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Da Diocleziano a Romolo Augustolo
284-476

DIOCLEZIANO22 dicembre 244 - 3 dicembre 311 - 

Diocleziano nacque nel 244 sulla costa dalmata, forse a Salona.

Fu chiamato Diocles e ricevette una sommaria educazione letteraria con un certo senso di pietas romana, cioè la tollerante religiosità dei Romani unita a un profondo senso di onestà e giustizia. Sposò Prisca da cui ebbe la figlia Valeria, ambedue ritenute cristiane.

Dal 275 al 284 d.cDiocleziano. a Roma si succedettero una serie di imperatori che vennero eliminati violentemente uno dopo l'altro. Le rivolte non venivano dai barbari o dai parti che Roma combatteva, ma dagli stessi militari, all'interno di quell'esercito che era romano solo formalmente, perchè dentro c'era di tutto.

I militari chiesero una paga sempre più alta e l'acclamazione degli imperatori dipendeva dalle loro donazioni in oro. Così i generali romani divennero tra loro rivali del trono aprendo il terreno alle guerre civili.

Ne profittarono Franchi, Alamanni, e Goti, e ad ovest i Sassanidi Persiani per invadere i confini, dando il via a un triste periodo di guerre interne ed esterne, finchè non giunse al potere Diocleziano.

Egli aveva fin da giovanissimo seguito la carriera militare, percorrendola fino ai più alti gradi, distinguendosi per coraggio, prudenza e metodo. Era stato console sotto Probo, poi governatore della Mesia.

Nel 282, sotto Caro imperatore, fu nominato comandante della cavalleria e dei pretoriani. Nel 283 ottenne il Consolato. Sembra che una veggente, gli avesse predetto da giovane che sarebbe stato imperatore il giorno che avesse ucciso un cinghiale(aper). In effetti era arrivato alla corona quando, al cospetto delle legioni, uccise a Nicomedia quell'uomo che del cinghiale portava il nome (Apro).
Nel 284 d.c., dopo l'assassinio di Caro, prima Numeriano poi Apro si fecero acclamare imperatori, ma il primo morì in circostanze misteriose e il secondo, accusato di averlo assassinato, da imperatore visse poche ore. Carino, figlio maggiore di Caro rimase imperatore nell'ovest e Diocleziano fu acclamato imperatore in oriente sostituendo Numeriano.  I due si scontrarono nella battaglia del fiume Margus, in cui Carino perse il regno e la vita 284. Diocleziano rimase quindi padrone dell'impero.

Così Caio Aurelio Valerio, illirico, da Diocle, sua patria, prese il nome di Diocleziano.
Diocleziano aveva 39 anni, con esperienza degli uomini, ormai maturo e riflessivo.

Dopo la battaglia del Margus, in cui la vendetta di un ufficiale gli aveva data la vittoria (l'ufficiale aveva ucciso Carino vendicandosi per avergli violentato la moglie) Diocleziano si dimostrò magnanimo coi sostenitori di Carino: nessuno fu toccato o rimosso dalle cariche e lo stesso Aristobulo, prefetto del pretorio e creatura della Curia, rimase al consolato.
Se però all'interno aveva ottenuto pace, all'esterno c'erano serie minacce. Elpidio Achille fomentava la rivolta ad Alessandria; in Egitto minacciavano l'invasione i Blemmi; nella Numidia le tribù dei Bavari e dei Quinquangentanei razziavano il paese; nella regione danubiana Sarmati e Germani varcavano i confini; i Franchi invadevano i paesi del Reno, e le coste galliche del nord erano infestate dai pirati sassoni; in Gallia i Bagaudi saccheggiavano le campagne per ricostituire l'impero gallico.


Tetrarchia - Diocleziano stabilì allora di dare all'impero una tetrarchia di governo, con due imperatori (Augusti), di cui uno più anziano e di maggiore autorità, e in sottordine due Cesari. Morto un imperatore, doveva succedergli il suo Cesare il quale, divenuto Augusto doveva nominarsi, a sua volta, un Cesare. I due Cesari, al pari dei due Augusti, dovevano avere la potestas tribunicia e l' imperium, ma non il potere legislativo, e potevano batter moneta e comandare eserciti in nome degli imperatori di cui erano luogotenenti con diritto alla successione.

Nel 285, di conseguenza, nominò il suo commilitone Massimiano Augusto, co-imperatore;
Il Cesare che Diocleziano si scelse fu il dace Valerio Galerio, soldato rude e violento nativo di Sardica; quello di Massimiano fu Flavio Costanzo, detto Cloro per il suo pallore, originario della Dardanica, che discendeva da Claudio il Gotico ed era colto e mite.
Nel 293 i due Cesari ebbero le insegne, il primo a Nicomedia e il secondo a Milano. Per rinsaldare i vincoli, Galerio sposò Valeria, figlia di Diocleziano, Costanzo Cloro (già padre di Costantino avuto da una Giulia Elena di Bitinia) divenne marito di Teodora, figliastra di Massimiano.
•Galerio ebbe il governo delle province illiriche, della Macedonia, della Grecia e di Creta con sede a Sirmio,
•Costanzo quello della Gallia e della Britannia con residenza a Treveri.
•Massimiano l' Italia, la Rezia, la Sicilia, la Sardegna e l'Africa,
•Diocleziano prese l'Egitto e la Libia insieme alle province d'Asia.
L'impero era diviso solo dal punto di vista militare, ma non dal punto di vista politico. Le leggi riguardavano tutto l'impero e portavano le quattro firme degli Augusti e dei Cesari. Questa era non tanto l'ammissione che nessun uomo poteva governare l'impero, quanto il riconoscimento che il potere politico doveva essere maggiormente distribuito per aiutare il mantenimento della pace.

Ora Costanzo aveva si avuto il governo della Gallia e della Britannia, ma quest'ultima era in potere di Carausio, che occorreva combattere insieme ai Franchi suoi alleati.
Costanzo sbarrò il porto di Gessoriaco con una diga e costrinse con la fame alla resa le navi e la guarnigione ribelle (293), poi sconfisse i Franchi, e mentre si preparava ad assalire in Britannia Carausio, questi fu ucciso dal suo ufficiale Alletto, che ne prese il potere.
Costanzo divise la flotta in due squadre, una era comandata da lui, l'altra dal comandante della guardia, Asclepiodoto, che riuscì ad approdare vicino Brighton.
Saputo dello sbarco, Alletto combattè contro Asclepiodoto, ma fu sconfitto ed ucciso; il suo esercito, gettatosi sulla città per saccheggiarla fu assalito dalle truppe imperiali e sterminato. Così Britannia tornò provincia dell' impero romano.
Costanzo si diresse poi alla frontiera renana, sotto la custodia di Massimiano che doveva recarsi in Africa, dove i Mauritani si erano ribellati: la Numidia era percorsa da Bavari e Quinquangentanei con il pretendente Giuliano che si era fatto proclamare imperatore.

Massimiano in Africa sconfisse i Mauri ribelli e Giuliano si suicidò. Costanzo Cloro intanto, mentre fortificava la frontiera tra Magonza e il lago di Costanza, seppe che gli Alemanni, superato il Reno, devastavano i villaggi. Così mosse contro di loro sconfiggendoli a Langres e a Vindonissa. Galerio a sua volta dovette combattere contro Quadi, Jazigi, Bastami e Carpi per quattro anni, dal 293 al 296. Finalmente i Carpi, i nemici più pericolosi, più volte battuti, furono sconfitti e deportati come coloni, nella Mesia e nella Pannonia.
Diocleziano stava a Nicomedia quando seppe di un' insurrezione in Egitto. Corse ad Alessandria e l'assediò per otto mesi finchè non le tagliò gli acquedotti. Alessandria fu abbandonata alle truppe e saccheggiata. Con i Blemmi nell'alto Egitto Diocleziano, dopo averli sconfitti, si accordò. Contemporaneamente nelle vicinanze di Siene venne stanziata la tribù dei Nobati che ebbe il compito di guardare i confini meridionali. Intanto Narsete, successore al trono di Persia, invase l'Armenia costringendo Tiridate a ritirarsi in territorio romano, quindi penetrò in Mesopotamia (296). Il comando della guerra contro i Persiani, in assenza di Diocleziano, fu assunto da Galerio che prese come collaboratore Tiridate, ma fu sconfitto pesantemente. A stento Galerio e Tiridate riuscirono a salvarsi e i Persiani avrebbero invaso la Siria se non fosse sopraggiunto Diocleziano.

Questi difese la linea dell' Eufrate (297) e mandò Galerio nell'Illirico per raccogliervi un nuovo esercito che sorprese i Persiani e li sconfisse. Narsete fuggì, ma la sua famiglia e i suoi tesori caddero nella mani dei vincitori. Intanto che Tiridate percorreva l'Armenia punendo i nemici, Diocleziano entrato in Mesopotamia, si congiungeva a Nisibi con Galerio. Narsete chiese allora la pace e Diocleziano accettò a patto che venisse restituita tutta la Mesopotamia, che cedesse cinque province, che l'Armenia tornasse sotto Roma e che sul trono fosse rimesso Tiridate. Una pace vantaggiosissima che assicurava le frontiere occidentali e le vie del Caucaso per i commerci.


Riforme -

La tetrarchia dunque, grazie a Diocleziano, assicurò la pace sperata, così l'imperatore si occupò di riforme.
•Passò le antiche attribuzioni del Senato al Concistorium principis con tutte le questioni di carattere legislativo.
•L'ordinamento provinciale venne mutato, dal lato territoriale e dal lato amministrativo, e il potere civile venne diviso dal potere militare. Ogni provincia aveva un praeses, un governatore civile, ed uno o più duces per il comando delle truppe.
•Portò il numero delle province da 57 a 96, creando gruppi di province, dette diocesi, governate da vicari. Si formarono così nel 297, 12 diocesi, 5 in Oriente e 7 in Occidente.
•Lasciò le antiche coorti pretorie, creando però nuove guardie del corpo, reclutate specialmente in Illiria, per i due Augusti e i due Cesari.
•L'esercito da 350.000 fu portato a 500.000 uomini, vennero ridotti i soldati delle legioni e accresciuto il numero degli ufficiali.
L'esercito fu completamente riformato. Con Diocleziano abbiamo la divisione formale tra esercito di frontiera ed esercito campale. L'esercito campale era mobile e poteva essere spostato dappertutto secondo le necessità. Ogni tetrarca aveva un esercito campale sotto il suo comando. Ogni tetrarca aveva anche una guardia di palazzo, innovazione, questa, che riduceva la guardia pretoriana a poco più di una guarnigione cittadina. Le truppe di frontiera erano chiamate "limitanei" o "riparienses" (letteralmente uomini della riva) a dimostrazione dell'importanza dei confini del Danubio, del Reno, dell'Eufrate.

Rinnovò il catasto e le imposte sui terreni, che vennero tassati a seconda della categoria. L'imposta fondiaria, in denaro o natura, veniva riscossa dai decurioni sotto loro responsabilità.
Cadde così l'esenzione dell'Italia dalle imposte, che riguardò solo la urbicaria regio, il territorio che si estende fino a cento miglia dalle mura dell'Urbe.
•Coniò nuove monete: l'aureus di grammi 5,45, l' argenteus di grammi 3,40 e il follis di bronzo, ma non potè togliere dalla circolazione i denari di bassissima lega.
•Nel 301, fissò il massimo dei prezzi rerum venalium, con la pena di morte per i trasgressori. Ma poi lo revocò vedendone il pessimo effetto.

La persecuzione dei cristiani -diffusione cristianesimo

Gli ultimi anni dell' impero di Diocleziano furono insanguinati dalle persecuzioni contro i Cristiani.
Il Cristianesimo si era diffuso in tutto l'impero, e le chiese disponevano di ingenti beni con una potente gerarchia, che in certe città aveva una grandissima autorità anche fuori della comunità cristiana.

Il Cristianesimo divideva i cittadini credenti da quelli che professavano altre fedi, predicava l'astensione dalle pubbliche cariche, univa il romano al barbaro, era contrario alla guerra e all'esercito, e non riconosceva la divinità dell'imperatore.

Diocleziano non era un pagano fanatico e nei primi anni fu molto tollerante verso i Cristiani, ma quando due magistrati di Samosato si rifiutarono di sacrificare agli Dei per la vittoria sui Persiani, quando i sacerdoti affermarono che le viscere delle vittime consultate, non rispondevano per la presenza disturbatrice nell'esercito di soldati di altra fede, quando il suo consiglio privato si pronunciò per la persecuzione dei Cristiani e questa venne approvata dall'oracolo di Apollo, l'imperatore, istigato anche da Galerio che odiava i seguaci di Cristo passò alle persecuzioni.

