|
URSS: uscì dalla II guerra mondiale notevolmente provata: 18 milioni di morti,
molte città distrutte e tutte le sue regioni europee invase dalla Germania.
Riuscì comunque ad affermarsi a livello mondiale grazie alla forza del suo
grande esercito ("l’armata rossa"), grazie alla ferrea disciplina imposta da
Stalin e grazie allo sfruttamento dei territori occupati.
Fin dal 1945, infatti, l’URSS avviò una politica di sfruttamento sistematico dei
paesi occupati, volta a ricostruire e accelerare lo sviluppo del sistema
industriale sovietico.
Il suo potere derivò inoltre dal grande appoggio di tutti i partiti comunisti
del mondo e dalle speranze di indipendenza che essa alimentava in tutti i paesi
ancora soggetti al regime coloniale.
In Europa orientale, la massiccia presenza dell’armata rossa anche dopo la fine
del conflitto, determinò l’imposizione russa di governi comunisti filo-sovietici
(e di conseguenza l’allontanamento forzato dei dirigenti non comunisti) e la
conseguente collettivizzazione dell’economia.
Nel 1947 così si insediarono governi filo-sovietici in Polonia, Bulgaria,
Ungheria e Romania, uniti tutti alla "madre Russia" mediante organizzazioni
politiche (COMINFORM) , economiche (COMECON) e militari (Patto di Varsavia).
Il COMINFORM aveva come scopo quello di coordinare l’ azione di tutti i partiti
comunisti europei
Grazie al COMECON, l’URSS si assicurò il controllo delle economie dei paesi da
lei occupati. Attraverso il "consiglio di mutua assistenza economica", infatti,
l‘URSS poté scegliere i processi di produzione dei paesi satelliti in modo tale
che questi risultassero complementari a quelli russi.
Il Patto di Varsavia fu invece la risposta sovietica all’ingresso nella Nato
della Germania Federale. Esso si configurò come organizzazione militare dei
paesi comunisti dell’Europa orientale e conferì alla Russia il comando di tutte
le forze militari dei paesi contraenti il trattato. Il patto di Varsavia si
sciolse soltanto nel 1991 in seguito al crollo dei regimi comunisti nell’Europa
orientale.
Nel 1945 il primato atomico americano finì. Fu proprio questo infatti, l’anno in
cui l’URSS riuscì a costruire la sua prima bomba atomica.
La fine del monopolio atomico americano colse di sorpresa i governi occidentali
e mutò radicalmente le prospettive delle relazioni internazionali.
Improvvisamente lo scontro ideologico e politico sembrò potersi trasformare in
un aperto conflitto nucleare.
Tutti gli uomini e le donne a Ovest come ad Est avevano la sensazione di una
imminente catastrofe e ciò rendeva ancora più difficile i rapporti tra i due
blocchi.
Le tecnologie cui si era arrivati da ambo le parti, infatti, erano tali da
potersi annientare istantaneamente a vicenda.
Paradossalmente però, la consapevolezza dell’enormità del potenziale distruttivo
delle armi accumulate da ambo le parti, impedì di fatto lo scoppio di un
conflitto nucleare aperto. Tale fenomeno prese il nome di politica della "
deterrenza ".
Nessuno dei due paesi aveva però interesse a combattere una guerra nucleare sul
proprio territorio e perciò un eventuale scontro diretto si sarebbe potuto
svolgere soltanto in Europa, vista la sua posizione strategica e viste le ancora
insufficienti tecnologie per il trasporto delle bombe di cui disponevano i due
blocchi. Conseguenza di questo fu il fatto che i paesi europei membri della NATO
affidarono a Washington ogni decisione sulla loro difesa.
La corsa agli armamenti era ormai cominciata. Sia USA che URSS cominciarono a
investire gran parte dei loro capitali nella ricerca e nella costruzione di armi
sempre più nuove e più potenti.
Gli USA, comunque, mantennero sempre una certa superiorità tecnologica,
superiorità che venne seriamente minacciata nel 1957 con la messa in orbita da
parte dei sovietici dello "Sputnik".
