversione per l'ignoranza e i vizi del clero. Forte era anche in quegli
ambienti l'interesse per lo studio del Nuovo e del Vecchio Testamento e la
tendenza a portare in quest'ultimo il metodo critico introdotto da Lorenzo Valla
e da altri umanisti italiani.
In secondo luogo il malcontento per la politica papale. Roma del Rinascimento
era più la capitale di sovrani temporali, amanti del mecenatismo e pronti a
combattere i propri avversari con tutte le armi disponibili, che non un faro di
fede e di spiritualità. I papi rinascimentali avevano dato spettacolo di
nepotismo e di mondanità.
Inoltre occorre ricordare che la Chiesa era un fenomeno molto importante anche
sul piano economico. In ogni nazione il clero possedeva grandi ricchezze che
facevano gola ai principi e ai potenti. Le spese di Roma per il fasto, le guerre
e la costruzione di splendidi monumenti succhiavano somme enormi da tutta la
cristianità.
Da tempo era in atto una guerra tra le monarchie europee ed il Papato attorno al
diritto di proprietà e di sfruttamento delle rendite ecclesiastiche.
Nei paesi come la Germania, dove l'autorità dello stato era meno solida che in
Francia o in Inghilterra, le esazioni di denaro da parte di Roma aumentavano
insieme con l'indignazione delle popolazioni, per le ingenti ricchezze che
andavano ad alimentare il fasto di una corte che sembrava aver perso il diritto
di considerarsi una guida morale e spirituale per la cristianità.
Ma anche negli stati in cui la monarchia manteneva in pugno il controllo delle
rendite della Chiesa la ricchezza del clero e l'estensione dei suoi possessi
territoriali creavano gelosie e malumori. Dati i legami esistenti fra l'alto
clero e le classi più elevate della società, ogni aspirazione riformatrice
acquistava carattere politico ed economico.
MARTIN LUTERO -
Nato ad Eisleben nella Sassonia, da genitori di modesta origine, fattosi monaco
agostiniano e quindi salito alla cattedra di teologia dell'università di
Wuttenberg, Martino Lutero aveva poco sentito l'influsso dell'umanesimo di
Erasmo, verso cui nutriva antipatia, né aveva il temperamento del predicatore
politico.
Monaco austero e disciplinato era stato a lungo travagliato da un profondo
dramma religioso.
Pur seguendo le regole del suo ordine, il pensiero dell'indegnità dell'uomo, di
fronte a Dio, lo atterriva, e gli sembrava impossibile sottrarsi all'eterna
dannazione. A questa crisi non trovava soluzione nella teologia scolastica
tradizionale. Cercò dunque una risposta al problema nella meditazione degli
scritti di Paolo e di Agostino.
Da questi trasse la convinzione che la salvezza è il frutto non delle opere
dell'uomo, ma esclusivamente della grazia di Dio, ricevuta con la fede, di cui
le opere sono la conseguenza esteriore.
La dottrina di Martino Lutero si distaccava da quella del magistero papale.
Per Lutero la salvezza è frutto di una rigenerazione totale della personalità
del credente, ricevuta per fede dalla Grazia divina, per la Chiesa cattolica
l'uomo deve collaborare all'opera della salvazione con le proprie opere, che lo
rendono degno del sacrificio di Cristo. Le buone opere che l'uomo compie hanno
per la Chiesa tanta importanza che non valgono soltanto alla sua salvezza
finale, ma anche alla remissione delle pene che l'anima dovrebbe subire nel
Purgatorio. Le buone opere, anzi, possono essere compiute anche per la
liberazione delle anime del Purgatorio. La Chiesa, infatti, disponendo del
tesoro infinito dei meriti di Cristo e dei Santi, può concedere l'indulgenza
delle pene del Purgatorio, proprie e altrui, a tutti coloro che le scontino con
atti di pentimento, penitenze, pellegrinaggi, cerimonie religiose, offerte in
denaro ed in beni alla Chiesa ecc.
Egli insegnava già da qualche tempo nei suoi corsi universitari la teoria della
giustificazione per fede quando fu sottratto alla sua cattedra e imposto
all'attenzione del mondo dalla questione delle indulgenze.
LE INDULGENZE -
La vendita di indulgenze per la liberazione delle anime del Purgatorio, da parte
della Chiesa, era divenuta pratica costante ed aveva provocato anch'essa un
generale abbassamento di livello spirituale. Essa aveva assunto il carattere di
una vera e propria transazione finanziaria, un comodo espediente per fare
denaro.
Predicatori grossolani convincevano le folle che il pagamento di una somma fosse
sufficiente all'indulgenza, le banche lucravano forti guadagni prendendo in
appalto la vendita delle indulgenze.
Gli stessi principi esigevano una percentuale sulle vendite delle indulgenze per
dare l'autorizzazione.
Una concessione di indulgenze fu annunziata nel 1514 da Leone X. In Germania l'intromissione della banca Fugger e la rozzezza del predicatore GIOVANNI TETZEL,
cui venne commesso l'incarico di bandirla, finirono per ridurla ad uno
spettacolo tutt'altro che edificante.
Martin Lutero volle protestare contro il Tetzel e la vendita delle indulgenze.
Per fare ciò, affisse alla porta della cattedrale di Wittenberg, il giorno della
vigilia di Ognissanti del 1517, 95 tesi teologiche sull'argomento, offrendosi di
disputarle contro chiunque. Da tale gesto si suole datare l'inizio della
Riforma.
CONDANNA DI MARTIN LUTERO -
Il contenuto delle tesi, in cui si denunciava la forma irriverente con cui le
indulgenze erano concesse e si metteva in dubbio il potere del papa a
concederle, commosse vivamente il popolo tedesco. L'ostilità contro lo
sfruttamento della Germania a vantaggio della santa sede romana, provocò attorno
al gesto di Lutero una vasta popolarità.
Le dispute con i sostenitori delle indulgenze spingevano Lutero a precisare in
senso sempre più radicale il suo pensiero. Un fiume di scritti usciva dalla sua
penna, abbandonando il solenne latino dei dotti, e rivolgendosi al popolo della
Germania nel linguaggio tedesco volgare.
Tre scritti del 1520 fissavano i tratti fondamentali della Riforma: il trattato
"Della libertà del cristiano", in cui Lutero precisava la teoria della
giustificazione per fede; il "De captivitate babilonica Ecclesiae", in cui veniva
ribadito il concetto che solo la Scrittura poteva essere norma di fede;
l'"Appello alla nobiltà ed ai magistrati della nazione germanica", in cui si
esprimeva il concetto del sacerdozio universale dei credenti, di intervenire
nella questione religiosa contro il papa ed i suoi sostenitori.
Si vide allora l'importanza della recente invenzione della stampa. Gli scritti
del Lutero correvano tutta la Germania a migliaia di copie, destando dovunque
polemiche ed acclamazioni. Dal mondo dei teologi, la discussione traboccava
nelle vie e nelle piazze.
Martin Lutero raccoglieva i consensi di ogni strato sociale, dai dotti ai
turbolenti cavalieri, avidi dei beni del clero ed infiammati dalle invettive
anticlericali dell'umanista soldato ULRICO VON HUTTEN; dagli artisti, come
ALBERTO DÙRER, ai principi e alle masse popolari.
Da principio Leone X non dette importanza a quella che gli sembrava una bega di
frati tedeschi. Successivamente, il 15 giugno 1520, lanciò una bolla di
scomunica contro Lutero. Quando la bolla giunse a Wittenberg Martin Lutero la
bruciò sulla pubblica piazza.
La conseguenza di un gesto simile avrebbe dovuto essere una condanna al rogo, ma
l'elettore FEDERICO DI SASSONIA esitò a perseguitare il riformatore.
La vertenza venne rimessa alla Dieta di Worms, tenuta nel seguente 1521 alla
presenza del neoeletto imperatore Carlo V. Davanti alla Dieta, Lutero riaffermò
i suoi principi e rifiutò di ritrattare i propri scritti. L'imperatore rispose
mettendolo al bando dell'Impero. Ma nel ritorno da Worms, un gruppo di cavalieri
mascherati, per ordine dell'elettore Federico di Sassonia, rapì il riformatore
per sottrarlo all'arresto da parte dell'imperatore e lo condusse nel castello
della Wartburg, dove egli restò per circa un anno, fino a che il pericolo non fu
scomparso. Durante il suo soggiorno nella Wartburg Lutero redasse la sua
traduzione della Bibbia in volgare, che ebbe nella storia letteraria del popolo
tedesco importanza analoga a quella della Divina Commedia nel volgare italiano.
LA RIFORMA -
Dal 1521 al 1529 Carlo V fu impegnato in guerre con Francesco I di Francia, che
gli impedì di dare esecuzione al bando di Worms. Lutero, invece, dovette uscire
dalla Wartburg, per affrontare la situazione creatasi a Wuttenberg ad opera di
agitatori, come ANDREA CARLOSTADIO e TOMMASO MÙNTZER.
A Lutero i problemi organizzativi sembravano poco rilevanti rispetto a quello
della salvezza delle anime. Egli desiderava più la riforma delle coscienze, che
non quella delle strutture della Chiesa. Ma ormai il Carlostadio ed il Muntzer
scagliavano le folle contro i preti ed i conventi.
Anche Lutero, dunque, per evitare tumulti, dovette proporre riforme del culto e
degli ordinamenti ecclesiastici.
Il latino era sostituito dalla lingua volgare, compresa da tutti i fedeli. Nella
messa, una parte preminente sarebbe stata occupata dalla lettura della Bibbia,
da un sermone esplicativo, da un canto di fedeli scritto in volgare. Lo stesso
Lutero ne compose alcuni. Accettando esclusivamente ciò che aveva fondamento
nella Scrittura ridusse i sacramenti a due: il Battesimo e l'Eucaristia.
Partendo dal sacerdozio universale dei credenti negava ogni differenza tra laici
e clero, il celibato ecclesiastico veniva abolito insieme ai privilegi per clero
e conventi. Lo stesso Lutero, qualche anno più tardi, si sposò con una ex
monaca.
E i rapporti con lo stato?
Partendo dalla convinzione che la sola cosa importante fosse la salute delle
anime, Lutero considerava lo Stato null'altro che un freno agli istinti malvagi
dell'uomo, voluto dalla Provvidenza, ma limitato solo all'ambito delle cose
esteriori. In quell'ambito, il cristiano doveva ubbidire allo Stato e
sopportarlo con pazienza, qualora fosse malvagio e persecutore. La vita
spirituale restava fuori dalla sfera di attribuzioni dello Stato. Lutero
riteneva che i principi e i magistrati fossero responsabili davanti a Dio
dell'autorità ricevuta.