Nel 303, il prefetto del pretorio, coi soldati, invase il tempio cristiano di Nicomedia, bruciò i libri sacri e distrusse la chiesa. Seguì un editto che ordinava la distruzione delle chiese e dei libri cristiani, ne scioglieva le comunità, ne confiscava i beni, proibiva le riunioni, li escludeva dalle cariche pubbliche e dalla cittadinanza e rimetteva nella schiavitù i liberti se non ritornavano al paganesimo.

L'editto provocò in Oriente tumulti e resistenza dalle comunità cristiane, giunse allora un secondo editto per cui i Cristiani venissero ricercati ed obbligati a sacrificare agli dèi e che tutti i vescovi e i preti che si rifiutavano di consegnare i libri sacri venissero messi in carcere. Con un terzo editto si accordava l'amnistia a coloro che, abbandonato il Cristianesimo, ritornassero alla fede pagana.

Nell'Occidente, per merito di Costanzo Cloro e della sua corte in gran parte convertita al Cristianesimo, la persecuzione si limitò alla distruzione di qualche chiesa e alla proibizione delle assemblee dei cristiani; in Oriente invece, più per opera di Galerio che di Diocleziano, gli editti vennero applicati con rigore fino alla crudeltà. Molti cristiani abiurarono e sacrificarono ai vecchi Dei, parecchi vescovi consegnarono i libri sacri e ci furono anche di quelli che, dopo di avere fatto apostasia, aiutarono i magistrati a perseguitare gli antichi compagni di fede.

Il 20 novembre Diocleziano e Massimiano fecero il loro ingresso nell'Urbe sopra un magnifico carro tirato da quattro elefanti, seguiti da senatori, magistrati e ufficiali, da una selva di insegne, dai trofei delle vittorie e dalle figure di Narsete, delle sue donne e dei suoi figli. Le feste furono accompagnate da un'amnistia e da elargizioni alle principali città per un totale di trecentodieci milioni di denari.
Abdicazione - Diocleziano rimase a Roma solo 28 giorni, poi partì improvvisamente per Ravenna e da qui fece ritorno a Nicomedia. Probabilmente stanco delle lamentele del popolo e infelice: la moglie Prisca non lo amava e insieme alla figlia Valeria aveva abbracciato una religione intollerante e severa, aveva fallito il tentativo di alleviare la miseria con la disciplina dei prezzi e il popolo non gli era grato per tutto ciò che aveva fatto per la sua pace. Da parecchi anni Diocleziano aveva iniziato la costruzione di un immenso palazzo a Solona (Spalato) in Dalmazia, per passarvi la vecchiaia.

Così nel 305, a tre miglia da Nicomedia, abdicò proclamando Augusto Galerio e chiamando Cesare Massimino Caio.
Contemporaneamente, a Milano, Massimiano abdicò nominando come Augusto Costanzo Cloro come cesare Flavio Valerio Severo. Massimiano si ritirò in una sua villa in Lucania. Costanzo prese per sé la Gallia, la Britannia e la Spagna; Severo l'Italia, l'Africa e la Pannonia; Galerio ebbe tutto il resto dell'impero eccettuati l'Egitto e la Siria che furono dati a Massimino Caio.
Morte - Nel 308 Diocleziano fu invitato a riprendere la porpora, ma rifiutò e morì a Spalato nel 316, dopo aver invano pregato Massimino di rimandargli indietro moglie e figlia. Infatti dopo la morte di Galerio sua moglie e sua figlia, poichè cristiane, vennero esiliate in Siria, dove vennero giustiziate dall'imperatore Licinio nel 315.
Diocleziano venne sepolto nel mausoleo che s'era fatto erigere di fronte al tempio di Giove Ottimo Massimo.

Di lui restano a Roma soprattutto le grandiose terme con splendidi ambienti ricchi di mosaici, decorazioni e statue.

Fine della Tetrarchia (305-312)

Diocleziano potè vedere personalmente il crollo della sua tetrarchia.

I due Cesari, Galerio e Costanzo Cloro, divennero Augusti e si scelsero due nuovi Cesari; ma ben presto da tutte le parti dell'impero pullularono altri Augusti e altri Cesari (fino a sei Augusti contemporaneamente!), finché rimasero due soli imperatori:
Costantino, figlio di Costanzo Cloro, proclamato Augusto dalle legioni della Gallia e favorevole al cristianesimo.
Massenzio, figlio di Massimiano, proclamato Augusto dal senato e dal popolo di Roma, e favorevole al paganesimo.
Costantino calò in Italia e, per quanto disponesse di forze inferiori, sconfisse Massenzio presso ponte Milvio nel 312 determinando la vittoria del cristianesimo sul paganesimo.
Massenzio, nella fuga dei suoi, precipitò nel Tevere dove mori annegato.

Costantino entrò trionfalmente in Roma, dove gli fu dedicato l'arco famoso, che ancora si conserva.
Ormai famosa la tradizione per cui alla vigilia della battaglia Costantino vide nel cielo una croce con le parole: "In hoc signo vinces", e che, in seguito a questa apparizione, fece fare uno stendardo a forma di croce, sormontato dal monogramma di Cristo (labaro).

 

COSTANTINO 27 febbraio 274 - 22 maggio 337 

Nacque nel 274, a Naisso, da Costanzo Cloro (ma la cosa è controversa), con il nome di Flavio Valerio Aurelio Costantino, e fu educato a Nicomedia alla corte di Diocleziano, dove iniziò la carriera militare. Era di straordinaria statura e corporatura massiccia, non bello, con collo molto largo che gli guadagnò il soprannome di Trachala, con occhi sporgenti, fronte bassa e Costantinouno sguardo fisso piuttosto inquietante. Di natura coraggiosa e intelligente, ma pure ambiziosa, sanguinaria e crudele.

Nonostante il copioso sangue versato nella sua stessa famiglia, fu fatto santo dalla Chiesa per averne difeso gli interessi.
Inizialmente combattè in Palestina contro i Sarmati, poi sul Danubio, quindi in Egitto. Intanto Diocleziano lo aveva nominato tribuno militare. Mentre il padre combatteva in Britannia Costantino era impegnato in Oriente con l'altro successore Galerio. Suo padre padre lo richiamò in Britannia per aiutarlo a sconfiggere i Pitti, ma Galerio negò a Costantino la possibilità di partire.
Alla fine Costantino ottenne il permesso di raggiungere il padre, ma sul percorso trovò agguati e trappole. Si narra che il viaggio di Costantino dall'Oriente fino a Boulogne in Francia, fosse tormentato dalla paura di essere assassinato, per cui cavalcò ininterrottamente senza dormire, cambiando continuamente i cavalli. Dopo varie peripezie, Costantino si ricongiunse con il padre Costanzo combattendo con lui i Pitti, ma nella battaglia suo padre perse la vita.

Imperatore - Ora secondo le leggi di Diocleziano a Valerio Severo spettava il titolo di Augusto, ma prima che Galerio, come più anziano, lo potesse proclamare, le legioni di Britannia nominarono imperatore Costantino per le ottime qualità militari mostrate durante la campagna contro i Pitti. Per scongiurare la guerra civile, Galerio concesse a Costantino il titolo di Cesare nominando imperatore Valerio Severo, salvando così l'ordinamento di Diocleziano e accontentando i soldati in Britannia.

Da questa successione erano esclusi però i figli degli Augusti, per cui M. Valerio Massenzio, figlio di Massimiano, profittando del malcontento di Roma per la nuova imposta fondiaria, il 27 ottobre del 306 si fece proclamare imperatore. La ribellione fu cruenta e vi perse la vita Abellio, il prefetto dell'Urbe, ucciso dai pretoriani, allora Valerio Severo, che si trovava in Pannonia, marciò su Roma per ristabilire l'ordine. Massenzio, che non aveva truppe sufficienti per muovergli contro, richiamò dalla Lucania il padre Massimiano che accettò l'invito tornando a Roma e re-indossando la porpora imperiale.
Le legioni di Severo, che per la maggior parte avevano militato sotto Massimiano, passarono dalla parte del vecchio imperatore.

Severo, abbandonato dai soldati, fuggì a Ravenna, ma, assediato si arrese a Massimiano che con false promesse lo imprigionò.

Ora l'impero romano aveva tre Augusti e due Cesari, ma Galerio voleva che la costituzione dioclezianea fosse rispettata, e dall'Illirio si diresse a Ravenna per liberare Massimiano e abbattere i due usurpatori.

Ma appena giunto in Italia le legioni gli si ribellarono, per cui dovette trattare con il vecchio Massimiano. Ma fu Massenzio figlio, che temeva l'ambizione del padre ed era certo del suo odio, a sobillare contro il padre le guardie e il popolo e fece uccidere Valerio Severo (agosto del 307).
A questo punto Diocleziano, che da Solona assisteva con tristezza al crollo della sua opera, si recò a Carnuntum ad un convegno cui prese parte anche Massimiano. Questi propose all'antico collega di riprendere la porpora, ma il vecchio imperatore rifiutò, dicendo fra l'altro: «Se tu vedessi i bei piselli che mi coltivo giudicheresti tu stesso se la porpora mi possa ancora allettare». Non solo rifiutò ma fece deporre la porpora pure a Massimiano, nominando il successore di Severo per cui la scelta cade su Licinio, amico e compagno di Galerio.
Ma poichè per ottenere la porpora imperiale si doveva essere Cesare, Massimino e  Costantino, visti lesi i loro diritti, si proclamarono non più Cesari, ma anche loro Augusti. Così, al principio del 308, l'iImpero ai tempi di Costantinompero aveva cinque Augusti: GALERIO, MASSENZIO, COSTANTINO, LICINIO e MASSIMINO.
Massimiano intanto si era pentito di avere deposta per la seconda volta la porpora e, non potendo avere l'appoggio del figlio, si rivolse a Costantino, cui diede in moglie la figlia Fausta Massimiana, per abbattere a Roma suo figlio Massenzio. Il colpo andò a vuoto incontrando l'ostilità dei pretoriani, per cui fuggì e cercò ospitalità presso la corte di Costantino.
I Franchi intanto invasero la Gallia dal Medio Reno, e Costantino dovette marciare in guerra alla testa di un gruppo di legioni. Approfittando dell'assenza del genero, Massimiano s'impadronì della cassa dello stato, di cui divise il denaro fra le milizie della Gallia meridionale, e si proclamò imperatore ad Arles. Come seppe però del ritorno di Costantino, si rifugiò a Marsiglia. La guarnigione della città, aprì le porte a Costantino e gli consegnò il suocero che fu messo a morte nel 310.
Un anno dopo, nel 311, a Cirta, in Africa, moriva un altro usurpatore: L. Domizio Alessandro che, ribellatosi a Massenzio, da due anni si era proclamato imperatore.
Editto di Nicomedia.

Sempre nel 311 a Nicomedia, anche a nome di Costantino e di Licinio, pur essendo contrari Massimino e Massenzio, Galerio emanò un editto con cui concesse ai Cristiani la libertà di culto e la riedificazione delle chiese.

Subito dopo l'editto Galerio morì, lasciando Massimino che avrebbe dovuto essere l'erede legittimo di Galerio, e Licinio che desiderava aggiungere al suo dominio la penisola balcanica, l'Asia Minore e il Ponto. Ma tra i due Augusti si venne ad un accordo: a Massimino rimasero le province d'Asia e l'Egitto, e a Licinio la penisola balcanica. In Occidente invece l'accordo era più difficile, perchè Massenzio era filopagano e ambiva al potere sulle province di Licinio e Costantino, ma pur avendo numerose truppe, non godeva il favore nè del popolo né del Senato.
Costantino, pur rimanendo devoto ad Elios, Dio Sole, rispettava sia i pagani che i cristiani, in più era in segreti rapporti coi senatori e trattò con Licinio promettendogli in moglie la sorella Costanza. Costantino non disponeva di un esercito numeroso come quello di Massenzio, ma in compenso le sue truppe erano disciplinate e molto devote a colui che li aveva fatti vincere contro i Pitti in Britannia e contro i Franchi e gli Alemanni oltre il Reno.
Guerra in Italia - Costantino, lasciata a guardia del Reno e della britannia parte delle truppe, con un esercito di 50.000 uomini, per lo più veterani, nel 312 traversò le Alpi e scese in Italia. Susa provò a ribellarsi, ma fu presa e data alle fiamme. Costantino però, che era lungimiarante, come atto di clemenza ordinò ai suoi soldati di spegnere il fuoco salvando la città.
Poi marciò su Torino contro Massenzio di cui sbaragliò la cavalleria prima e la fanteria dopo. Massenzio fuggì dentro le mura delle città, ma questa aprì le porte a Costantino che fece uno sterminio totale di tutti i nemici, senza fare prigionieri e passandoli tutti a fil di spada. Occupò poi tutta la Transpadana e Milano lo accolse trionfalmente.
L'esercito di Massenzio, comandato ora da Ruricio Pompeiano, sconfitto da Costantino, fuggì per schierarsi sull'Adige, ma Costantino con una rapidissima marcia passò il fiume a monte di Verona ed investì da nord la città, dove il nemico si era ritirato. Ruricio uscì segretamente da Verona e raccolse un nuovo esercito, ma di nuovo fu sconfitto e cadde. Verona si arrese insieme a Modena ed Aquileia.

