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  1945-50 - Terzo mondo
     
 

Negli anni precedenti la 2° guerra mondiale e in quelli che immediatamente la seguirono si crearono i presupposti o si scatenarono le lotte per l’indipendenza di più di 60 paesi coloniali, in Asia e in Africa, dove il coinvolgimento nella guerra aveva creato nuove idee liberiste.

Il momento centrale di questo processo è stato il periodo 1945-1957. In questi anni, lo scontro tra le forze colonialiste e i movimenti di liberazione creò i presupposti di tutto lo sviluppo futuro.

La rivolta dei popoli dopo il 1945 ha dischiuso la via allo sviluppo naturale delle popolazioni del Terzo Mondo.

Questo il quadro della situazione coloniale nel 1939.
In Asia, in Africa e in Oceania, fatta eccolonie 1945cezione per l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sud Africa, tutti gli altri territori erano interamente soggetti al colonialismo europeo, americano e giapponese.
La Cina era invasa dai giapponesi.
La Manciuria era occupata dai giapponesi.
La Corea era giapponese.
Il Vietnam, il Laos e la Cambogia erano sotto autorità francese.
La Birmania era britannica.
L’india (che comprendeva gli attuali Pakistan e Bangladesh) era una colonia britannica.
La Malesia era colonia inglese.
Le Filippine erano sotto dominio americano.
L’Indonesia era colonia olandese.
In Medio Oriente, la Palestina era protettorato inglese.6b8fc7c1d0c92e7b61148ff3f7eb7ded.jpg
Il Libano era protettorato francese.
La Siria ugualmente.
L’Irak era sotto dominio inglese.
In tutto il Golfo Persico dominavano gli inglesi anche quando, come nel caso dell’Arabia Saudita, era stato creato uno Stato indipendente.
In Africa, l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia erano colonie italiane.
Il Somaliland era colonia inglese.
Il Kenia, l’Uganda, il Tanganika erano colonie portoghesi.
La Rhodesia (oggi Zimbabwe) e lo Zambia erano colonie inglesi.
Il Madagascar era colonia belga.
Il Sudan era colonia inglese.
Sull’Egitto gravava la “protezione” britannica.
La Libia era colonia italiana.
Tunisia, Algeria e Marocco erano francesi.
Guinea francese, Mauritania, Senegal, Costa D’Avorio, Dahomei, Togo Niger e Ciad costituivano l’Africa equatoriale francese.
Sierra Leone, Ghana e Nigeria erano colonie inglesi.
La Liberia era sotto protettorato americano.
Il Cameroun, il Gabon, il Congo Brazzavile erano colonie francesi.
Su questa situazione la seconda guerra mondiale fu una irresistibile furia sconvolgitrice.
Conviene puntualizzare schematicamente i meccanismi che, in soli sei anni, hanno innescato, dopo quattro secoli e mezzo, il processo di trasformazione delle ex colonie:

 

>>>   I soldati coloniali chiamati a partecipare alla guerra antinazista proclamata come guerra per la libertà, dopo la fine della guerra rappresentarono una potente spinta alla rivolta. Avevano combattuto per la libertà e volevano la libertà.
>>>   I partigiani che avevano combattuta le guerre di guerriglia in Europa contro i tedeschi e in Asia contro i giapponesi, a guerra finita si trovarono con le armi in mano e non si lasciarono disarmare.
>>>   In Asia i giapponesi avevano scatenato la guerra sulla base di una dottrina, quella dell’”area di grande prosperità” , che nascondeva la volontà di sostituire la colonizzazione giapponese a quella occidentale. A guerra perduta, in extremis, sfruttarono gli ultimi residui di autorità per consegnare il potere locale nelle mani delle borghesie indigene, proclamando i paesi indipendenti. Con ciò impressero una dinamica violenta alla ribellione contro il dominio coloniale europeo.
Dalle seguenti cifre si capisce l’importanza assunta dalla partecipazione di truppe reclutate nelle colonie alla guerra mondiale:
Nel marzo del 1940 la Francia aveva alle armi 340.000 soldati nordafricani e 110.000 nelle altre colonie. Alla guerra sul suolo francese parteciparono 8 divisioni di truppe coloniali. Dopo il 1940 per continuare la lotta nelle colonie i francesi reclutarono altri 60.000 uomini nell’Africa orientale (Senegal, Oubangui, Cameroun) e nell’Africa equatoriale francese che furono poi impiegati sul fronte atlantico, in Provenza, in Alsazia ecc. Nella famosa divisione Leclerc i soldati coloniali erano in maggioranza rispetto agli europei. Solo nella fase iniziale della guerra, fino al momento dell’armistizio nel 1940, 24.270 soldati coloniali e 4.350 malgasci erano caduti sul campo.
L’Inghilterra fece un ricorso ancora maggiore della Francia alle truppe coloniali. Per mettere insieme un esercito per combattere contro gli italiani in Etiopia, Eritrea e Somalia, i britannici reclutarono truppe in Tanganika, in Kenia, in Uganda, nel Nyassaland e in Rhodesia.
Gli africani arruolati dagli Inglesi furono 372.000. I reggimenti coloniali esistenti nel 1939 furono rafforzati costituendo nuove unità: 3 brigate di truppe nigeriane; 2 brigate della Costa D’Avorio; 1 brigata della Sierra Leone; 1 brigata del Gambia.
Nel 1943 queste brigate formarono la ottantunesima divisione e la ottantaduesima divisione.
Dopo essere state impiegate in Africa Orientale italiana queste truppe furono impiegate su altri fronti: in Africa del nord, in Italia, poi sui fronti asiatici, in particolare in Birmania.