Se cristiani i governanti dovevano occuparsi non solo del buon andamento della
società civile, ma altresì di assicurare quella spirituale dei sudditi,
sostituendosi agli ecclesiastici, in caso di carenza di questi ultimi.
Da un lato, dunque, il Riformatore tracciava una separazione fra potere civile e
sfera religiosa; dall'altra, invece, sembrava invitare le autorità a riprendere
quelle funzioni nel campo ecclesiastico, che gli imperatori del Medioevo avevano
esercitato.
Dei due poli dialettici del pensiero luterano, il secondo finì per prevalere di
fatto, per l'ovvio motivo che principi ed autorità si impadronivano dei beni
ecclesiastici.
La Riforma luterana fu dunque promossa dalle autorità, a cominciare dall'ELETTORE
di SASSONIA, il cui esempio fu seguito da altri principi territoriali, come il
LANDGRAVIO DI ASSIA, nonché dalla maggior parte delle città mercantili, come
NORIMBERGA, AUGUSTA, ULMA ecc.
CAVALIERI E CONTADINI -
La Riforma scatenò la rivolta fra i contadini e la piccola nobiltà. Lutero non
intendeva trasportare sul terreno politico, ma le sue intenzioni furono
soverchiate dagli scontenti.
Questi avevano acclamato la protesta di Lutero contro la Chiesa ufficiale, ma
quando videro che la Riforma andava solo a vantaggio dei principi e delle città
libere, lasciando i diseredati nella miseria, proruppero in aperta rivolta.
La rivolta dei cavalieri scoppiò nel 1522-23, nei territori dell'elettorato
vescovile di Treviri, del Wurttenberg e della Baviera, guidata da FRANZ VON
SICKINGEN e da ULRICO VON HUTTEN.
Quest'ultimo aveva fatto appello Lutero perché si mettesse alla testa di un moto
nazionale tedesco, contro Roma e contro l'Impero, ma Lutero rifiutò per non
ridurre la causa del Vangelo ad una vertenza politica.
I cavalieri assalirono le proprietà ecclesiastiche e insanguinarono la Germania
finché le forze dei diversi stati non li schiacciarono.
Nel 1525, scoppiò la rivolta dei contadini, fomentate anche da agitatori
religiosi, come Tommaso Muntzer, contro il quale Lutero era già intervenuto a
Wittenberg. Questi agitatori ritenevano le riforme luterane insufficienti a
riportare la Chiesa alla purezza dei tempi apostolici. Tanto per i cattolici che
per i Luterani la Chiesa comprendeva tutti i battezzati, inclusi coloro che
tenevano una condotta deprecabile. Alla Chiesa tradizionale questi integralisti
opponevano una comunità di credenti rigidamente osservanti.
La Chiesa tradizionale non aveva alcun valore e quindi non poteva avere valore
neanche il battesimo da lei impartito ai fanciulli: solo i convertiti adulti ed
in piena maturità spirituale potevano ricevere il battesimo, come segno della
loro personale conversione.
Di qui il nome di anabattisti che venne dato ai seguaci di queste idee radicali.
Se invero la Chiesa tradizionale era falsa ed anticristiana, altrettanto doveva
dirsi della struttura sociale, di cui tale Chiesa era in certo modo il pilastro.
Al nuovo battesimo doveva corrispondere l'avvento di una nuova società,
realmente cristiana, in cui i poveri e gli oppressi fossero riscattati dagli
oppressori.
La rivolta divampò in tutta l'alta Germania, dalla Renania alla Svezia ed
all'Austria. I contadini fissarono le proprie rivendicazioni nei Dodici articoli
e si organizzarono militarmente sotto la guida del Muntzer, gettandosi
all'assalto di castelli feudali e città mercantili, mentre il loro condottiero,
con infaticabile attività, cercava di unire al moto rurale anche il proletariato
delle miniere e dei centri urbani.
Martin Lutero in un primo momento riconobbe la fondatezza dei Dodici Articoli,
ma si sgomentò davanti alle violenze dei rivoluzionari e li condannò con
violenza, invocando l'intervento dei principi contro di loro.
Un esercito di principi sgominò le schiere contadine del Muntzer a Frankenhausen,
ed una sanguinaria reazione si accanì contro i ribelli con raccapricciante
crudeltà, contro cui valsero ben poco le tardive proteste del Lutero.
ULRICO ZWINGLI.
Quasi contemporaneamente alle vicende della riforma luterana, un predicatore di
Zurigo, formato alla scuola degli umanisti italiani e di Erasmo, Ulrich Zwingli
(1484-1531), promuoveva una radicale trasformazione nelle istituzioni
ecclesiastiche della sua città, intesa ad eliminare tutto ciò che non fosse
rigorosamente fondato sull'autorità del Nuovo Testamento. La riforma dello
Zwingli trionfava in Zurigo nel 1528, mentre analogo successo avevano uguali
iniziative riformatrici in altre città della Svizzera, come Berna e Basilea, o
della zona meridionale dell'Impero germanico, come Strasburgo, Costanza, Lindau
ecc.
Questa riforma svizzera e strasburghese non tardò a rivelare caratteri assai
diversi da quella di Lutero, anzi, tutti i suoi iniziatori come lo Zwingli a
Zurigo, come MARTINO BUCERO (1491-1555) a Strasburgo, come Giovanni ECOLAMPADIO
(1482-1531) a Basilea ecc., erano tutti di formazione erasmiano-umanistica più
che monastica, ed assumevano un atteggiamento più radicale di quello del Lutero
nei riguardi della tradizione.
Lutero aveva creduto sufficiente eliminare da quest'ultima quanto contrastava
con la Scrittura, mantenendo buona parte dell'apparato esteriore; lo Zwingli, il
Bucero ecc., invece, ritenevano necessario cancellare tutto ciò che non trovasse
un preciso fondamento nel Nuovo Testamento. Lutero aveva conservato i sacramenti
del battesimo e della comunione, ma i nuovi riformatori interpretavano anche
questi sacramenti come simboli di una realtà puramente spirituale ed interiore.
Lutero conservava ancora qualcosa del culto ecclesiastico, lo Zwingli ed i suoi
bandivano tutto questo, come privo di fondamento nella Scrittura e riducevano il
culto alla sua più semplice espressione, proscrivendo ogni sia pure remota
traccia di fasto esteriore.
Nel metodo stesso della propria diffusione la Riforma svizzero-straburghese
mostrava la sua differenza.
Mentre Lutero faceva affidamento sui principi e le autorità costituite, lo
Zwingli ed il Bucero fidavano sulla forza illuminatrice della ragione e della
persuasione. La Riforma luterana si imponeva dall'alto, quella zwingliana si
diffondeva dal basso, attraverso la discussione critica.
I riformatori di formazione umanistico-erasmiana, infine, avevano interessi
politico-sociali più accentuati di quelli del Lutero, sebbene rifuggissero dalle
posizioni rivoluzionarie degli anabattisti e le combattessero aspramente.
Formatisi alla scuola dell'umanesimo italiano, con la sua riscoperta dell'etica
civile della Romanità e la sua appassionata ammirazione per Platone e la sua
Repubblica, essi intendevano estendere la restaurazione del vangelo alle
strutture politiche e sociali. In genere inclinavano verso l'ideale di un regime
repubblicano interessato al benessere sociale, zelante in particolare della
pubblica istruzione e sorretto da una conscia dedizione dei cittadini al bene
della collettività.
Il più radicale fu lo Zwingli, che si trovò in conflitto con Lutero ed alquanto
isolato, rispetto agli altri riformatori stessi della sua corrente. Come nel
campo teologico si spingeva fino ad interpretare la Comunione come
commemorazione soltanto della morte del Salvatore, rifiutando la dottrina della
presenza del Cristo nel sacramento, così nel campo pratico si gettò attivamente
nella lotta politica. In particolare, lanciò una campagna contro l'uso di andare
a prestare servizio mercenario all'estero, dicendolo indegno di un popolo libero
e cristiano. Egli allora si trovò di fronte l'ostilità dei cantoni, rimasti
cattolici, di Schwytz, Unterwalden, Lucerna e Glarus, che erano la parte più
povera della Svizzera, per la quale il servizio mercenario all'estero rimaneva
una fonte essenziale di guadagni. Nacque così un conflitto, in cui, nella
battaglia di Cappel (1531), i cantoni protestanti vennero sconfitti da quelli
cattolici, e lo Zwingli stesso, che aveva accompagnato l'esercito come
cappellano, venne ucciso.
La riforma di Zurigo, Strasburgo ecc. sopravvisse però alla morte dello Zwingli,
ampliandosi anzi nella Svizzera stessa, irradiandosi in Francia e in Italia,
soprattutto negli ambienti colti.
Ancora un po' incerta nel suo orientamento, la riforma svizzera doveva ricevere
maggiore impulso e più ampio respiro attraverso l'opera del francese GIOVANNI
CALVINO (1509-1564).
LA DIFFUSIONE DELLA RIFORMA LUTERANA -
Il luteranesimo intanto si diffondeva nell'Europa settentrionale, nei paesi del
Baltico e del Mare del Nord.
Il re di Danimarca CRISTIANO II aveva tentato d'introdurre un governo
assolutistico, servendosi del clero dei suoi regni. La Svezia, che da tempo
anelava all'indipendenza, insorse nel 1523, cacciò la dinastia danese e proclamò
la propria indipendenza sotto il re Gustavo Vasti (1523-1560), che presto
abbracciò il luteranesimo e confiscò i beni del clero.
Nello stesso anno, 1525, la Danimarca detronizzava Cristiano II elevando al
trono suo zio, il duca FEDERICO DI HOLSTEIN (1525-1533), che abbracciava il
luteranesimo estendendo la Riforma alla Danimarca ed alla Norvegia. Uguale
decisione prendeva infine nel 1525 il gran maestro dell'Ordine dei cavalieri
teutonici, ALBERTO DI HOHENZOLLERN.
Da allora i beni dell'Ordine costituirono il ducato di Prussia sotto la signoria
ereditaria degli Hohenzollern, mentre gli antichi cavalieri si trasformavano in
feudatari laici.
Le guerre con Francesco I avevano impedito a Carlo V di affrontare dal 1521 in
poi il problema religioso della Germania. Ad un certo momento si trovò come
avversario lo stesso papa Clemente VII, e questo non lo incoraggiò ad essere
molto deciso contro i Luterani.