Costantino a Roma - Costantino, imboccata la via Flaminia, mosse contro Roma. Secondo la tradizione cattolica di Eusebio, prima di giungere all'Urbe, gli sarebbe apparsa una croce sfolgorante di luce con il motto "In hoc signo vinces" e l'imperatore fece mettere sui labari e gli scudi il monogramma di Cristo.
A Roma intanto il popolo, temendo di dover subire un assedio, spinse il figlio di Massimiano ad uscire incontro a Costantino. Massenzio obbedì e passato il Tevere a ponte Milvio, schierò il suo esercito tra la riva destra del fiume e alcune basse colline.
Solo la guardia dei pretoriani dette filo da torcere a Costantino, le altre truppe, specie la cavalleria, caddero al primo urto. Alla disfatta seguì la fuga su un ponte di legno che crollò trascinando i soldati nel fiume: fra questi Massenzio che morì affogato.
Così Costantino vinse nella celebre battaglia di Ponte Milvio, presso i Saxa Rubra sulla via Flaminia, il 28 ottobre 312 d.C.
Nel 313 Licinio, uno degli augusti rimasti, emanò, d'accordo con Costantino l'  "editto di Milano" con cui veniva riconosciuta anche in Oriente la libertà di culto religioso, ponendo ufficialmente fine alle persecuzioni contro i cristiani. Licinio, poi, sposò la sorella di Costantino, Costanza.
Costantino entrò a Roma trionfalmente facendo il solito eccidio. Fece uccidere un figlio di Massenzio e alcuni ministri, poi sciolse i pretoriani e fece distruggere il loro castro fuori porta Nomentana. Il Senato lo nominò primo degli Augusti, poi gli dedicò statue e un arco di trionfo rivestito di bassorilievi come quello di Trajano.
Nel 326 poi fece uccidere Crispo, figlio suo e della prima moglie Minervina. Le "voci" dicono che Crispo avesse avuto una relazione con la seconda moglie del padre, Fausta e che questa l'avesse, poi accusato di averla molestata, provocando l'intervento dell'imperatore. Lo sfortunato giovane fu poi colpito dalla damnatio memoriae. Nemmeno Fausta, però, godette di un trattamento più benevolo perchè venne affogata nel bagno. Nonostante questi atroci delitti: lo sterminio a Torino, l'assassinio di suo figlio e pure di sua moglie, la Chiesa lo proclamò santo, e lo è a tutt'oggi. Per giunta Costantino, a cui non era simpatica la Madonna, proibì con editto ufficiale il culto mariano.
Editto di Milano - Ora non restava che Licinio a limitare il potere di Costantino. Lo chiamò quindi a a Milano nel 311 e fece celebrare il matrimonio tra Costanza e Licinio. Quindi i due Augusti pubblicarono l'Editto di Milano, riconfermando il precedente e in più si restituivano ai cristiani i beni confiscati.
L'editto di Milano venne spedito a Massimino che apparentemente aderì ma segretamente preparò la guerra contro Licinio. Nel 312 infatti passò il Bosforo, assalì e vinse Bisanzio, Eraclea e Perinto, quindi marciò verso Adrianopoli. Licinio, con un esercito inferiore, cercò di trattare ma la battaglia fu inevitabile, e nel 313 si venne a battaglia nei Campi Sereni, dove Licinio vinse, mentre Massimino fuggì in Cappadocia, dove morì poco dopo a Traso misteriosamente.Impero con Costantino
Licinio fece uccidere la moglie di Massimino, i due figlioletti e i ministri; poi fece uccidere il figlio di Galerio e il figlio di Valerio Severo, nonchè la moglie e la figlia di Diocleziano che inutilmente chiese la grazia per moglie e figlia.
Guerra tra Licinio e Costantino - Caio Licinio aveva un potente esercito illirico, e per il rifiuto di consegnargli un congiurato scoppiò la guerra e Costantino invase l'Illirico. Il suo esercito era più piccolo ma con esperti soldati, e in più Costantino era un valentissimo generale, come mostrò subito vincendo a Cibale, in Pannonia, e sulla Sava, nel 314, e presso Adrianopoli, nella pianura di Mardia.
Costantino accettò la pace ottenendo in cambio il Norico, la Dalmazia, la Pannonia, parte della Mesia, la Macedonia, la Dacia l'Epiro e la Grecia. Licinio conservò il resto della Mesia, la Scizia e la Tracia e sacrificò Cajo Aurelio Valente che durante la guerra aveva nominato Cesare.
Al suo posto Costantino nominò Cesare suo figlio Crispo, avuto da Minervina, e l'altro figlio Flavio Claudio Costantino, mentre Licinio creò Cesare il figlio Liciniano.
Pareva che la tetrarchia dioclezianea fosse stata restaurata e il clero cristiano acquisì molti privilegi, tra cui l'esenzione delle tasse. Ma i cristiani non erano d'accordo tra loro, soprattutto nella provincia africana, che chiedeva l'esclusione dalla chiesa dei "Lapsi", quelli che per evitare le persecuzioni avevano abiurato alla fede cristiana, consegnando i libri e gli arredi sacri.

Cominciò così una disputa tra i seguaci del Vescovo Ceciliano e quelli di Donato, lo scisma del Donatismo.
Costantino nominò allora una commissione di tre vescovi composta da quello delle Gallie, da Merocle vescovo di Milano e da Milziade vescovo di Roma. Il concilio fu favore a Ceciliano, ma i Donatisti si appellarono al tribunale imperiale.
Costantino allora nel 314 convocò ad Arles un nuovo concilio di vescovi, che confermò il precedente convegno. Poichè i dissidi non cessarono l'imperatore si pronunciò a favore di Ceciliano, ordinando che le chiese dei Donatisti venissero sequestrate con esilio e confisca dei beni. Ma le discordie non cessarono.
Intanto Costantino, pur rimanendo pontefice massimo del paganesimo, comprese che il potere massimo consisteva nell'unire quello politico con quello religioso.
I Cristiani d'Oriente erano tutti per Costantino, anche perchè finanziava largamente il culto, pur non convertendosi mai al cristianesimo.
Nel 323, per contrastare i Goti che avevano passato il Danubio, Costantino oltrepassò i territori balcanici e fu guerra.

Licinio con un esercito più numeroso si pose sopra una collina sull'Ebro, presso Adrianopoli. Costantino passò il fiume e lo sconfisse. Licinio si ritirò a Bisanzio e qui fu assediato, mentre Abante il suo ammiraglio, affrontò a Gallipoli la flotta di Prisco subendo la sconfitta. Licinio fuggì da Bisanzio e raggiunse Abante, ma Costantino passò il Bosforo e lo affrontò a Crisopoli vincendolo.
Licinio quando seppe che Bisanzio e Calcedonia si erano arrese, si arrese anch'egli e sua moglie Costanza, sorella di Costantino, ottenne che gli venisse risparmiata la vita. Costantino acconsentì relegando Licinio a Tessalonica. Però Costantino non era propenso a mantenere le promesse, per cui, sei mesi dopo fece uccidere Licinio e giacchè c'era anche il generale Martiniano, creato Cesare durante la guerra, divenendo così padrone di tutto l'impero.
 

CONCILIO DI NICEA -  Intanto i cristiani litigavano sui dogmi religiosi: Ario sosteneva che solo il Dio Padre era increato, mentre il Figlio non della sua sostanza divina e quindi mortale.
Alessandro, vescovo di Alessandria, l'aveva giudicato eretico e scomunicato nel 321, ma l'Arianesimo in Oriente si era largamente diffuso.
L'imperatore indisse allora il Concilio dei vescovi a Nicea, presieduto dal vescovo spagnolo Osio, segretario dell'imperatore. Il concilio proclamò l'uguaglianza di natura del Padre col Figlio e fissò il Credo (o Simbolo) della religione cristiana.

Nel 326 Costantino oltre ad aver compiuto la strage familiare, aveva mandato a morte molti importanti cittadini fra cui Lattanzio, il famoso apologista del Cristianesimo e Liciniano, figlio di Costanza e Licinio.
Così la domus Faustae, che apparteneva alla famiglia di Fausta, i Laterani, fu da Costantino donata al vescovo di Roma e la capitale fu trasferita a Bisanzio, che festeggiò il passaggio nel 330 col nome di Nuova Roma, chiamata però Costantinopoli.

Il trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio (poi Costantinopoli), fu dovuto alla sua posizione che sembrava più adatta per la difesa del confine danubiano e orientale, da cui provenivano le più gravi minacce alla sicurezza dell'impero (330).
Come Roma, Costantinopoli, che sorgeva su 7 colli, fu divisa in 14 regioni, ebbe un Campidoglio, un Palatino, la Curia, il miliare aureo, il Foro, la via Sacra, circhi e teatri, il diritto italico e le distribuzioni gratuite di grano, vino ed olio che, con le facilitazioni concesse agli immigranti, affollarono la città.
 

Costantino legislatore
•Alla testa dell' impero, il principe era tale per investitura divina e i sudditi lo dovevano adorare.
•Sotto di lui i suoi consiglieri, 7 membri del concistoro imperiale: il praefectus sacri cubìculi, addetto al servizio privato del principe, il quaestor sacri Palatii che prepara e controfirma le leggi, il magister officiorum, che dirige il personale della reggia e gli impiegati dell'amministrazione centrale, il comes sacrarum largitionum, ministro delle finanze dello stato, il comes rerum privatarum, amministratore del patrimonio privato dell' imperatore e i comites domesticorum equitum et peditum, comandanti della guardia d'onore.
•Sotto al Concistoro, alle cui sedute sovente partecipano, i 4 Prefetti del pretorio, col potere civile e giudiziario, ciascuno nella propria prefettura. Quattro sono le prefetture: quella d'Oriente con capoluogo Costantinopoli, 5 diocesi e 46 province; quella dell' Illirico con capoluogo Sirmio, con Pannonia, Dacia, Macedonia e Grecia, 11 privince e 2 diocesi; quella dell'Italia, 4 diocesi e 40 province, con Rezia, isole mediterranee e territori africani, e Milano per capoluogo; quella Gallia, 3 diocesi e 29 province con capoluogo Treveri, con Gallia transalpina, Spagna e Britannia. Dai prefetti del pretorio dipendono i vicarii delle diocesi e i praesides o consulares o correctores delle province.
•Capo supremo dell'esercito è l'imperatore. Sotto di lui 4 magistri militum, col comando militare di una prefettura e ai suoi ordini un magister equitum e un magister peditum e un certo numero di duces.prefetture
•La legione venne ridotta a 1500 uomini.
•L'esercito fu diviso in tre ordini di milizie: milizie palatine (domestici, protectores, scolares), un quinto o un sesto degli effettivi, con paga maggiore, sede nei capoluoghi delle province e seguono l'imperatore nelle spedizioni più importanti; milizie di linea (comitatenses) con sede nei piccoli centri dell'interno (riparienses o limitanei), con paghe minori e ferme più lunghe, scaglionate lungo le frontiere.
•Cercò di risanare la circolazione monetaria. Nel 322, richiesto di aiuti dai Sarmati, in guerra coi Goti, Costantino mandò il figlio Costantino, che sconfisse i barbari e ricevette in ostaggio il figlio del re Ariarico. Più tardi i Sarmati scacciati furono distribuiti come coloni nella Pannonia, nella Tracia, nella Macedonia e anche in Italia.
•Ricostituì la tetrarchia, dividendo i territori fra i membri della sua famiglia. Tra i figli avuti da Fausta:
- A Costantino diede le Gallie, la Spagna e la Britannia,
- A Costanzo le province asiatiche e l'Egitto.
- A Costante l'Italia, l'Illirico e l'Africa.
- A Dalmazio, figlio del fratello, nominato Cesare, assegnò la Tracia, la Macedonia e l'Acaia.
Rapporti con la chiesa - La questione del cristianesimo non fu come descritta. Sembra che l'imperatore riunisse i suoi ministri per stabilire una religione unica che rafforzasse l'unità dello stato. All'epoca le due più importanti religioni, più o meno equivalenti per numero di adepti, erano il Cristianesimo e il Mitraismo. A causa dei riti misterici di quest'ultimo, i ministri decisero che era meno adatto alla divulgazione totale, per cui fu scelto il Cristianesimo e Costantino, che pure era devoto a Mitra, il Dio Sole che aveva assimilato Elios, ne convenne e appoggiò il Cristianesimo, non per fede come si racconta, ma per "ragion di Stato".
Inoltre Costantino, che aveva fino allora favorito la chiesa cattolica contro Donatisti e Ariani, cercò di conciliarli ma Atanasio, vescovo di Alessandria, fu così ostile da far schierare Costantino dalla parte ariana, che a sua volta nel concilio di Tiro (335) fece condannare Atanasio.
Così in oriente si stabilì la Chiesa Greca, fra cui la Ortodossa, l'Abissinia, la Nestoriana, la Siriaca, l'Armena e la Copta, Chiese che si proclamarono poi tutte "Chiese ortodosse". A causa delle cavillose dispute, ma in realtà per brama di potere, fra quella Cattolica e la Ortodossa ci saranno 5 grandi correnti e ben 52 Chiese.


