DIOCLEZIANO -
22 dicembre 244 - 3 dicembre 311 -
Diocleziano nacque nel 244 sulla costa dalmata, forse a Salona.
Fu chiamato Diocles e
ricevette una sommaria educazione letteraria con un certo senso di pietas
romana, cioè la tollerante religiosità dei Romani unita a un profondo senso di
onestà e giustizia. Sposò Prisca da cui ebbe la figlia Valeria, ambedue ritenute
cristiane.
Dal 275 al 284 d.c.
a Roma si succedettero una serie di imperatori che vennero eliminati
violentemente uno dopo l'altro. Le rivolte non venivano dai barbari o dai
parti che Roma combatteva, ma dagli stessi militari, all'interno di quell'esercito
che era romano solo formalmente, perchè dentro c'era di tutto.
I militari
chiesero una paga sempre più alta e l'acclamazione degli imperatori dipendeva
dalle loro donazioni in oro. Così i generali romani divennero tra loro rivali
del trono aprendo il terreno alle guerre civili.
Ne profittarono Franchi, Alamanni, e Goti, e
ad ovest i Sassanidi Persiani per invadere i confini, dando il via a un triste
periodo di guerre interne ed esterne, finchè non giunse al potere Diocleziano.
Egli aveva fin da giovanissimo seguito la carriera militare, percorrendola fino
ai più alti gradi, distinguendosi per coraggio, prudenza e metodo. Era stato
console sotto Probo, poi governatore della Mesia.
Nel 282, sotto Caro
imperatore, fu nominato comandante della cavalleria e dei pretoriani. Nel 283
ottenne il Consolato. Sembra che una veggente, gli avesse predetto da giovane
che sarebbe stato imperatore il giorno che avesse ucciso un cinghiale(aper). In
effetti era arrivato alla corona quando, al cospetto delle legioni, uccise a
Nicomedia quell'uomo che del cinghiale portava il nome (Apro).
Nel 284 d.c., dopo l'assassinio di Caro, prima Numeriano poi Apro si fecero
acclamare imperatori, ma il primo morì in circostanze misteriose e il secondo,
accusato di averlo assassinato, da imperatore visse poche ore. Carino, figlio
maggiore di Caro rimase
imperatore nell'ovest e Diocleziano fu acclamato imperatore in oriente sostituendo Numeriano.
I due si scontrarono nella battaglia del fiume Margus, in cui Carino perse il
regno e la vita 284. Diocleziano rimase quindi padrone dell'impero.
Così Caio Aurelio Valerio, illirico, da Diocle, sua patria, prese il nome di
Diocleziano.
Diocleziano aveva 39 anni, con esperienza degli uomini, ormai maturo e
riflessivo.
Dopo la battaglia del Margus, in cui la vendetta di un ufficiale gli
aveva data la vittoria (l'ufficiale aveva ucciso Carino vendicandosi per avergli
violentato la moglie) Diocleziano si dimostrò magnanimo coi sostenitori di
Carino: nessuno fu toccato o rimosso dalle cariche e lo stesso Aristobulo,
prefetto del pretorio e creatura della Curia, rimase al consolato.
Se però all'interno aveva ottenuto pace, all'esterno c'erano serie minacce.
Elpidio Achille fomentava la rivolta ad Alessandria; in Egitto minacciavano
l'invasione i Blemmi; nella Numidia le tribù dei Bavari e dei Quinquangentanei
razziavano il paese; nella regione danubiana Sarmati e Germani varcavano i
confini; i Franchi invadevano i paesi del Reno, e le coste galliche del nord
erano infestate dai pirati sassoni; in Gallia i Bagaudi saccheggiavano le
campagne per ricostituire l'impero gallico.
Tetrarchia -
Diocleziano stabilì allora di dare all'impero una tetrarchia di governo, con due
imperatori (Augusti), di cui uno più anziano e di maggiore autorità, e in
sottordine due Cesari. Morto un imperatore, doveva succedergli il suo Cesare il
quale, divenuto Augusto doveva nominarsi, a sua volta, un Cesare. I due Cesari,
al pari dei due Augusti, dovevano avere la potestas tribunicia e l' imperium, ma
non il potere legislativo, e potevano batter moneta e comandare eserciti in nome
degli imperatori di cui erano luogotenenti con diritto alla successione.
Nel 285, di conseguenza, nominò il suo
commilitone Massimiano Augusto, co-imperatore;
Il Cesare che Diocleziano si scelse fu il dace Valerio Galerio, soldato rude e
violento nativo di Sardica; quello di Massimiano fu Flavio Costanzo, detto Cloro
per il suo pallore, originario della Dardanica, che discendeva da Claudio il
Gotico ed era colto e mite.
Nel 293 i due Cesari ebbero le insegne, il primo a Nicomedia e il secondo a
Milano. Per rinsaldare i vincoli, Galerio sposò Valeria, figlia di Diocleziano,
Costanzo Cloro (già padre di Costantino avuto da una Giulia Elena di Bitinia)
divenne marito di Teodora, figliastra di Massimiano.
•Galerio ebbe il governo delle province illiriche, della Macedonia, della Grecia
e di Creta con sede a Sirmio,
•Costanzo quello della Gallia e della Britannia con residenza a Treveri.
•Massimiano l' Italia, la Rezia, la Sicilia, la Sardegna e l'Africa,
•Diocleziano prese l'Egitto e la Libia insieme alle province d'Asia.
L'impero era diviso solo dal punto di vista militare, ma non dal punto di vista
politico. Le leggi riguardavano tutto l'impero e portavano le quattro firme
degli Augusti e dei Cesari. Questa era non tanto l'ammissione che nessun uomo
poteva governare l'impero, quanto il riconoscimento che il potere politico
doveva essere maggiormente distribuito per aiutare il mantenimento della pace.
Ora Costanzo aveva si avuto il governo della Gallia e della Britannia, ma
quest'ultima era in potere di Carausio, che occorreva combattere insieme ai
Franchi suoi alleati.
Costanzo sbarrò il porto di Gessoriaco con una diga e costrinse con la fame alla
resa le navi e la guarnigione ribelle (293), poi sconfisse i Franchi, e mentre
si preparava ad assalire in Britannia Carausio, questi fu ucciso dal suo
ufficiale Alletto, che ne prese il potere.
Costanzo divise la flotta in due squadre, una era comandata da lui, l'altra dal
comandante della guardia, Asclepiodoto, che riuscì ad approdare vicino Brighton.
Saputo dello sbarco, Alletto combattè contro Asclepiodoto, ma fu sconfitto ed
ucciso; il suo esercito, gettatosi sulla città per saccheggiarla fu assalito
dalle truppe imperiali e sterminato. Così Britannia tornò provincia dell' impero
romano.
Costanzo si diresse poi alla frontiera renana, sotto la custodia di Massimiano
che doveva recarsi in Africa, dove i Mauritani si erano ribellati: la Numidia
era percorsa da Bavari e Quinquangentanei con il pretendente Giuliano che si era
fatto proclamare imperatore.
Massimiano in Africa sconfisse i Mauri ribelli e Giuliano si suicidò.
Costanzo Cloro intanto, mentre fortificava la frontiera tra Magonza e il lago di
Costanza, seppe che gli Alemanni, superato il Reno, devastavano i villaggi. Così
mosse contro di loro sconfiggendoli a Langres e a Vindonissa.
Galerio a sua volta dovette combattere contro Quadi, Jazigi, Bastami e Carpi per
quattro anni, dal 293 al 296. Finalmente i Carpi, i nemici più pericolosi, più
volte battuti, furono sconfitti e deportati come coloni, nella Mesia e nella
Pannonia.
Diocleziano stava a Nicomedia quando seppe di un' insurrezione in Egitto. Corse
ad Alessandria e l'assediò per otto mesi finchè non le tagliò gli acquedotti.
Alessandria fu abbandonata alle truppe e saccheggiata. Con i Blemmi nell'alto Egitto Diocleziano, dopo averli
sconfitti, si accordò. Contemporaneamente nelle vicinanze di Siene venne
stanziata la tribù dei Nobati che ebbe il compito di guardare i confini
meridionali.
Intanto Narsete, successore al trono di Persia, invase l'Armenia costringendo
Tiridate a ritirarsi in territorio romano, quindi penetrò in Mesopotamia (296).
Il comando della guerra contro i Persiani, in assenza di Diocleziano, fu assunto
da Galerio che prese come collaboratore Tiridate, ma fu sconfitto pesantemente.
A stento Galerio e Tiridate riuscirono a salvarsi e i Persiani avrebbero invaso
la Siria se non fosse sopraggiunto Diocleziano.
Questi difese la linea dell' Eufrate (297) e mandò Galerio nell'Illirico per
raccogliervi un nuovo esercito che sorprese i Persiani e li sconfisse. Narsete
fuggì, ma la sua famiglia e i suoi tesori caddero nella mani dei vincitori.
Intanto che Tiridate percorreva l'Armenia punendo i nemici, Diocleziano entrato
in Mesopotamia, si congiungeva a Nisibi con Galerio.
Narsete chiese allora la pace e Diocleziano accettò a patto che venisse
restituita tutta la Mesopotamia, che cedesse cinque province, che l'Armenia
tornasse sotto Roma e che sul trono fosse rimesso Tiridate. Una pace
vantaggiosissima che assicurava le frontiere occidentali e le vie del Caucaso
per i commerci.
Riforme -
La tetrarchia dunque, grazie a Diocleziano, assicurò la pace sperata, così
l'imperatore si occupò di riforme.
•Passò le antiche attribuzioni del Senato al Concistorium principis con tutte le
questioni di carattere legislativo.
•L'ordinamento provinciale venne mutato, dal lato territoriale e dal lato
amministrativo, e il potere civile venne diviso dal potere militare. Ogni
provincia aveva un praeses, un governatore civile, ed uno o più duces per il
comando delle truppe.
•Portò il numero delle province da 57 a 96, creando gruppi di province, dette
diocesi, governate da vicari. Si formarono così nel 297, 12 diocesi, 5 in
Oriente e 7 in Occidente.
•Lasciò le antiche coorti pretorie, creando però nuove guardie del corpo,
reclutate specialmente in Illiria, per i due Augusti e i due Cesari.
•L'esercito da 350.000 fu portato a 500.000 uomini, vennero ridotti i soldati
delle legioni e accresciuto il numero degli ufficiali.
L'esercito fu completamente riformato. Con Diocleziano abbiamo la divisione
formale tra esercito di frontiera ed esercito campale. L'esercito campale era
mobile e poteva essere spostato dappertutto secondo le necessità. Ogni tetrarca
aveva un esercito campale sotto il suo comando. Ogni tetrarca aveva anche una
guardia di palazzo, innovazione, questa, che riduceva la guardia pretoriana a
poco più di una guarnigione cittadina. Le truppe di frontiera erano chiamate
"limitanei" o "riparienses" (letteralmente uomini della riva) a dimostrazione
dell'importanza dei confini del Danubio, del Reno, dell'Eufrate.
Rinnovò il catasto e le imposte sui terreni, che vennero tassati a seconda della
categoria. L'imposta fondiaria, in denaro o natura, veniva riscossa dai
decurioni sotto loro responsabilità.
Cadde così l'esenzione dell'Italia dalle imposte, che riguardò solo la urbicaria
regio, il territorio che si estende fino a cento miglia dalle mura dell'Urbe.
•Coniò nuove monete: l'aureus di grammi 5,45, l' argenteus di grammi 3,40 e il
follis di bronzo, ma non potè togliere dalla circolazione i denari di bassissima
lega.
•Nel 301, fissò il massimo dei prezzi rerum venalium, con la pena di morte per i
trasgressori. Ma poi lo revocò vedendone il pessimo effetto.
La persecuzione dei cristiani -
Gli ultimi anni dell' impero di Diocleziano furono insanguinati dalle
persecuzioni contro i Cristiani.
Il Cristianesimo si era diffuso in tutto l'impero, e le chiese disponevano di
ingenti beni con una potente gerarchia, che in certe città aveva una grandissima
autorità anche fuori della comunità cristiana.
Il Cristianesimo divideva i cittadini credenti da quelli che professavano altre
fedi, predicava l'astensione dalle pubbliche cariche, univa il romano al
barbaro, era contrario alla guerra e all'esercito, e non riconosceva la divinità
dell'imperatore.
Diocleziano non era un pagano fanatico e nei primi anni fu molto tollerante
verso i Cristiani, ma quando due magistrati di Samosato si rifiutarono di
sacrificare agli Dei per la vittoria sui Persiani, quando i sacerdoti
affermarono che le viscere delle vittime consultate, non rispondevano per la
presenza disturbatrice nell'esercito di soldati di altra fede, quando il suo
consiglio privato si pronunciò per la persecuzione dei Cristiani e questa venne
approvata dall'oracolo di Apollo, l'imperatore, istigato anche da Galerio che
odiava i seguaci di Cristo passò alle persecuzioni.