Soltanto in India gli Inglesi reclutarono e armarono 2 milioni di uomini. Gli indiani alla data dell’agosto 1945 avevano subito 180.000 fra morti e feriti. Gli indiani furono impiegati dappertutto, in Europa, in Medio Oriente, in Africa, in Asia. La quarta divisione indiana, fu impiegata in Eritrea, in Siria, in Libia, in Tunisia, in Italia e in Grecia. Nelle varie campagne perdette 25.000 uomini. In Italia 6.000 soldati indiani furono uccisi nei combattimenti contro i tedeschi. In una sola battaglia nel sud est asiatico morirono 32.000 soldati indiani.
Si può comprendere come i combattenti coloniali siano tornati a casa con nuove idee alla fine della  guerra. Erano stati chiamati a combattere contro tedeschi, italiani e giapponesi in nome della libertà e a guerra finita i popoli coloniali cominciarono a esigere la libertà.

Ma soprattutto, a differenza di ogni precedente occasione di rivolta, gli oppressi erano bene armati. Avevano recuperato armi nel corso della guerra in grandi quantità; erano addestrati al combattimento moderno; in più avevano acquisito per la prima volta da 450 anni esperienza di guerra e di guerriglia. Nel 1945 colonizzati in rivolta e colonialisti repressori si sono trovati con le stesse armi in mano, fucili, mitragliatrici, bazooka, bombe a mano, mine, artiglieria.

Vediamo più a fondo la situazione in Asia e in Africa nel 1945.

I Giapponesi attuarono la conquista dell’Asia nei “duecento giorni di vittorie” (ricordiamo che per completarla mancavano loro soltanto l’occupazione della Nuova Guinea e l’invasione dell’Australia). Il problema in quel momento fu l’insufficienza delle forze giapponesi contro una eventuale rivolta dei paesi occupati dove erano presenti oltre 400 milioni di abitanti. I Giapponesi ricorsero quindi al tentativo e di associare i popoli asiatici alla lotta contro il colonialismo occidentale, sfoderando un programma detto di “creazione di un’area di grande prosperità asiatica” dopo il rovesciamento del dominio coloniale inglese, francese, americano e olandese.

L’India era una colonia inglese. Il 3 settembre 1939 il viceré inglese annunziò con un breve comunicato che l’India era entrata in guerra a fianco dell’Inghilterra. Furono arruolati

2 milioni di sudditi indiani e mandati a combattere sui vari fronti.
La partecipazione delle truppe indiane alla guerra inglese non destò che scarsa risonanza nelle masse indiane, abituate a considerare i soldati indiani inquadrati nell’esercito britannico come mercenari. Ma sul piano politico generale innescò il processo che dopo 9 anni di lotte portò allo smembramento dell’India e all’indipendenza. Infatti il Partito de Congresso di Ghandi colse  l’opportunità storica che gli si presentava. Già nel marzo 1940 i partiti indiani presero posizione contro il coinvolgimento indiano nella guerra dichiarando formalmente che l’India era stata trascinata in guerra senza essere stata consultata. Ghandi rifiutò il suo appoggio all’Inghilterra, richiese l’immediata convocazione di una Assemblea Costituente ed l’indipendenza assoluta.
Il movimento nazionalista indiano aveva come massimo esponente Ghandi. Ma una parte del Movimento del Congresso passò dalla parte dei giapponesi, guidata da Chandra Bose che per tutta la durata della guerra continuò a incitare con tutti i mezzi gli indiani alla rivolta promettendo libertà all’India. Il Giappone cercò di influire sulla situazione interna indiana organizzando gli elementi indiani anti-inglesi riparati all’estero. Si formò, sotto gli auspici del Giappone, un esercito composto di indiani residenti in Malesia e in altre regioni sotto controllo giapponese, di prigionieri di guerra e di disertori, Dopo l’occupazione della Birmania nel marzo del 1944, i giapponesi entrarono in contatto diretto con il territorio indiano e tentarono di scagliare questo esercito raccogliticcio guidato da Bose contro l’India invadendo lo stato di Manipur. L’operazione riuscì a tagliare le comunicazioni fra il Manipur e il resto dell’India. Ma la controffensiva inglese respinse gli invasori nippo-indiani oltre la frontiera birmana.