Morte di Costantino - Shapur II aveva tolto dal trono dell'Armenia Tiridate, che nel 332 aveva abbracciato il Cristianesimo, ma Costantino invece di aiutare Tiridate, aveva dato l'Armenia al fratello di Dalmazio, Annibaliano, che era stato creato Re dei Re. Era guerra, ma Costantino, pur non essendo vecchio, era ammalato e si era recato per curarsi a Drepano in Asia Minore. Cercò di tornare a Costantinopoli ma il 22 maggio 337 morì ad Ancirona, presso Nicomedia.

Si narra che la nuova religione appresa dal padre Costanzo Cloro e soprattutto dalla madre Elena fervente cristiana (Santa Elena imperatrice) fu abbracciata veramente solo vicino alla morte e  ricevette il battesimo poco prima di morire.

I successori di costantino (337-363) - Costantino, morendo, divise l'impero fra i suoi tre figli, Costantino II, Costante e Costanzo II, che si combatterono fra loro in una lunga guerra fratricida. Costanzo II (353-361), dopo la morte dei fratelli, riuscì a riunire sotto di sé tutto l'impero; ma, seguendo una politica contraria a quella del padre, favorì gli ariani e perseguitò i cattolici. Qui si estingueva la discendenza di Costantino.
 

GIULIANO L'APOSTATA 6 novembre 331 - 26 giugno 363 -

Flavio Claudio Giuliano nacque a Costantinopoli nel 331, Giuliano come il nonno materno, Flavio come tutti i membri della famiglia di Costantino, e Claudio come Claudio II il Gotico.
Carattere - Giuliano era uomo schivo e raffinato amante delle lettere. Come scrisse nelle sue epistole, non pensava nè al trono nè agli onori, temendo sempre fortemente per la sua vita, visti gli eccidi continui nella sua famiglia. Sperava solo di essere lasciato in pace a dilettarsi degli autori greci e della religione pagana che amava.
Fu ricercatore dello spirito, tanto è vero che fu adepto dei Sacri Misteri di Cibele, cui dedicò un libretto "Inno alla Madre degli Dei", in cui descrisse la sua visione religiosa e filosofica, sulla vanità e la caducità del mondo, sulla inutile violenza degli uomini e sui segreti iniziatici, mai svelati, della VergineGiuliano Dea madre di tutto il mondo e di tutti gli esseri, insomma la natura. Successivamente partecipò ai misteri di Mitra, il che ribadisce l'ansia di conoscere più profondamente il mondo e se stesso, non pago di ciò che la religione ufficiale gli trasmetteva.
Fu chiamato per questo l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un persecutore, ma in realtà fu molto tollerante nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane. Scrisse infatti che nel fondo di ogni religione c'è una via iniziatica che porta all'illuminazione, purchè si sappia cogliere. A suo avviso ogni religione riportava all'unità del cosmo.
Scrisse molte opere filosofiche, religiose e critiche, soprattutto verso il cristianesimo per la sua intolleranza. Nei suoi scritti infatti rivela la segretezza della sua fede pagana, per timore che se fosse stata svelata ne avrebbe rischiato la vita. Per molto tempo la coltivò infatti in segreto piangendo e soffrendo, come scrisse, visto che suo zio Costantino I e il di lui figlio Costanzo II si erano mostrati favorevoli se non convertiti al cristianesimo.
Nel 355 gli giunse l'ordine di presentarsi a Milano. Mentre in ottobre Giuliano veleggiava alla volta dell'Italia, Costanzo II faceva assassinare il generale Claudio Silvano, comandante delle legioni stanziate in Gallia, il sesto usurpatore del suo regno. Ma Franchi e Alemanni superavano le frontiere conquistando le piazzaforti romane, mentre ad est i Quadi entravano in Pannonia e in Oriente i Parti premevano sull'Armenia: Giuliano aspettò alle porte di Milano le decisioni della corte.
Nello stesso anno, 355, Giuliano, con una scorta di 360 soldati, fu spedito in Gallia senza alcuna preparazione militare. In realtà non disponeva di nulla, il comando militare era affidato a Marcello, la prefettura a Florenzio e la questura a Salustio, i quali rispondevano solo a Costanzo. Superò le Alpi e raggiunse Vienne, stabilendovi la residenza. Poi a Auxerre e a Troyes, disperse un gruppo di barbari e da qui si congiunse con l'esercito di Marcello.
Subìta una sconfitta dagli Alamanni, li inseguì fino a Colonia, che fu abbandonata dal nemico. Sopraggiunto l'inverno si ritirò nel campo di Sens, dove fu assediato senza che Marcello gli portasse aiuto. Denunciatone il comportamento all'imperatore, Costanzo II rimosse Marcello dall'incarico, sostituendolo con Severo e affidando finalmente il comando dell'esercito di Gallia a Giuliano.

L'anno successivo il generale Barbazione attaccò la frontiera del Reno con 30.000 uomini ma fu sconfitto. Gli Alamanni attaccarono allora Giuliano a Strasburgo, ma Giuliano riorganizzò la cavalleria che era in fuga, resistè ai tentativi di sfondamento nemico, e mise in fuga gli Alamanni, pur se di numero superiore.

Il comandante Cnodomario, fatto prigioniero, fu inviato alla corte milanese come trofeo di guerra. Non contento Giuliano passò il Reno devastando il territorio nemico, rioccupando gli antichi presidi, liberando i prigionieri romani e infine combattendo e sconfiggendo le tribù franche che razziavano il nord della Gallia. Era ormai inverno e si ritirò a Lutetia Parisiorum, Parigi.
Nel 358 riprese le ostilità contro i Franchi Salii, li vinse e li trasformò in ausiliari, poi respinse i Franchi Camavi oltre il Reno. Voleva combattere nuovamente contro gli Alamanni, ma l'esercito si rifiutò perchè non era stato pagato. Giuliano non aveva fondi ma riuscì a sedare le proteste e a superare il Reno, recuperando prigionieri romani e requisendo ferro e legname per ricostruire i vecchi presidi.
L'anno successivo oltrepassò per la terza volta il Reno ottenendo la sottomissione delle ultime tribù alemanne, Costanzo si era preso l'onore di tutte le sue vittorie. Come scrisse Giuliano: - Io combattevo e lui vinceva.
La Gallia prima di Giuliano era preda delle scorrerie dei barbari, con terre abbandonate e imposizioni fiscali fortissime. I ricchi abbandonavano le città, lasciando decadere attività artigiane e commerciali, preferendo le più sicure residenze di provincia e investendo nel latifondo a danno della piccola proprietà. L'imposta fondiaria veniva spesso evasa dai grandi proprietari, che potevano garantirsi l'impunità o, al più, godere nel tempo di favorevoli condoni. Quando nel 358 il prefetto Florenzio chiese una tassa supplementare, Giuliano si oppose, dichiarando che sarebbe «morto piuttosto di dare il proprio consenso a tale misura». Dimostrò poi che le tasse riscosse erano sufficienti e si oppose a che nella Belgica, già colpita dalle invasioni, si perseguissero i contribuenti inadempienti vietando però i condoni ai ricchi evasori delle altre province.


L'impero -

Nel 360 Costanzo II, per fermare i Parti alla frontiera, inviò in Gallia il tribuno Decenzio che richiese le truppe ausiliarie di Giuliano, cioè oltre metà dell'esercito. Però i soldati e le loro famiglie reagirono con proteste e clamori che si udirono per tutta la notte. Giuliano chiese un segno agli Dei e durante il sonno gli apparve il Genius Publicus, il Genio dell'Impero: «Da molto tempo osservo la soglia della tua casa, impaziente di accrescerti in dignità. Molte volte mi sono sentito respinto e mi sono allontanato. Se mi scacci ancora, me ne andrò per sempre». Allora Giuliano fece venire dalla Grecia lo ierofante di Eleusi e, dopo aver celebrato i riti, decise di rovesciare Costanzo. La mattina dopo, issato sugli scudi e con la collana di un porta-insegne sul capo come diadema imperiale, venne portato in trionfo dai soldati, a ciascuno dei quali promise la consueta elargizione di cinque solidi e di una libbra d'argento.
Mentre Florenzio, Decenzio e gli uomini fedeli a Costanzo lasciavano la Gallia, Giuliano iniziò a trattare con l'imperatore. Si dichiarò estraneo alla sommossa e promise un contingente militare limitato purchè gli venisse riconosciuta piena autonomia in Gallia.
Costanzo rifiutò incitando ignominiosamente Vadomario, re degli Alemanni, a invadere la Gallia. Giuliano attaccò i Franchi Attuari per rendere più sicura le frontiera renana, poi si stabilì a Vienne, facendo coniare una moneta d'oro con la sua effigie e l'aquila imperiale. Intanto erano morte Eusebia ed Elena. Emesso un editto di tolleranza per tutti i culti, Giuliano mantenne ancora la finta devozione, pregando pubblicamente in chiesa per l'Epifania.
Nel 361 Giuliano fece arrestare e deportare in Spagna Vidomario e avanzò verso la Pannonia. Divise le truppe in tre parti, ponendosi a capo di soli 3.000 uomini con cui traversò la Foresta Nera, mentre il generale Gioviano percorreva l'Italia settentrionale e Nevitta traversava Rezia e Norico. Senza incontrare resistenza, Giuliano s'imbarcò sul Danubio e giunse a Sirmio, una delle residenze della corte, che si arrese senza combattere. La guarnigione di Sirmio fu inviata in Gallia ma si ribellò, fermandosi ad Aquileia, che fu assediata dalle forze di Gioviano. Giuliano proseguì, insieme all'esercito di Nevitta in Illiria e in Tracia: lasciato al generale Nevitta il presidio del passo di Succi, tornò a Naisso, inviando messaggi ad Atene, Sparta, Corinto, e Roma, spiegando le cause del conflitto. A Roma però al senato non piacque l'accusa contro Costanzo.
Tutto finì con la morte di Costanzo e la sottomissione delle province orientali. Giunto a Costantinopoli fece erigere un mitreo nel palazzo imperiale, proclamò la tolleranza generale per ogni religione e culto, fece riaprire i templi pagani e celebrare i sacrifici, facendo tornare dall'esilio i vescovi cristiani allontanati per eresie.
Le riforme -