Conclusa la guerra e rappacificatosi col papa, Carlo V volle occuparsi della
Germania. Nella dieta di Spira del 1529 minacciò di attuare gli editti di bando
contro Lutero promulgati alla dieta di Worms del 1521. A tale minaccia i
principi e le città aderenti alla Riforma reagirono energicamente e da quel
momento presero il nome di protestanti.
Per il momento non si giunse ad alcuna conclusione.
Nel 1530 dopo il congresso di Bologna e la propria incoronazione imperiale,
Carlo V radunò la dieta di Augusta, dove i protestanti presentarono una
confessione di fede, o Confessio Augustana, redatta da FILIPPO MELANTONE, la
quale doveva rimanere la dichiarazione fondamentale del luteranesimo.
Esauriti i mezzi pacifici di conciliazione, Carlo V accennò allora a passare a
misure di coercizione, ma ebbe in risposta la coalizione detta Lega di Smalcalda
(1531) cui aderirono l'elettore di Sassonia, il langravio di Assia, vari
principi tedeschi e undici città imperiali, con lo scopo di difendere il
protestantesimo.
Minacciato dai turchi sul Danubio e nel Mediterraneo, impensierito dalla
Francia, Carlo V fu costretto ad abbandonare l'idea di sottomettere con la forza
i luterani.
La Riforma luterana sboccò in un regime di Chiesa di Stato.
Nei principati germanici o scandinavi, il principe divenne custode della
coscienza dei propri sudditi. Tale evoluzione fu favorita anche dagli sviluppi
della teologia dei discepoli del Lutero. Si arrivò ad una concezione etica
dell'autorità statale, in antitesi a quella meramente naturalistica del
Machiavelli.
Si dette allo Stato un netto carattere autoritario, facendo dell'ubbidienza alla
sua autorità un dovere religioso.
Ciò non impedì che gli anabattisti continuassero a diffondersi in Germania, nei
Paesi Bassi ed altrove, specie tra i lavoratori delle città industriali.
Nel 1534 si ebbe in Germania un'esplosione rivoluzionaria culminata nella
conquista della città di Munster da parte degli anabattisti. Guidati dal sarto
olandese Giovanni da Leyda, essi instaurarono un integrale regime comunista,
resistendo all'assedio posto alla città dal vescovo di Munster, rinforzato da
contingenti di principi cattolici e luterani. Infine i ribelli furono in gran
parte massacrati, mentre Giovanni da Leyda periva fra le torture. L'anabattismo
non scomparve del tutto;
esso continuò a vivere in forma clandestina, specie nelle
città olandesi.
Da allora, l'anabattismo assunse carattere pacifista, per opera dell'olandese
MENNO SIMONS (donde l'appellativo di mennoniti dato ai suoi seguaci), rifiutando
la violenza sotto qualsiasi forma e quindi anche l'uso della forza da parte
dello stato, a guisa di una sorta di anarchismo non violento.
SCISMA D'INGHILTERRA -
Era comune alle grandi monarchie europee esercitare un forte controllo sulla
Chiesa, soprattutto riguardo ai beni ecclesiastici. Questo si riallacciava a una
lunga tradizione medioevale sia della Chiesa francese o GALLICANA, sia della
Chiesa inglese o ANGLICANA.
Le estreme conseguenze furono raggiunte nel regno d'Inghilterra col distacco da
Roma ad opera del re Enrico VIII (1509-1547).
Malgrado la durezza Enrico VIII era un re assai popolare. La partecipazione
dell'Inghilterra alle lotte tra Francia e Asburgo aveva dato
importanza
internazionale al paese.
Enrico VIII aveva compreso che il destino dell'Inghilterra era sui mari ed aveva
promosso la creazione di una flotta, per l'espansione della borghesia mercantile
che già cominciava a realizzare forti guadagni esportando tessuti di lana. Il
sentimento monarchico era forte nel paese e faceva perdonare al sovrano gli
scandali della sua condotta privata e la ferocia del suo governo.
Enrico VIII aveva una discreta preparazione teologica, servendosi della quale
confutò in un opuscolo le tesi di Lutero. Leone X, in segno di riconoscenza, gli
conferì il titolo di Defensor Fidei, che è tuttora conservato dai re
d'Inghilterra.
Enrico VIII perseguitò ferocemente i Luterani, ma si trovò coinvolto in un aspro
conflitto con il Papa. Salito al trono a diciotto anni, era stato sposato per
ragioni politiche con la vedova di suo fratello maggiore, CATERINA DI ARAGONA,
zia di Carlo V.
La Chiesa vieta l'unione coniugale di cognati, e fu perciò necessario che una
speciale dispensa fosse concessa dal papa perché il matrimonio di Caterina con
Enrico VIII potesse essere celebrato. Dopo più di venti anni Enrico VIII, stanco
della consorte, assai più vecchia di lui, ed irritato dal fatto che dal suo
matrimonio non fosse nata che una bambina, MARIA, si invaghì di una dama di
corte, ANNA BOLEYN. Tornò ad appellarsi al divieto del matrimonio tra cognati,
chiedendo al papa Clemente VII di dichiarare nullo il vincolo che lo univa a
Caterina di Aragona, ma Carlo V protestò contro l'affronto che Enrico VIII
voleva infliggere ad una sua stretta parente.
Clemente VII stava ingrandendo la casa dei Medici in conseguenza degli accordi
con Carlo V e non poteva (a parte le considerazioni dottrinali) offendere
l'imperatore accontentando il re inglese.
Enrico VIII nel 1533 fece annullare il suo matrimonio con Caterina da
un'assemblea di vescovi inglesi e sposò Anna Boleyn.
Scomunicato dal papa, egli fece votare nel 1534 l'ATTO DI SUPREMAZIA, con il
quale il re era dichiarato capo supremo della Chiesa d'Inghilterra. La Chiesa
inglese doveva cessare di avere rapporti con il papa, considerato esclusivamente
come il vescovo di Roma, così come doveva cessare qualunque rimessa di denaro
alla corte romana.
Enrico VIII non aderiva alla Riforma protestante. Le forme esteriori del culto
ed i dogmi venivano conservati nella loro forma tradizionale, i luterani
continuavano ad essere mandati al rogo come eretici.
Le sole innovazioni introdotte furono, per il momento, l'uso della lingua
inglese invece del latino e l'abolizione progressiva dei conventi, voluta dal re
per eliminare gli ordini religiosi difensori dell'autorità papale ed
appropriarsi dei loro beni.
Le immense proprietà terriere dei conventi, andarono in parte alla corona, in
parte ad arricchire nobili e borghesi.
Il re minacciò pene terribili a tutti coloro che non accettassero l'Atto di
Supremazia. Tra le vittime del suo rigore furono il confessore della regina
Caterina, il vescovo Fisima, e il grande umanista erasmiano TOMMASO MORO, più
tardi canonizzati dalla Chiesa cattolica.
In complesso le resistenze furono poche: l'avversione verso il papato e le
continue esazioni di denaro richieste dalla corte di Roma erano tanto forti da
far salutare con gioia la rottura con quest'ultima.
I beni dei conventi, distribuiti fra la nobiltà e la borghesia, legarono
definitivamente queste ultime alla causa dello Scisma.
RIFORMA IN ITALIA -
Anche in Italia vi furono ambienti influenzati dallo spiritualismo di Erasmo,
soprattutto tra il clero più colto e aperto, l'aristocrazia e gli intellettuali.
Determinante fu l'azione svolta a NAPOLI negli anni 1530-1545 dall'umanista
spagnolo GIOVANNI DI VALDÉS.
Questi propugnava le idee erasmiane di riforma, sosteneva la giustificazione per
fede ed una concezione spirituale e intima della vita religiosa, fondata
essenzialmente sulla lettura dei vangeli.
Tra i suoi amici e seguaci si contavano figure importanti, come il celebre
predicatore senese Bernardino Ochino, il protonotario apostolico Pietro
Carnesecchi fiorentino, segretario di Clemente VII, il poeta latino Marcantonio
Flaminio, l'umanista Aonio Paleario, la poetessa Vittoria Colonna.
Gruppi analoghi si formano in altre città italiane, specialmente negli stati
dove minore è il peso della Spagna e più intensi i rapporti con i paesi
transalpini, come Lucca, lo stato estense, la repubblica di Venezia.
A LUCCA diffondono idee riformatrici il teologo fiorentino Pier Martire Vermigli
e l'umanista piemontese Celio Secondo Curione, mentre nelle maggiori famiglie,
legate alla Francia ed alle Fiandre, attecchiscono le idee della riforma
svizzero-strasburghese.
A FERRARA la duchessa Renata di Francia, figlia di Luigi XII e moglie di Ercole
II d'Este, accoglie alla sua corte e protegge i fautori della Riforma italiani e
francesi.
A MODENA si riunì per diverso tempo un'accademia letteraria d'impronta erasmiana,
alle cui conversazioni partecipano eminenti prelati, come il cardinale Sadoleto,
o letterati, come Ludovico Castelvetro e Francesco Molza.
I contatti con le città tedesche e svizzere favoriscono la penetrazione del
protestantesimo nel VENETO, dove si delinea un sotterraneo sviluppo dell'anabattismo
specialmente nei ceti più umili della società.
Dallo stato veneto emigrerà oltralpe, aderendo al protestantesimo il vescovo di
Capodistria Pier Paolo Vergerio, già nunzio pontificio e più tardi acerbissimo
polemista anticattolico. Ancora a Venezia il fiorentino Antonio Brucioli stampa
nel 1532 una traduzione italiana della Bibbia, che riceve una vasta diffusione.
Alla riforma svizzero-strasburghese aderiscono i superstiti VALDESI in Piemonte,
in Francia e nell'Italia meridionale (1532).
Questa diffusione delle idee erasmiane o protestanti non condusse alla
formazione di una Chiesa dissidente.
Quasi tutto rimase allo stadio di cenacoli e di gruppi intellettuali, che
davanti ai rigori della Inquisizione finivano con lo scomparire, mentre i loro
esponenti cercavano rifugio all'estero o finivano sul rogo.
Solo più tardi, sotto l'influenza del calvinismo, si ebbero taluni inizi di
un'organizzazione ecclesiastica riformata, ma finirono stroncati dalle
persecuzioni.
LA RIFORMA CATTOLICA -
Parlando delle vicende religiose dell'Europa nella prima metà del secolo XVI non
possiamo dimenticare, accanto alla Riforma protestante, il moto di riforma che
si manifestava anche all'interno della Chiesa e che alcuni storici hanno
definito RIFORMA CATTOLICA.
Già negli anni appena precedenti l'esplosione del luteranesimo, il pontefice
Giulio II aveva riunito nel 1512 in Roma il V CONCILIO LATERANENSE "Pro
Reformanda Ecclesia", in opposizione al concilio scismatico promosso dalla
Francia a Pisa.