Lo Sputnik era il primo satellite artificiale in orbita attorno alla terra, ma
la sua importanza, agli occhi degli occidentali, consisteva soprattutto nel
fatto che ora i sovietici avrebbero potuto disporre di propulsori in grado di
lanciare missili dal suolo russo direttamente sul territorio americano.
In risposta allo Sputnik gli USA lanciarono nel 1958 il loro primo satellite
orbitale: l’ Explorer.
Intanto ad est come ad ovest, la propaganda politica anticomunista da una parte,
dall’altra la condanna del capitalismo di cui si prevedeva il prossimo declino,
assunse una posizione di grande rilievo. All'interno delle superpotenze e dei
paesi "fedeli" ad una o all'altra iniziò così una vera e propria "caccia alle
streghe" volta a scovare, perseguitare e punire spie ed oppositori politici (o
meglio, presunte spie ed oppositori) utilizzando ogni mezzo: boicottaggi,
sabotaggi, violenza e controspionaggio.
Il fenomeno della "deterrenza" ebbe come conseguenza lo spostamento in zone
periferiche della conflittualità che esisteva tra i due blocchi.
Iniziò così, alla fine degli anni ’40, una serie interminabile di conflitti
locali dietro i quali si collocavano più o meno visibilmente le due
superpotenze, tra cui "spiccano" la guerra in Corea e la crisi di Cuba.
Il vero inizio della politica di superpotenza che caratterizza l'URSS per molti
anni risale alla fine della II guerra mondiale quando la Germania era ridotta a
un enorme campo di macerie. I tedeschi erano come paralizzati dall’incubo del
passato e dalle insicurezze del futuro, sarebbero stati i vincitori della guerra
a decidere il loro futuro.
La volontà delle potenze vincitrici era di impedire alla Germania, una volta per
sempre, di diventare nuovamente una forza politica ed economica che potesse
trascinare il mondo in un'altra guerra mondiale. Il primo compromesso cui esse
arrivarono, fu perciò di dividere la Germania in quattro zone occupate ed
amministrate da americani, russi, inglesi e francesi. L’URSS cominciò
immediatamente a ricostruire la Germania secondo i suoi piani di "riparazione".
Gli americani, invece, cominciarono ad organizzare aiuti per la Germania secondo
il piano Marshall, affinché questa potesse diventare l’avamposto USA contro
l’Unione Sovietica.
Anche la Germania diventò quindi oggetto della guerra fredda e non ebbe né la
forza né la possibilità di sottrarsi alla dominazione e alla concorrenza delle
due superpotenze. La vita quotidiana dei tedeschi era dominata dalla fame e
dalla miseria, i soldi avevano perso qualsiasi valore ed i prezzi non si
calcolavano più in marchi ma in sigarette americane. Per rafforzare
economicamente i territori tedeschi da loro controllati, americani, inglesi e
francesi decisero di sorpresa di introdurvi una nuova moneta: il nuovo Marco. Le
potenze occidentali però non si erano accordate con l’amministrazione russa
riguardo alla nuova valuta tedesca. In risposta a ciò, i russi bloccarono ogni
accesso alla parte occidentale di Berlino controllata dagli ex alleati.
Per dieci mesi gli occidentali organizzarono allora un ponte aereo per rifornire
Berlino ovest di viveri e beni di prima necessità.
Alla fine i sovietici si arresero, ma avevano perso più di una battaglia: gli
USA ora erano diventati i garanti della sicurezza mondiale, mentre i sovietici
cominciarono a perdere le simpatie internazionali nei loro confronti.
Il blocco di Berlino fu il colpo di grazia per chi sperava ancora nell’unità
della Germania. Pochi mesi dopo la fine del blocco, furono creati due stati
tedeschi: la Repubblica Federale (RFT) ad ovest e la Repubblica Democratica
(DDR) ad est. La divisione era il prezzo che la Germania doveva pagare per aver
scatenato la più grande guerra che l’umanità avesse mai visto.