Accolto dal popolo festante, Giuliano rese omaggio alla salma di Costanzo tumulandolo nella basilica dei Santi Apostoli. Poi fece ratificare il suo impero dal senato, cui accordò esenzioni fiscali, rifiutando il titolo di Dominus. Giuliano procedette poi a punire i consiglieri di Costanzo, condannandone a morte diversi.
•Ridusse allo stretto necessario il personale di corte, allontanò eunuchi, confidenti e spie; alla cancelleria chiamò il fratello di Massimo, Ninfidiano, e suoi collaboratori furono Salustio, Euterio, Oribasio, Anatolio, Mamertino e Memorio. Oltre alle sue guide spirituali Massimo e Prisco, intrattenne a corte i vecchi maestri Mardonio, Nicocle ed Ecebolio, lo zio Giulio Giuliano, i cristiani Cesario, medico e fratello di Gregorio di Nazianzo, Aezio e Proeresio.
•Creò suoi luogotenenti militari i magistri equitum Gioviano, Nevitta e Arbizione, e il magister peditum Agilone, un alamanno.
•Di fronte allo spopolamento delle curie, Giuliano inserì negli albi curiali i cittadini nobili anche per discendenza materna e i plebei arricchiti, abbassando nel contempo gli oneri gravanti sulle curie. Avendo, per errore, svolto una delle funzioni consolari, si inflisse una ammenda di 10 libbre d'oro.
•Le sovvenzioni concesse alle chiese cristiane furono eliminate.
•Obbligò coloro che avevano distrutto una chiesa appartenente ad una setta avversaria a ricostruirla a proprie spese.
•Vennero restituiti alle autorità cittadine le terre che Stato e Chiesa avevano sottratto, a un indennizzo per il danno subito.
•I templi pagani vennero riaperti. Furono loro restituite le proprietà confiscate dagli imperatori cristiani.
•Esentò i curiales non commercianti dal tributo in metallo pregiato, invitando i preti cristiani e gli altri cittadini iscritti a corporazioni per evitare gli adempimenti civici a rientrare nelle curiae, pena una forte multa.
•Affidò ai decurioni, togliendole ai senatori, le esazioni delle imposte.
•Rese facoltativa l’aurum coronarium, un’imposta sui decurioni, stabilendone il massimo in 70 stateri d’oro, cancellò le tasse arretrate, a eccezione della collatio lustralis.
•Trasferì la cura delle stazioni di posta e il costo della manutenzione delle strade dalle municipalità ai loro possessori.
•Proibì ai professori cristiani di insegnare la retorica. Giuliano riteneva eticamente inaccettabile propagandare valori a cui non si aderiva.
•Cercò di combattere la corruzione dei numerarii, i contabili delle amministrazioni municipali, e il sistema del suffragium, la pratica clientelare consistente nell'acquistare cariche pubbliche da personaggi politici, ma fu così difficile che si limitò a decretare che chi avesse versato denaro senza ottenere il favore richiesto, non potesse reclamare la restituzione del denaro.
•Cercò anche di abbreviare l'iter giudiziario dei processi, abrogando i frequenti rinvii e decentrando l'apparato giudiziario.
•Ridusse i prezzi delle merci di prima necessità.
•Fu eliminato il privilegio del clero cristiano, che era esentato dal contribuire alla gestione delle città.
•Ridusse il diritto di usufruire gratuitamente del servizio di trasporto di stato. I vescovi smisero di viaggiare a spese dei contribuenti.
•Redistribuì gli oneri delle amministrazioni cittadine fra un maggior numero di possidenti riducendone contemporaneamente le tasse.


Fede -

Criticando Costantino, i cui antenati adoravano Helios, che credette di garantirsi l'eternità del potere affidandosi al dio cristiano, Giuliano pensava di essere investito di una missione affidatagli dagli Dei. La concezione di Giuliano somiglia molto a quella cristiana, uguale e opposta a quella di Eusebio: "tutta la cultura greco-romana è il frutto della rivelazione divina e la sua evoluzione storica era avvenuta sotto lo sguardo vigile di Dio. Grazie alla rivelazione di Apollo-Helios, i Greci avevano elaborato un sistema religioso perfezionato dai Romani, che lo arricchirono delle migliori istituzioni politiche".
Per tutto ciò nel 362 Giuliano emise un editto con il quale stabiliva l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle scuole pubbliche. Gli insegnanti pubblici non potevano insegnare cose che non credevano giuste e i cristiani disapprovavano continuamente gli autori greci che credevano negli Dei.
Giuliano riformò pure la chiesa pagana, con un sistema gerarchico che somigliava molto a quello cristiano. Il pontefice massimo era l'imperatore, poi i sommi sacerdoti, ognuno per una provincia, che sceglievano i sacerdoti delle città. Il sacerdote doveva:
•essere altamente morale, senza preclusioni di origini e di censo. Avevano diritto ad essere onorati più dei magistrati rendendo un servizio all'umanità.
•avere la conoscenza.
•avere la capacità dell’ascesi.
•conoscere la pratica teurgica.
•praticare la carità verso i poveri, malvagi compresi. Infatti Giuliano mise in pratica le intenzioni caritatevoli, istituendo ricoveri per mendicanti, ostelli per stranieri, asili per donne e orfanotrofi. Riprovò l'adorazione delle icone che dovevano essere veicoli per la devozione agli Dei e non idoli essi stessi, ma Giuliano voleva raccogliere in sè potere imperiale e religioso al pari dei cristiani. Si sa che si fece rappresentare in veste di Apollo, con accanto la figura della moglie defunta come Artemide, in due statue dorate erette a Nicomedia.
 

Guerra persiana -

Giuliano riprese l'antico ideale di Alessandro Magno: l'unione dell'Occidente con l'Oriente. Così, nel 363, anzichè occuparsi dei Goti, lasciò Costantinopoli muovendosi per la Siria contro i Persiani, gli antichi nemici mai vinti dai Romani, che due anni prima, al comando di Sapore II avevano messo in fuga le legioni di Costanzo II.

Nel 363 Giuliano iniziò campagna contro i Sasanidi partendo con 65.000 uomini da Antiochia. A Carre divise l’esercito: 30.000 uomini, al comando di Procopio e Sebastiano, furono mandati in Armenia, per unirsi al re Arsace, devastare la Media e, costeggiando il Tigri, ricongiungersi poi in Assiria con Giuliano che intanto, con i suoi 35.000 uomini, sarebbe disceso a sud lungo l’Eufrate, dove una grande flotta al comando di Lucilliano portava vettovaglie, armi e macchine d'assedio.
Il 16 giugno apparve finalmente all'orizzonte l'esercito di Sapore, che però rifiutò il combattimento aperto con brevi incursioni di cavallerie. Il 21 l'esercito romano si fermò a Maranga e Giuliano nella notte del 25 giugno scorse nel buio il Genius Publicus, quello che gli era apparso a Lutetia, ora però col capo velato a lutto, lo guardò in silenzio, si voltò e lentamente svanì.
La mattina dopo, malgrado l'opinione contraria degli aruspici, fece levare le tende per riprendere la ritirata verso Samarra. Durante la marcia, scoppiò un combattimento nella retroguardia: Giuliano accorse senza indossare l'armatura, si lanciò nella mischia e un giavellotto lo colpì al fianco. Cercò di estrarlo ma cadde da cavallo e svenne. Portato nella tenda, si rianimò. Chiese il nome della località: «è Frigia», gli risposero.

Giuliano un tempo aveva sognato un uomo biondo che gli aveva predetto la morte in un luogo con quel nome. Aveva 32 anni e aveva regnato meno di venti mesi. Il mondo pagano morì con lui.
 

VALENTINIANO (Insieme al fratello Valente) 3 luglio 321 - 17 novembre 375

Nacque nella Pannonia nel 321 da famiglia cristiana di umili origini. Il padre Graziano il Vecchio era un valoroso ufficiale dell'esercito, il che gli aprì la carriera militare. Fin da giovanissimo seguì infatti il padre nelle campagne militari, apprendendo da lui l'arte della guerra, ma solo nel 357 ottenne il comando di un reparto di cavalleria nell'esercito del cesare d'Occidente Giuliano.
Nell'esercito vi era però una forte competizione per distinguersi agli occhi dell'imperatore onde ottenere cariche. Era ormai caduto quell'amor di patria che aveva caratterizzato molti generali romani. Un tribuno del prefetto Barbazione, Cella, impedì infatti al tribuno Bainobaude e a Valentiniano di attaccare gli Alamanni che, saccheggiato un villaggio romano, tornavano oltre confine. Barbazione, per tema di rappresaglie, fece un falso rapporto all'imperatore Costanzo II, addossando la colpa del mancato intervento a Valentiniano e Bainobaude.

L'imperatore, circondato da cattivi consiglieri e affetto da manie di persecuzione, credette a Barbazione e senza indagini fece congedare i due. Si ritiene però che dei dubbi li avesse, altrimenti per insubordinazione sarebbero stati puniti in modo più grave. Oppure aveva giocato il matrimonio di Valentiniano con Valeria Severa, una nipote di Costantino. Ebbe infatti due mogli, la prima fu la madre di Graziano, la seconda di Valentiniano II.
Nel 363 salì al trono Gioviano, che ripristinò il cristianesimo e richiamò Valentiniano nell'esercito, affidandogli il comando di una truppa a guardia dell'imperatore. Alla morte di Gioviano, nel 364, i comandanti dell'esercito, a Nicea, nominarono Valentiniano imperatore, forse grazie alla moglie nipote di Costantino che gli dava una parentela imperiale. Valentiniano chiamò subito al suo fianco il fratello Valente nominandolo Augusto d'oriente, mentre prese per sé le prefetture Occidentali e l'Illirico.
Intanto l'usurpatore Procopio, un discendente di Giuliano, tentò di prendergli il trono, ma Valente sconfisse la sua armata nel 366 e lo fece uccidere. Nel frattempo i Germani proseguivano incursioni e saccheggi sul territorio romano. Come tutti gli imperatori dai tempi di Diocleziano, Valentiniano stabilì la sua sede a Milano per essere più vicino ai tormentati confini del nord.
Dapprima dovette affrontare gli Alemanni che avevano conquistato Magonza, riuscì a ricacciarli e si spostò a Parigi, poi ancora più a nord, per combattere i Sassoni che volevano invadere la provincia romana della Britannia. Per sette anni costruì e rafforzò fortificazioni sul Reno e una fortezza a Basilea, il che lo prese come un chiodo fisso senza curarsi nè dell'Oriente nè di altro. Secondo la tradizione romana del dividi et impera cercò di far combattere tra loro le diverse tribù; inoltre i soldati sconfitti venivano insediati nei territori romani come coloni, ponendo fine alla loro vita nomade di conquista.
Firmo era un nobile berbero cristiano, che nel 371 entrò in contrasto con il comes Africae Romano, che aveva rifiutato la protezione dalle incursioni delle tribù africane a quelle città romane che si erano rifiutate di pagargli delle tangenti. Firmo provò ad avere udienza da Valentiniano, ma Romano riuscì a farglielo negare. Allora Firmo iniziò una rivolta che durò dal 372 al 375. Valentiniano inviò in Africa il proprio magister militum, Teodosio con l'ordine di deporre Romano. Firmo cercò di trovare un compromesso ma Teodosio rifiutò di contrattare con Firmo, che si era proclamato imperatore. Sostenuto dalle tribù africane, Firmo costrinse Teodosio ad una campagna sanguinosa e inconcludente: alla fine, però, venne tradito da uno dei suoi sostenitori, e scelse di suicidarsi per non farsi catturare. Poichè Firmo aveva sostenuto i donatisti contro i sostenitori del Credo di Nicea e per questo aveva messo morte degli abitanti di Rusuccuru che professavano il credo, Valentiniano promulgò delle leggi contro i donatisti, colpevoli di aver sostenuto Firmo.
Religione - Dapprima Valentiniano seguì il principio romano della tolleranza religiosa, poi cadde sotto l'influenza di Eudossio che era a capo della dottrina Nicena, la più forte a Costantinipoli per seguaci e per chiese e possedimenti. Iniziò così un rovesciamento di situazione, e furono i Cristiani a perseguitare i pagani.
Nel 374 Valentiniano si recò sul Danubio, nelle Pannonie, per combattere i Quadi ed gli Iazigi, una tribù sarmatica di origine iranica.

L'anno seguente, il 17 novembre, morì durante un colloquio con i Quadi per un ictus cerebrale.

 

VALENTE  -  Cibalae, 328 – Adrianopoli, 9 agosto 378 - imperatore romano dal 364, anno in cui il fratello Valentiniano I gli affidò la parte orientale dell'Impero romano.

Alla sua morte divenne unico imperatore
Valente e suo fratello Valentiniano nacquero entrambi 70 km ad est di Sirmio, nella città di Cibalae, rispettivamente nel 328 e nel 321. Passarono la loro infanzia in tenute comprate dal padre, Graziano il Vecchio, in Africa e in Britannia.