Le vicende politiche di quel tempo, però, avevano impedito al concilio di
compiere l'opera di revisione morale e disciplinare desiderata da tanti
contemporanei. Il concilio si dissolse dopo cinque anni di vita con scarsi
risultati. Né da allora, per qualche decennio, si fece alcunché di concreto in
questo senso.
Maggiore importanza ebbero invece iniziative di carattere particolare.
Nel 1517, ad esempio, si formava in Roma l'ORATORIO DEL DIVINO AMORE con lo
scopo di intensificare la vita religiosa personale dei suoi aderenti e di
praticare la carità.
Diffusasi anche in altri centri italiani, la Congregazione del Divino Amore,
formata da laici come da ecclesiastici, contò tra le sue file alcune delle
personalità religiose più spiccate del tempo, come Gaspare Contarini, Reginaldo
Pole, cugino del re Enrico VIII, ed il vescovo di Chieti, Giovan Pietro Carafa.
La stessa esigenza di una vita religiosa più profondamente vissuta, sboccava
però nell'ambiente del Divino Amore a due conclusioni diverse. Una corrente,
facente capo al Pole ed al Contarini, vagheggiava una rinascita religiosa
fondata sullo spirito dell'umanesimo cristiano che accogliesse talune delle
esigenze avanzate dalla Riforma, ma senza alcuna rottura con il Papato. Un'altra
corrente, invece, rappresentata dal Carafa, vagheggiava la rinascita della pietà
medioevale, dello spirito ascetico, della teologia scolastica tradizionale, con
in più un maggior impegno nella carità e una maggiore preparazione culturale.
Da questa seconda tendenza fu conseguente la formazione di nuovi ordini
religiosi, prevalentemente dediti alla carità, all'istruzione della gioventù ed
alla predicazione popolare. Sotto la protezione del Carafa, S. Gaetano di Thiene
fondò nel 1524 una congregazione, la quale dal titolo di vescovo di Chieti —
latinamente Teate — del suo protettore, fu detta dei TEATINI. Seguirono con
analogo indirizzo, anche i BARNABITI (1530), o Chierici regolari di S. Paolo, ed
i SOMASCHI (1532), ambedue dediti in modo particolare a promuovere l'istruzione
ed a prendere cura dei ragazzi e dei giovani.
Larghe simpatie popolari acquistò infine l'ordine dei CAPPUCCINI (1528), uscito
dal tronco dell'ordine francescano, con un programma di ritorno alla povertà ed
all'umiltà primitive.
LA MORALE CALVINISTA E IL CAPITALISMO -
Secondo la dottrina calvinista, il successo nel proprio lavoro era un segno
sicuro della grazia di Dio. Infatti, se esisteva la predestinazione, chi si
affermava dimostrava che Dio lo aveva, appunto, destinato al successo.
Da questa affermazione, alcuni studiosi, e in particolare il tedesco Max Weber
(1864-1920), hanno fatto derivare una teoria: la religione calvinista favorì lo
sviluppo economico e fece nascere quello spirito capitalistico che sta alla
base dei moderni sistemi economici.
In realtà, come tutte le interpretazioni che gli studiosi danno della storia,
anche questa interessante teoria ha i propri punti deboli e non sembra del tutto
reale. In particolare, si può dire che anche nei paesi cattolici, e ben prima
del calvinismo, vi furono intraprendenti e vivaci imprenditori: i mercanti di
Firenze, Milano o Venezia del Due e Trecento ne sono un chiaro esempio.
Inoltre non fu sempre molto stretto il rapporto fra lo sviluppo del capitalismo
e lo spirito religioso. Ad esempio, la morale religiosa fu del tutto assente da
fenomeni come lo sfruttamento di certe colonie o il commercio degli schiavi che,
pure, portarono un forte sviluppo economico in paesi come l’Inghilterra o
l’Olanda.
Infine la stessa dottrina di Calvino non mise tanto l’accento sulla ricerca del
proprio interesse economico, cioè sulla caratteristica tipica del capitalismo,
ma sullo svolgimento del proprio lavoro come dovere verso Dio e verso la
comunità dei fedeli.
Opere buone e indulgenze -
Così come i peccati commessi prolungavano queste pene, le opere buone realizzate
nella vita le diminuivano. Esse potevano andare a vantaggio della propria anima,
ovvero di quella di altri defunti, che già si trovavano in Purgatorio. La
dottrina cattolica chiama indulgenza questo sconto di pena concesso a un’anima,
questa riduzione del suo tempo di permanenza in Purgatorio. Le opere buone,
dunque, davano diritto a un’indulgenza e aiutare la Chiesa nelle sue necessità
materiali era sicuramente un’opera buona. La Chiesa infatti doveva mantenere se
stessa, dare da vivere ai parroci, sacerdoti, vescovi, assistere i poveri e gli
infermi. I fedeli consideravano l’aiuto dato alla Chiesa come un dovere, oltre
che come un modo di salvarsi l’anima: i poveri davano piccole elemosine, i
ricchi donavano o lasciavano in eredità terre e palazzi, costruivano e
mantenevano monasteri, conventi, ospedali, istituzioni benefiche. Tutti coloro
che possedevano qualcosa pagavano delle tasse alla Chiesa in proporzione alle
loro ricchezze. Oggi noi possiamo considerare sbagliata o superficiale la
speranza di aiutare le anime a raggiungere il Paradiso col pagamento di somme
di denaro. Tuttavia, nel sentimento religioso della gente comune la ricerca
delle indulgenze fu, per molti secoli, un’abitudine consolidata.
TOMMASO MORO E LA LIBERTA' DI COSCIENZA -
Cattolici e protestanti diedero spesso prova di crudele fanatismo religioso,
uccidendo gli avversari, intimorendoli, obbligandoli con la forza alla
conversione. Chi si oppose a questa tendenza fu perseguitato e, di frequente,
pagò con la vita. Come Thomas More (o Tommaso Moro). More, umanista e filosofo
era stato primo ministro e grande amico del re Enrico VIII, ma quando questi gli
impose di giurare fedeltà alla chiesa anglicana, egli rifiutò di rinnegare la
fede cattolica e per questo venne decapitato (1535). In questa lettera a un
amico More spiega le sue ragioni, rivendicando il suo diritto alla libertà di
coscienza. "In quanto alla coscienza degli altri, io non ne sarò giudice, né mai
ho spinto alcuno a prestare o a rifiutare il giuramento. Ma in quanto a me, se
per sventura mi dovesse accadere di prestare il giuramento, siate certo che mi
sarà stato imposto ed estorto con la violenza e le sevizie. (,,). Sua Maestà non
crede che la causa del mio rifiuto risieda nella mia coscienza, ma pensa
piuttosto che sia frutto di una ostinata caparbietà. Mentre l’unico ostacolo è
proprio la mia coscienza che conosce Dio, al cui volere io affido tutta questa"
GIOVANNI CALVINO -
Di fianco alla riforma luterana altre correnti protestanti si affermarono in
Svizzera e nella Germania meridionale, grazie allo Zwingli e ai riformatori di
Berna, Basilea, Strasburgo ecc. queste correnti ricevevano intorno alla metà del
sec. XVI impulso nuovo da Giovanni Calvino (1509-1564).
Nativo di Noyon, nella Piccardia, Calvino era figlio di una famiglia borghese
che gli aveva procurato delle rendite ecclesiastiche e lo aveva avviato agli
studi giuridici.
Il Calvino si era formato alla scuola dell'Umanesimo erasmiano ed aveva rivolto
inizialmente le proprie simpatie verso il severo stoicismo di Seneca.
Intorno al 1532 una crisi religiosa lo aveva avvicinato alle posizioni della
Riforma malgrado le feroci persecuzioni di Francesco I nei confronti dei
protestanti.
Minacciato di arresto il giovane viaggiò in diverse parti d'Europa, recandosi
tra l'altro a Basilea, dove nel 1536 stampò la prima edizione della sua opera
fondamentale, la
"Istituzione della religione cristiana", ed a Ferrara, dove per
breve tempo fu ospite della duchessa Renata di Francia, moglie di Ercole II d'Este,
grande protettrice dei seguaci della Riforma.
Rinunciò quindi ai benefici ecclesiastici e si dispose a lasciare la Francia per
attendere in tranquillità agli studi che costituivano la sua passione, nella
dotta e tranquilla Strasburgo.
Durante il viaggio il giovane Calvino dovette attraversare GINEVRA, una città di
12.000 abitanti, che da poco tempo si era sottratta al dominio
politico-religioso dei vescovi. Malgrado gli sforzi di un ardente propagandista,
il francese GUGLIELMO FAREL l'adesione di Ginevra alla Riforma si manteneva
incerta.
Il Farel nel giovane connazionale intuì l'uomo capace di trasformare la
situazione e lo scongiurò di restare a Ginevra. L'altro oppose il proprio
desiderio di tranquillità e la necessità di terminare gli studi, ma il Farel,
sdegnato, minacciò la maledizione di Dio su di lui, qualora avesse rifiutato di
dare la sua opera in Ginevra. Vinto da quella terribile invocazione, Giovanni
Calvino restò.
Il timido intellettuale si trasformò gradualmente in uno dei più ferrei
condottieri spirituali del suo tempo.
I ginevrini non erano contenti di essersi sottratti al dominio del vescovo per
assoggettarsi ad accettare la professione di fede redatta dal Calvino e dal
Farei. La rilassata moralità di una città del sec. XVI male si accordava con il
programma di rigorosa austerità, che i due riformatori avrebbero voluto
realizzare. Le reazioni ostili degli abitanti verso i due predicatori francesi
in capo a due anni divennero tanto forti da costringerli nel 1538 ad abbandonare
Ginevra ed a rifugiarsi altrove.
La traccia lasciata in Ginevra dalla vigorosa personalità del Calvino si
dimostrava tuttavia tanto forte, da indurre la cittadinanza, già nel 1541, a
chiederne il ritorno. Il riformatore, rientrato nella città, poté così fare
accogliere le sue famose Ordonnances ecclésiastiques, sul cui modello si
sarebbero poi foggiate le costituzioni ecclesiastiche di gran parte delle chiese
protestanti, ed instaurare in Ginevra quel rigoroso ordinamento
politico-religioso, che doveva fare di essa, nella mente del Calvino, la
realizzazione perfetta della società cristiana.
GINEVRA -
Calvino era convinto che l'opera della Riforma fosse inscindibile dal
rinnovamento della cultura e dovesse partire dalla formazione di un corpo di
ministri del culto, moralmente irreprensibili e accuratamente istruiti,
specialmente nella conoscenza dei testi originari — ebraici e greci — della
Scrittura.