Nel 303, il prefetto del pretorio, coi soldati, invase il tempio cristiano di Nicomedia, bruciò i libri sacri e distrusse la chiesa.
Seguì un editto che ordinava la distruzione delle chiese e dei libri cristiani,
ne scioglieva le comunità, ne confiscava i beni, proibiva le riunioni, li
escludeva dalle cariche pubbliche e dalla cittadinanza e rimetteva nella
schiavitù i liberti se non ritornavano al paganesimo.
L'editto provocò in Oriente tumulti e resistenza dalle comunità cristiane,
giunse allora un secondo editto per cui i Cristiani venissero ricercati ed
obbligati a sacrificare agli dèi e che tutti i vescovi e i preti che si
rifiutavano di consegnare i libri sacri venissero messi in carcere. Con un terzo
editto si accordava l'amnistia a coloro che, abbandonato il Cristianesimo,
ritornassero alla fede pagana.
Nell'Occidente, per merito di Costanzo Cloro e della sua corte in gran parte
convertita al Cristianesimo, la persecuzione si limitò alla distruzione di
qualche chiesa e alla proibizione delle assemblee dei cristiani; in Oriente
invece, più per opera di Galerio che di Diocleziano, gli editti vennero
applicati con rigore fino alla crudeltà.
Molti cristiani abiurarono e sacrificarono ai vecchi Dei, parecchi vescovi
consegnarono i libri sacri e ci furono anche di quelli che, dopo di avere fatto
apostasia, aiutarono i magistrati a perseguitare gli antichi compagni di fede.
Il 20 novembre Diocleziano e Massimiano fecero il loro ingresso nell'Urbe sopra
un magnifico carro tirato da quattro elefanti, seguiti da senatori, magistrati e
ufficiali, da una selva di insegne, dai trofei delle vittorie e dalle figure di
Narsete, delle sue donne e dei suoi figli. Le feste furono accompagnate da
un'amnistia e da elargizioni alle principali città per un totale di
trecentodieci milioni di denari.
Abdicazione -
Diocleziano rimase a Roma solo 28 giorni, poi partì improvvisamente
per Ravenna e da qui fece ritorno a Nicomedia. Probabilmente stanco delle
lamentele del popolo e infelice: la moglie Prisca non lo amava e insieme alla
figlia Valeria aveva abbracciato una religione intollerante e severa, aveva
fallito il tentativo di alleviare la miseria con la disciplina dei prezzi e il
popolo non gli era grato per tutto ciò che aveva fatto per la sua pace.
Da parecchi anni Diocleziano aveva iniziato la costruzione di un immenso palazzo
a Solona (Spalato) in Dalmazia, per passarvi la vecchiaia.
Così nel 305, a tre
miglia da Nicomedia, abdicò proclamando Augusto Galerio e chiamando Cesare Massimino Caio.
Contemporaneamente, a Milano, Massimiano abdicò nominando come Augusto Costanzo
Cloro come cesare Flavio Valerio Severo. Massimiano si ritirò in una sua
villa in Lucania.
Costanzo prese per sé la Gallia, la Britannia e la Spagna; Severo l'Italia,
l'Africa e la Pannonia; Galerio ebbe tutto il resto dell'impero eccettuati
l'Egitto e la Siria che furono dati a Massimino Caio.
Morte -
Nel 308 Diocleziano fu invitato a riprendere la porpora, ma rifiutò e morì a
Spalato nel 316, dopo aver invano pregato Massimino di rimandargli indietro
moglie e figlia. Infatti dopo la morte di Galerio sua moglie e sua figlia,
poichè cristiane, vennero esiliate in Siria, dove vennero giustiziate
dall'imperatore Licinio nel 315.
Diocleziano venne sepolto nel mausoleo che s'era fatto erigere di fronte al
tempio di Giove Ottimo Massimo.
Di lui restano a Roma soprattutto le grandiose
terme con splendidi ambienti ricchi di mosaici, decorazioni e statue.
Fine della Tetrarchia
(305-312)
Diocleziano potè vedere personalmente il crollo della sua tetrarchia.
I due Cesari, Galerio e Costanzo Cloro, divennero Augusti e si scelsero due
nuovi Cesari; ma ben presto da tutte le parti dell'impero pullularono altri
Augusti e altri Cesari (fino a sei Augusti contemporaneamente!), finché rimasero
due soli imperatori:
Costantino, figlio di Costanzo Cloro, proclamato Augusto dalle legioni della
Gallia e favorevole al cristianesimo.
Massenzio, figlio di Massimiano, proclamato Augusto dal senato e dal popolo di
Roma, e favorevole al paganesimo.
Costantino calò in Italia e, per quanto disponesse di forze inferiori,
sconfisse Massenzio presso ponte Milvio nel 312 determinando la vittoria del
cristianesimo sul paganesimo.
Massenzio, nella fuga dei suoi, precipitò nel Tevere dove mori annegato.
Costantino entrò trionfalmente in Roma, dove gli fu dedicato l'arco famoso, che
ancora si conserva.
Ormai famosa la tradizione per cui alla vigilia della battaglia Costantino vide nel cielo
una croce con le parole: "In hoc signo vinces", e che, in seguito a questa
apparizione, fece fare uno stendardo a forma di croce, sormontato dal monogramma
di Cristo (labaro).
COSTANTINO 27 febbraio 274 - 22 maggio 337
Nacque nel 274, a Naisso, da Costanzo Cloro (ma la cosa è controversa), con il
nome di Flavio Valerio Aurelio Costantino, e fu educato a Nicomedia alla corte
di Diocleziano, dove iniziò la carriera militare. Era di straordinaria statura e
corporatura massiccia, non bello, con collo molto largo che gli guadagnò il
soprannome di Trachala, con occhi sporgenti, fronte bassa e
uno sguardo fisso
piuttosto inquietante. Di natura coraggiosa e intelligente, ma pure ambiziosa,
sanguinaria e crudele.
Nonostante il copioso sangue versato nella sua stessa
famiglia, fu fatto santo dalla Chiesa per averne difeso gli interessi.
Inizialmente combattè in Palestina contro i Sarmati, poi sul Danubio,
quindi in Egitto. Intanto Diocleziano lo aveva nominato tribuno militare. Mentre
il padre combatteva in Britannia Costantino era impegnato in Oriente con l'altro
successore Galerio. Suo padre padre lo richiamò in Britannia per aiutarlo a
sconfiggere i Pitti, ma Galerio negò a Costantino la possibilità di partire.
Alla fine Costantino ottenne il permesso di raggiungere il padre, ma sul
percorso trovò agguati e trappole. Si narra che il viaggio di Costantino
dall'Oriente fino a Boulogne in Francia, fosse tormentato dalla paura di essere
assassinato, per cui cavalcò ininterrottamente senza dormire, cambiando
continuamente i cavalli.
Dopo varie peripezie, Costantino si ricongiunse con il padre Costanzo
combattendo con lui i Pitti, ma nella battaglia suo padre perse la vita.
Imperatore -
Ora secondo le leggi di Diocleziano a Valerio Severo spettava il titolo di
Augusto, ma prima che Galerio, come più anziano, lo potesse proclamare, le
legioni di Britannia nominarono imperatore Costantino per le ottime qualità
militari mostrate durante la campagna contro i Pitti.
Per scongiurare la guerra civile, Galerio concesse a Costantino il titolo di
Cesare nominando imperatore Valerio Severo, salvando così l'ordinamento di
Diocleziano e accontentando i soldati in Britannia.
Da questa successione erano esclusi però i figli degli Augusti, per cui M.
Valerio Massenzio, figlio di Massimiano, profittando del malcontento di Roma per
la nuova imposta fondiaria, il 27 ottobre del 306 si fece proclamare imperatore.
La ribellione fu cruenta e vi perse la vita Abellio, il prefetto dell'Urbe,
ucciso dai pretoriani, allora Valerio Severo, che si trovava in Pannonia, marciò
su Roma per ristabilire l'ordine. Massenzio, che non aveva truppe sufficienti
per muovergli contro, richiamò dalla Lucania il padre Massimiano che accettò
l'invito tornando a Roma e re-indossando la porpora imperiale.
Le legioni di Severo, che per la maggior parte avevano militato sotto
Massimiano, passarono dalla parte del vecchio imperatore.
Severo, abbandonato
dai soldati, fuggì a Ravenna, ma, assediato si arrese a Massimiano che con false
promesse lo imprigionò.
Ora l'impero romano aveva tre Augusti e due Cesari, ma Galerio voleva che la
costituzione dioclezianea fosse rispettata, e dall'Illirio si diresse a Ravenna
per liberare Massimiano e abbattere i due usurpatori.
Ma appena giunto in Italia
le legioni gli si ribellarono, per cui dovette trattare con il vecchio Massimiano.
Ma fu Massenzio figlio, che temeva l'ambizione del padre ed era certo del suo
odio, a sobillare contro il padre le guardie e il popolo e fece
uccidere Valerio
Severo (agosto del 307).
A questo punto Diocleziano, che da Solona
assisteva con tristezza al crollo della sua opera, si recò a Carnuntum ad un
convegno cui prese parte anche Massimiano. Questi propose all'antico collega di
riprendere la porpora, ma il vecchio imperatore rifiutò, dicendo fra l'altro:
«Se tu vedessi i bei piselli che mi coltivo giudicheresti tu stesso se la
porpora mi possa ancora allettare». Non solo rifiutò ma fece deporre la porpora
pure a Massimiano, nominando il successore di Severo per cui la scelta cade su
Licinio, amico e compagno di Galerio.
Ma poichè per ottenere la porpora imperiale si doveva essere Cesare, Massimino e
Costantino, visti lesi i loro diritti, si proclamarono non più Cesari, ma anche
loro Augusti. Così, al principio del 308, l'impero
aveva cinque Augusti: GALERIO, MASSENZIO, COSTANTINO, LICINIO e MASSIMINO.
Massimiano intanto si era pentito di avere deposta per la seconda volta la
porpora e, non potendo avere l'appoggio del figlio, si rivolse a Costantino, cui
diede in moglie la figlia Fausta Massimiana, per abbattere a Roma suo figlio
Massenzio. Il colpo andò a vuoto incontrando l'ostilità dei pretoriani, per cui
fuggì e cercò ospitalità presso la corte di Costantino.
I Franchi intanto invasero la Gallia dal Medio Reno, e Costantino dovette
marciare in guerra alla testa di un gruppo di legioni. Approfittando
dell'assenza del genero, Massimiano s'impadronì della cassa dello stato, di cui
divise il denaro fra le milizie della Gallia meridionale, e si proclamò
imperatore ad Arles. Come seppe però del ritorno di Costantino, si rifugiò a
Marsiglia. La guarnigione della città, aprì le porte a Costantino e gli consegnò
il suocero che fu messo a morte nel 310.
Un anno dopo, nel 311, a Cirta, in Africa, moriva un altro usurpatore: L.
Domizio Alessandro che, ribellatosi a Massenzio, da due anni si era proclamato
imperatore.
Editto di Nicomedia.
Sempre nel 311 a Nicomedia, anche a nome di Costantino e di Licinio, pur essendo
contrari Massimino e Massenzio, Galerio emanò un editto con cui concesse ai
Cristiani la libertà di culto e la riedificazione delle chiese.
Subito dopo
l'editto Galerio morì, lasciando Massimino che avrebbe dovuto essere l'erede legittimo di Galerio, e Licinio che desiderava aggiungere al suo dominio la penisola
balcanica, l'Asia Minore e il Ponto. Ma tra i due Augusti si venne ad un
accordo: a Massimino rimasero le province d'Asia e l'Egitto, e a Licinio la
penisola balcanica.
In Occidente invece l'accordo era più difficile, perchè Massenzio era filopagano
e ambiva al potere sulle province di Licinio e Costantino, ma pur avendo
numerose truppe, non godeva il favore nè del popolo né del Senato.
Costantino, pur rimanendo devoto ad Elios, Dio Sole, rispettava sia i pagani che
i cristiani, in più era in segreti rapporti coi senatori e trattò con Licinio
promettendogli in moglie la sorella Costanza. Costantino non disponeva di un
esercito numeroso come quello di Massenzio, ma in compenso le sue truppe erano
disciplinate e molto devote a colui che li aveva fatti vincere contro i Pitti in
Britannia e contro i Franchi e gli Alemanni oltre il Reno.
Guerra in Italia -
Costantino, lasciata a guardia del Reno e della britannia parte delle truppe,
con un esercito di 50.000 uomini, per lo più veterani, nel 312 traversò le Alpi e
scese in Italia. Susa provò a ribellarsi, ma fu presa e data alle fiamme.