Mentre Valentiniano aveva avuto una brillante carriera già prima del suo accostamento al titolo imperiale, Valente passò gran parte della propria giovinezza nelle proprietà familiari e si unì all'esercito solo intorno al 360. Secondo gli storici Socrate Scolastico e Giovanni di Antiochia, Valente, come Valentiniano, avrebbe avuto problemi per essersi dichiarato cristiano sotto l'imperatore pagano Giuliano (regnante tra il 361 e il 363), mentre ricopriva la carica di protector domesticus.

Secondo gli storici moderni, questo episodio potrebbe corrispondere a verità, e pare che Valente (ma non Valentiniano) si sia rifiutato di compiere un sacrificio richiesto da Giuliano, ma senza subire conseguenze.
Nel febbraio del 364, l'imperatore in carica Gioviano, il quale si stava recando a Costantinopoli per rinsaldare il proprio potere, rimase asfissiato durante una sosta a Dadastana, 150 km ad est di Ancyra (l'attuale Ankara). Valentiniano era tra gli agenti dell'imperatore, e la sua permanenza nell'esercito gli aveva reso una promozione a tribunus scutariorum, assieme ad una certa fama. Quando si dovette procedere ad eleggere un nuovo Imperatore, Valentiniano fu una scelta obbligata.

Era illirico come Gioviano e aveva rapporti con l'armata che aveva scelto Gioviano l'estate precedente. A differenza sua Valentiniano fu eletto, e non imposto, per il ruolo di imperatore: fu proclamato Augusto il 26 febbraio 364. Il suo primo gesto fu la decisione di condividere il governo dell'Impero, che giudicava ingovernabile per la sua vastità, e il 28 marzo dello stesso anno designò suo fratello Valente proprio coimperatore all'Ebdomonte, primo di una lunga serie di imperatori incoronati in quel luogo.
Dopo soli due mesi di governo affiancato, i due tornarono in Illirico; poco fuori Naisso, in Moesia, si spartirono i burocrati, e a Sirmio fecero lo stesso con le proprie armate. Come Augusto anziano (Massimo Augusto) Valentiniano tenne direttamente l'Italia, l'Illirico, la Spagna e la Gallia, la Britannia e la provincia d'Africa; Valente, come Augusto Junior, ebbe dal fratello la metà orientale dei Balcani, la Grecia, l'Egitto, la Siria e l'Asia minore fino al confine con la Persia. Dopo la metà di agosto 365, Valentiniano continuò per Mediolanum, dove risedette per un anno prima di raggiungere Treviri, la quale rimase la sua capitale fino al 375; Valente tornò a Costantinopoli per la fine del 364.
Valente aveva ereditato la parte orientale di un impero che si era appena ritirato da gran parte dei propri possedimenti in Mesopotamia e Armenia in seguito al trattato firmato da Gioviano col re di Persia Sapore II. La priorità di Valente per l'inverno del 365 era avanzare verso est, con l'intenzione di recuperare la situazione. Essendo arrivato in Cappadocia in autunno, venne a sapere che un usurpatore si era proclamato imperatore a Costantinopoli.
Alla sua morte, Giuliano aveva lasciato un parente in vita, un cugino da parte di madre di nome Procopio. Egli era stato incaricato di comandare una divisione settentrionale dell'esercito di Giuliano durante la spedizione in Persia, e non era stato presente all'elezione imperiale di Gioviano.

Mentre questo aveva cercato di tenere a bada il potenziale rivale per il potere, sotto Valente Procopio fu sempre più sospettato di covare il desiderio di vendetta. Dopo essere sfuggito per poco all'arresto, si nascose e tornò allo scoperto a Costantinopoli, dove riuscì a convincere due divisioni militari di passaggio a proclamarlo imperatore il 28 settembre 365. Sembra che all'inizio l'accoglienza in città sia stata tiepida, ma in seguito Procopio riuscì ad ottenere il favore della popolazione con una massiccia azione di propaganda: isolò la città rispetto alle notizie esterne, e fece girare la voce che Valentiniano fosse morto; fece coniare monete che sottolineavano una sua connessione con la dinastia costantiniana, che poi legittimò per mezzo della vedova e della figlia di Costanzo II come facciata per il proprio regime. Questo modo di agire riscosse un certo successo, soprattutto tra i soldati fedeli alla dinastia costantiniana e agli intellettuali orientali, che si sentivano perseguitati dai Valentiniani.
Valente, nel frattempo esitava: alla notizia della rivolta considerò l'idea dell'abdicazione e forse anche del suicidio. Anche quando riuscì a farsi forza per combattere, i suoi sforzi furono ostacolati dal fatto che gran parte delle sue truppe fossero già passate dalla Cilicia alla Siria. Nonostante tutto, Valente poté mandare due legioni incontro a Procopio, il quale le persuase facilmente a passare dalla propria parte. Nello stesso anno Valente stesso per poco non fu catturato in uno scontro vicino Calcedonia. I problemi furono aumentati dal rifiuto di Valentiniano di fare altro che difendere i propri territori. Il fallimento della resistenza imperiale permise a Procopio di impossessarsi delle diocesi di Tracia e d'Asiana.
Valente poté riunire truppe sufficienti per affrontare Procopio solo nella primavera del 366, e marciò da Ancyra in Frigia, dove sconfisse il generale di Procopio, Gomoario, nella Battaglia di Tiatira; quindi affrontò direttamente il ribelle a Nacoleia e convinse le sue truppe ad abbandonarlo. Procopio fu giustiziato il 27 maggio e la sua testa fu inviata a Valentiniano a Treviri.
Prima guerra gotica - Il popolo dei Goti, stanziato a settentrione, aveva supportato la rivolta di Procopio contro Valente, il quale era inoltre venuto a sapere di un loro piano di ribellione. Essi erano Tervingi, un ramo dei Visigoti allora sotto il comando di Atanarico, ed erano rimasti in pace fin dalla propria sconfitta contro Costantino nel 332. Nella primavera del 367 Valente, con l'aiuto del proprio nipote Graziano, attraversò il Danubio e marciò incontro ad Atanarico. Questi si ritirò tra i Carpazi, costringendo Valente a rinunciare e tornare nel corso dell'estate. La primavera seguente un'alluvione del Danubio impedì all'Imperatore di passare il fiume, e egli tenne occupate le truppe con opere di fortificazione. Nel 369 attraversò nuovamente il corso d'acqua, e attaccò la tribù nordorientale dei Grutungi prima di affrontare e sconfiggere i Tervingi di Atanarico. Questo chiese una tregua, e Valente accettò con soddisfazione.

Questo trattato sembra aver interrotto gran parte delle relazioni tra le due parti, inclusi il commercio libero e lo scambio di tributi con truppe; perdite che Valente avrebbe accusato negli anni a venire.
Minaccia persiana - Tra le ragioni del trattato di pace con i Goti del 369 c'era anche il deterioramento della situazione dell'impero ad oriente. Gioviano aveva rinunciato all'Armenia nel 363, e il Gran Re di Persia Sapore II era determinato a sfruttare la situazione. Il monarca sasanide cominciò allora a portare i signori dell'Armenia dalla propria parte e detronizzò il re armeno Arsace, che arrestò e incarcerò. Sapore mandò quindi una forza d'invasione contro il Regno d'Iberia, nell'odierna Georgia e una seconda armata contro il figlio di Arsace, Pap, nella fortezza di Artogerassa, nel 367. Nella primavera seguente, Pap riuscì a scappare e a raggiungere Valente a Marcianopoli, dove stava conducendo la campagna contro i Goti.
Valente mandò il generale Arinteo a reimporre Pap sul trono armeno già l'estate seguente alla prima azione contro i Goti. Sapore reagì invadendo ancora e devastando la regione. Pap riuscì nuovamente a fuggire e fu reintegrato dai Romani scortato da una forza molto più grande nel 370. La primavera seguente il generale Terenzio guidò forze ancora più grandi per riconquistare l'Iberia e presidiare l'Armenia nei pressi del monte Npat. Il contrattacco di Sapore in Armenia fu bloccato dai generali Traiano e Vadomario a Bagavan. Valente aveva violato il trattato del 363 e quindi aveva difeso con successo la propria posizione. Una tregua stipulata nell'anno della vittoria garantì una pace provvisoria per cinque anni, mentre Shapur era impegnato contro un'invasione Kushan ad est.

Valentiniano morì nel corso di una campagna contro i Quadi per un colpo apoplettico, il 17 novembre 375. I due figli di Valentiniano, e nipoti di Valente, Graziano e Valentiniano II, furono nominati augusti dalle truppe in Pannonia.
Tutto ciò non migliorò la situazione con i Persiani, che ricominciarono a lamentarsi riguardo al trattato del 363. Nel 375, Valente si preparò per una spedizione, che però non venne eseguita a causa della grande rivolta in Isauria da parte di truppe prima stanziate ad oriente. Come se non bastasse, nel 377 i Saraceni comandati dalla regina Mavia si ribellarono, devastando i territori dalla Palestina al Sinai. Anche se Valente riuscì a sedare entrambe le rivolte, gli fu impedita l'azione ad est.
Ribellioni dei barbari - I piani di Valente per una campagna verso est non si realizzarono mai. Un trasferimento di truppe all'Impero d'occidente nel 374 aveva lasciato molti vuoti nelle file orientali, e per riempirli l'Imperatore ordinò un'ambiziosa azione di reclutamento. Non gli giunse quindi sgradita la notizia che i Goti erano stati scacciati dalla propria terra di residenza dagli Unni nel 375 e che gli stavano ora chiedendo asilo. Nel 376 i Visigoti avanzarono verso la foce del Danubio e mandarono un ambasciatore da Valente, il quale aveva posto la propria capitale ad Antiochia. Essi domandavano protezione e terre nella penisola balcanica: si stima che 200.000 Goti fossero in attesa lungo il Danubio in Moesia e in Dacia.
Come i suoi consiglieri gli fecero subito notare, questi barbari avrebbero potuto sia riempire i vuoti del suo esercito sia diminuire la sua dipendenza dalle truppe di leva provinciali, aumentando inoltre i proventi della tassa di reclutamento. Tra i capi dei Goti che chiedevano asilo era incluso Fritigerno, che aveva avuto buoni contatti con Valente negli anni 370, quando questi lo aveva aiutato nella sua ribellione contro Atanarico, il quale stava perseguitando i Goti cristiani. Anche se sembra che molti gruppi chiesero l'ingresso nell'Impero, Valente lo concesse solo a Fritigerno. Ciò non evitò che gli altri lo seguissero.
Quando Fritigerno e i suoi intrapresero l'attraversamento, le truppe romane erano schierate ad est, sulla frontiera persiana e in Isauria, ed erano presenti solo truppe leggere di frontiera, i limitanei. La scarsezza di uomini impedì ai Romani di fermare un tentativo di attraversamento da parte di un gruppo di Goti prima, e poi di Unni e di Alani. Ciò che stava cominciando come un'integrazione programmata stava diventando un flusso incontrollato. La situazione andò di male in peggio, dato che i comandanti romani presero ad abusare dei Goti in loro controllo e questi si sollevarono in rivolta nel 377 sconfiggendo i Romani a Marcianopoli.
Dopo essersi riuniti ai Visigoti, agli Unni e agli Alani, le truppe barbariche marciarono a lungo prima di incontrare un contrattacco imperiale, in arrivo sia da oriente che da occidente. I Goti uscirono vittoriosi dalla battaglia, svoltasi ad Ad Salice, e presero il controllo della Tracia. Nel 378 Valente uscì dalla propria base orientale di Antiochia verso ovest, prendendo con sé tutte le forze tranne quelle basilari per la difesa, tra cui alcuni Goti, e raggiunse Costantinopoli il 30 maggio. Nel frattempo i consiglieri di Valente, il Comes Ricomero, e i suoi generali Frigerid, Sebastiano e Vittorio lo misero in guardia, pregandolo di aspettare Graziano in arrivo dalla Gallia con le sue legioni vittoriose, cosa che Graziano stesso invocava strenuamente.