Il Calvino concepiva l'ufficio di questi ministri di culto, o pastori, come un
ufficio di persuasione e quindi di predicazione. Egli rifiutava la
subordinazione luterana della chiesa allo stato e sottoponeva lo stato e la
società alla critica ed al giudizio del vangelo.
Calvino non intendeva creare alcune isole di uomini perfetti separate dallo
stato e dalla società, ma piegare stato e società all'accettazione di una
disciplina etico-religiosa altrettanto esigente di quella dei settari.
Questo accoppiamento di radicalismo rivoluzionario e di capacità legislativa ed
organizzativa, sarà il segreto della vitalità dell'opera del Calvino e della sua
propagazione, malgrado ostacoli e persecuzioni.
La chiesa di Ginevra si fonda su due organi collegiali e democratici, lontani
dall'autoritarismo luterano. All'amministrazione dei sacramenti ed alla
predicazione del vangelo adempiono i pastori, radunati nella Venerabile
compagnia dei pastori.
Alla disciplina ecclesiastica, e al rigoroso controllo della moralità dei
fedeli, presiede un altro organo nominato dal Consiglio generale della città, ma
da questo indipendente nelle proprie decisioni, il Concistoro, formato dai
pastori della città e da dodici laici, scelti per spiccata integrità morale ed
autorevolezza.
Il concistoro nella sua funzione di custode della morale pubblica e della vita
religiosa della città, può comminare l'ammonizione ed eventualmente la scomunica
agl'indegni, salvo ricorrere al magistrato civile, qualora siano ritenuti
necessari castighi, come l'ammenda, il carcere, ed in casi gravissimi la morte.
La costituzione ecclesiastica calvinista, per mezzo del concistoro, formato in
maggioranza da laici, impedisce il formarsi di una casta sacerdotale, distinta
dal resto della cittadinanza, come nel cattolicesimo, ed al tempo stesso rifiuta
la sottomissione incondizionata all'autorità statale del luteranesimo.
Al contrario, il concistoro ha l'autorità di ammonire lo stesso governo
cittadino, qualora le sue azioni siano in contrasto con l'Evangelo e con la
morale cristiana.
Ginevra, nella mente del Calvino, doveva diventare la città cristiana modello.
Il più intransigente idealismo evangelico si unisce alle aspirazioni
riformatrici dell'Umanesimo, col loro forte retaggio platonico e la loro
accentuazione dell'etica civile, nell'attuare in Ginevra un regime di austerità,
il quale bandisce non solo ogni immoralità o frivolezza, ma anche lo sperpero ed
il pauperismo, la speculazione sfrenata e l'ozio parassitario, l'alterigia
nobiliare e l'ignoranza superstiziosa.
La città modello assume fisionomia cosmopolitica. Profughi di ogni nazionalità
vi affluiscono, ottenendone la cittadinanza e rafforzando le schiere dei seguaci
più ardenti del Calvino. L’Accademia di Ginevra prepara sempre nuovi
predicatori, i quali sciamano per tutta l'Europa, a diffondervi la Riforma
affrontando con ardore battagliero le lotte più dure o addirittura il rogo.
Naturalmente le reazioni suscitate nella cittadinanza di Ginevra dalle rigide
misure moralistiche del Concistoro, non sono sempre favorevoli e rischiano in
qualche momento di scoppiare nella rivolta contro il Calvino ed i suoi
sostenitori. Il governo ginevrino però non esita ad adottare aspre misure contro
i turbolenti libertini, avversari del riformatore e della sua opera, ed arriva
fino alla condanna al rogo (1553) dell'infelice MICHELE SERVETO, un medico
spagnolo, sostenitore di una concezione eterodossa della Trinità, tendente a
ridurre a proporzioni vicine a quelle dell'uomo la stessa persona del Cristo.
In questo modo, prima che il Calvino chiuda gli occhi, consunto dalla fatica e
dalle lotte, Ginevra è diventata la capitale di un vasto movimento di
rivoluzione religiosa, che si estende da un capo all'altro dell'Europa.
L'ETICA DEL CALVINISMO -
La teologia del Calvino parte da una concezione pessimistica dell'uomo. L'uomo
sarebbe naturalmente inclinato al male ed avviato alla perdizione. Di contro
alla sua miseria, si erge la maestà onnipotente di Dio, che nella sua infinita
sapienza sceglie (predestinazione) alcuni eletti all'eterna gloria traendoli
dai reprobi avviati alla dannazione eterna.
Il credente, secondo Calvino, deve fare il bene su questa terra non per meritare
la salvezza, ma per dimostrare la gloria di Dio.
Lungi dall'attendere fatalisticamente il compiersi del proprio destino, il
calvinista si sente impegnato ad adempiere la missione che Dio lo ha
predestinato a compiere. Tutto il suo sforzo è teso nello scoprire quale sia
questo compito e nell'adempierlo con il massimo scrupolo, dando con il proprio
comportamento la prova tangibile della elezione, che ha ricevuto dalla volontà
di Dio.
Mentre il Medioevo aveva creato il tipo dell'asceta, che abbandonava il mondo
per ritirarsi nella solitudine della contemplazione, il calvinismo vagheggia
una società di asceti, che vivono nel mondo e nel mondo operano indefessamente,
sentendo in ogni atto della propria vita un valore religioso, una vocazione
divina.
Tanto il Lutero quanto il Calvino ritengono che anche i governanti debbano
conformarsi ai dettami della parola di Dio. Mentre il Lutero, però, asserisce
che davanti ad un principe malvagio non vi è altro che accettare il martirio, il
Calvino sostiene che i “magistrats inférieurs”, gli organi subordinati della
società, hanno il dovere davanti a Dio di controllare che il principe si
conformi alla parola di Dio ed addirittura di fargli opposizione, in caso di
necessità estrema, per ristabilire l'ordine sociale minacciato dalla tirannide.
Al posto dell'assolutismo per diritto divino, il calvinismo pone perciò il
principio di un controllo del governo, esercitato legalmente attraverso organi
inferiori, che in caso di necessità possono anche arrivare a rovesciare il
sovrano.
Già ordinato all'interno delle sue chiese con un sistema di governo
ecclesiastico a carattere collegiale e parlamentare, il calvinismo sarà ben
presto tratto in più di un paese ad opporre anche sul terreno politico
ordinamenti a carattere collegiale, e perciò repubblicano, alle monarchie
assolute.
Non meno rivoluzionario è l'atteggiamento del calvinismo sul terreno sociale ed
economico. Partendo dal concetto della predestinazione, cioè della vocazione dei
credenti a compiere nel mondo una missione affidata loro da Dio alla sua
gloria, il calvinismo esalta il lavoro come atto religioso. Mercante o ministro
della Chiesa, operaio, insegnante o uomo di stato, il calvinista sa che il suo
mestiere o la sua professione non sono soltanto un affare personale, ma
vocazione divina. Il tempo non va sprecato nell'ozio, come non si deve sprecare
il denaro in piaceri carnali od in frivolezze. Anche il guadagno è qualcosa di
sacro, in quanto è il segno della benedizione di Dio sopra l'attività svolta dal
credente. Anch’esso non può essere dissipato ma deve essere impiegato con
scrupolo, o in beneficenza o in nuovi investimenti.
Ma se ogni mestiere è sacerdozio, ne consegue che i credenti sono su un piede di
parità fra di loro. Nessun privilegio ereditario ha più ragione d'essere, se la
predestinazione divina può trarre l'ultimo dei plebei più in alto ancora del
più nobile degli aristocratici.
Le tendenze repubblicane fanno del calvinismo un pericolo per le monarchie
assolute, la sua morale del lavoro e la sua concezione egualitaria ne fanno un
pericolo per le aristocrazie del sangue e della spada.
La Chiesa medioevale aveva osteggiato l'idea che si potesse trarre un utile dal
denaro dato in prestito. Il calvinismo invece considera legittimo l'investimento
del capitale dietro corresponsione di un interesse, così come esalta la famiglia
e l'amore coniugale, ed istaura una rigida moralità nel campo dei rapporti
sessuali. Mentre il cavaliere spagnolo può sperperare in ostentazioni di
grandezza i tesori rapiti nell'America, l'austero mercante calvinista vive la
sua vita di sobrietà e di risparmio, in mezzo a ricchezze sempre crescenti, di
cui egli tuttavia non tocca altro che una parte minima per le proprie esigenze
personali, reinvestendo la maggior parte di esse in nuove imprese economiche.
Così, nello stesso tempo in cui la scoperta dell'America fa affluire sui mercati
europei quantità enormi d'oro e d'argento e stimola poderosamente la evoluzione
economica del continente, il calvinismo contribuisce a formare la mentalità
delle borghesie europee.
LA DIFFUSIONE DEL CALVINISMO -
Calvino si sforzò di estendere la Riforma e di promuovere l'unione delle varie
correnti protestanti. La sua influenza si diffuse nei più diversi paesi
d'Europa.
Nella Svizzera si giunse ad un accordo fra tutti i protestanti, che attutì le
punte più radicali delle dottrine zwingliane. Nella Germania, si ebbe il
passaggio alla Riforma dell'elettorato del Palatinato Renano, su posizioni
dottrinali ispirate tanto dal Bucero o dallo Zwingli quanto dal Calvino: si creò
anzi colà un fiorente centro intellettuale nella città di Heidelberg.
Gli sforzi di unificazione del Calvino fallirono invece rispetto al
luteranesimo: si ebbero così perduranti divisioni fra gli evangelici, seguaci
della Confessione Augustana, ed i riformati, seguaci della corrente
franco-svizzera. Va osservato, tuttavia, che in seguito il termine «evangelico»
cessò di indicare i luterani soltanto: oggi, ad esempio, esso è divenuto
sinonimo di «protestante» in genere.
Nell'Inghilterra, la morte di Enrico VIII portò al trono il suo figlio
adolescente EDOARDO VI (1547-53), i cui tutori favorirono la diffusione del
protestantesimo. Vennero chiamati predicatori dal continente, fu redatta una
nuova confessione di fede a carattere nettamente protestante.
Al regno di Edoardo VI successe quello di MARIA LA CATTOLICA (1553-59), che
riportò l'Inghilterra all'obbedienza alla Chiesa Romana, perseguitando
sanguinosamente i protestanti. Seguì infine l'avvento al trono di ELISABETTA, la
quale distaccò nuovamente la Chiesa Anglicana da Roma ed attuò una sorta di
compromesso in materia ecclesiastica, lasciando sussistere dottrine
prevalentemente protestanti accanto ad istituzioni episcopali ed a riti
abbastanza simili a quelli cattolici. Tale compromesso incontrò l'opposizione
della Chiesa Anglicana e dei puritani, intransigenti fautori del
protestantesimo.