L’India è un paese complesso fatto di 25 Stati e 6 territori, nei quali si parlano 15 lingue ufficiali e fra le 3.000 e le 5.000 lingue e dialetti non riconosciuti. In India il peso delle religioni è enorme. L’influenza delle idee del marxismo rivoluzionario e la sua diffusione fra le masse era assai ridotta. Lo sviluppo dei partiti comunisti si è fatalmente adattato alle condizioni regionali e ne è risultato molto limitato.

I 340 milioni di abitanti dell’India sono usciti dal controllo diretto del colonialismo inglese dal 15 agosto 1947 dopo le lunghe campagne di disobbedienza pacifica di Gandhi.

La Cina inizia la lotta armata nel 1934 con la “lunga marcia” dei comunisti cinesi che aveva un obiettivo esplicito: fare della Cina un paese socialista.
Gli effettivi dell’Armata Rossa, che erano di 92.000 uomini nel 1937, erano diventati 475.000 nel 1944 e crebbero vorticosamente nella fase finale del conflitto.

Le “Milizie del popolo”, forze rivoluzionarie ausiliarie, contavano già nel 1944  2.130.000 uomini. Erano armate in modo sommario ma avevano portato al livello dell’arte l’uso delle bombe a mano e degli esplosivi.
Inoltre i comunisti cinesi avevano formato un corpo da autodifesa chiamato “Associazione Popolare di Resistenza ai Giapponesi”, che metteva in atto forme elementari di resistenza e rudimentali azioni offensive di ogni genere (contro le trasmissioni, i trasporti, i rifornimenti nemici).
Già nel 1942 l’”Associazione” contava ben 16 milioni di uomini e donne che aumentarono ancora fino al 1945.
L’assoggettamento economico della Cina poteva essere un obiettivo americano in Asia: l’immenso mercato cinese avrebbe consentito uno sviluppo illimitato al capitalismo statunitense. Così si può  comprendere l’accanimento americano nel contrastare l’avanzata della rivoluzione cinese.
Nell’ultima fase del conflitto, quando ormai era certo che il Giappone sarebbe stato sconfitto dagli anglosassoni, Ciang Kai Shek smise di attaccare i Giapponesi e concentrò tutte le sue migliori truppe, addestrate dagli Americani, e tutto il meglio del suo armamento americano, artiglieria, aviazione e carri armati, contro l’Armata Rossa nell’inutile tentativo di arrestarla.
In Malesia nel 1945 la situazione si presentava ugualmente sull’orlo di uno sbocco rivoluzionario. I Giapponesi avevano occupato la penisola di Malacca in 50 giorni nel dicembre 1941. I britannici, fatto saltare il ponte che univa l’isola di Singapore al continente, tentarono un’ultima resistenza a Singapore poi capitolarono. All’epoca la Malesia era uno Stato a composizione mista. A Singapore la popolazione era costituita da 120.000 malesi, 750.000 cinesi, oltre a 70.000 indiani e 9.000 europei. Nell’insieme della Malesia, la maggioranza era di origine malese ma con una fortissima minoranza cinese (più di un terzo degli abitanti).
La predominante etnica malese all’interno della quale i contadini poveri erano in maggioranza, fu corteggiata dai Giapponesi, nel quadro della loro politica che mirava a presentare la guerra antiamericana come una guerra di liberazione dell’Asia.

La resistenza antigiapponese in Malesia fu essenzialmente condotta dalla parte di popolazione di origine cinese. I britannici stabilirono una intensa collaborazione con il “Malayan Communist Party”, che nel corso del conflitto continuò incessantemente a rafforzarsi in numero d’uomini, in armamento e in organizzazione. Quando i giapponesi abbandonarono la Malesia, i comunisti rappresentavano la forza dominante, sia nella penisola che a Singapore.