Si sostiene che STALIN stimasse Chiang Kai-shek più di Mao Zedong (che tra
l'altro aveva di lui un'ottima opinione) e solo con riluttanza smise di pensare
che la Cina poteva essere governata dal Kuomintang con l'adesione dei comunisti.
Ad ogni modo, durante la guerra civile cinese l'URSS fornì al Partito Comunista
Cinese un contributo in materiale bellico e un certo numero di consiglieri; fin
dall'agosto del 1945 inoltre, dopo la sua dichiarazione di guerra al Giappone,
appoggiò i maoisti conquistando la Manciuria e lasciando al PCC il bottino
ottenuto.
In occasione della guerra di Corea Stalin offrì all'alleato Kim Il Sung
l'appoggio di 26.000 soldati sovietici (un apporto molto moderato, se
confrontato con quello concesso invece da Mao pari a 780.000 militi) e regalò
delle forniture alimentari ai nordcoreani, ma fu sempre restio a
un'internazionalizzazione del conflitto. Durante la guerra civile greca rispettò
i patti firmati con le potenze alleate e non supportò i comunisti ellenici, a
differenza di Gran Bretagna e USA che a rotazione diedero una grossa mano alla
repressione monarchica.
Stalin, ormai in età avanzata, subì un colpo apoplettico nella sua villa
suburbana di Kuntsevo la notte tra l'1 e 2 marzo 1953, ma le guardie di ronda
davanti alla sua camera da letto non osarono forzarne la porta blindata fino
alla mattina dopo, quando Stalin era già in condizioni disperate: metà del corpo
era paralizzata, ed aveva perso l'uso della parola. Morì all'alba del 5 marzo,
dopo aver dato per diverse volte segnali di miglioramento. Drammatico è il
racconto dell'ultimo istante di vita del dittatore fatto dalla figlia Svetlana.
Il suo funerale fu imponente, con una partecipazione stimata in un milione di
persone: il corpo, dopo essere stato imbalsamato e vestito in uniforme, fu
solennemente esposto al pubblico nella Sala delle Colonne del Cremlino (dove era
già stato esposto Lenin). Almeno 500 persone morirono schiacciate nel tentativo
di rendergli omaggio. Fu sepolto accanto a Lenin nel mausoleo sulla Piazza
Rossa.
Quando Stalin morì, la sua popolarità come capo del movimento di emancipazione
delle masse oppresse di tutto il mondo era ancora intatta: ma bastarono tre anni
perché al XX Congresso del PCUS (1956) il suo successore, Nikita Kruscev,
denunciasse i crimini da lui commessi contro gli altri membri del partito dando
il via al processo di "destalinizzazione". Primo provvedimento di tale nuova
politica fu la rimozione della mummia di Stalin dal Mausoleo di Lenin, accanto
al quale il dittatore era stato deposto subito dopo la morte. Da allora egli
riposa in una tomba poco distante, sotto le mura del Cremlino.
Negli ultimi anni dello stalinismo non vi furono grandi processi pubblici, né vi
fu il Grande terrore. Ma nel clima pesante e conservatore del dopoguerra la
criminalizzazione dei comportamenti sociali raggiunse il culmine. La società,
straziata dalla guerra, sperava di assistere a una liberalizzazione del regime,
ma fu delusa. «Il popolo aveva sofferto troppo, il passato non poteva ripetersi»
aveva scritto Il'ja Erenburg nelle sue memorie il 9 maggio 1945; conosceva
dall'interno gli ingranaggi e la natura del sistema, e quindi aveva subito
aggiunto: «Tuttavia sono pieno di perplessità e di angoscia». Il suo
presentimento si sarebbe rivelato giusto. «La popolazione è divisa fra la
disperazione per le condizioni materiali molto difficili e la speranza che
"cambi qualcosa"» affermano molti rapporti inviati a Mosca fra settembre e
ottobre del 1945 dagli istruttori del Comitato centrale che giravano il paese
per ispezionare le province. Secondo tali rapporti nel paese la situazione era
sempre «caotica». La ripresa della produzione era ostacolata dall'immenso
movimento migratorio spontaneo di migliaia di operai deportati a oriente durante
l'evacuazione del 1941-1942. L'industria metallurgica degli Urali era scossa da
un'ondata di scioperi di vasta portata, come il regime non ne aveva mai
conosciute. Ovunque regnava un'indicibile miseria. Nel paese c'erano 25 milioni
di senzatetto, e le razioni di pane per i lavoratori manuali non superavano i
500 grammi al giorno. Alla fine di ottobre del 1945 i responsabili del Comitato
regionale del Partito di Novosibirsk arrivarono a proporre di non far sfilare i
«lavoratori» della città in occasione dell'anniversario della Rivoluzione
d'Ottobre: «Infatti la popolazione è priva di abiti e di scarpe». Nella miseria
e nell'indigenza generali si diffondevano le voci più incredibili, soprattutto
quelle relative all'«imminente» liquidazione dei kolhoz, che ancora non
riuscivano a compensare i contadini per la loro stagione di lavoro, nemmeno con
qualche pud di grano.