Dottrinalmente il puritanesimo ebbe carattere piuttosto eclettico, accogliendo
influenze di Strasburgo, Zurigo e più tardi Heidelberg, oltre che di Ginevra:
portò tuttavia il marchio del calvinismo nella sua volontà rivoluzionaria e nel
suo inflessibile moralismo. Ne vedremo infatti gli sviluppi nella Rivoluzione
inglese del sec. XVII.
Il puritanesimo mise piede anche nell'America settentrionale, influenzandone la
storia.
Nella Francia l'influenza calvinista poté espandersi guadagnando vasti consensi
malgrado le persecuzioni di Francesco I ed Enrico II. La Francia fu travolta per
questo nelle guerre di religione. I forti legami tradizionali con la Francia
aprirono al calvinismo anche la Scozia, specie ad opera di Giovanni Knox
(1505-72), ardente discepolo del Calvino.
La corona scozzese tentò di opporsi alla Riforma, ma i seguaci dello Knox
insorsero e con l'aiuto di Elisabetta d'Inghilterra cacciarono la regina Maria
Stuart (1561). Col nome di Chiesa Presbiteriana il calvinismo divenne religione
nazionale della Scozia (1581).
Il calvinismo guadagnò infine anche i Paesi Bassi, soppiantando l'iniziale
diffusione dell'anabattismo ed intrecciando le sue vicende con quelle della
rivoluzione nazionale contro il dominio spagnolo e l'assolutismo di Filippo II.
Sempre all'influenza francese si dovette la forte penetrazione che il calvinismo
trovò nell'Europa orientale, specie nell'Ungheria, ove esso si intrecciò col
moto nazionale dei Magiari contro il dominio degli Asburgo, nonché in Polonia,
ove esso fu però soffocato più tardi dalla Controriforma. Nella Boemia, infine,
gli eredi del movimento hussita, organizzatisi col nome di Unità dei Fratelli
Boemi, finirono con l'assimilarsi alla Riforma calvinista. Il protestantesimo
boemo sarà in gran parte distrutto nel corso della guerra dei Trenta Anni.
GLI ESULI ITALIANI E LA QUESTIONE DELLA TOLLERANZA RELIGIOSA -
Il calvinismo ebbe diffusione anche in Italia, ove assimilò anche i VALDESI
delle Alpi e dell'Italia meridionale e si estese in special modo nel Piemonte,
durante l'occupazione francese. Dopo la pace di Cateau Cambrésis, il Calvinismo
fu represso
nei loro domini, fra episodi atroci come la strage dei Valdesi di Calabria.
Analoga repressione condusse Emanuele Filiberto di Savoia nei suoi domini
piemontesi. Solo i valdesi delle Alpi poterono salvarsi grazie ad un'accanita
resistenza armata, che piegò il Savoia ad accordare loro una relativa libertà
col trattato di Cavour (1561).
Una quantità di esuli italiani fuggì nei paesi riformati, compresa Ginevra.
Parte di questi esuli accettò integralmente le dottrine calviniste, diventandone
spesso la più accesa custode, come accadde alla numerosa colonia di esuli
lucchesi in Ginevra, dalle cui file uscì Giovanni Diodati, autore di una famosa
traduzione italiana della Bibbia. Un'altra parte, tuttavia, conservò un
atteggiamento critico, entrando in conflitto col Riformatore specie in seguito
al rogo di Michele Serveto.
La tragica fine di costui apriva in campo protestante il grave problema della
tolleranza religiosa. I paesi riformati non consentivano il culto pubblico
cattolico ed avevano sanguinosamente perseguitato gli anabattisti. Tale condanna
destò gravi perplessità nelle città elvetiche riformate e suscitò una fiera
riprovazione dell'intolleranza religiosa, come incompatibile con la morale
cristiana, nell'opera De Haereticis an sint persequendis, pubblicata a Basilea
dall'umanista savoiardo Sebastiano Castellione, con lo pseudonimo di MARTINO
BELLIO.
Vari illustri esponenti dell'emigrazione italiana parteggiarono per la
tolleranza religiosa contro il Calvino.
Questi italiani, inoltre, favorivano idee antitrinitarie, cioè neganti la
dottrina della Trinità e tendenti a vedere nel Cristo il Redentore dell'umanità
soprattutto per l'altissimo esempio da lui portato nel mondo. Più di un esule
italiano dovette lasciare Ginevra e cercare rifugio nell'Europa orientale, ove
le idee antitrinitarie erano state diffuse già da altri italiani, come il medico
piemontese Giorgio Biandrata, portando alla formazione di una Chiesa Unitariana,
in Polonia ed in Ungheria, in antagonismo a quella Riformata dei calvinisti.
Fra questi «eretici italiani » furono Bernardino Ochino, il grande predicatore
senese, ed il suo compatriota Fausto Socini (1539-1604). Quest'ultimo fu il
maggiore pensatore dell'antitrinitarismo, unendo ad una serrata critica
dottrinale un vigoroso afflato umanitario, e formulando una precisa dottrina di
separazione della Chiesa dallo Stato. Le idee sociniane ebbero grande importanza
storica, come anticipazione delle moderne concezioni della libertà religiosa,
nonché di taluni atteggiamenti, che portarono nel Settecento al deismo degli
Illuministi. Respinte a lungo in Europa tanto dai cattolici come dai
protestanti, esse trovarono infine la propria attuazione più completa nella
Costituzione Americana del secolo XVIII.
CONTRORIFORMA CATTOLICA -
Frequenti erano le richieste di riforma provenienti dall'interno della Chiesa
cattolica. La risposta fu la convocazione del Concilio di Trento.
Con le espressioni Controriforma e Riforma cattolica gli storici definiscono la
reazione cattolica alla Riforma protestante. Con la prima si sottolinea la dura
opposizione al Protestantesimo, con la seconda si pone l'accento sul
rinnovamento della Chiesa.
Il Concilio di Trento (1545-1563) riaffermò la dottrina cattolica, il principio
del libero arbitrio, il valore di tutti i sacramenti e l'autorità del pontefice.
Inoltre stabilì che solo la Chiesa, guidata dal pontefice, può interpretare le
Sacre Scritture. La dottrina cattolica venne raccolta nel catechismo romano.
Il Concilio riformò l'organizzazione della Chiesa. La moralità del clero venne
migliorata:
- obbligando i vescovi a risiedere nelle proprie diocesi,
- istituendo
seminari per la formazione del clero
- riconfermando il divieto di matrimonio
per i sacerdoti.
Per combattere il protestantesimo venne potenziato il Tribunale
dell'Inquisizione e fu redatto l'indice dei libri proibiti.
Sorsero nuovi ordini religiosi. Particolare peso ebbe quello dei gesuiti:
educatori, missionari, consiglieri di sovrani. Moltissimi sacerdoti, invece, si
dedicarono all'assistenza di poveri e malati.
L'intolleranza religiosa si diffuse, senza distinzione, fra cattolici e
protestanti. A Roma, fu bruciato sul rogo il filosofo Giordano Bruno; a Ginevra
i calvinisti condannarono a morte Michele Serveto.
Frutto di intolleranza, fanatismo e superstizione, si diffuse la caccia alle
streghe. Le accuse colpirono soprattutto povere donne malate di mente.
LA CRISI DELL'UNITA' CRISTIANA -
Gli anni tra il 1535 ed il 1545 sono determinanti nella storia spirituale
dell'Europa. Fino ad allora infatti le speranze della ricomposizione dell'unità
cristiana nell'Europa non erano ancora perdute. All'infuori di quei paesi, nei
quali la Riforma si era imposta con un trionfo deciso, nella maggior parte
dell'Europa la distinzione tra gli aderenti alla tradizione e i riformisti era
ancora imprecisa.
L'illuminata pietà cristiana, che i seguaci di Erasmo avevano diffuso in Europa
formava ancora una piattaforma comune, sulla quale uomini di grande cultura e di
prestigio dall'una e dall'altra parte potevano incontrarsi e comprendersi.
Ma l'atteso ravvicinamento tra i due rami del cristianesimo non avvenne. Anzi
gli anni intorno al 1540 segnarono un allontanamento, conducendo protestanti e
cattolici alla rottura definitiva.
All'irrigidimento del protestantesimo, sotto l'influenza del calvinismo,
corrispose nel campo cattolico un irrigidimento analogo. Questo irrigidimento su
posizioni dogmatiche sempre più rigorose, accompagnato da una revisione morale e
disciplinare e da una vasta controffensiva verso il protestantesimo, è la
Controriforma.
Nel determinare l'indirizzo della controriforma particolare influenza ebbero
alcuni eventi tra cui i principali furono la nascita della Compagnia di Gesù,
fondata da S. IGNAZIO DI LOYOLA nel 1534, la riorganizzazione dell'Inquisizione
e l'istituzione del S. Uffizio (1542), l'apertura del Concilio di Trento (1545),
cui seguirono i primi provvedimenti contro la stampa di libri eretici,
culminanti poi nella compilazione dell'Indice dei libri proibiti (1564).
LA COMPAGNIA DI GESU' -
Forza propulsiva centrale della controriforma fu la Compagnia di Gesù, fondata
INIGO YANEZ DE ONAZ Y LOYOLA, noto come S. Ignazio di Loyola (1491-1556).
Discendente di una nobile famiglia basca, il Loyola aveva condotto un'esistenza
totalmente mondana, sinché in uno scontro a Pamplona (1521) riportò una ferita
che lo lasciò zoppicante per tutta la vita. Fu costretto ad una lunga e dolorosa
convalescenza, durante la quale si dette a letture religiose che gli destarono
un'ardente aspirazione alla santità. Abbandonò il mondo e si votò alla povertà
ed alle più aspre penitenze, nel corso delle quali sentì rafforzata la propria
vocazione da visioni celestiali. Per dominare la parte terrena di se stesso,
condusse un'eroica lotta interiore, da cui scaturì il primo nucleo di quegli
Esercizi Spirituali, che egli doveva completare e perfezionare negli anni
successivi.
Gli Esercizi propongono una serie di graduali riflessioni, che si rivolgono
tanto all'intelletto quanto alla fantasia, onde portare l'uomo a sentire
drammaticamente l'orrore del peccato e lo spavento del castigo, l'amore di Dio e
l'aspirazione al Paradiso.