Nell’aprile 1945, il Partito Comunista Malese  proclamò in chiaro che l’obiettivo della lotta armata consisteva nella “lotta per la liberazione nazionale” e nella creazione di un “esercito di liberazione” per la costituzione di una Repubblica Democratica Popolare alla fine delle ostilità.

Nel dicembre 1945, dopo la resa giapponese, i guerriglieri tornarono ai loro villaggi ma rifiutarono di farsi disarmare e si organizzarono politicamente nell’Associazione dei Veterani dell’APMAJ e nella Federazione dei sindacati pan-malesi.

Inoltre, circa 4.000 guerriglieri rimasero nascosti nella giungla, perfettamente armati e inquadrati. Nel 1945 la guerriglia comunista era in realtà la forza di potere decisiva in Malesia. Nel febbraio 1948 si verificò un’importante svolta con la Conferenza della Gioventù Asiatica di Calcutta. La repressione colonialista era stata scatenata in tutta l’Asia. La parola d’ordine dell’insurrezione armata fu lanciata a Calcutta e raccolta dal Partito Comunista Malese. La federazione dei sindacati pan-malesi organizzò una raffica di scioperi. La guerriglia antibritannica raggiunse uno sviluppo notevolissimo. 5.000 guerriglieri restarono alla macchia nella giungla a tempo pieno e 9.000 partigiani agivano in funzione di truppe di sostegno.

I 14.000 uomini erano suddivisi in reparti organici che noi tenderemmo a chiamare “brigate”. Il 95% di queste 12 “brigate” era costituito da combattenti di etnia cinese; solo la decima brigata, che agiva nella provincia di Pahang, era composta da 300 malesi musulmani. Le azioni armate dell’ANLM erano sostenute dal movimento popolare “Min Yuen”, che ne costituiva la logistica, per il rifornimento dei guerriglieri di alimenti, medicamenti e fondi, per le informazioni.

La tattica del PCM consistette nell’applicazione di un terrorismo senza sfumature contro i Britannici e i loro sostenitori. Gli Inglesi sfruttarono questa tattica errata per dividere Cinesi da Malesi e per alimentare nei Malesi risentimento e paura. Nell’ottobre 1951 il Comitato Centrale prese coscienza che l’insurrezione stava andando incontro alla sconfitta e decise un cambiamento di strategia. I guerriglieri si ritirarono nelle regioni montagnose mentre il movimento popolare ricevette la direttiva di agire soprattutto sul piano della propaganda.
Gli Inglesi usarono una tattica spietata e in 12 anni di lotta giunsero quasi a sterminare la guerriglia cino-malese. Nel 1955 apparve evidente che la lotta armata era fallita e i superstiti dell’ANLM ripiegarono all’estremo sud della Thailandia.
La repressione inglese fu l’unico successo pieno ottenuto dai colonialisti occidentali in Asia e ha continuato a essere studiata come un modello di contro-guerriglia nelle accademie occidentali. Era basata sul principio di frantumare le unità guerrigliere, isolarle in piccoli gruppi e distruggerle con forze soverchianti.
Tutta la popolazione suscettibile di fornire aiuto alla guerriglia venne concentrata in 480 campi sorvegliati, spopolando le campagne. I lavoratori delle piantagioni furono obbligati a vivere, dopo il lavoro, in villaggi posti sotto sorveglianza militare.

La Birmania offre un altro esempio dei meccanismi rivoluzionari: paese molto ricco di risorse (legno di tek, rubini, piombo, rame, zinco, tungsteno) era considerata uno dei gioielli della corona inglese, ed era governata con mano di ferro.
Un’agitazione per l’indipendenza era in atto in Birmania fin dal 1931. La resistenza anti inglese era animata dagli strati intellettuali della società indigena, espressione principalmente del desiderio della borghesia birmana di strappare agli Inglesi lo sfruttamento delle ricchezze del paese. Nelle campagne i contadini erano invece in movimento per la riforma agraria. Al loro interno andavano rapidamente radicandosi i movimenti di ispirazione comunista.
Quando i Giapponesi invasero la Birmania nel 1942 non vi fu una resistenza propriamente birmana. Solo le popolazioni di frontiera, al nord, al centro e al sud, non propriamente birmane, che erano state artificiosamente annesse alla Birmania dall’amministrazione coloniale britannica, i Karen a est di Rangoon, gli Shan a nord-ovest, i Cachin e i Chin alla frontiera con l’India, opposero una accanita resistenza agli invasori giapponesi. I Birmani propriamente detti, o per meglio dire le classi abbienti birmane accettarono globalmente i vantaggi della politica di “co-prosperità” giapponese che offriva la possibilità di accedere, almeno formalmente, a una parvenza di indipendenza. Fu cosi formato anche un governo birmano filo giapponese che dichiarò guerra alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti.