La situazione rimaneva drammatica soprattutto sul «fronte agricolo». Le campagne
erano devastate dalla guerra, colpite da una grave siccità, i macchinari e la
manodopera scarseggiavano; di conseguenza, l'ammasso dell'autunno del 1946 fu
catastrofico. Il governo dovette di nuovo rimandare la fine del razionamento
promessa da Stalin nel discorso del 9 febbraio 1946. Il governo, che non voleva
capire le ragioni del fallimento agricolo e imputava i problemi alla «speranza
di lucrare sui lotti individuali», decise di «liquidare le violazioni allo
statuto giuridico dei kolhoz» e di perseguitare gli «elementi ostili ed estranei
sabotatori dell'ammasso, chi ruba e spreca il raccolto».
La carestia dell'autunno-inverno del 1946-1947 interessò soprattutto le regioni
più colpite dalla siccità dell'estate del 1946, le province di Kursk, Tambov,
Voronez, Orel, e la regione di Rostov. Fece almeno
500 mila vittime. Come era accaduto per la carestia del 1932, anche su quella
del 1946-1947 fu mantenuto un totale riserbo. Una delle cause determinanti che
trasformarono una situazione di penuria alimentare in carestia vera e propria fu
il rifiuto di ridurre i prelievi obbligatori su un raccolto che nelle regioni
colpite dalla siccità aveva una resa di appena 2 quintali e mezzo per ettaro.
Per sopravvivere, spesso i colcosiani affamati non avevano altra soluzione che
quella di rubacchiare le magre riserve stivate qua e là. In un anno il numero
dei furti aumentò del 44 per cento.
Il 5 giugno 1947 la stampa pubblicò il testo di due decreti: stabilivano che
qualsiasi «attentato alle proprietà dello Stato o di un kolhoz» era punibile con
un periodo di internamento nei campi da cinque a venticinque anni, a seconda se
il furto fosse stato commesso individualmente o in gruppo, per la prima volta o
con recidiva. Chiunque fosse stato al corrente della preparazione di un furto o
del furto stesso, e non l'avesse denunciato alla polizia, era punibile con due o
tre anni di internamento nei campi. Del resto, una circolare riservata ricordava
ai tribunali che i piccoli furti sul posto di lavoro, passibili fino ad allora
della pena massima di un anno di reclusione, rientravano ormai nei casi previsti
dai Decreti del 4 giugno 1947.
Durante il secondo semestre del 1947 furono condannate in base alla nuova «legge
scellerata» oltre 380 mila persone, fra cui 21 mila adolescenti minori di sedici
anni. Di solito si beccavano da otto a dieci anni di campo per aver rubato
qualche chilo di segale.
Fra le persone condannate per furto c'erano molte donne, vedove di guerra, madri
di famiglia con bambini piccoli, ridotte a mendicare e a rubare. Alla fine del
1948 il gulag contava oltre 500 mila detenuti, cioè il doppio rispetto al 1945,
e 22815 bambini con meno di quattro anni accuditi nelle «case del neonato»
dipendenti dai campi femminili.