Costantino però, che era lungimiarante, come atto di clemenza ordinò ai suoi
soldati di spegnere il fuoco salvando la città.
Poi marciò su Torino contro Massenzio di cui sbaragliò la cavalleria prima e la
fanteria dopo. Massenzio fuggì dentro le mura delle città, ma questa aprì le
porte a Costantino che fece uno sterminio totale di tutti i nemici, senza fare
prigionieri e passandoli tutti a fil di spada. Occupò poi tutta la Transpadana e
Milano lo accolse trionfalmente.
L'esercito di Massenzio, comandato ora da Ruricio Pompeiano, sconfitto da
Costantino, fuggì per schierarsi sull'Adige, ma Costantino con una rapidissima
marcia passò il fiume a monte di Verona ed investì da nord la città, dove il
nemico si era ritirato. Ruricio uscì segretamente da Verona e raccolse un nuovo
esercito, ma di nuovo fu sconfitto e cadde. Verona si arrese insieme a Modena ed
Aquileia.
Costantino a Roma -
Costantino, imboccata la via Flaminia, mosse contro Roma. Secondo la tradizione
cattolica di Eusebio, prima di giungere all'Urbe, gli sarebbe apparsa una croce
sfolgorante di luce con il motto "In hoc signo vinces" e l'imperatore fece
mettere sui labari e gli scudi il monogramma di Cristo.
A Roma intanto il popolo, temendo di dover subire un assedio, spinse il figlio
di Massimiano ad uscire incontro a Costantino. Massenzio obbedì e passato il
Tevere a ponte Milvio, schierò il suo esercito tra la riva destra del fiume e
alcune basse colline.
Solo la guardia dei pretoriani dette filo da torcere a Costantino, le altre
truppe, specie la cavalleria, caddero al primo urto. Alla disfatta seguì la fuga
su un ponte di legno che crollò trascinando i soldati nel fiume: fra questi
Massenzio che morì affogato.
Così Costantino vinse nella celebre battaglia di Ponte Milvio, presso i Saxa
Rubra sulla via Flaminia, il 28 ottobre 312 d.C.
Nel 313 Licinio, uno degli augusti rimasti, emanò, d'accordo con Costantino
l' "editto di Milano" con cui veniva riconosciuta anche in Oriente la libertà di
culto religioso, ponendo ufficialmente fine alle persecuzioni contro i
cristiani. Licinio, poi, sposò la sorella di Costantino, Costanza.
Costantino entrò a Roma trionfalmente facendo il solito eccidio. Fece uccidere
un figlio di Massenzio e alcuni ministri, poi sciolse i pretoriani e fece
distruggere il loro castro fuori porta Nomentana. Il Senato lo nominò primo
degli Augusti, poi gli dedicò statue e un arco di trionfo rivestito di
bassorilievi come quello di Trajano.
Nel 326 poi fece uccidere Crispo, figlio suo e della prima moglie Minervina. Le
"voci" dicono che Crispo avesse avuto una relazione con la seconda moglie del
padre, Fausta e che questa l'avesse, poi accusato di averla molestata,
provocando l'intervento dell'imperatore. Lo sfortunato giovane fu poi colpito
dalla damnatio memoriae. Nemmeno Fausta, però, godette di un trattamento più
benevolo perchè venne affogata nel bagno. Nonostante questi atroci delitti: lo
sterminio a Torino, l'assassinio di suo figlio e pure di sua moglie, la Chiesa
lo proclamò santo, e lo è a tutt'oggi.
Per giunta Costantino, a cui non era simpatica la Madonna, proibì con editto
ufficiale il culto mariano.
Editto di Milano -
Ora non restava che Licinio a limitare il potere di Costantino. Lo chiamò quindi
a a Milano nel 311 e fece celebrare il matrimonio tra Costanza e Licinio. Quindi
i due Augusti pubblicarono l'Editto di Milano, riconfermando il precedente e in
più si restituivano ai cristiani i beni confiscati.
L'editto di Milano venne spedito a Massimino che apparentemente aderì ma
segretamente preparò la guerra contro Licinio. Nel 312 infatti passò il Bosforo,
assalì e vinse Bisanzio, Eraclea e Perinto, quindi marciò verso Adrianopoli.
Licinio, con un esercito inferiore, cercò di trattare ma la battaglia fu
inevitabile, e nel 313 si venne a battaglia nei Campi Sereni, dove Licinio
vinse, mentre Massimino fuggì in Cappadocia, dove morì poco dopo a Traso
misteriosamente.
Licinio fece uccidere la moglie di Massimino, i due figlioletti e i ministri;
poi fece uccidere il figlio di Galerio e il figlio di Valerio Severo, nonchè la
moglie e la figlia di Diocleziano che inutilmente chiese la grazia per moglie e
figlia.
Guerra tra Licinio e Costantino -
Caio Licinio aveva un potente esercito illirico, e per il rifiuto di
consegnargli un congiurato scoppiò la guerra e Costantino invase l'Illirico. Il
suo esercito era più piccolo ma con esperti soldati, e in più Costantino era un
valentissimo generale, come mostrò subito vincendo a Cibale, in Pannonia, e
sulla Sava, nel 314, e presso Adrianopoli, nella pianura di Mardia.
Costantino accettò la pace ottenendo in cambio il Norico, la Dalmazia, la
Pannonia, parte della Mesia, la Macedonia, la Dacia l'Epiro e la Grecia. Licinio
conservò il resto della Mesia, la Scizia e la Tracia e sacrificò Cajo Aurelio
Valente che durante la guerra aveva nominato Cesare.
Al suo posto Costantino nominò Cesare suo figlio Crispo, avuto da Minervina, e
l'altro figlio Flavio Claudio Costantino, mentre Licinio creò Cesare il figlio
Liciniano.
Pareva che la tetrarchia dioclezianea fosse stata restaurata e il clero
cristiano acquisì molti privilegi, tra cui l'esenzione delle tasse. Ma i
cristiani non erano d'accordo tra loro, soprattutto nella provincia africana,
che chiedeva l'esclusione dalla chiesa dei "Lapsi", quelli che per evitare le
persecuzioni avevano abiurato alla fede cristiana, consegnando i libri e gli
arredi sacri.
Cominciò così una disputa tra i seguaci del Vescovo Ceciliano e
quelli di Donato, lo scisma del Donatismo.
Costantino nominò allora una commissione di tre vescovi composta da quello delle Gallie, da Merocle
vescovo di Milano e da Milziade vescovo di Roma. Il concilio fu favore a
Ceciliano, ma i Donatisti si appellarono al tribunale imperiale.
Costantino allora nel 314 convocò ad Arles un nuovo concilio di vescovi, che
confermò il precedente convegno. Poichè i dissidi non cessarono l'imperatore si
pronunciò a favore di Ceciliano, ordinando che le chiese dei Donatisti venissero
sequestrate con esilio e confisca dei beni. Ma le discordie non
cessarono.
Intanto Costantino, pur rimanendo pontefice massimo del paganesimo, comprese che
il potere massimo consisteva nell'unire quello politico con quello religioso.
I Cristiani d'Oriente erano tutti per Costantino, anche perchè finanziava
largamente il culto, pur non convertendosi mai al cristianesimo.
Nel 323, per contrastare i Goti che avevano passato il Danubio, Costantino
oltrepassò i territori balcanici e fu guerra.
Licinio con un esercito più
numeroso si pose sopra una collina sull'Ebro, presso Adrianopoli. Costantino
passò il fiume e lo sconfisse. Licinio si ritirò a Bisanzio e qui fu assediato,
mentre Abante il suo ammiraglio, affrontò a Gallipoli la flotta di Prisco
subendo la sconfitta.
Licinio fuggì da Bisanzio e raggiunse Abante, ma Costantino passò il Bosforo e
lo affrontò a Crisopoli vincendolo.
Licinio quando seppe che Bisanzio e Calcedonia si erano arrese, si arrese
anch'egli e sua moglie Costanza, sorella di Costantino, ottenne che gli venisse
risparmiata la vita. Costantino acconsentì relegando Licinio a Tessalonica. Però
Costantino non era propenso a mantenere le promesse, per cui, sei mesi dopo fece
uccidere Licinio e giacchè c'era anche il generale Martiniano, creato Cesare
durante la guerra, divenendo così padrone di tutto l'impero.
CONCILIO DI NICEA -
Intanto i cristiani litigavano sui dogmi religiosi: Ario sosteneva che solo il
Dio Padre era increato, mentre il Figlio non della sua sostanza divina e quindi
mortale.
Alessandro, vescovo di Alessandria, l'aveva giudicato eretico e scomunicato nel
321, ma l'Arianesimo in Oriente si era largamente diffuso.
L'imperatore indisse allora il Concilio dei vescovi a Nicea, presieduto dal
vescovo spagnolo Osio, segretario dell'imperatore. Il concilio proclamò
l'uguaglianza di natura del Padre col Figlio e fissò il Credo (o Simbolo) della
religione cristiana.
Nel 326 Costantino oltre ad aver compiuto la strage familiare, aveva mandato a
morte molti importanti cittadini fra cui Lattanzio, il famoso apologista del
Cristianesimo e Liciniano, figlio di Costanza e Licinio.
Così la domus Faustae, che apparteneva alla famiglia di Fausta, i Laterani,
fu da Costantino donata al vescovo di Roma e la capitale fu trasferita a
Bisanzio, che festeggiò il passaggio nel 330 col nome di Nuova Roma, chiamata
però Costantinopoli.
Il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio (poi Costantinopoli),
fu dovuto alla sua posizione che sembrava più adatta per la difesa del confine danubiano e orientale, da cui provenivano le più gravi minacce alla sicurezza
dell'impero (330).
Come Roma, Costantinopoli, che sorgeva su 7 colli, fu divisa in 14 regioni, ebbe
un Campidoglio, un Palatino, la Curia, il miliare aureo, il Foro, la via Sacra,
circhi e teatri, il diritto italico e le distribuzioni gratuite di grano, vino
ed olio che, con le facilitazioni concesse agli immigranti, affollarono la
città.
Costantino legislatore
•Alla testa dell' impero, il principe era tale per investitura divina e i sudditi
lo dovevano adorare.
•Sotto di lui i suoi consiglieri, 7 membri del concistoro imperiale: il
praefectus sacri cubìculi, addetto al servizio privato del principe, il quaestor
sacri Palatii che prepara e controfirma le leggi, il magister officiorum, che
dirige il personale della reggia e gli impiegati dell'amministrazione centrale,
il comes sacrarum largitionum, ministro delle finanze dello stato, il comes
rerum privatarum, amministratore del patrimonio privato dell' imperatore e i
comites domesticorum equitum et peditum, comandanti della guardia d'onore.
•Sotto al Concistoro, alle cui sedute sovente partecipano, i 4 Prefetti del
pretorio, col potere civile e giudiziario, ciascuno nella propria prefettura.
Quattro sono le prefetture: quella d'Oriente con capoluogo Costantinopoli, 5
diocesi e 46 province; quella dell' Illirico con capoluogo Sirmio, con Pannonia,
Dacia, Macedonia e Grecia, 11 privince e 2 diocesi; quella dell'Italia, 4
diocesi e 40 province, con Rezia, isole mediterranee e territori africani, e
Milano per capoluogo; quella Gallia, 3 diocesi e 29 province con capoluogo
Treveri, con Gallia transalpina, Spagna e Britannia. Dai prefetti del pretorio
dipendono i vicarii delle diocesi e i praesides o consulares o correctores delle
province.
•Capo supremo dell'esercito è l'imperatore. Sotto di lui 4 magistri militum, col
comando militare di una prefettura e ai suoi ordini un magister equitum e un
magister peditum e un certo numero di duces.
•La legione venne ridotta a 1500 uomini.
•L'esercito fu diviso in tre ordini di milizie: milizie palatine (domestici, protectores, scolares), un quinto o un sesto degli effettivi, con paga maggiore,
sede nei capoluoghi delle province e seguono l'imperatore nelle spedizioni più
importanti; milizie di linea (comitatenses) con sede nei piccoli centri
dell'interno (riparienses o limitanei), con paghe minori e ferme più lunghe,
scaglionate lungo le frontiere.
•Cercò di risanare la circolazione monetaria. Nel 322, richiesto di aiuti dai
Sarmati, in guerra coi Goti, Costantino mandò il figlio Costantino, che
sconfisse i barbari e ricevette in ostaggio il figlio del re Ariarico. Più tardi
i Sarmati scacciati furono distribuiti come coloni nella Pannonia, nella Tracia,
nella Macedonia e anche in Italia.
•Ricostituì la tetrarchia, dividendo i territori fra i membri della sua
famiglia. Tra i figli avuti da Fausta:
- A Costantino diede le Gallie, la Spagna e la Britannia,
- A Costanzo le province asiatiche e l'Egitto.
- A Costante l'Italia, l'Illirico e l'Africa.