Se la politica filo giapponese trovò successo negli strati superiori della società birmana, lasciò indifferenti gli strati interiori. I contadini erano contro tutti i colonialismi, sia quello giapponese che quello inglese, poiché il colonialismo era ciò che impediva la riforma agraria.
Nel 1944 gli alleati occidentali intrapresero la riconquista della Birmania con un corpo di spedizione di 750.000 uomini composto di truppe inglesi, americane, di due divisioni cinesi nazionaliste addestrate in India, di mercenari gurka e coscritti indiani. La nuova situazione diede luogo alla nascita di un forte movimento contro l’occupazione angloamericana, che assunse tutta le caratteristiche di una guerra di liberazione nazionale.

La borghesia birmana capì che era giunto il momento di approfittare delle contraddizioni anti-imperialistiche per ottenere l’indipendenza e i contadini compresero che occorreva costituire una forza armata popolare. Il generale Aung San, che era stato ministro della guerra nel governo birmano filo giapponese, fondò la “Lega Popolare Antifascista per la Libertà” attorno alla quale si agglomerarono successivamente tutte le forze moderate birmane.

Quando dopo il ritiro dei Giapponesi dalla Birmania, la forza d’occupazione anglo-cino-americana viene sciolta e ritirata, la situazione birmana sfuggì a qualsiasi possibilità di controllo da parte dell’impero inglese e nel settembre del 1947 Londra si rassegnò a dare alla Birmania lo statuto di Stato sovrano. Le elezioni del 9 aprile 1947 furono boicottate dai partiti nazionalisti regionali ed etnici e comunisti, e furono perciò poco o nulla rappresentative. Gli scarsi elettori portarono al potere la “Lega Popolare Antifascista per la Libertà”, contro la quale si produsse subito una intensificazione in tutta la Birmania delle guerriglie etniche. Il generale Aung San, fu assassinato subito dopo le elezioni: l’azione repressiva dei militari di Rangoon ha avuto ragione della resistenza armata comunista solo nelle regioni centrali della Birmania del fiume Iravadi, del Pegu e dell’Arcan. Per decenni l’immutato governo dittatoriale di Rangoon ha dovuto fronteggiare una quindicina di eserciti ribelli che controllavano circa un terzo della Birmania.
La Thailandia fa eccezione nel quadro. Sfuggita alla colonizzazione diretta occidentale la Thailandia era nel 1940 un paese retto, a partire dal 1933, da una elite aristocratica rigidamente nazionalista che fu attratta dal programma giapponese della “ grande area di prosperità” e firmò un trattato di alleanza con il Giappone, e nel gennaio 1942 dichiarò guerra alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti. Un esercito tailandese di 90.000 uomini partecipò a fianco dei giapponesi alla conquista della Birmania. L’alleanza con i Giapponesi portò la Thailandia ad annettersi, durante la guerra, 70.000 chilometri quadrati di territorio laotiano e cambogiano, quattro province malesi e il territorio birmano abitato dalla popolazione Shan. La Thailandia non subì l’occupazione giapponese. Alla fine della guerra l’elite dirigente tailandese operò un perfetto voltafaccia in senso filo occidentale, allineandosi agli interessi Inglesi e americani, sfruttando la sua preziosa posizione strategica di baluardo reazionario giusto al centro di tutta la regione in rivolta (Birmania, Malesia, Indocina). La Thailandia ufficiale passò così dal campo giapponese al campo occidentale senza subire danni.
Il Vietnam fino al 1944 fu posto sotto le direttive del governo di Vichy. Spontaneamente un po’ in tutto il Vietnam nacquero nuclei di resistenza, che per inesperienza rischiarono di farsi sterminare da Giapponesi e Francesi uniti. Ho Chi Minh intervenne per impedire le rivolte isolate. Istituì un comando centrale, al confine con la Cina e intraprese l’organizzazione capillare della resistenza armata. Nel 1944, quando si fece palese che i Giapponesi avrebbero perduto la guerra, Ho Chi Minh affidò a Vo Nguyen Giap il compito di organizzare una grande forza armata per la lotta decisiva contro il colonialismo.