Fra il 1947 e il 1948 l'arsenale repressivo venne completato con molti altri
testi giuridici che rivelavano il clima dell'epoca: un decreto che vietava i
matrimoni fra sovietici e cittadini stranieri del 15 febbraio 1947, e un decreto
sulla «responsabilità per la divulgazione di segreti di Stato o la perdita di
documenti contenenti segreti di Stato» del 9 giugno 1947. Il più noto è il
Decreto del 21 febbraio 1948, in base al quale «allo scadere del periodo di
internamento nei campi, tutte le spie, i trotzkisti, i diversionisti, i
destrorsi, i menscevichi, i socialisti rivoluzionari, gli anarchici, i
nazionalisti, i Bianchi e altri elementi antisovietici» dovevano essere
«esiliati nelle regioni della Kolyma, della provincia di Novosibirsk e di
Krasnojarsk ... e in alcune regioni remote del Kazakistan». L'amministrazione
penitenziaria, preferendo che questi «elementi antisovietici» fossero tenuti
sotto stretta sorveglianza, assai spesso decise di prorogare di dieci anni,
senza altra forma di processo, la pena inflitta a centinaia di migliaia di «58»
condannati fra il 1937 e il 1938.
Negli anni Trenta la questione del «diritto al ritorno» dei deportati e dei
coloni speciali aveva dato luogo a scelte politiche spesso incoerenti e
contraddittorie. Alla fine degli anni Quaranta questo problema fu risolto in
modo radicale: si decise che tutte le moltitudini deportate fra il 1941 e il
1945 sarebbero rimaste al confino «per sempre». Così il problema del destino dei
figli dei deportati arrivati alla maggiore età non si poneva più. Loro e tutti i
discendenti sarebbero stati per sempre coloni speciali!
Nel corso degli anni
1948-1953 il numero dei coloni speciali non cessò di aumentare, e passò da 2
milioni 342 mila all'inizio del 1946 a 2 milioni 753 mila nel gennaio del 1953.
Fra le altre nazionalità da poco forzatamente annesse all'URSS figuravano i
moldavi, anch'essi contrari alla sovietizzazione e alla collettivizzazione. Alla
fine del 1949 le autorità decisero di procedere a una vasta retata-deportazione
degli «elementi ostili ed estranei alla società».La carestia del 1946-1947, che
costrinse decine di migliaia di contadini dell'Ucraina orientale a rifugiarsi
nell'Ucraina occidentale, meno colpita, fornì ancora per qualche tempo nuove
reclute alla ribellione. A giudicare dalla seconda proposta d'amnistia firmata
dal ministro ucraino degli Interni il 30 dicembre 1949, le «bande insorte» non
erano reclutate esclusivamente tra i contadini. Tra le categorie di banditi il
testo citava infatti «giovani fuggiti dalle fabbriche, dalle miniere del Donec e
dalle scuole professionali». L'Ucraina occidentale fu pacificata definitivamente
solo alla fine del 1950, dopo la collettivizzazione forzata delle terre, il
trasferimento di interi villaggi, la deportazione o l'arresto di quasi 300 mila
persone. Secondo le statistiche del ministero degli Interni, fra il 1945 e il
1952 furono deportati in Kazakistan e in Siberia come coloni speciali quasi 172
mila «membri dell'OUN e dell'UPA», spesso insieme ai loro familiari. Le
operazioni di deportazione di «contingenti vari», secondo la classificazione del
ministero degli Interni, continuarono fino alla morte di Stalin. Nel periodo
1951-1952 furono deportati con operazioni circoscritte di piccola portata 11685
mingreli e 4707 iraniani della Georgia, 4365 testimoni di Geova, 4431 kulak
della Bielorussia occidentale, 1445 kulak dell'Ucraina occidentale, 1415 kulak
della regione di Pskov, 995 membri della setta dei «veri cristiani ortodossi»,
2795 "basmac" del Tagikistan e 591 «vagabondi». L'unica differenza rispetto ai
deportati appartenenti ai vari popoli «puniti» era che questi svariati
contingenti non erano deportati «per sempre», ma per un periodo che andava da
dieci a vent'anni.
|
|