- A Dalmazio, figlio del fratello, nominato Cesare, assegnò la Tracia, la
Macedonia e l'Acaia.
Rapporti con la chiesa -
La questione del cristianesimo non fu come descritta. Sembra che l'imperatore
riunisse i suoi ministri per stabilire una religione unica che rafforzasse
l'unità dello stato. All'epoca le due più importanti religioni, più o meno equivalenti per
numero di adepti, erano il Cristianesimo e il Mitraismo. A causa dei riti
misterici di quest'ultimo, i ministri decisero che era meno adatto alla
divulgazione totale, per cui fu scelto il Cristianesimo e Costantino, che pure
era devoto a Mitra, il Dio Sole che aveva assimilato Elios, ne convenne e
appoggiò il Cristianesimo, non per fede come si racconta, ma per "ragion di
Stato".
Inoltre Costantino, che aveva fino allora favorito la chiesa cattolica contro
Donatisti e Ariani, cercò di conciliarli ma Atanasio, vescovo di Alessandria, fu
così ostile da far schierare Costantino dalla parte ariana, che a sua volta nel
concilio di Tiro (335) fece condannare Atanasio.
Così in oriente si stabilì la Chiesa Greca, fra cui la Ortodossa, l'Abissinia,
la Nestoriana, la Siriaca, l'Armena e la Copta, Chiese che si proclamarono poi
tutte "Chiese ortodosse". A causa delle cavillose dispute, ma in realtà per
brama di potere, fra quella Cattolica e la Ortodossa ci saranno 5 grandi
correnti e ben 52 Chiese.
Morte di Costantino - Shapur II aveva tolto dal trono dell'Armenia Tiridate, che nel 332 aveva
abbracciato il Cristianesimo, ma Costantino invece di aiutare Tiridate, aveva
dato l'Armenia al fratello di Dalmazio, Annibaliano, che era stato creato Re dei
Re.
Era guerra, ma Costantino, pur non essendo vecchio, era ammalato e si era recato
per curarsi a Drepano in Asia Minore. Cercò di tornare a Costantinopoli ma il 22
maggio 337 morì ad Ancirona, presso Nicomedia.
Si narra che la nuova religione
appresa dal padre Costanzo Cloro e soprattutto dalla madre Elena fervente
cristiana (Santa Elena imperatrice) fu abbracciata veramente solo vicino alla
morte e ricevette il battesimo poco prima di
morire.
I successori di costantino (337-363) -
Costantino, morendo, divise l'impero fra i suoi tre figli, Costantino II,
Costante e Costanzo II, che si combatterono fra loro in una lunga guerra
fratricida. Costanzo II (353-361), dopo la morte dei fratelli, riuscì a riunire
sotto di sé tutto l'impero; ma, seguendo una politica contraria a quella del
padre, favorì gli ariani e perseguitò i cattolici. Qui si estingueva la discendenza di Costantino.
GIULIANO L'APOSTATA
6 novembre 331 - 26 giugno 363 -
Flavio Claudio
Giuliano nacque a Costantinopoli nel 331, Giuliano come il nonno materno, Flavio
come tutti i membri della famiglia di Costantino, e Claudio come Claudio II il
Gotico.
Carattere - Giuliano era uomo schivo e raffinato amante delle lettere. Come
scrisse nelle sue epistole, non pensava nè al trono nè agli onori, temendo
sempre fortemente per la sua vita, visti gli eccidi continui nella sua famiglia.
Sperava solo di essere lasciato in pace a dilettarsi degli autori greci e della
religione pagana che amava.
Fu ricercatore dello spirito, tanto è vero che fu adepto dei Sacri Misteri di
Cibele, cui dedicò un libretto "Inno alla Madre degli Dei", in cui descrisse la
sua visione religiosa e filosofica, sulla vanità e la caducità del mondo, sulla
inutile violenza degli uomini e sui segreti iniziatici, mai svelati, della
Vergine Dea madre di tutto il mondo e di tutti gli esseri, insomma la natura.
Successivamente partecipò ai misteri di Mitra, il che ribadisce l'ansia di
conoscere più profondamente il mondo e se stesso, non pago di ciò che la
religione ufficiale gli trasmetteva.
Fu chiamato per questo l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un
persecutore, ma in realtà fu molto tollerante nei confronti di tutte le
religioni, comprese le diverse dottrine cristiane. Scrisse infatti che nel fondo
di ogni religione c'è una via iniziatica che porta all'illuminazione, purchè si
sappia cogliere. A suo avviso ogni religione riportava all'unità del cosmo.
Scrisse molte opere filosofiche, religiose e critiche, soprattutto verso il
cristianesimo per la sua intolleranza. Nei suoi scritti infatti rivela la
segretezza della sua fede pagana, per timore che se fosse stata svelata ne
avrebbe rischiato la vita. Per molto tempo la coltivò infatti in segreto
piangendo e soffrendo, come scrisse, visto che suo zio Costantino I e il di lui
figlio Costanzo II si erano mostrati favorevoli se non convertiti al
cristianesimo.
Nel 355 gli giunse l'ordine di presentarsi a Milano. Mentre in
ottobre Giuliano veleggiava alla volta dell'Italia, Costanzo II faceva
assassinare il generale Claudio Silvano, comandante delle legioni stanziate in
Gallia, il
sesto usurpatore del suo regno. Ma Franchi e Alemanni superavano le frontiere
conquistando le piazzaforti romane, mentre ad est i Quadi entravano in Pannonia
e in Oriente i Parti premevano sull'Armenia: Giuliano aspettò alle porte di
Milano le decisioni della corte.
Nello stesso anno, 355, Giuliano, con una scorta di 360 soldati, fu spedito in
Gallia senza alcuna preparazione militare. In realtà non disponeva di nulla, il
comando militare era affidato a Marcello, la prefettura a Florenzio e la
questura a Salustio, i quali rispondevano solo a Costanzo. Superò le Alpi e
raggiunse Vienne, stabilendovi la residenza. Poi a Auxerre e a Troyes, disperse
un gruppo di barbari e da qui si congiunse con l'esercito di Marcello.
Subìta una sconfitta dagli Alamanni, li inseguì fino a Colonia, che fu
abbandonata dal nemico. Sopraggiunto l'inverno si ritirò nel campo di Sens, dove
fu assediato senza che Marcello gli portasse aiuto. Denunciatone il
comportamento all'imperatore, Costanzo II rimosse Marcello dall'incarico,
sostituendolo con Severo e affidando finalmente il comando dell'esercito di
Gallia a Giuliano.
L'anno successivo il generale Barbazione attaccò la frontiera
del Reno con 30.000 uomini ma fu sconfitto. Gli Alamanni attaccarono allora
Giuliano a Strasburgo, ma Giuliano riorganizzò la cavalleria che era in fuga,
resistè ai tentativi di sfondamento nemico, e mise in fuga gli Alamanni, pur se
di numero superiore.
Il comandante Cnodomario, fatto prigioniero, fu inviato
alla corte milanese come trofeo di guerra. Non contento Giuliano passò il Reno
devastando il territorio nemico, rioccupando gli antichi presidi, liberando i
prigionieri romani e infine combattendo e sconfiggendo le tribù franche che
razziavano il nord della Gallia. Era ormai inverno e si ritirò a Lutetia
Parisiorum, Parigi.
Nel 358 riprese le ostilità contro i Franchi Salii, li vinse e li trasformò in
ausiliari, poi respinse i Franchi Camavi oltre il Reno. Voleva combattere
nuovamente contro gli Alamanni, ma l'esercito si rifiutò perchè non era stato
pagato. Giuliano non aveva fondi ma riuscì a sedare le proteste e a superare il
Reno, recuperando prigionieri romani e requisendo ferro e legname per
ricostruire i vecchi presidi.
L'anno successivo oltrepassò per la terza volta il Reno ottenendo la
sottomissione delle ultime tribù alemanne, Costanzo si era preso l'onore di
tutte le sue vittorie. Come scrisse Giuliano: - Io combattevo e lui vinceva.
La Gallia prima di Giuliano era preda delle scorrerie dei barbari, con terre
abbandonate e imposizioni fiscali fortissime. I ricchi abbandonavano le città,
lasciando decadere attività artigiane e commerciali, preferendo le più sicure
residenze di provincia e investendo nel latifondo a danno della piccola
proprietà. L'imposta fondiaria veniva spesso evasa dai grandi proprietari, che
potevano garantirsi l'impunità o, al più, godere nel tempo di favorevoli
condoni. Quando nel 358 il prefetto Florenzio chiese una tassa supplementare,
Giuliano si oppose, dichiarando che sarebbe «morto piuttosto di dare il proprio
consenso a tale misura». Dimostrò poi che le tasse riscosse erano sufficienti e
si oppose a che nella Belgica, già colpita dalle invasioni, si perseguissero i
contribuenti inadempienti vietando però i condoni ai ricchi evasori delle altre
province.
L'impero -
Nel 360 Costanzo II, per fermare i Parti alla frontiera, inviò in
Gallia il tribuno Decenzio che richiese le truppe ausiliarie di Giuliano, cioè
oltre metà dell'esercito. Però i soldati e le loro famiglie reagirono con
proteste e clamori che si udirono per tutta la notte. Giuliano chiese un segno
agli Dei e durante il sonno gli apparve il Genius Publicus, il Genio
dell'Impero: «Da molto tempo osservo la soglia della tua casa, impaziente di
accrescerti in dignità. Molte volte mi sono sentito respinto e mi sono
allontanato. Se mi scacci ancora, me ne andrò per sempre». Allora Giuliano fece
venire dalla Grecia lo ierofante di Eleusi e, dopo aver celebrato i riti, decise
di rovesciare Costanzo. La mattina dopo, issato sugli scudi e con la collana di
un porta-insegne sul capo come diadema imperiale, venne portato in trionfo dai
soldati, a ciascuno dei quali promise la consueta elargizione di cinque solidi e
di una libbra d'argento.
Mentre Florenzio, Decenzio e gli uomini fedeli a Costanzo lasciavano la Gallia,
Giuliano iniziò a trattare con l'imperatore. Si dichiarò estraneo alla sommossa
e promise un contingente militare limitato purchè gli venisse riconosciuta piena
autonomia in Gallia.
Costanzo rifiutò incitando ignominiosamente Vadomario, re degli Alemanni, a
invadere la Gallia. Giuliano attaccò i Franchi Attuari per rendere più sicura le
frontiera renana, poi si stabilì a Vienne, facendo coniare una moneta d'oro con
la sua effigie e l'aquila imperiale. Intanto erano morte Eusebia ed Elena.
Emesso un editto di tolleranza per tutti i culti, Giuliano mantenne ancora la
finta devozione, pregando pubblicamente in chiesa per l'Epifania.
Nel 361 Giuliano fece arrestare e deportare in Spagna Vidomario e avanzò verso
la Pannonia. Divise le truppe in tre parti, ponendosi a capo di soli 3.000
uomini con cui traversò la Foresta Nera, mentre il generale Gioviano percorreva
l'Italia settentrionale e Nevitta traversava Rezia e Norico. Senza incontrare
resistenza, Giuliano s'imbarcò sul Danubio e giunse a Sirmio, una delle
residenze della corte, che si arrese senza combattere. La guarnigione di Sirmio
fu inviata in Gallia ma si ribellò, fermandosi ad Aquileia, che fu assediata
dalle forze di Gioviano. Giuliano proseguì, insieme all'esercito di Nevitta in
Illiria e in Tracia: lasciato al generale Nevitta il presidio del passo di
Succi, tornò a Naisso, inviando messaggi ad Atene, Sparta, Corinto, e Roma,
spiegando le cause del conflitto. A Roma però al senato non piacque l'accusa
contro Costanzo.
Tutto finì con la morte di Costanzo e la sottomissione delle province orientali.
Giunto a Costantinopoli fece erigere un mitreo nel palazzo imperiale, proclamò
la tolleranza generale per ogni religione e culto, fece riaprire i templi pagani
e celebrare i sacrifici, facendo tornare dall'esilio i vescovi cristiani
allontanati per eresie.
Le riforme -
Accolto dal popolo festante, Giuliano rese omaggio alla salma di
Costanzo tumulandolo nella basilica dei Santi Apostoli. Poi fece ratificare il
suo impero dal senato, cui accordò esenzioni fiscali, rifiutando il titolo di
Dominus. Giuliano procedette poi a punire i consiglieri di Costanzo,
condannandone a morte diversi.
•Ridusse allo stretto necessario il personale di corte, allontanò eunuchi,
confidenti e spie; alla cancelleria chiamò il fratello di Massimo, Ninfidiano, e
suoi collaboratori furono Salustio, Euterio, Oribasio, Anatolio, Mamertino e
Memorio. Oltre alle sue guide spirituali Massimo e Prisco, intrattenne a corte i
vecchi maestri Mardonio, Nicocle ed Ecebolio, lo zio Giulio Giuliano, i
cristiani Cesario, medico e fratello di Gregorio di Nazianzo, Aezio e Proeresio.