Ignazio uscì presto dalla solitudine, per recare nel mondo il suo messaggio,
affrontando le sofferenze più dure, in lunghe peregrinazioni, fra cui una anche
in Terra Santa.
Egli si convinse che una solida preparazione culturale era indispensabile
all'opera religiosa.
Si mise a studiare, frequentando le università spagnole. La nuova cultura
erasmiana non
ebbe attrattiva su di lui ed Ignazio accettò
senza esitazioni la teologia scolastica della tradizione medievale. Ciò non
tolse però che la pietà ignaziana, con la sua ardente vena mistica tornasse
sospetta ai più intolleranti custodi dell'ortodossia, i quali scambiarono
Ignazio per un pericoloso innovatore. Dimostrata la sua innocenza davanti
all'Inquisizione, egli passò all'università di Parigi (1528) e qui radunò un
nucleo di condiscepoli, specie italiani e spagnoli, come FRANCESCO SAVERIO,
DIEGO LAÍNEZ, ALFONSO SALMERÓN. Insieme a costoro, fece voto di dedizione a
Cristo e lasciò Parigi, contando di recarsi in Terra Santa.
Venuti in Italia, Ignazio ed i suoi amici non riuscirono a i partire per il
Levante, ma guadagnarono una larga ammirazione per l'abnegazione al servizio dei
poveri e degli ammalati.
Mettendosi ad incondizionata disposizione del pontefice, il gruppo si trasferì a
Roma e quivi assunse forma definitiva, col nome di Compagnia di Gesù, ottenendo
l'approvazione della propria costituzione dal papa Paolo III (1540).
Grazie all'abnegazione, al coraggio, alla pedagogia degli Esercizi, la Compagnia
ebbe un successo rapidissimo.
Essa si sparse in tutto il mondo cattolico, guadagnando l'appoggio dei principi
e delle classi dirigenti, ed assunse la guida morale della Controriforma,
trasformandosi in una potenza internazionale.
LO SPIRITO GESUITICO -
Caratteristica della Compagnia di Gesù è una commistione singolare di ardore
mistico e di realistico attivismo, di rigida obbedienza e di potenziamento delle
attitudini individuali di ciascuno dei suoi membri.
Il problema della redenzione è al centro dello spirito di S. Ignazio quanto di
quello del Lutero o di Calvino. Ma, mentre i riformatori protestanti insistono
soprattutto sul contatto diretto ed immediato del credente col suo Salvatore,
Ignazio di Loyola ritiene indispensabile la mediazione della Chiesa e del
sacerdozio per la salvezza e la santificazione.
La Compagnia di Gesù ha come scopo essenziale la difesa della chiesa, del suo
prestigio e della sua potenza e la difesa dell'autorità assoluta del papa.
La Compagnia di Gesù mantiene anche al proprio interno la disciplina più
rigorosa col precetto della cieca obbedienza ai superiori. L'ordine gesuitico
non conserva niente di quegli organi collegiali, nei quali si esprimeva il
sentimento corale del monachesimo medievale. Il generale è un comandante, che ha
diritto all'obbedienza illimitata, ed a sua volta dipende direttamente dal
papa, senza alcuna intermediazione.
Il gesuita deve sentirsi sciolto da ogni vincolo politico, di patria o di
nazionalità, quando siano in giuoco gli interessi della Chiesa e del Papato.
Accanto a questo ferreo autoritarismo, la Compagnia di Gesù sviluppa un insonne
attivismo. Il gesuita non sta in monastero, ma lavora nel mondo per il trionfo
della Chiesa, come confessore o direttore spirituale, come insegnante, come
missionario, come oratore. Il realismo e l’abile penetrazione psicologica
conducono i gesuiti a valersi di ogni mezzo per indurre gli animi alla
soggezione alla Chiesa, alla pratica costante e frequente dei suoi sacramenti.
L'arte, l'eloquenza, l'influenza politica, ed in modo tutto particolare
l'istruzione, sono ugualmente tenute in conto. I gesuiti perciò indirizzano non
di rado le proprie cure verso i membri più influenti della società, onde
guadagnarli alla propria causa.
Membri dell'ordine divengono confessori e direttori spirituali di buona parte
dei regnanti. I figli della nobiltà studiano nei collegi gesuitici, che si
impongono ben presto fra tutti gl'istituti per la qualità dell’insegnamento.
Sono gesuiti i più eloquenti predicatori del tempo, che fanno appello alla
fantasia ed ai sensi dei propri ascoltatori con la rappresentazione
impressionante delle sofferenze dell'inferno o delle glorie del paradiso.
L'INQUISIZIONE -Nunzio in Spagna nel 1536, il cardinale CARAFA, il maggiore esponente
dell’opposizione a qualunque tolleranza religiosa, aveva visto all'opera
l'Inquisizione e ne aveva constatati i successi contro gli ambienti sospetti di
eterodossia. Egli quindi ispirò nel 1542 la riorganizzazione dell’Inquisizione
romana.
Una congregazione di nove cardinali, detta Congregazione del Santo Uffizio,
venne creata con poteri vastissimi per l'estirpazione delle eresie. Mentre
l'inquisizione spagnola dipendeva dal re e la maggior parte dei tribunali inquisitoriali erano soggetti al controllo dello stato, l'inquisizione romana
doveva operare alle dirette dipendenze del papa, sciolta da ogni altro vincolo.
Gli effetti furono veloci soprattutto in Italia, dove i simpatizzanti per la
Riforma furono dispersi e costretti a riparare oltralpe. Già nel 1542, uomini
come il Vermigli, il Curione e l'Ochino erano costretti a prendere la fuga.
CONCILIO DI TRENTO -
Parte cospicua ebbero i gesuiti anche nel Concilio di Trento (1545-1563).Da lungo tempo era diffusa la convinzione che il solo rimedio per molti abusi e
scandali fosse la convocazione di un Concilio ecumenico.
Nella sua attività riformatrice il pontefice PAOLO III non affrontò anche questo
problema. I luterani avrebbero accettato il concilio, proposto da Carlo V,
purché il papa vi comparisse non già come la suprema autorità, ma semplicemente
come una delle parti contendenti, pronta ad assoggettarsi al giudizio della
maggioranza.
Anche in mezzo al clero e specialmente all'episcopato francese, tedesco e
talora spagnolo, non mancavano coloro che ritenevano necessario limitare
l'autorità del papa e rafforzare quella dei vescovi e del concilio.
Per questo motivo benché il papa avesse indetto il concilio fin dal 1536, fu
impossibile riunirlo per molto tempo. I luterani non accettavano un concilio
convocato dal papa in disconoscimento delle loro richieste. Carlo V non osava
irritarli, e impediva al clero dei suoi stati di partecipare al concilio.
Il papa avrebbe voluto indire il concilio in Italia per poterne meglio
controllare le vicende, mentre da altre parti lo si chiedeva fuori d'Italia.
Soltanto nel 1542 fu precisata, con una sorta di compromesso, la città di Trento
come sede del concilio. Le vicende della guerra ne ritardarono i lavori, che
poterono iniziare solo nel 1545, grazie allo stato di tensione determinatosi
dopo la pace di Crépy, tra Carlo V ed i luterani, che terminò più tardi nella
guerra contro la lega di Smalcalda e nella sconfitta dei protestanti a Mùhlberg
(1547).
Il concilio procedette sollecitamente alla condanna radicale delle tesi dei
protestanti.
Questi ultimi affermavano che il fondamento della fede doveva trovarsi nel testo
originale greco o ebraico della Scrittura, mentre il concilio stabiliva
l'autorità, oltre che della Scrittura, della tradizione. Solo il clero deteneva
il diritto di interpretazione della Scrittura il cui testo valido veniva
considerato la traduzione latina di S. Girolamo, nota come Vulgata.
Di contro alla tesi della Riforma della giustificazione per fede, venne
precisato il concetto di giustificazione per fede e per opere.
Di contro alla riduzione a due soli dei sacramenti, operata dai protestanti, ed
alla concezione spiritualistica del sacramento della comunione, sostenuta dallo Zwingli e dal Calvino, si stabilì a sette il numero dei sacramenti, e si affermò
il loro carattere oggettivo e la loro efficacia ex opere operato, cioè per
intrinseca virtù propria.
Praticamente, ciò significava la sconfitta della corrente che cercava il
compromesso coi protestanti e la vittoria degli intransigenti difensori della
tradizione scolastica del Medioevo, sostenuti dai gesuiti.
Più difficile appariva la riforma morale della Chiesa, in cui si profilava un
conflitto tra i vescovi e il Papato per definire la reciproca sfera di autorità
e prerogative.
Si stabilì l'obbligo di residenza per i vescovi e fu vietato il cumulo dei
benefici nella stessa persona, onde far cessare lo scandalo di vescovi mondani
ed assenti dalla propria diocesi o l'uso a fini profani di benefici
ecclesiastici.
Nel 1547 una pestilenza diede la possibilità al pontefice di trasferire il
concilio a Bologna, più vicino a Roma, dove meglio avrebbe potuto seguirne gli
sviluppi e far prevalere il clero italiano. La decisione sollevò discussioni e
renitenze, che provocarono una sospensione del concilio fino al 1551.
La seconda riunione del concilio di Trento durò anch'essa due anni, dal 1551 al
1552.
Si affrontò la natura dei vari sacramenti e si confermò, contro le tesi
protestanti, il dogma della transustanziazione, cioè della presenza reale del
Cristo nella comunione eucaristica.
Grazie alle insistenze imperiali una delegazione protestante comparve questa
volta davanti al concilio, ma avendo constatato che le decisioni più importanti
in materia dogmatica fossero state già prese, essa si ritirò e non tornò più.
La ripresa del conflitto tra Carlo V e la Francia, sostenuta dai principi
protestanti, mise in forse la sicurezza stessa del concilio, che dovette ancora
una volta aggiornarsi ed interrompere i propri lavori.
L'interruzione durò dieci anni. La ripresa avvenne nel 1563 per opera del
pontefice Pio IV e durò ancora due anni, concludendosi nel 1564.
Vennero confermati la dottrina del Purgatorio, la venerazione dei Santi, il
culto delle immagini, l'indissolubilità del matrimonio, il divieto della
celebrazione dei matrimoni clandestini. Nel campo disciplinare venne resa più
stretta l'osservanza delle regole claustrali ed imposto a vescovi e parroci
l'obbligo di esercitare il ministero della predicazione.
Furono confermati l'obbligo del celibato ecclesiastico e l'uso del latino nel
culto pubblico. Fu stabilito che presso ogni chiesa cattedrale sarebbe stato
istituito un Seminario per la preparazione del clero.