Giap creò i reparti di “propaganda armata” che si affiancarono alle “Unità per la Liberazione della Patria” e creò in ogni villaggio i “comitati di autodifesa”. Il tutto costituì l’”Esercito per la Liberazione del Vietnam”. Politicamente tutti gli elementi rivoluzionari furono raggruppati nella “Vietnam Doc Lap Dong Minh”, cioè la “Lega per l’indipendenza del Vietnam”, conosciuta come Viet Minh.
Nel marzo del 1945 i Giapponesi attaccarono e disarmarono le guarnigioni francesi sospettate di seguire gli ordini degli alleati. La rivoluzione vietnamita veniva automaticamente spinta nella fase finale. Il 24 luglio 1945, quando già il Giappone era in procinto di arrendersi, il governo di Tokio emise una dichiarazione formale proclamando l’indipendenza del Vietnam e trasferendo il potere all’imperatore Bao Dai.

Dopo la seconda atomica, quella di Nagasaki, il 10 agosto la radio giapponese annunciò che il Giappone era pronto a capitolare. Lo stesso 10 agosto Ho Chi Minh fu eletto presidente del governo provvisorio del Vietnam, e venne lanciato l’ordine di insurrezione generale. Agli ordini di Nguyen Giap, comandante militare, le unità dell’esercito popolare uscirono dalle foreste ed irruppero nei territori fin li occupati da Giapponesi e Francesi impadronendosi di un grande bottino di armi e munizioni, che furono subito distribuite al popolo. Contemporaneamente le “Brigate di propaganda” promossero manifestazioni di massa ad Hanoi, nella città imperiale di Hue e a Saigon.
Il 26 agosto l’imperatore Bao Dai abdicò compiendo in modo ufficiale e solenne il gesto pubblico di consegnare il “sigillo imperiale di Stato” all’inviato del governo provvisorio di Ho Chi Minh. Fatto di grande significato poiché:

a) legittimò giuridicamente il potere del nuovo governo;

b) agli occhi di quella parte dei vietnamiti ancora chiusi nella tradizione confuciana, il “mandato del cielo” passò direttamente dall’imperatore ai comunisti e assicurò la legale continuità del potere statale.
Il 2 settembre infine, mentre a bordo della corazzata Missouri gli Americani ricevevano a Tokio la capitolazione giapponese, ad Hanoi Ho Chi Minh proclamava la nascita della Repubblica democratica del Viet Nam.
Il Viet Nam fu il primo paese ex coloniale che raggiunge insieme i due obiettivi, quello di scrollarsi di dosso l’oppressione coloniale, quello di raggiungere l’indipendenza come Stato e quello di porre le basi di un regime di uguaglianza sociale.
Quello vietnamita è stato un modello insuperato di strategia e di tattica rivoluzionaria.
Le Filippine furono occupate dai  Giapponesi fra il dicembre del 1941 e l’aprile del 1942, e giocarono con la borghesia filippina la carta della “grande prosperità”.

La maggior parte della classe dirigente filippine si mostrò pronta a collocarsi nell’orbita giapponese. La resistenza fu esclusivamente popolare, in specie contadina, in quanto le truppe giapponesi si sostenevano con requisizioni e razzie dei raccolti e i contadini erano nella necessità di difendersi.
La resistenza popolare cominciò a prendere forma nel marzo del 1942 come movimento Huk, abbreviazione della parola “Hukhalahap”, che significa Eserciti di Liberazione. Il movimento si estese rapidamente e al termine della guerra gli Huk disponevano di una forza armata di oltre 100.000 uomini. Gli americani avevano inizialmente sostenuto gli Huks per indebolire i Giapponesi, ma si resero rapidamente conto che a guerra finita gli Huks avrebbero rappresentato un pericolo per il colonialismo. Prima ancora che la guerra finisse, nelle zone sotto loro controllo gli Huks avevano stabilito, per la prima volta nella storia filippina, delle istituzioni democratiche nei villaggi, lo sfruttamento in comune delle terre senza padrone, il sequestro dei raccolti dei proprietari feudali pro-imperialisti.
Gli Americani iniziarono il doppio gioco contro gli Huks già a meta del 1944 e dopo il termine della guerra scatenarono la guerra aperta contro gli Huks che rifiutarono di lasciarsi disarmare. Una guerra che non è mai terminata, perché la guerriglia Huks, fra alti e bassi è proseguita per decenni.
Il nazionalismo borghese filippino segui una diversa strada. Una parte legata agli interessi americani si limitò ad attendere il ritorno degli Stati Uniti. Una parte si schierò a fianco dei Giapponesi e formò un governo collaborazionista. Nell’autunno del 1944 gli Americani intrapresero la riconquista delle Filippine che fu compiuta in nove mesi.
L’Indonesia era caratterizzata da un movimento di liberazione dal colonizzatore olandese il cui  leader Suekarno, imprigionato dagli Olandesi, fu liberato dai Giapponesi nel 1942.