•Creò suoi luogotenenti militari i magistri equitum Gioviano, Nevitta e
Arbizione, e il magister peditum Agilone, un alamanno.
•Di fronte allo spopolamento delle curie, Giuliano inserì negli albi curiali i
cittadini nobili anche per discendenza materna e i plebei arricchiti, abbassando
nel contempo gli oneri gravanti sulle curie. Avendo, per errore, svolto una
delle funzioni consolari, si inflisse una ammenda di 10 libbre d'oro.
•Le sovvenzioni concesse alle chiese cristiane furono eliminate.
•Obbligò coloro che avevano distrutto una chiesa appartenente ad una setta
avversaria a ricostruirla a proprie spese.
•Vennero restituiti alle autorità cittadine le terre che Stato e Chiesa avevano
sottratto, a un indennizzo per il danno subito.
•I templi pagani vennero riaperti. Furono loro restituite le proprietà
confiscate dagli imperatori cristiani.
•Esentò i curiales non commercianti dal tributo in metallo pregiato, invitando i
preti cristiani e gli altri cittadini iscritti a corporazioni per evitare gli
adempimenti civici a rientrare nelle curiae, pena una forte multa.
•Affidò ai decurioni, togliendole ai senatori, le esazioni delle imposte.
•Rese facoltativa l’aurum coronarium, un’imposta sui decurioni, stabilendone il
massimo in 70 stateri d’oro, cancellò le tasse arretrate, a eccezione della
collatio lustralis.
•Trasferì la cura delle stazioni di posta e il costo della manutenzione delle
strade dalle municipalità ai loro possessori.
•Proibì ai professori cristiani di insegnare la retorica. Giuliano riteneva
eticamente inaccettabile propagandare valori a cui non si aderiva.
•Cercò di combattere la corruzione dei numerarii, i contabili delle
amministrazioni municipali, e il sistema del suffragium, la pratica clientelare
consistente nell'acquistare cariche pubbliche da personaggi politici, ma fu così
difficile che si limitò a decretare che chi avesse versato denaro senza ottenere
il favore richiesto, non potesse reclamare la restituzione del denaro.
•Cercò anche di abbreviare l'iter giudiziario dei processi, abrogando i
frequenti rinvii e decentrando l'apparato giudiziario.
•Ridusse i prezzi delle merci di prima necessità.
•Fu eliminato il privilegio del clero cristiano, che era esentato dal
contribuire alla gestione delle città.
•Ridusse il diritto di usufruire gratuitamente del servizio di trasporto di
stato. I vescovi smisero di viaggiare a spese dei contribuenti.
•Redistribuì gli oneri delle amministrazioni cittadine fra un maggior numero di
possidenti riducendone contemporaneamente le tasse.
Fede -
Criticando Costantino, i cui antenati adoravano Helios, che credette di
garantirsi l'eternità del potere affidandosi al dio cristiano, Giuliano pensava
di essere investito di una missione affidatagli dagli Dei. La concezione di
Giuliano somiglia molto a quella cristiana, uguale e opposta a quella di
Eusebio: "tutta la cultura greco-romana è il frutto della rivelazione divina e
la sua evoluzione storica era avvenuta sotto lo sguardo vigile di Dio. Grazie
alla rivelazione di Apollo-Helios, i Greci avevano elaborato un sistema
religioso perfezionato dai Romani, che lo arricchirono delle migliori
istituzioni politiche".
Per tutto ciò nel 362 Giuliano emise un editto con il quale stabiliva
l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle
scuole pubbliche. Gli insegnanti pubblici non potevano insegnare cose che non
credevano giuste e i cristiani disapprovavano continuamente gli autori greci che
credevano negli Dei.
Giuliano riformò pure la chiesa pagana, con un sistema gerarchico che somigliava
molto a quello cristiano. Il pontefice massimo era l'imperatore, poi i sommi
sacerdoti, ognuno per una provincia, che sceglievano i sacerdoti delle città. Il
sacerdote doveva:
•essere altamente morale, senza preclusioni di origini e di censo. Avevano
diritto ad essere onorati più dei magistrati rendendo un servizio all'umanità.
•avere la conoscenza.
•avere la capacità dell’ascesi.
•conoscere la pratica teurgica.
•praticare la carità verso i poveri, malvagi compresi. Infatti Giuliano mise in
pratica le intenzioni caritatevoli, istituendo ricoveri per mendicanti, ostelli
per stranieri, asili per donne e orfanotrofi. Riprovò l'adorazione delle icone
che dovevano essere veicoli per la devozione agli Dei e non idoli essi stessi,
ma Giuliano voleva raccogliere in sè potere imperiale e religioso al pari dei
cristiani. Si sa che si fece rappresentare in veste di Apollo, con accanto la
figura della moglie defunta come Artemide, in due statue dorate erette a
Nicomedia.
Guerra persiana -
Giuliano riprese l'antico ideale di Alessandro Magno: l'unione
dell'Occidente con l'Oriente. Così, nel 363, anzichè occuparsi dei Goti, lasciò
Costantinopoli muovendosi per la Siria contro i Persiani, gli antichi nemici mai
vinti dai Romani, che due anni prima, al comando di Sapore II avevano messo in
fuga le legioni di Costanzo II.
Nel 363 Giuliano iniziò campagna contro i
Sasanidi partendo con 65.000 uomini da Antiochia. A Carre divise l’esercito:
30.000 uomini, al comando di Procopio e Sebastiano, furono mandati in Armenia,
per unirsi al re Arsace, devastare la Media e, costeggiando il Tigri,
ricongiungersi poi in Assiria con Giuliano che intanto, con i suoi 35.000
uomini, sarebbe disceso a sud lungo l’Eufrate, dove una grande flotta al comando
di Lucilliano portava vettovaglie, armi e macchine d'assedio.
Il 16 giugno apparve finalmente all'orizzonte l'esercito di Sapore, che però
rifiutò il combattimento aperto con brevi incursioni di cavallerie. Il 21
l'esercito romano si fermò a Maranga e Giuliano nella notte del 25 giugno scorse
nel buio il Genius Publicus, quello che gli era apparso a Lutetia, ora però col
capo velato a lutto, lo guardò in silenzio, si voltò e lentamente svanì.
La mattina dopo, malgrado l'opinione contraria degli aruspici, fece levare le
tende per riprendere la ritirata verso Samarra. Durante la marcia, scoppiò un
combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare l'armatura,
si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco. Cercò di estrarlo
ma cadde da cavallo e svenne. Portato nella tenda, si rianimò. Chiese il nome
della località: «è Frigia», gli risposero.
Giuliano un tempo aveva sognato un
uomo biondo che gli aveva predetto la morte in un luogo con quel nome. Aveva 32
anni e aveva regnato meno di venti mesi. Il mondo pagano morì con lui.
VALENTINIANO (Insieme
al fratello Valente)
3 luglio 321 - 17 novembre 375
Nacque nella Pannonia nel 321 da famiglia cristiana
di umili origini. Il padre Graziano il Vecchio era un valoroso ufficiale
dell'esercito, il che gli aprì la carriera militare. Fin da giovanissimo seguì
infatti il padre nelle campagne militari, apprendendo da lui l'arte della
guerra, ma solo nel 357 ottenne il comando di un reparto di cavalleria
nell'esercito del cesare d'Occidente Giuliano.
Nell'esercito vi era però una forte competizione per distinguersi agli occhi
dell'imperatore onde ottenere cariche. Era ormai caduto quell'amor di patria che
aveva caratterizzato molti generali romani. Un tribuno del prefetto Barbazione,
Cella, impedì infatti al tribuno Bainobaude e a Valentiniano di attaccare gli
Alamanni che, saccheggiato un villaggio romano, tornavano oltre confine.
Barbazione, per tema di rappresaglie, fece un falso rapporto all'imperatore
Costanzo II, addossando la colpa del mancato intervento a Valentiniano e
Bainobaude.
L'imperatore, circondato da cattivi consiglieri e affetto da manie
di persecuzione, credette a Barbazione e senza indagini fece congedare i due. Si
ritiene però che dei dubbi li avesse, altrimenti per insubordinazione sarebbero
stati puniti in modo più grave. Oppure aveva giocato il matrimonio di
Valentiniano con Valeria Severa, una nipote di Costantino. Ebbe infatti due
mogli, la prima fu la madre di Graziano, la seconda di Valentiniano II.
Nel 363 salì al trono Gioviano, che ripristinò il cristianesimo e richiamò
Valentiniano nell'esercito, affidandogli il comando di una truppa a guardia
dell'imperatore. Alla morte di Gioviano, nel 364, i comandanti dell'esercito, a
Nicea, nominarono Valentiniano imperatore, forse grazie alla moglie nipote di
Costantino che gli dava una parentela imperiale. Valentiniano chiamò subito al
suo fianco il fratello Valente nominandolo Augusto d'oriente, mentre prese per
sé le prefetture Occidentali e l'Illirico.
Intanto l'usurpatore Procopio, un discendente di Giuliano, tentò di prendergli
il trono, ma Valente sconfisse la sua armata nel 366 e lo fece uccidere. Nel
frattempo i Germani proseguivano incursioni e saccheggi sul territorio romano.
Come tutti gli imperatori dai tempi di Diocleziano, Valentiniano stabilì la sua
sede a Milano per essere più vicino ai tormentati confini del nord.
Dapprima dovette affrontare gli Alemanni che avevano conquistato Magonza, riuscì
a ricacciarli e si spostò a Parigi, poi ancora più a nord, per combattere i
Sassoni che volevano invadere la provincia romana della Britannia. Per sette
anni costruì e rafforzò fortificazioni sul Reno e una fortezza a Basilea, il che
lo prese come un chiodo fisso senza curarsi nè dell'Oriente nè di altro. Secondo
la tradizione romana del dividi et impera cercò di far combattere tra loro le
diverse tribù; inoltre i soldati sconfitti venivano insediati nei territori
romani come coloni, ponendo fine alla loro vita nomade di conquista.
Firmo era un nobile berbero cristiano, che nel 371 entrò in contrasto con il
comes Africae Romano, che aveva rifiutato la protezione dalle incursioni delle
tribù africane a quelle città romane che si erano rifiutate di pagargli delle
tangenti. Firmo provò ad avere udienza da Valentiniano, ma Romano riuscì a
farglielo negare. Allora Firmo iniziò una rivolta che durò dal 372 al 375.
Valentiniano inviò in Africa il proprio magister militum, Teodosio con l'ordine
di deporre Romano. Firmo cercò di trovare un compromesso ma Teodosio rifiutò di
contrattare con Firmo, che si era proclamato imperatore. Sostenuto dalle tribù
africane, Firmo costrinse Teodosio ad una campagna sanguinosa e inconcludente:
alla fine, però, venne tradito da uno dei suoi sostenitori, e scelse di
suicidarsi per non farsi catturare. Poichè Firmo aveva sostenuto i donatisti
contro i sostenitori del Credo di Nicea e per questo aveva messo morte degli
abitanti di Rusuccuru che professavano il credo, Valentiniano promulgò delle
leggi contro i donatisti, colpevoli di aver sostenuto Firmo.
Religione - Dapprima Valentiniano seguì il principio romano della tolleranza
religiosa, poi cadde sotto l'influenza di Eudossio che era a capo della dottrina
Nicena, la più forte a Costantinipoli per seguaci e per chiese e possedimenti.
Iniziò così un rovesciamento di situazione, e furono i Cristiani a perseguitare
i pagani.
Nel 374 Valentiniano si recò sul Danubio, nelle Pannonie, per combattere i Quadi
ed gli Iazigi, una tribù sarmatica di origine iranica.
L'anno seguente, il 17
novembre, morì durante un colloquio con i Quadi per un ictus cerebrale.
VALENTE - Cibalae, 328 –
Adrianopoli, 9 agosto 378 - imperatore romano dal 364, anno in cui il
fratello Valentiniano I gli affidò la parte orientale dell'Impero romano.
Alla sua morte divenne unico imperatore
Valente e suo fratello Valentiniano nacquero entrambi 70 km ad est di Sirmio,
nella città di Cibalae, rispettivamente nel 328 e nel 321. Passarono la loro
infanzia in tenute comprate dal padre, Graziano il Vecchio, in Africa e in
Britannia.
Mentre Valentiniano aveva avuto una brillante carriera già prima del
suo accostamento al titolo imperiale, Valente passò gran parte della propria
giovinezza nelle proprietà familiari e si unì all'esercito solo intorno al 360.