L’antica questione della superiorità tra il papa, i vescovi e il concilio fu
risolta a favore del papa vincendo le resistenze soprattutto del clero francese
e dell’imperatore. Fu infatti riconosciuto che l'approvazione e
l'interpretazione delle decisioni del concilio sarebbe stata riservata alla
Santa Sede e su questa conclusione il concilio stesso ebbe termine.
Le decisioni conciliari furono racchiuse subito dopo nella Professio Fidei
Tridentinae, che il pontefice fece proclamare il 13 novembre 1564, e che divenne
così il fondamento medesimo
della dottrina della Chiesa cattolica. Le decisioni del concilio furono
comunicate ai vari stati europei ed accettate senz'altro dalla maggioranza di
essi.
Soltanto la Francia si oppose alla menomazione delle libertà gallicane della
Chiesa francese ed accettò pertanto solo la parte dogmatica delle decisioni
stesse.
LA DISTRUZIONE DEL PROTESTANTESIMO IN ITALIA E IN SPAGNA -
Accanto alla ripresa dei lavori del Concilio di Trento, il pontificato di
Giulio III assisteva altresì all’ intensificarsi della attività
dell'Inquisizione, specie in Italia.
A Napoli il governo spagnolo disperdeva le ultime tracce del moto valdesiano, a
Venezia l'Inquisizione iniziava una serie di sanguinose persecuzioni
sterminando gli anabattisti.
La repressione si fece ancora più dura, allorché salì al trono papale lo stesso
cardinale Carafa col nome di PAOLO IV (1555-1559). La persecuzione non risparmiò
allora nemmeno i membri dello stesso collegio cardinalizio, colpevoli di avere
mostrato le proprie simpatie verso le moderate tendenze erasmiane.
Enrico II moltiplicava in Francia i provvedimenti repressivi e le esecuzioni
capitali e
Filippo II, tra il 1558 ed il 1559, con solenni autos da fè mandava al rogo gli
scarsi aderenti che la Riforma aveva trovato in Spagna.
In Francia la solida organizzazione data dal calvinismo ai protestanti
permetteva loro di resistere, in una interminabile serie di guerre religiose,
invece in Italia ed in Spagna i provvedimenti repressivi raggiunsero lo scopo di
far scomparire ogni penetrazione del protestantesimo.
Anche in Inghilterra parve per qualche tempo che la Chiesa romana potesse avere
ragione dei propri avversari. Ad Edoardo VI, che aveva promosso una evoluzione
della Chiesa di Inghilterra in senso protestante, succedeva nel 1553 la sorella
MARIA (1553-1558), figlia di Caterina di Aragona e sposa di Filippo II.
Quest'ultima, ardente cattolica e pienamente consenziente con la politica di
spietata distruzione del protestantesimo seguita dal marito, tornava ad imporre
il ritorno dell'Inghilterra alla obbedienza verso il papa.
Persecuzioni sanguinose colpirono i promotori dello scisma anglicano. L'unione
dell'Inghilterra al carro della politica spagnola, come la Controriforma
inglese, ebbero però durata assai breve. Prima ancora che terminasse il
pontificato di Paolo IV, MARIA LA CATTOLICA veniva a morte e le succedeva
un'altra sorella, figlia di Anna Boleyn, la regina ELISABETTA, sotto la quale
l'anglicanesimo era restaurato come religione ufficiale dell'Inghilterra.
INDICE DEI LIBRI PROIBITI -
La Controriforma proseguiva la sua opera nel corso del sec. XVI. Il ritorno
dell'Inghilterra allo scisma anglicano, le guerre di religione in Francia, i
successi del calvinismo in Scozia, nei Paesi Bassi ecc., la sempre più vasta
penetrazione del protestantesimo nell'Europa centro-orientale, erano colpi cui
il Papato rispondeva rafforzando la repressione, rinvigorendo il clero,
ravvivando la vita spirituale e la devozione popolare nei paesi rimasti fedeli.
A Paolo IV era successo Pio IV (1559-1566), discendente da un ramo milanese
della casa dei Medici. Duttile e bonario, il nuovo pontefice appariva di
temperamento assai diverso dal focoso ed inflessibile Carafa. L'influenza
tuttavia di una potente personalità religiosa, il CARDINALE S. CARLO BORROMEO,
assai valse a fare procedere l'opera di risveglio della pietà e di risanamento
del costume nella Chiesa.
Si devono infatti all’ attività di Carlo Borromeo diverse iniziative
d'importanza storica che segnarono il pontificato di Pio IV. Sono tra queste,
oltre la conclusione del Concilio di Trento e la proclamazione della Professio
Fidei Tridentinae, anche la pubblicazione dell’ Index librorum prohibitorum a
Summo Pontifice, un elenco cioè dei libri di cui avrebbero dovuto essere
proibite con severe pene la stampa, la lettura e la circolazione. Sotto
l'influenza ancora del Borromeo veniva stampato nel 1566, il Catechismo
Tridentino, nel quale la dottrina canonizzata dal Concilio veniva riassunta in
forma schematica per l'uso dei fanciulli e del popolo.
L'Indice di Pio IV coronava una serie di sforzi già compiuti da papi e
inquisitori per arginare la diffusione di libri pericolosi per la fede.
Esso doveva trovare il proprio complemento sotto il pontificato di Pio V
(1566-1572), con l’istituzione della Congregazione dell'Indice, con lo scopo di
tenere aggiornato l'elenco dei libri proibiti.
Il pontificato di Pio V fu dei più caratteristici dell'età della Controriforma.
Il nuovo pontefice (MICHELE GHISLIERI), prima di ascendere alla suprema dignità
ecclesiastica era stato frate di austeri costumi ed inquisitore severo.
I papi del Rinascimento avevano dato lo spettacolo di una mondanità lussuosa,
Pio V rinnovava l'ascetismo più rigido nella sua vita di dura penitenza, nelle
manifestazioni pubbliche di umiltà e di acceso fervore devoto, nella
instancabile attività persecutrice verso gli eretici.
Dopo il Carnesecchi, già mandato al rogo nel 1562, periva così anche l'ultimo
superstite del cenacolo valdesiano, l'umanista AONIO PALEARIO, arso vivo a Roma
nel 1567.
Per la volontà di rinnovare i tempi dei grandi pontefici del Medioevo, il papa
ripubblicò la bolla di Bonifacio VIII, in Coena Domini, cercando di riaffermare
il principio dell’assoluta supremazia del potere papale su quello di ogni altro
sovrano.
Forti resistenze accolsero questo gesto del papa, perfino nella cattolicissima
Spagna, il cui sovrano, colonna della cattolicità contro turchi ed eretici, non
intendeva vedere intaccato il proprio potere assoluto.
IL RINNOVAMENTO INTERNO DELLA CHIESA -
Alla difesa del cattolicesimo corrisponde un’azione capillare che permea
l'intero corpo della Chiesa.
Nuovi ordini religiosi sorgono, portando in sé quel caratteristico attivismo,
quella sollecitudine per l'azione educativa e caritatevole, che sono
caratteristiche della vita ecclesiastica della Controriforma.
Nel 1548 il fiorentino S. FILIPPO NERI fonda la Congregazione dei preti
dell'oratorio o Filippini, dedita all'assistenza dei poveri ed alla istruzione
popolare.
Altri ordini, come quello dei Fatebenefratelli fondato dal portoghese S.
GIOVANNI DI DIO, e dei Camilliani, fondati da S. CAMILLO DE LELLIS,
rispettivamente nel 1572 e nel 1582, si consacrano all' assistenza degli
infermi.
Più tardi si aggiunge l'ordine degli Scolopi, istituito nel 1600 dallo spagnolo
S. GIUSEPPE CALASANZIO, col compito precipuo dell’organizzazione scolastica.
Vescovi animati da profondo zelo pastorale rinnovano la vita religiosa e morale
del clero.
Gli stessi ordini religiosi medievali ritrovano un entusiasmo nuovo.
Non è tanto all'intelletto ed alle sue speculazioni che si rivolge la pietà
della Controriforma, quanto al sentimento ed alla fantasia.
È l'appassionata esaltazione mistica che si effonde dagli scritti dei due grandi
santi spagnoli, SANTA TERESA D'AVILA e SAN GIOVANNI DELLA CROCE.
È l'arte della Controriforma, che mette al servizio della Chiesa la maestà
scenografica delle sue fastose costruzioni nel nuovo stile barocco, che
nell'enfasi delle proporzioni gigantesche, nello sfarzo delle decorazioni, nel
concitato atteggiarsi delle statue e delle immagini, sembra volere esprimere
sensibilmente l'onda della commozione sentimentale e la maestà secolare
dell'istituzione ecclesiastica.
È la musica sacra rinnovata dai grandi maestri della polifonia cattolica, come
PIER LUIGI DA PALESTRINA.
È l'accentuazione posta sulla carità che prodiga tesori di abnegazione e di
amore nel soccorso dei sofferenti.
È l’insistenza per la continua, frequente pratica dei sacramenti, quasi come
rifugio contro le tentazioni del pensiero.
Questo fervore di iniziative per la rinascita religiosa dei fedeli, per la
preparazione del clero, per la carità verso i sofferenti, unitamente alla
presenza di alte figure di mistici, di santi della carità, di missionari,
impediscono alla controriforma di esaurirsi in una semplice azione repressiva, e
le permettono di segnare una fase di rinnovata vitalità della Chiesa.
L’azione della Chiesa si esplica anche nelle missioni in Asia e in America
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Particolare vigore spiega anche in questo campo la Compagnia di Gesù, alla cui
iniziativa si deve una generosa e benefica opera di difesa degli infelici
indiani d'America dalla barbarie dei conquistatori e perfino la creazione di una
sorta di stato a sé, nel Paraguay, guidato e retto dai gesuiti, onde avviare
alla civiltà gli indigeni e difenderli dalla brutalità dei bianchi.
Nel corso della seconda metà del sec. XVI l'Europa vede determinarsi uno dei
fenomeni più caratteristici dell'età moderna: la sua frattura spirituale in
mondi diversi e fra loro contrastanti, lo scavarsi cioè di un solco, fra i
popoli formati dalla Controriforma ed i popoli formati dal protestantesimo.
La lotta non si svolgerà soltanto sul terreno teologico ed ecclesiastico. Per
oltre cento anni l'Europa vedrà infatti affrontarsi sanguinosamente due diverse
maniere di concepire la vita religiosa e di concepire la vita politica, sociale,
economica. Gli Asburgo di Spagna e di Austria, la Polonia, la Baviera,
costituiranno i baluardi di una concezione: l'Inghilterra, l'Olanda, la Svezia,
formeranno i capisaldi dell'altra.
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