In Indonesia i Giapponesi giocarono fino il fondo la carta dell’”area di grande prosperità”. Fin dall’inizio della loro occupazione (dicembre 1941-gennaio 1942) lasciarono una certa autonomia ai nazionalisti e pochi giorni prima della capitolazione, il 14 agosto 1945, proclamarono l’indipendenza dell’Indonesia con presidente Suekarno, con l’evidente scopo di strappare l’Indonesia alla dominazione olandese. Con le armi lasciate dai Giapponesi, il nuovo governo indonesiano armò subito un esercito di 300.000 uomini.

Dopo la proclamazione dell’indipendenza i comunisti appoggiarono Suekarno, che poteva essere definito un nazionalista radicale. Ma il colonialismo occidentale non aveva alcuna intenzione di rinunciare alla colonia Indonesia. Già nel settembre 1945 gli Inglesi intrapresero la riconquista delle “Indie Olandesi” cominciando dal Borneo. Non incontrarono alcuna resistenza nel Borneo settentrionale, già colonia britannica, e nel Sarawak. Ma nelle sei settimane trascorse dal crollo giapponese i nazionalisti di Suekarno appoggiati dai comunisti si erano nel frattempo organizzati nominando un primo ministro socialista, un presidente simbolo dell’unità, Suekarno, strutturando il nuovo stato e rafforzando l’esercito.
Gli Inglesi temporeggiarono in attesa degli Olandesi che impiegarono due anni a concentrare le forze di 140.000 uomini per riconquistare la colonia. Partirono all’attacco nel 1947. La lotta contro gli olandesi fu il momento dell’espansione del PKI. Gli Olandesi furono alla fine obbligati a concedere l’indipendenza alla colonia indonesiana.
Timor-est era una colonia portoghese, la sua posizione geografica ne faceva un trampolino di lancio naturale per una eventuale invasione giapponese dall’Australia. I Giapponesi vi sbarcarono una forza di invasione di 20.000 uomini nel 1942. I Portoghesi non opposero alcuna resistenza, secondo gli ordini ricevuti da Lisbona. La popolazione, cogliendo l’occasione di indebolire il colonizzatore, si schierò unanimemente contro i Giapponesi appoggiando la piccola forza guerrigliera di 400 uomini installata a Timor-Est dagli australiani.

La lotta armata antigiapponese produsse un impatto notevole sull’evoluzione politica degli abitanti di Timor-Est. I Giapponesi applicarono metodi feroci e gli abitanti di Timor-Est subirono perdite proporzionalmente disastrose: circa 60.000 morti, cioè il 13% della popolazione. Molti villaggi e paesi furono distrutti.
Dopo la resa giapponese, gli Australiani riconsegnarono Timor-Est ai Portoghesi, i quali si vendicarono sugli “indigeni” imponendo loro il lavoro forzato ed esercitando l’autorità coloniale in modo brutale. Al momento del crollo della dittatura fascista in Portogallo nel 1974, i militari indonesiani occuparono Timor-Est facendo ripiombare questo territorio nella guerriglia, che dura ancor oggi. Gli abitanti di Timor-Est sono in guerriglia ininterrottamente da cinquantadue anni.
La Corea era stata sottoposta al dominio coloniale giapponese per 40 anni, a partire dal 1905.
Fu coinvolta direttamente nella guerra nel 1945 quando i Sovietici, provenendo da nord, prolungando l’avanzata dopo aver occupato la Manciuria, la presidiarono fino all’altezza del 38º parallelo, secondo gli accordi con gli alleati, mentre gli Americani, sbarcando da sud, occuparono l’altra metà fino al 38º parallelo sbarcandovi l’8 settembre 1945.
Nella zona sovietica, il comando militare pose il governo nelle mani dei comunisti che subito distribuirono le terre ai contadini confiscandole ai proprietari giapponesi e ai coreani che avevano collaborato con i nipponici. Gli Americani arrivarono in Corea con un presidente anticomunista già confezionato, Singhman Rhee. Lo scontro fra rivoluzione e reazione capitalista in Corea assunse subito il valore di una questione di principio e porterà in breve allo scontro armato.