Secondo gli storici Socrate Scolastico e Giovanni di Antiochia, Valente, come
Valentiniano, avrebbe avuto problemi per essersi dichiarato cristiano sotto
l'imperatore pagano Giuliano (regnante tra il 361 e il 363), mentre ricopriva la
carica di protector domesticus.
Secondo gli storici moderni, questo episodio
potrebbe corrispondere a verità, e pare che Valente (ma non Valentiniano) si sia
rifiutato di compiere un sacrificio richiesto da Giuliano, ma senza subire
conseguenze.
Nel febbraio del 364, l'imperatore in carica Gioviano, il quale si stava recando
a Costantinopoli per rinsaldare il proprio potere, rimase asfissiato durante una
sosta a Dadastana, 150 km ad est di Ancyra (l'attuale Ankara). Valentiniano era
tra gli agenti dell'imperatore, e la sua permanenza nell'esercito gli aveva reso
una promozione a tribunus scutariorum, assieme ad una certa fama. Quando si
dovette procedere ad eleggere un nuovo Imperatore, Valentiniano fu una scelta
obbligata.
Era illirico come Gioviano e aveva rapporti con l'armata che
aveva scelto Gioviano l'estate precedente. A differenza sua Valentiniano fu eletto, e non imposto, per il ruolo di
imperatore: fu proclamato Augusto il 26 febbraio 364. Il suo primo gesto fu la
decisione di condividere il governo dell'Impero, che giudicava ingovernabile per
la sua vastità, e il 28 marzo dello stesso anno designò suo fratello Valente
proprio coimperatore all'Ebdomonte, primo di una lunga serie di imperatori
incoronati in quel luogo.
Dopo soli due mesi di governo affiancato, i due tornarono in Illirico; poco
fuori Naisso, in Moesia, si spartirono i burocrati, e a Sirmio fecero lo stesso
con le proprie armate. Come Augusto anziano (Massimo Augusto) Valentiniano tenne
direttamente l'Italia, l'Illirico, la Spagna e la Gallia, la Britannia e la
provincia d'Africa; Valente, come Augusto Junior, ebbe dal fratello la metà
orientale dei Balcani, la Grecia, l'Egitto, la Siria e l'Asia minore fino al
confine con la Persia. Dopo la metà di agosto 365, Valentiniano continuò per
Mediolanum, dove risedette per un anno prima di raggiungere Treviri, la quale
rimase la sua capitale fino al 375; Valente tornò a Costantinopoli per la fine
del 364.
Valente aveva ereditato la parte orientale di un impero che si era appena
ritirato da gran parte dei propri possedimenti in Mesopotamia e Armenia in
seguito al trattato firmato da Gioviano col re di Persia Sapore II. La priorità
di Valente per l'inverno del 365 era avanzare verso est, con l'intenzione di
recuperare la situazione. Essendo arrivato in Cappadocia in autunno, venne a
sapere che un usurpatore si era proclamato imperatore a Costantinopoli.
Alla sua morte, Giuliano aveva lasciato un parente in vita, un cugino da parte
di madre di nome Procopio. Egli era stato incaricato di comandare una divisione
settentrionale dell'esercito di Giuliano durante la spedizione in Persia, e non
era stato presente all'elezione imperiale di Gioviano.
Mentre questo aveva
cercato di tenere a bada il potenziale rivale per il potere, sotto Valente
Procopio fu sempre più sospettato di covare il desiderio di vendetta. Dopo
essere sfuggito per poco all'arresto, si nascose e tornò allo scoperto a
Costantinopoli, dove riuscì a convincere due divisioni militari di passaggio a
proclamarlo imperatore il 28 settembre 365. Sembra che all'inizio l'accoglienza
in città sia stata tiepida, ma in seguito Procopio riuscì ad ottenere il favore
della popolazione con una massiccia azione di propaganda: isolò la città
rispetto alle notizie esterne, e fece girare la voce che Valentiniano fosse
morto; fece coniare monete che sottolineavano una sua connessione con la
dinastia costantiniana, che poi legittimò per mezzo della vedova e della figlia
di Costanzo II come facciata per il proprio regime. Questo modo di agire
riscosse un certo successo, soprattutto tra i soldati fedeli alla dinastia
costantiniana e agli intellettuali orientali, che si sentivano perseguitati dai
Valentiniani.
Valente, nel frattempo esitava: alla notizia della rivolta considerò l'idea
dell'abdicazione e forse anche del suicidio. Anche quando riuscì a farsi forza
per combattere, i suoi sforzi furono ostacolati dal fatto che gran parte delle
sue truppe fossero già passate dalla Cilicia alla Siria. Nonostante tutto,
Valente poté mandare due legioni incontro a Procopio, il quale le persuase
facilmente a passare dalla propria parte. Nello stesso anno Valente stesso per
poco non fu catturato in uno scontro vicino Calcedonia. I problemi furono
aumentati dal rifiuto di Valentiniano di fare altro che difendere i propri
territori. Il fallimento della resistenza imperiale permise a Procopio di
impossessarsi delle diocesi di Tracia e d'Asiana.
Valente poté riunire truppe sufficienti per affrontare Procopio solo nella
primavera del 366, e marciò da Ancyra in Frigia, dove sconfisse il generale di
Procopio, Gomoario, nella Battaglia di Tiatira; quindi affrontò direttamente il
ribelle a Nacoleia e convinse le sue truppe ad abbandonarlo. Procopio fu
giustiziato il 27 maggio e la sua testa fu inviata a Valentiniano a Treviri.
Prima guerra gotica -
Il popolo dei Goti, stanziato a settentrione, aveva supportato la rivolta di
Procopio contro Valente, il quale era inoltre venuto a sapere di un loro piano
di ribellione. Essi erano Tervingi, un ramo dei Visigoti allora sotto il comando
di Atanarico, ed erano rimasti in pace fin dalla propria sconfitta contro
Costantino nel 332. Nella primavera del 367 Valente, con l'aiuto del proprio
nipote Graziano, attraversò il Danubio e marciò
incontro ad Atanarico. Questi si ritirò tra i Carpazi, costringendo Valente a
rinunciare e tornare nel corso dell'estate. La primavera seguente un'alluvione
del Danubio impedì all'Imperatore di passare il fiume, e egli tenne occupate le
truppe con opere di fortificazione. Nel 369 attraversò nuovamente il corso
d'acqua, e attaccò la tribù nordorientale dei Grutungi prima di affrontare e
sconfiggere i Tervingi di Atanarico. Questo chiese una tregua, e Valente accettò
con soddisfazione.
Questo trattato sembra aver interrotto gran parte delle
relazioni tra le due parti, inclusi il commercio libero e lo scambio di tributi
con truppe; perdite che Valente avrebbe accusato negli anni a venire.
Minaccia persiana -
Tra le ragioni del trattato di pace con i Goti del 369 c'era
anche il deterioramento della situazione dell'impero ad oriente. Gioviano aveva
rinunciato all'Armenia nel 363, e il Gran Re di Persia Sapore II era determinato
a sfruttare la situazione. Il monarca sasanide cominciò allora a portare i
signori dell'Armenia dalla propria parte e detronizzò il re armeno
Arsace, che arrestò e incarcerò. Sapore mandò quindi una forza d'invasione
contro il Regno d'Iberia, nell'odierna Georgia e una seconda armata contro il
figlio di Arsace, Pap, nella fortezza di Artogerassa, nel 367.
Nella primavera seguente, Pap riuscì a scappare e a raggiungere Valente a
Marcianopoli, dove stava conducendo la campagna contro i Goti.
Valente mandò il generale Arinteo a reimporre Pap sul trono armeno già l'estate
seguente alla prima azione contro i Goti. Sapore reagì invadendo ancora e
devastando la regione. Pap riuscì nuovamente a fuggire e fu reintegrato dai
Romani scortato da una forza molto più grande nel 370. La primavera seguente il
generale Terenzio guidò forze ancora più grandi per riconquistare l'Iberia e
presidiare l'Armenia nei pressi del monte Npat. Il contrattacco di Sapore in
Armenia fu bloccato dai generali Traiano e Vadomario a Bagavan. Valente aveva
violato il trattato del 363 e quindi aveva difeso con successo la propria
posizione. Una tregua stipulata nell'anno della vittoria garantì una pace
provvisoria per cinque anni, mentre Shapur era impegnato contro un'invasione
Kushan ad est.
Valentiniano morì nel corso di una campagna
contro i Quadi per un colpo apoplettico, il 17 novembre 375. I due figli di
Valentiniano, e nipoti di Valente, Graziano e Valentiniano II, furono nominati
augusti dalle truppe in Pannonia.
Tutto ciò non migliorò la situazione con i Persiani, che ricominciarono a
lamentarsi riguardo al trattato del 363. Nel 375, Valente si preparò per una
spedizione, che però non venne eseguita a causa della grande rivolta in Isauria
da parte di truppe prima stanziate ad oriente. Come se non bastasse, nel 377 i
Saraceni comandati dalla regina Mavia si ribellarono, devastando i territori
dalla Palestina al Sinai. Anche se Valente riuscì a sedare entrambe le rivolte,
gli fu impedita l'azione ad est.
Ribellioni dei barbari -
I piani di Valente per una campagna verso est non si realizzarono mai. Un
trasferimento di truppe all'Impero d'occidente nel 374 aveva lasciato molti
vuoti nelle file orientali, e per riempirli l'Imperatore ordinò un'ambiziosa
azione di reclutamento. Non gli giunse quindi sgradita la notizia che i Goti
erano stati scacciati dalla propria terra di residenza dagli Unni nel 375 e che
gli stavano ora chiedendo asilo. Nel 376 i Visigoti avanzarono verso la foce del
Danubio e mandarono un ambasciatore da Valente, il quale aveva posto la propria
capitale ad Antiochia. Essi domandavano protezione e terre nella penisola
balcanica: si stima che 200.000 Goti fossero in attesa lungo il Danubio in Moesia e in
Dacia.
Come i suoi consiglieri gli fecero subito notare, questi barbari avrebbero
potuto sia riempire i vuoti del suo esercito sia diminuire la sua dipendenza
dalle truppe di leva provinciali, aumentando inoltre i proventi della tassa di
reclutamento. Tra i capi dei Goti che chiedevano asilo era incluso Fritigerno,
che aveva avuto buoni contatti con Valente negli anni 370, quando questi lo
aveva aiutato nella sua ribellione contro Atanarico, il quale stava
perseguitando i Goti cristiani. Anche se sembra che molti gruppi chiesero
l'ingresso nell'Impero, Valente lo concesse solo a Fritigerno. Ciò non evitò che
gli altri lo seguissero.
Quando Fritigerno e i suoi intrapresero l'attraversamento, le truppe romane
erano schierate ad est, sulla frontiera persiana e in Isauria, ed erano presenti
solo truppe leggere di frontiera, i limitanei. La scarsezza di uomini impedì ai
Romani di fermare un tentativo di attraversamento da parte di un gruppo di Goti
prima, e poi di Unni e di Alani. Ciò che stava cominciando come un'integrazione
programmata stava diventando un flusso incontrollato. La situazione andò di male
in peggio, dato che i comandanti romani presero ad abusare dei Goti in loro
controllo e questi si sollevarono in rivolta nel 377 sconfiggendo i Romani a
Marcianopoli.
Dopo essersi riuniti ai Visigoti, agli Unni e agli Alani, le truppe barbariche
marciarono a lungo prima di incontrare un contrattacco imperiale, in arrivo sia
da oriente che da occidente. I Goti uscirono vittoriosi dalla battaglia,
svoltasi ad Ad Salice, e presero il controllo della Tracia. Nel 378 Valente uscì
dalla propria base orientale di Antiochia verso ovest, prendendo con sé tutte le
forze tranne quelle basilari per la difesa, tra cui alcuni Goti, e raggiunse
Costantinopoli il 30 maggio. Nel frattempo i consiglieri di Valente, il Comes
Ricomero, e i suoi generali Frigerid, Sebastiano e Vittorio lo misero in
guardia, pregandolo di aspettare Graziano in arrivo dalla Gallia con le sue
legioni vittoriose, cosa che Graziano stesso invocava strenuamente.
Gli eventi
successivi furono frutto della superbia di Valente che, geloso dei successi del
nipote Graziano e convinto di avere truppe sufficienti per battere i Goti,
voleva la vittoria per sé.
Dopo una breve sosta con lo scopo di rafforzare le proprie truppe e ottenere un
caposaldo in Tracia, Valente uscì dalla città, andando incontro all'armata
barbarica il 9 agosto 378; la fonte primaria per le notizie sulla battaglia è Ammiano
Marcellino.
I tentativi iniziali di trattativa furono interrotti quando un'unità romana
ruppe lo schieramento caricando e diede così inizio ai combattimenti. I Romani
stavano ancora resistendo quando furono travolti dall'arrivo a sorpresa della
cavalleria gota che mandò nel caos l'esercito imperiale. Valente aveva lasciato
una discreta parte delle proprie forze a guardia del suo tesoro personale. L'ala
destra dello schieramento, la cavalleria, giunse all'accampamento nemico prima
dell'ala sinistra, stancandosi senza supporto strategico.