Gli eventi successivi furono frutto della superbia di Valente che, geloso dei successi del nipote Graziano e convinto di avere truppe sufficienti per battere i Goti, voleva la vittoria per sé.
Dopo una breve sosta con lo scopo di rafforzare le proprie truppe e ottenere un caposaldo in Tracia, Valente uscì dalla città, andando incontro all'armata barbarica il 9 agosto 378; la fonte primaria per le notizie sulla battaglia è Ammiano Marcellino.
I tentativi iniziali di trattativa furono interrotti quando un'unità romana ruppe lo schieramento caricando e diede così inizio ai combattimenti. I Romani stavano ancora resistendo quando furono travolti dall'arrivo a sorpresa della cavalleria gota che mandò nel caos l'esercito imperiale. Valente aveva lasciato una discreta parte delle proprie forze a guardia del suo tesoro personale. L'ala destra dello schieramento, la cavalleria, giunse all'accampamento nemico prima dell'ala sinistra, stancandosi senza supporto strategico.Tuttitemi - Adrianopoli
Nel frattempo Fritigerno mandò ancora un emissario con proposte di pace, nella sua continua manipolazione della situazione. Il ritardo risultante mostrava il logoramento subito dai Romani. Le risorse dell'esercito furono ancora diminuite quando un attacco fuori tempo da parte degli arcieri rese necessario richiamare l'emissario di Valente, il comes Ricomere. Gli arcieri furono battuti e si ritirarono.
Quindi la cavalleria dei Goti colpì sotto il comando di Alteo e Safrace, e la cavalleria romana dovette soccombere, in quello che fu probabilmente l'evento decisivo della battaglia. La fanteria, abbandonata a sé stessa, fu circondata e fatta a pezzi. Valente fu ferito e venne trasportato alla sua tenda. I Goti la circondarono e la misero a fuoco, ignari del suo prezioso ospite; secondo Ammiano Marcellino questa fu la fine dell'imperatore. Alla fine della battaglia, i due terzi dell'armata imperiale giacevano morti a terra. Erano morti anche molti degli ufficiali; ciò che rimaneva dell'esercito fu condotto via nottetempo dal comes Ricomere e dal generale Vittore.
La battaglia fu un grave colpo per Roma: l'imperatore Graziano, diciannovenne, era sopraffatto dalla disgrazia e non fu in grado di affrontare la catastrofe che seguì finché non nominò Teodosio I nuovo imperatore d'oriente.

Eredità di Valente - La battaglia di Adrianopoli fu l'evento più significativo della carriera di Valente. Essa fu molto importante anche sotto un altro aspetto: l'evoluzione della guerra. Fino a quel tempo la fanteria romana era considerata invincibile, e ciò era stato dimostrato innumerevoli volte in battaglia. Ma la cavalleria gotica cambiò completamente il modo romano di combattere: anche se mancano dati relativi al V secolo, per tutto il IV e VI secolo la cavalleria divenne il nerbo dell'esercito imperiale terrestre.
Anche se mostrò del talento come amministratore, le persecuzioni dei Cristiani Niceni e dei filosofi pagani, i suoi sforzi vani di ottenere successi militari e la sua ottusità non lo ricoprirono certo di gloria. La morte, arrivata in una battaglia tanto nefasta, segnò l'apice di una carriera sfortunata. Ciò acquista particolare verità con l'analisi degli effetti della sconfitta riportata ad Adrianopoli. Questa segnò l'inizio della fine dell'integrità territoriale del tardo Impero, e ciò fu evidente persino ai contemporanei. Ammiano comprese che questa era la disfatta più grave dai tempi della battaglia di Canne, e l'ufficiale bizantino Rufino la chiamò "l'inizio dei mali per l'Impero romano, ora e in seguito".
Come i fratelli Costanzo II e Costante I, Valente e Valentiniano avevano credo religiosi differenti: Valente era Ariano e Valentiniano adottava il Credo di Nicea. Alla morte di Valente, in ogni caso, la storia dell'arianesimo nell'oriente romano giunse alla fine: il suo successore Teodosio avrebbe infatti imposto il credo di Nicea tramite l'editto di Tessalonica.

 

TEODOSIO 11 gennaio 347 - 17 gennaio 395

Flavio Teodosio nacque a Caica in Hispania, ed era figlio di Teodosio il Vecchio, valente generale imperiale che seguì in battaglia fin dalla giovane età. Seguì il padre anche in Britannia nel 368, per combattere contro una cospirazione, riuscendo a sconfiggere i Sassoni e le altre popolazioni di Scozia e Irlanda. Divenuto comandante militare in Mesia, nel 374 perse due legioni ad opera dei Sarmati e venne esonerato dall'imperatore Valentiniano I. L'anno successivo suo padre venne giustiziato per l'accusa di corruzione e Teodosio amareggiatissimo e convinto di dover rinunciare alla carriera militare si ritirò nella terra d'origine.
Nel 378 però Graziano lo richiamò per respingere nuovamente i Sarmati, creandolo poi augusto nel 379, dopo la morte dell'imperatore Valente nella disastrosa Battaglia di Adrianopoli ad opera dei Goti, affidandogli l'Oriente con la Mesia e la Dacia.
Teodosio pose il suo quartier generale a Tessalonica ed arruolò al servizio militare molti Goti. Nel 380 però I Goti, insediati nei Balcani, cominciarono scorrerie e razzie, tanto che Graziano rinunciò a mantenere il controllo delle province illiriche e si ritirò a Treviri, per consentire a Teodosio di condurre a suo modo le operazioni militari. Non potendo far combattere i Goti contro i Goti, Teodosio inviò le sue nuove reclute in Egitto, rimpiazzandoli con soldati romani, più esperti e più affidabili.
Ma ci volle comunque l'aiuto di Graziano che spedì alcuni generali per liberare l'Illiria dai Goti, consentendo a Teodosio di entrare finalmente a Costantinopoli nel 380, dopo una campagna di ben due anni. Nel 382 fu stipulato con i Goti un trattato che li autorizzava a stanziarsi lungo il corso del Danubio, nella diocesi di Tracia, godendo ampia autonomia. Teodosio non aveva brillato come generale ma la pace coi Goti era fatta.
Editto di Tessalonica - Teodosio, a cui i contemporanei diedero il titolo di Grande, fu l'ultimo imperatore degno di Roma. Egli, fervente cattolico, subì fortemente l'influenza di S. Ambrogio, vescovo di Milano. All'inizio del suo regno Teodosio, insieme agli altri due augusti, Graziano e Valentiniano II, aveva promulgato nel 380 l'editto di Tessalonica, con cui si dichiarava il cristianesimo religione di stato, con pene e persecuzioni per chi praticasse culti pagani. Il decreto “Cunctos populos”, concesse grandi privilegi ai sacerdoti cristiani versandogli inoltre tutti i profitti dei sacerdoti pagani.
Con lo stesso fanatismo con cui erano stati perseguitati i cristiani, furono perseguitati i giudei e i pagani. In questa prima "pulizia religiosa" furono distrutti grandi e magnifici templi pagani come l'Oracolo di Apollo a Delfi.
Teodosio perseguitò ferocemente l'arianesimo, espellendo da Costantinopoli il vescovo ariano Demofilo di Costantinopoli e affidando la conduzione delle chiese al niceno Gregorio di Nazianzo. Dopo una lunga malattia, si era fatto battezzare dal vescovo Acolio di Tessalonica e nel 381 convocò un concilio di 150 vescovi d'Oriente, facendogli proclamare come sola chiesa ortodossa quella di Nicea, assegnando il primato vescovile a Roma con Costantinopoli a lei asservita.
Nel 382 si sanciva, tuttavia, la conservazione degli oggetti pagani che avessero valore artistico, cioè si decise che i templi più belli anzichè venire distrutti fossero trasformati in tempi cristiani. Il divieto dei sacrifici cruenti e dei riti pagani venne ribadito nel 385.

La confessione fu resa segreta sotto Teodosio, quando una donna, dinanzi a migliaia di fedeli, si accusò d'essere andata a letto col diacono che la stava in quel momento confessando.

Nel 383 Teodosio rese obbligatorio il giorno di riposo, il Dies Solis, festa di Elios, rinominandolo Dies Dominicus, il giorno del Signore, la domenica, da allora sacra fino ad oggi per tutti i Cristiani.
Nel  383 Graziano morì assassinato prima di battersi contro Magno Massimo, proclamato imperatore dalle legioni di Britannia. Massimo propose allora a Teodosio un trattato di amicizia che fu accettato, anzi l'imperatore orientale gli fece erigere una statua in suo onore ad Alessandria. Ma Massimo non era tranquillo e nel 387 traversò le Alpi minacciando Milano, sede della prefettura di Valentiniano II e sua madre che si rifugiarono in oriente da Teodosio I.
Questi, per garantirsi il potere sposò Galla, la sorella di Valentiniano, poi marciò contro Magno Massimo, sconfiggendolo nella battaglia della Sava e poi ad Aquileia nel 388. Valentiniano II fu restaurato a Milano e per compiacere Teodosio dovette sconfessare l'arianesimo aderendo alla fede cattolica di Nicea.
Nel 390 Teodosio fece trasportare dall'Egitto a Costantinopoli l'obelisco del faraone Tutmosi III, col simbolo del Dio Helios, che si erge tuttora nell'Ippodromo.
Sul grande basamento di marmo bianco ci sono i bassorilievi di Teodosio, la famiglia imperiale e i nobili, su un palco imperiale separato dal pubblico.
I massacri di Teodosio -

Nel 390, avendo agito con troppa crudeltà contro gli abitanti di Tessalonica. che si erano ribellati, S. Ambrogio lo escluse per ben otto mesi dalla comunione dei fedeli, obbligandolo a fare pubblica penitenza.
Teodosio vinse anche i Visigoti (o Goti occidentali), che avevano varcato il Danubio, invadendo la penisola balcanica; ma, non potendo allontanarli, permise ad essi di stabilirsi nella Tracia e nel a Macedonia in qualità di alleati dell'Impero (379).
Nel 390 la popolazione di Tessalonica (Salonicco) si ribellò e impiccò il magister militum dell'Illirico e governatore della città Buterico, per aver arrestato un famoso auriga perchè omosessuale e fatto chiudere i giochi. Teodosio per rappresaglia organizzò una gara di bighe nel circo della città, fece chiudere le porte e trucidare tutti i presenti, donne e bambini compresi, ben 7000 persone, tutte uccise a caso.

Ambrogio, vescovo cattolico di Milano, scrisse a Teodosio una lettera sdegnata e lo costrinse a mesi di penitenza e ad una richiesta pubblica di perdono che venne infine concessa nel Natale del 390. Secondo molti storici l'inasprimento della politica religiosa di Teodosio nei confronti del paganesimo fu in gran parte dovuta proprio all'influenza di Ambrogio e la penitenza inflittagli una messa in scena.
Infatti le persecuzioni si moltiplicarono: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto, compresa l'adorazione delle statue.

Pene amministrative per i cristiani che si riconvertissero nuovamente al paganesimo e nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano punibili con la morte. I templi pagani furono sistematicamente distrutti dai fanatici cristiani e dai monaci appoggiati dai vescovi locali, come il tempio di Giove ad Apamea. Ad Alessandria d'Egitto il vescovo Teofilo ottenne nel 391 il permesso imperiale di trasformare in chiesa un tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei pagani, che si asserragliarono nel tempio.

Il vescovo Teofilo guidò personalmente i cristiani all'assalto del tempio di Serapide massacrando tutti i rifugiati e distruggendo il tempio, procedendo poi all'incendio della gloriosa Biblioteca di Alessandria, la più grande ed erudita del mondo. Scomparvero così migliaia e migliaia di testi greci che tutta l'antichità aveva studiato e ammirato.
Dopo il 392, a seguito della morte dell'imperatore Valentiniano II, Teodosio governò come imperatore unico, sconfiggendo anche grazie all'aiuto del re goto Alarico I, l'usurpatore Flavio Eugenio nella Battaglia del Frigido nel 394. La guerra scatenata da Eugenio, i cui eserciti marciavano al grido di "Ercole invincibile", rappresentò l'ultimo tentativo di restaurare gli antichi culti religiosi contro l'intransigente avanzata del Cristianesimo. Nell'inverno del 394 Teodosio si ammalò di idropisia e nel 395 morì, lasciando il generale Stilicone come protettore dei figli Arcadio e Onorio. Infatti lo stesso Alarico I si rivoltò contro Arcadio, figlio di Teodosio e suo successore, subito dopo la morte dello stesso Teodosio.
Nel febbraio del 395 si tennero i solenni funerali di Teodosio celebrati dal vescovo Ambrogio, che pronunciò il De Obitu Theodosii. Le esequie si svolsero per la prima volta col rito cristiano. Poi la salma di Teodosio venne tumulata nella basilica degli Apostoli di Costantinopoli, dove rimarrà fino al saccheggio della città del 1204.