Nel frattempo Fritigerno mandò ancora un emissario con proposte di pace, nella
sua continua manipolazione della situazione. Il ritardo risultante mostrava il
logoramento subito dai Romani. Le risorse dell'esercito furono ancora diminuite
quando un attacco fuori tempo da parte degli arcieri rese necessario richiamare
l'emissario di Valente, il comes Ricomere. Gli arcieri furono battuti e si
ritirarono.
Quindi la cavalleria dei Goti colpì sotto il comando di Alteo e Safrace, e la
cavalleria romana dovette soccombere, in quello che fu probabilmente l'evento
decisivo della battaglia. La fanteria, abbandonata a sé stessa, fu circondata e
fatta a pezzi. Valente fu ferito e venne trasportato alla sua tenda. I Goti la
circondarono e la misero a fuoco, ignari del suo prezioso ospite; secondo
Ammiano Marcellino questa fu la fine dell'imperatore. Alla fine della battaglia,
i due terzi dell'armata imperiale giacevano morti a terra. Erano morti anche
molti degli ufficiali; ciò che rimaneva dell'esercito fu condotto via nottetempo
dal comes Ricomere e dal generale Vittore.
La battaglia fu un grave colpo per Roma: l'imperatore Graziano, diciannovenne,
era sopraffatto dalla disgrazia e non fu in grado di affrontare la catastrofe
che seguì finché non nominò Teodosio I nuovo imperatore d'oriente.
Eredità di Valente -
La battaglia di Adrianopoli fu l'evento più significativo della carriera di
Valente. Essa fu molto importante anche sotto un altro aspetto: l'evoluzione
della guerra. Fino a quel tempo la fanteria romana era considerata invincibile,
e ciò era stato dimostrato innumerevoli volte in battaglia. Ma la cavalleria
gotica cambiò completamente il modo romano di combattere: anche se mancano dati
relativi al V secolo, per tutto il IV e VI secolo la cavalleria divenne il nerbo
dell'esercito imperiale terrestre.
Anche se mostrò del talento come amministratore, le persecuzioni dei Cristiani
Niceni e dei filosofi pagani, i suoi sforzi vani di ottenere successi militari e
la sua ottusità non lo ricoprirono certo di gloria. La morte, arrivata in una
battaglia tanto nefasta, segnò l'apice di una carriera sfortunata. Ciò acquista
particolare verità con l'analisi degli effetti della sconfitta riportata ad
Adrianopoli. Questa segnò l'inizio della fine dell'integrità territoriale del
tardo Impero, e ciò fu evidente persino ai contemporanei. Ammiano comprese che
questa era la disfatta più grave dai tempi della battaglia di Canne, e
l'ufficiale bizantino Rufino la chiamò "l'inizio dei mali per l'Impero romano,
ora e in seguito".
Come i fratelli Costanzo II e Costante I, Valente e Valentiniano avevano credo
religiosi differenti: Valente era Ariano e Valentiniano adottava il Credo di
Nicea. Alla morte di Valente, in ogni caso, la storia dell'arianesimo
nell'oriente romano giunse alla fine: il suo successore Teodosio avrebbe
infatti imposto il credo di Nicea tramite l'editto di Tessalonica.
TEODOSIO
11 gennaio 347 - 17 gennaio 395
Flavio Teodosio nacque a Caica in Hispania, ed era figlio di Teodosio il
Vecchio, valente generale imperiale che seguì in battaglia fin dalla giovane
età. Seguì il padre anche in Britannia nel 368, per combattere contro una
cospirazione, riuscendo a sconfiggere i Sassoni e le altre popolazioni di Scozia
e Irlanda.
Divenuto comandante militare in Mesia, nel 374 perse due legioni ad opera dei
Sarmati e venne esonerato dall'imperatore Valentiniano I. L'anno successivo suo
padre venne giustiziato per l'accusa di corruzione e Teodosio amareggiatissimo e
convinto di dover rinunciare alla carriera militare si ritirò nella terra
d'origine.
Nel 378 però Graziano lo richiamò per respingere nuovamente i Sarmati, creandolo
poi augusto nel 379, dopo la morte dell'imperatore Valente nella disastrosa
Battaglia di Adrianopoli ad opera dei Goti, affidandogli l'Oriente con la Mesia
e la Dacia.
Teodosio pose il suo quartier generale a Tessalonica ed arruolò al servizio
militare molti Goti. Nel 380 però I Goti, insediati nei Balcani, cominciarono
scorrerie e razzie, tanto che Graziano rinunciò a mantenere il controllo delle
province illiriche e si ritirò a Treviri, per consentire a Teodosio di condurre
a suo modo le operazioni militari. Non potendo far combattere i Goti contro i
Goti, Teodosio inviò le sue nuove reclute in Egitto, rimpiazzandoli con soldati
romani, più esperti e più affidabili.
Ma ci volle comunque l'aiuto di Graziano che spedì alcuni generali per liberare
l'Illiria dai Goti, consentendo a Teodosio di entrare finalmente a
Costantinopoli nel 380, dopo una campagna di ben due anni. Nel 382 fu stipulato
con i Goti un trattato che li autorizzava a stanziarsi lungo il corso del
Danubio, nella diocesi di Tracia, godendo ampia autonomia. Teodosio non aveva
brillato come generale ma la pace coi Goti era fatta.
Editto di Tessalonica -
Teodosio, a cui i contemporanei diedero il titolo di Grande, fu l'ultimo
imperatore degno di Roma.
Egli, fervente cattolico, subì fortemente l'influenza di S. Ambrogio, vescovo di
Milano.
All'inizio del suo regno Teodosio, insieme agli altri due augusti, Graziano e
Valentiniano II, aveva promulgato nel 380 l'editto di Tessalonica, con cui si
dichiarava il cristianesimo religione di stato, con pene e persecuzioni per chi
praticasse culti pagani. Il decreto “Cunctos populos”, concesse grandi privilegi
ai sacerdoti cristiani versandogli inoltre tutti i profitti dei sacerdoti
pagani.
Con lo stesso fanatismo con cui erano stati perseguitati i cristiani, furono
perseguitati i giudei e i pagani. In questa prima "pulizia religiosa" furono
distrutti grandi e magnifici templi pagani come l'Oracolo di Apollo a Delfi.
Teodosio perseguitò ferocemente l'arianesimo, espellendo da Costantinopoli il
vescovo ariano Demofilo di Costantinopoli e affidando la conduzione delle chiese
al niceno Gregorio di Nazianzo. Dopo una lunga malattia, si era fatto battezzare
dal vescovo Acolio di Tessalonica e nel 381 convocò un concilio di 150 vescovi
d'Oriente, facendogli proclamare come sola chiesa ortodossa quella di Nicea,
assegnando il primato vescovile a Roma con Costantinopoli a lei asservita.
Nel 382 si sanciva, tuttavia, la conservazione degli oggetti pagani che avessero
valore artistico, cioè si decise che i templi più belli anzichè venire distrutti
fossero trasformati in tempi cristiani. Il divieto dei sacrifici cruenti e dei
riti pagani venne ribadito nel 385.
La confessione fu resa segreta sotto
Teodosio, quando una donna, dinanzi a migliaia di fedeli, si accusò d'essere
andata a letto col diacono che la stava in quel momento confessando.
Nel 383 Teodosio rese obbligatorio il giorno di riposo, il Dies Solis, festa di
Elios, rinominandolo Dies Dominicus, il giorno del Signore, la domenica, da
allora sacra fino ad oggi per tutti i Cristiani.
Nel 383 Graziano morì assassinato prima di battersi contro Magno Massimo,
proclamato imperatore dalle legioni di Britannia. Massimo propose allora a
Teodosio un trattato di amicizia che fu accettato, anzi l'imperatore orientale
gli fece erigere una statua in suo onore ad Alessandria. Ma Massimo non era
tranquillo e nel 387 traversò le Alpi minacciando Milano, sede della prefettura
di Valentiniano II e sua madre che si rifugiarono in oriente da Teodosio I.
Questi, per garantirsi il potere sposò Galla, la sorella di Valentiniano, poi
marciò contro Magno Massimo, sconfiggendolo nella battaglia della Sava e poi ad
Aquileia nel 388. Valentiniano II fu restaurato a Milano e per compiacere
Teodosio dovette sconfessare l'arianesimo aderendo alla fede cattolica di Nicea.
Nel 390 Teodosio fece trasportare dall'Egitto a Costantinopoli l'obelisco del
faraone Tutmosi III, col simbolo del Dio Helios, che si erge tuttora
nell'Ippodromo.
Sul grande basamento di marmo bianco ci sono i bassorilievi di Teodosio, la
famiglia imperiale e i nobili, su un palco imperiale separato dal pubblico.
I massacri di Teodosio -
Nel 390, avendo agito con troppa crudeltà contro gli abitanti di Tessalonica.
che si erano ribellati, S. Ambrogio lo escluse per ben otto mesi dalla comunione
dei fedeli, obbligandolo a fare pubblica penitenza.
Teodosio vinse anche i Visigoti (o Goti occidentali), che avevano varcato il
Danubio, invadendo la penisola balcanica; ma, non potendo allontanarli, permise
ad essi di stabilirsi nella Tracia e nel a Macedonia in qualità di alleati
dell'Impero (379).
Nel 390 la popolazione di Tessalonica (Salonicco) si ribellò e impiccò il
magister militum dell'Illirico e governatore della città Buterico, per aver
arrestato un famoso auriga perchè omosessuale e fatto chiudere i giochi.
Teodosio per rappresaglia organizzò una gara di bighe nel circo della città,
fece chiudere le porte e trucidare tutti i presenti, donne e bambini compresi,
ben 7000 persone, tutte uccise a caso.
Ambrogio, vescovo cattolico di Milano,
scrisse a Teodosio una lettera sdegnata e lo costrinse a mesi di penitenza e ad
una richiesta pubblica di perdono che venne infine concessa nel Natale del 390.
Secondo molti storici l'inasprimento della politica religiosa di Teodosio nei
confronti del paganesimo fu in gran parte dovuta proprio all'influenza di
Ambrogio e la penitenza inflittagli una messa in scena.
Infatti le persecuzioni si moltiplicarono: venne interdetto l'accesso ai templi
pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa
l'adorazione delle statue.
Pene amministrative per i cristiani che si
riconvertissero nuovamente al paganesimo e nel decreto emanato nel 392 da
Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle
viscere erano punibili con la morte.
I templi pagani furono sistematicamente distrutti dai fanatici cristiani e dai
monaci appoggiati dai vescovi locali, come il tempio di Giove ad Apamea. Ad
Alessandria d'Egitto il vescovo Teofilo ottenne nel 391 il permesso imperiale di
trasformare in chiesa un tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei
pagani, che si asserragliarono nel tempio.
Il vescovo Teofilo guidò
personalmente i cristiani all'assalto del tempio di Serapide massacrando tutti i
rifugiati e distruggendo il tempio, procedendo poi all'incendio della gloriosa
Biblioteca di Alessandria, la più grande ed erudita del mondo. Scomparvero così
migliaia e migliaia di testi greci che tutta l'antichità aveva studiato e
ammirato.
Dopo il 392, a seguito della morte dell'imperatore Valentiniano II, Teodosio
governò come imperatore unico, sconfiggendo anche grazie all'aiuto del re goto
Alarico I, l'usurpatore Flavio Eugenio nella Battaglia del Frigido nel 394.
La guerra scatenata da Eugenio, i cui eserciti marciavano al grido di "Ercole
invincibile", rappresentò l'ultimo tentativo di restaurare gli antichi culti
religiosi contro l'intransigente avanzata del Cristianesimo. Nell'inverno del 394 Teodosio si ammalò di idropisia e nel 395 morì, lasciando
il generale Stilicone come protettore dei figli Arcadio e Onorio. Infatti lo
stesso Alarico I si rivoltò contro Arcadio, figlio di Teodosio e suo successore,
subito dopo la morte dello stesso Teodosio.
Nel febbraio del 395 si tennero i solenni funerali di Teodosio celebrati dal
vescovo Ambrogio, che pronunciò il De Obitu Theodosii. Le esequie si svolsero
per la prima volta col rito cristiano. Poi la salma di Teodosio venne tumulata
nella basilica degli Apostoli di Costantinopoli, dove rimarrà fino al saccheggio
della città del 1204.
ARCADIO (395-408) E ONORIO (395-423) -
Teodosio, morendo, divise l'Impero tra i suoi due figli, Arcadio, che ebbe
l'Oriente, e Onorio, che ebbe l'Occidente; ma poiché i due nuovi sovrani erano
ancora molto giovani, pose il primo sotto la tutela del prefetto del pretorio
Rufino, gallo di origine; e il secondo sotto il generale Stilicone, vandalo di
origine, ma fedele agli ideali romani.
Questa volta la spartizione si trasformò in una vera e definitiva divisione
dell'impero: ma mentre l'impero d'Occidente, travolto dalle invasioni
barbariche, si avviò a una precipitosa rovina, l'impero d'Oriente sopravvisse
per più di mille anni.
ONORIO (395-423)
9 settembre 384 - 15 agosto 423 -
Onorio, figlio dell'imperatore Teodosio I e di Elia Flaccilla, nacque a
Costantinopoli nel 384 d.c. Era il minore di tre fratelli, il maggiore Arcadio,
e una sorella morta giovane, Pulcheria Teodosia.
Il padre lo onorò del titolo di Nobilissimus Puer all'età di due anni, titolo
già conferito da Gioviano a suo figlio Varrone, a Valentiniano figlio di
Valente, che imperatori non furono, nonchè a Graziano che fu invece imperatore.
In più lo nominò console nello stesso anno.
Queste cariche premature servivano solo a ribadire la nobiltà reale del bambino,
destinato a succedere al trono nel caso che il primogenito fosse morto. Onorio
crebbe in una società fredda, statica e bigotta, dove era andata perduta la
semplicità e la concretezza dei Romani, sostituita dai lussuosi paramenti
bizantini e l'austera e intransigente religione cristiana dell'epoca. Onorio fu
sradicato dalla reggia e dalla madre a soli 5 anni per accompagnare il padre a
Roma, per poi tornare alla reggia di Costantinopoli nel 391 d.c..
L'anno successivo morì l'augusto d'Occidente, Valentiniano II, e il generale
romano e cristiano Flavio Arbogaste, che fino allora era stato il suo reggente,
fu sospettato esserne l'autore. Subito dopo Arbogaste elevò al trono d'Occidente
Flavio Eugenio, responsabile della cancelleria imperiale. Teodosio all'inizio
finse di accettare il nuovo imperatore, ma nel 393, proclamò Onorio, all'età di
dieci anni, augusto d'Occidente, associandolo al trono come aveva fatto dieci
anni prima con Arcadio. Nel 394 Teodosio e Arbogaste si scontrarono nella
battaglia del fiume Frigido; Arbogaste sconfitto si tolse la vita ed Eugenio
venne decapitato. Quindi Teodosio convocò Onorio alla corte di Milano.
Sembra che Arcadio fosse di intelligenza molto limitata, si che le speranze del
padre andarono soprattutto su Onorio. Alla morte di Teodosio nel 395 ad Arcadio
andò l'Impero d'Oriente, e ad Onorio quello d'Occidente, ma essendo giovanissimi
l'impero d'oriente venne gestito da Rufino, primo ministro e prefetto del
pretorio, nonchè genero per aver sposato la figlia adottiva di Teodosio, Serena.
Rufino era un infido ambizioso, durante una discussione in un consiglio, Rufino
insultò Promoto, il magister equitum, il quale lo schiaffeggiò; Rufino si
lamentò presso Teodosio, il quale gli ventilò la prospettiva di farlo
co-imperatore. Rufino consigliò Teodosio di inviare Promoto in Tracia ad
occuparsi dell'addestramento delle truppe, ma in un'imboscata lo fece uccidere.
Ecco di chi si fidava Teodosio.
Onorio fu invece affidato a Stilicone, generale vandalo, che per assicurarsi il
posto diede ad Onorio allora quattordicenne, in sposa la figlia Maria e, dopo la
morte di questa, l'altra figlia Termanzia nel 408.
Si dice che però ambedue le
mogli rimasero vergini, il che denota una natura problematica di Onorio.
L'impero d'Occidente subì sotto Onorio le invasioni dei barbari e la ribellione
di ben nove usurpatori. Ma il carico era tutto di Stilicone. Si narra che Onorio
fosse un appassionato di galline che nutriva e lasciava circolare liberamente
nella reggia e che fossero la sua unica preoccupazione. Procopio narra che
quando un messaggero gli portò la notizia che Roma era caduta, Onorio rispose:
«Ma come, se ha beccato dalla mia mano solo poco fa!», alludendo alla sua
gallina preferita, da lui chiamata Roma.
Onorio, spesso in contrasto con il fratello imperatore d'Oriente, cercò
l'alleanza con la Chiesa cattolica eliminando le ultime vestigia del paganesimo
come i giochi gladiatori. La romanità era scomparsa, lasciando paura, sensi di
colpa e sacrifici continui per ingraziarsi i nuovi Dei.
Nel 397 il comes Africae Gildone si ribellò nell'Africa settentrionale, ma la
sua rivolta fu soffocata un anno dopo. Intanto Alarico, ex alleato di Teodosio,
cominciava scorrerie e massacri in Occidente e Oriente, col Senato che lo
comprava con oro e danaro e battaglie di Stilicone che però non furono
definitive, al punto che si sospetta volesse farsene un alleato per togliere di
mezzo Rufino.
A causa dell'invasione dei Visigoti, nel 402 Onorio spostò la capitale da Milano
a Ravenna, meglio difendibile in quanto circondata da paludi. Per difendere
l'Italia Stilicone tolse truppe dalla Gallia, il cui esercito al comando di
Radagaiso, invase l'Italia portando la distruzione finché Stilicone non lo
sconfisse nel 406.
Nello stesso anno 406, un grosso esercito di Alani, Suebi e Vandali sfondò la frontiera e
invase la Gallia, e nella Britannia romana sorsero diversi usurpatori, tra cui
Marco, e Costantino III che invase la Gallia nel 407, occupando Arelate.
L'influenza politica di Stilicone cresceva ad ogni vittoria, ma allo stesso
tempo cresceva l'opposizione a corte, guidata da Olimpio. Onorio si lasciò
influenzare dagli oppositori di Stilicone facendolo condannare a morte e
facendone uccidere anche il figlio. Fu un gesto insensato oltre che crudele,
perchè Onorio uccise l'unico difensore dell'Impero d'Occidente decretandone il
disastro.
Sacco di Roma -
Nel 408, Alarico chiese ad Onorio di portare il proprio esercito dal Norico alla
Pannonia, ma l'imperatore, consigliato da Olimpio, rifiutò. I Visigoti allora
scesero a Roma, la assediarono ed estorsero ai notabili cittadini 5.000 libbre
d'oro, 30.000 libbre d'argento, 4.000 tuniche di seta, 3.000 panni porpora e 3.000
libbre di pepe, mentre Onorio rimaneva inerte a Ravenna.
L'anno successivo Alarico fece nominare dal Senato un nuovo imperatore, Prisco
Attalo, che coniò monete con la scritta "Roma Invicta Aeterna" (Roma invincibile
ed eterna). Ma la città, inviolata da ottocento anni, venne invasa di nuovo dai
Goti di Alarico: il "sacco" di Roma del 410. I contemporanei disperati, secondo
la propria fede religiosa, videro nella caduta di Roma la vendetta delle antiche
divinità soppiantate dal cristianesimo o la giusta punizione per i cristiani
ancora invischiati nel paganesimo.
Alarico dopo il sacco se ne andò, portandosi via i tesori di Roma insieme a
Galla Placidia, la bella sorellastra di Onorio, per cui si sospetta che Onorio
nutrisse una passione carnale. Non dette infatti il suo consenso al matrimonio
tra Placidia e Ataulfo, fratello di Alarico che la sposò comunque e sembra che
dal 421, abbia iniziato a molestare la sorellastra anche pubblicamente,
irritando sia lei che il pubblico. I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino
e Alarico si diresse a Reggio, ma si ammalò improvvisamente e morì. Venne
seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento a Cosenza, sul suolo
calabrese. Gli schiavi che avevano lavorato alla temporanea deviazione del corso
del fiume furono uccisi perché fosse mantenuto il segreto sul luogo della
sepoltura. Quel tesoro non venne mai ritrovato.
Morte -
Per rinforzarsi politicamente, Onorio si avvicinò a Costanzo, dandogli in sposa
sua sorella Galla Placidia e poi associandolo al trono nel 421, ma Costanzo morì
e due anni dopo anche Onorio di idropisia. Non avendo lasciato eredi, il suo
trono fu prima usurpato dall'alto funzionario Giovanni Primicerio, poi
recuperato da Valentiniano II, figlio di Galla Placidia.
Lasciò un Impero allo sfascio, un esercito debilitato e un popolo terrorizzato
dalle incursioni nemiche.
FINE DELL'IMPERO D'OCCIDENTE (476)
L'impero d'Occidente sopravvisse ancora circa venti anni, ma furono anni
d'anarchia, durante i quali si succedettero una decina di imperatori.
ROMOLO AUGUSTO
459 circa - dopo il 476
Anche se noto anche col
nomignolo di Romolo Augustolo, si chiamava in realtà Flavio Romulo Augusto, così
l'Impero Romano, o almeno quello di occidente, nacque e morì con lo stesso nome
per il primo e l'ultimo dei suoi capi: Romolo. Nacque dal generale goto Flavio
Oreste e da Flavia Serena, figlia del comes del Norico Romolo, nel 459 circa.
All'epoca i barbari imperversano in Italia e in Europa, alternandosi al potere,
data la natura nomade che li portava a spostarsi continuamente. Il Cristianesimo
aveva debellato gli antichi Dei romani, e lo spirito della romanità è scomparso.
Dal 474 era imperatore d'Occidente Giulio Nepote, nominato dagli imperatori
d'Oriente Leone I e Zenone. Nel 475 Nepote rimosse il patrizio e magister
militum dell'Occidente, il gallo-romano Ecdicio, per rimpiazzarlo con Oreste.
Questi, ottenuto il sostegno dell'esercito, si mosse da Roma ed entrò a Ravenna
obbligando Nepote a fuggire a Salona, in Dalmazia.
Oreste attese inutilmente un riconoscimento da parte dell'imperatore d'Oriente,
finchè, il 31 ottobre, dichiarò decaduto l'imperatore Giulio Nepote. Però Oreste
era barbaro e per legge non poteva diventare imperatore, di conseguenza nominò
il tredicenne giovane figlio Romolo, la cui madre era di stirpe romana.
Romolo per l'età non poteva governare, fu soprannominato Augùstolo (= l'imperatorino),e
per lui lo fece Oreste, preoccupandosi anzitutto di gestire le truppe barbariche
a difesa dell'impero, che avevano si prestato giuramento all'imperatore, ma
restavano fedeli solo per i pingui pagamenti che dissanguavano le casse dello
stato. Per reperire monete se ne coniarono molte auree a nome di Romolo, i
solidi d'oro, sia a Roma, che Milano, a Ravenna e ad Arles.
Nel 476 le esigenze della truppa divennero insostenibili, e alcune truppe
barbariche Eruli, Sciri e Turcilingi, chiesero delle terre che Oreste rifiutò.
Questi popoli si rivolsero al capo barbaro Odoacre, lo elessero re il 23 agosto
e il 28 agosto Oreste venne catturato e ucciso, dopodichè Odoacre occupò
Ravenna, uccidendo anche Paolo, fratello di Oreste.
Naturalmente depose Romolo, ma essendo giovanissimo gli risparmiò la vita
esiliandolo a Neapolis, nel Castellum Lucullanum, l'antica villa di Lucullo.
Secondo alcune fonti gli concesse un congruo vitalizio di seimila solidi annui,
permettendogli di vivere con i propri parenti. Per alcuni fu relegato in
un'angusta cella di monastero per il resto della sua vita. Per altri Romolo
stesso aveva fondato un monastero a Lucullanum, dedicato a san Severino e la
nobildonna Barbaria, che aveva contribuito allo sviluppo di questo centro
religioso, sarebbe stata sua madre. Ma la prima versione è la più attendibile
anche per lo scambio epistolare tra il re ostrogoto Teodorico il Grande con un
certo Romolo, che forse avrebbe dovuto rinegoziare il vitalizio concesso da
Odoacre con il nuovo re, nel 493 e poi ancora nel 507/511.
Dietro ordine di Odoacre, Romolo inviò una lettera all'imperatore Zenone, di
nuovo re nel 477 dopo essere stato spodestato da Basilisco, in cui affidava il
comando dell'Italia a Odoacre. Così Romolo regnò formalmente per un solo anno.
Odoacre, a differenza degli altri generali, non nominò un successore a Romolo
Augustolo, ma governò per conto proprio.
Egli fece dichiarare dal senato che bastava al mondo un solo imperatore, e,
quindi, inviò le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente, che era allora
Zenone, ottenendo in cambio il titolo di patrizio romano (= vicario imperiale).
Così, nel 476 d. C., senza scosse violente, finiva l'impero romano d'Occidente.
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