ARCADIO (395-408) E ONORIO (395-423) - Teodosio, morendo, divise l'Impero tra i suoi due figli, Arcadio, che ebbe l'Oriente, e Onorio, che ebbe l'Occidente; ma poiché i due nuovi sovrani erano ancora molto giovani, pose il primo sotto la tutela del prefetto del pretorio Rufino, gallo di origine; e il secondo sotto il generale Stilicone, vandalo di origine, ma fedele agli ideali romani. Questa volta la spartizione si trasformò in una vera e definitiva divisione dell'impero: ma mentre l'impero d'Occidente, travolto dalle invasioni barbariche, si avviò a una precipitosa rovina, l'impero d'Oriente sopravvisse per più di mille anni.
 

ONORIO (395-423) 9 settembre 384 - 15 agosto 423 -

Onorio, figlio dell'imperatore Teodosio I e di Elia Flaccilla, nacque a Costantinopoli nel 384 d.c. Era il minore di tre fratelli, il maggiore Arcadio, e una sorella morta giovane, Pulcheria Teodosia. Il padre lo onorò del titolo di Nobilissimus Puer all'età di due anni, titolo già conferito da Gioviano a suo figlio Varrone, a Valentiniano figlio di Valente, che imperatori non furono, nonchè a Graziano che fu invece imperatore. In più lo nominò console nello stesso anno.
Queste cariche premature servivano solo a ribadire la nobiltà reale del bambino, destinato a succedere al trono nel caso che il primogenito fosse morto. Onorio crebbe in una società fredda, statica e bigotta,Onorio dove era andata perduta la semplicità e la concretezza dei Romani, sostituita dai lussuosi paramenti bizantini e l'austera e intransigente religione cristiana dell'epoca. Onorio fu sradicato dalla reggia e dalla madre a soli 5 anni per accompagnare il padre a Roma, per poi tornare alla reggia di Costantinopoli nel 391 d.c..
L'anno successivo morì l'augusto d'Occidente, Valentiniano II, e il generale romano e cristiano Flavio Arbogaste, che fino allora era stato il suo reggente, fu sospettato esserne l'autore. Subito dopo Arbogaste elevò al trono d'Occidente Flavio Eugenio, responsabile della cancelleria imperiale. Teodosio all'inizio finse di accettare il nuovo imperatore, ma nel 393, proclamò Onorio, all'età di dieci anni, augusto d'Occidente, associandolo al trono come aveva fatto dieci anni prima con Arcadio. Nel 394 Teodosio e Arbogaste si scontrarono nella battaglia del fiume Frigido; Arbogaste sconfitto si tolse la vita ed Eugenio venne decapitato. Quindi Teodosio convocò Onorio alla corte di Milano.
Sembra che Arcadio fosse di intelligenza molto limitata, si che le speranze del padre andarono soprattutto su Onorio. Alla morte di Teodosio nel 395 ad Arcadio andò l'Impero d'Oriente, e ad Onorio quello d'Occidente, ma essendo giovanissimi l'impero d'oriente venne gestito da Rufino, primo ministro e prefetto del pretorio, nonchè genero per aver sposato la figlia adottiva di Teodosio, Serena.
Rufino era un infido ambizioso, durante una discussione in un consiglio, Rufino insultò Promoto, il magister equitum, il quale lo schiaffeggiò; Rufino si lamentò presso Teodosio, il quale gli ventilò la prospettiva di farlo co-imperatore. Rufino consigliò Teodosio di inviare Promoto in Tracia ad occuparsi dell'addestramento delle truppe, ma in un'imboscata lo fece uccidere. Ecco di chi si fidava Teodosio.
Onorio fu invece affidato a Stilicone, generale vandalo, che per assicurarsi il posto diede ad Onorio allora quattordicenne, in sposa la figlia Maria e, dopo la morte di questa, l'altra figlia Termanzia nel 408.

Si dice che però ambedue le mogli rimasero vergini, il che denota una natura problematica di Onorio.

L'impero d'Occidente subì sotto Onorio le invasioni dei barbari e la ribellione di ben nove usurpatori. Ma il carico era tutto di Stilicone. Si narra che Onorio fosse un appassionato di galline che nutriva e lasciava circolare liberamente nella reggia e che fossero la sua unica preoccupazione. Procopio narra che quando un messaggero gli portò la notizia che Roma era caduta, Onorio rispose: «Ma come, se ha beccato dalla mia mano solo poco fa!», alludendo alla sua gallina preferita, da lui chiamata Roma.

Onorio, spesso in contrasto con il fratello imperatore d'Oriente, cercò l'alleanza con la Chiesa cattolica eliminando le ultime vestigia del paganesimo come i giochi gladiatori. La romanità era scomparsa, lasciando paura, sensi di colpa e sacrifici continui per ingraziarsi i nuovi Dei.
Nel 397 il comes Africae Gildone si ribellò nell'Africa settentrionale, ma la sua rivolta fu soffocata un anno dopo. Intanto Alarico, ex alleato di Teodosio, cominciava scorrerie e massacri in Occidente e Oriente, col Senato che lo comprava con oro e danaro e battaglie di Stilicone che però non furono definitive, al punto che si sospetta volesse farsene un alleato per togliere di mezzo Rufino.

A causa dell'invasione dei Visigoti, nel 402 Onorio spostò la capitale da Milano a Ravenna, meglio difendibile in quanto circondata da paludi. Per difendere l'Italia Stilicone tolse truppe dalla Gallia, il cui esercito al comando di Radagaiso, invase l'Italia portando la distruzione finché Stilicone non lo sconfisse nel 406.
Nello stesso anno 406, un grosso esercito di Alani, Suebi e Vandali sfondò la frontiera e invase la Gallia, e nella Britannia romana sorsero diversi usurpatori, tra cui Marco, e Costantino III che invase la Gallia nel 407, occupando Arelate.
L'influenza politica di Stilicone cresceva ad ogni vittoria, ma allo stesso tempo cresceva l'opposizione a corte, guidata da Olimpio. Onorio si lasciò influenzare dagli oppositori di Stilicone facendolo condannare a morte e facendone uccidere anche il figlio. Fu un gesto insensato oltre che crudele, perchè Onorio uccise l'unico difensore dell'Impero d'Occidente decretandone il disastro.
Sacco di Roma - Nel 408, Alarico chiese ad Onorio di portare il proprio esercito dal Norico alla Pannonia, ma l'imperatore, consigliato da Olimpio, rifiutò. I Visigoti allora scesero a Roma, la assediarono ed estorsero ai notabili cittadini 5.000 libbre d'oro, 30.000 libbre d'argento, 4.000 tuniche di seta, 3.000 panni porpora e 3.000 libbre di pepe, mentre Onorio rimaneva inerte a Ravenna.
L'anno successivo Alarico fece nominare dal Senato un nuovo imperatore, Prisco Attalo, che coniò monete con la scritta "Roma Invicta Aeterna" (Roma invincibile ed eterna). Ma la città, inviolata da ottocento anni, venne invasa di nuovo dai Goti di Alarico: il "sacco" di Roma del 410. I contemporanei disperati, secondo la propria fede religiosa, videro nella caduta di Roma la vendetta delle antiche divinità soppiantate dal cristianesimo o la giusta punizione per i cristiani ancora invischiati nel paganesimo.
Alarico dopo il sacco se ne andò, portandosi via i tesori di Roma insieme a Galla Placidia, la bella sorellastra di Onorio, per cui si sospetta che Onorio nutrisse una passione carnale. Non dette infatti il suo consenso al matrimonio tra Placidia e Ataulfo, fratello di Alarico che la sposò comunque e sembra che dal 421, abbia iniziato a molestare la sorellastra anche pubblicamente, irritando sia lei che il pubblico. I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino e Alarico si diresse a Reggio, ma si ammalò improvvisamente e morì. Venne seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento a Cosenza, sul suolo calabrese. Gli schiavi che avevano lavorato alla temporanea deviazione del corso del fiume furono uccisi perché fosse mantenuto il segreto sul luogo della sepoltura. Quel tesoro non venne mai ritrovato.
Morte - Per rinforzarsi politicamente, Onorio si avvicinò a Costanzo, dandogli in sposa sua sorella Galla Placidia e poi associandolo al trono nel 421, ma Costanzo morì e due anni dopo anche Onorio di idropisia. Non avendo lasciato eredi, il suo trono fu prima usurpato dall'alto funzionario Giovanni Primicerio, poi recuperato da Valentiniano II, figlio di Galla Placidia.
Lasciò un Impero allo sfascio, un esercito debilitato e un popolo terrorizzato dalle incursioni nemiche.


FINE DELL'IMPERO D'OCCIDENTE (476)
L'impero d'Occidente sopravvisse ancora circa venti anni, ma furono anni d'anarchia, durante i quali si succedettero una decina di imperatori.
 

ROMOLO AUGUSTO 459 circa - dopo il 476 impero romano 476

Anche se noto anche col nomignolo di Romolo Augustolo, si chiamava in realtà Flavio Romulo Augusto, così l'Impero Romano, o almeno quello di occidente, nacque e morì con lo stesso nome per il primo e l'ultimo dei suoi capi: Romolo. Nacque dal generale goto Flavio Oreste e da Flavia Serena, figlia del comes del Norico Romolo, nel 459 circa. All'epoca i barbari imperversano in Italia e in Europa, alternandosi al potere, data la natura nomade che li portava a spostarsi continuamente. Il Cristianesimo aveva debellato gli antichi Dei romani, e lo spirito della romanità è scomparso.
Dal 474 era imperatore d'Occidente Giulio Nepote, nominato dagli imperatori d'Oriente Leone I e Zenone. Nel 475 Nepote rimosse il patrizio e magister militum dell'Occidente, il gallo-romano Ecdicio, per rimpiazzarlo con Oreste. Questi, ottenuto il sostegno dell'esercito, si mosse da Roma ed entrò a Ravenna obbligando Nepote a fuggire a Salona, in Dalmazia.
Oreste attese inutilmente un riconoscimento da parte dell'imperatore d'Oriente, finchè, il 31 ottobre, dichiarò decaduto l'imperatore Giulio Nepote. Però Oreste era barbaro e per legge non poteva diventare imperatore, di conseguenza nominò il tredicenne giovane figlio Romolo, la cui madre era di stirpe romana.
Romolo per l'età non poteva governare, fu soprannominato Augùstolo (= l'imperatorino),e per lui lo fece Oreste, preoccupandosi anzitutto di gestire le truppe barbariche a difesa dell'impero, che avevano si prestato giuramento all'imperatore, ma restavano fedeli solo per i pingui pagamenti che dissanguavano le casse dello stato. Per reperire monete se ne coniarono molte auree a nome di Romolo, i solidi d'oro, sia a Roma, che Milano, a Ravenna e ad Arles.
Nel 476 le esigenze della truppa divennero insostenibili, e alcune truppe barbariche Eruli, Sciri e Turcilingi, chiesero delle terre che Oreste rifiutò.

Questi popoli si rivolsero al capo barbaro Odoacre, lo elessero re il 23 agosto e il 28 agosto Oreste venne catturato e ucciso, dopodichè Odoacre occupò Ravenna, uccidendo anche Paolo, fratello di Oreste.
Naturalmente depose Romolo, ma essendo giovanissimo gli risparmiò la vita esiliandolo a Neapolis, nel Castellum Lucullanum, l'antica villa di Lucullo. Secondo alcune fonti gli concesse un congruo vitalizio di seimila solidi annui, permettendogli di vivere con i propri parenti. Per alcuni fu relegato in un'angusta cella di monastero per il resto della sua vita. Per altri Romolo stesso aveva fondato un monastero a Lucullanum, dedicato a san Severino e la nobildonna Barbaria, che aveva contribuito allo sviluppo di questo centro religioso, sarebbe stata sua madre. Ma la prima versione è la più attendibile anche per lo scambio epistolare tra il re ostrogoto Teodorico il Grande con un certo Romolo, che forse avrebbe dovuto rinegoziare il vitalizio concesso da Odoacre con il nuovo re, nel 493 e poi ancora nel 507/511.
Dietro ordine di Odoacre, Romolo inviò una lettera all'imperatore Zenone, di nuovo re nel 477 dopo essere stato spodestato da Basilisco, in cui affidava il comando dell'Italia a Odoacre. Così Romolo regnò formalmente per un solo anno.

Odoacre, a differenza degli altri generali, non nominò un successore a Romolo Augustolo, ma governò per conto proprio.
Egli fece dichiarare dal senato che bastava al mondo un solo imperatore, e, quindi, inviò le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente, che era allora Zenone, ottenendo in cambio il titolo di patrizio romano (= vicario imperiale).
Così, nel 476 d. C., senza scosse violente, finiva l'impero romano d'Occidente.