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Un fenomeno analogo a quello che si è prodotto in Asia si è verificato in Africa e in Medio Oriente. Il processo di trasformazione ha seguito lo stesso iter che in Asia. La guerra mondiale ha coinvolto tutte le colonie europee in Africa.  Nella guerra di difesa della cosiddetta Africa Orientale italiana, Etiopia, Eritrea e Somalia, gli italiani armarono e gettarono nella mischia 200.000 uomini di truppe coloniali. Le contraddizioni della guerra strapparono Libia, Etiopia, Somalia ed Eritrea al dominio del colonialismo italiano e le misero sulla via dell’indipendenza.
La Libia divenne campo di battaglia per tre anni fra Inglesi e italo-tedeschi e fu occupata dagli Inglesi. Durante la guerra si era formato in Egitto un corpo militare libico rafforzato da volontari arabi che operò concretamente contro le truppe italiane nel quadro dell’ottava armata inglese.
Questi combattenti antitaliani costruirono l’ossatura dell’indipendenza libica., la cui proclamazione fu peraltro laboriosa. Le compagnie petrolifere ango-franco-americane non volevano al potere rivoluzionari che nazionalizzassero il petrolio.
Madagascar fu occupato dagli Inglesi nel maggio del 1942 con un corpo di spedizione di 10.000 uomini con il pretesto strategico di proteggere il traffico navale del canale del Mozambico. Fra il maggio e la fine di ottobre gli Inglesi liquidarono le forze francesi fedeli al regime filotedesco del maresciallo Petain. Riconsegnarono poi il Madagascar alla Francia di De Grulle. Ma nel frattempo la resistenza anticolonialista malgascia, organizzata nel Movimento Democratico del Rinnovamento Malgascio, era ormai divenuta una forza capace di condurre alla fine della guerra una interruzione generale. I francesi tentarono di soffocarla con una vera guerra di sterminio a base di massacri. I Malgasci subirono oltre 80.000 morti.
In Marocco nel 1943 il nazionalismo marocchino unito nel Partito Unico dell’Indipendenza (ISTIOLAL) era in movimento per ottenere l’indipendenza. La resistenza del Marocco al colonialismo francese aveva già dato luogo a una guerra lunga e sanguinosa che era terminata solo nel 1934. La repressione francese fu durissima e il simbolo ne resta il massacro di Rabat e Fes per reprimere una sollevazione popolare antifrancese nel gennaio-febbraio 1944, seguito poi da vari altri massacri.
In Algeria l’attività indipendentista era già stata messa fuori legge nel 1939 e l’agitazione nazionalista si manifestò in modo scoperto nel maggio 1945, con manifestazioni represse con assurda durezza dalle truppe francesi. A Setif nella regione di Costantina, le manifestazioni si trasformarono in rivolta armata. Nello spazio di due mesi (maggio giugno) la repressione francese causò 45.000 morti fra gli Algerini. Questo massacro segnò l’inizio di una guerra lunga e spietata terminata con la sconfitta francese.
In Tunisia nel novembre 1942 iniziò l’occupazione di tedeschi e italiani fino al maggio 1943. In questo periodo il movimento nazionalista tunisino ebbe la possibilità di organizzarsi praticamente allo scoperto. Dopo la rioccupazione alleata il governo francese operò una profonda e radicale epurazione nell’intento di distruggere il nazionalismo tunisino provocando una serie di rivolte tutte duramente represse. Il capo del partito Uabib Burguiba si rifugiò al Cairo.
Il Senegal era controllato dalle forze di Vichy e fu oggetto di un fallito tentativo di riconquista da parte di un corpo di spedizione anglo-gollista appoggiato da una parte della flotta britannica con due corazzate. Gli inglesi bombardarono Dakar producendo numerose vittime tra i civili europei e africani, ma furono respinti dal fuoco dell’artiglieria costiera che danneggiò le corazzate e perdettero 19 aerei.
Nel 1942, nel momento dell’invasione dell’Africa del Nord, gli Americani imposero al governatore antigaullista Boisson di poter utilizzare Dakar come base per la loro flotta. In tal modo il Senegal e tutta l’Africa Occidentale francese (oltre al Senegal, la Guinea francese, la Costa D’Avorio, il Dahomey, il Ciad, la Mauritania e il Niger) tornarono sotto l’autorità della Francia gollista. Ma in tutti questi paesi era in atto la rivolta anticolonialista.
Le vicende della guerra avevano ormai determinato il crollo della credibilità imperiale francese e distrutto il mito dell’invincibilità del colonialismo. Le popolazioni manifestavano apertamente una esigenza di indipendenza. La reazione francese si espresse sotto forma di una serie di massacri.
Il dicembre 1944, alcune centinaia di “Tirailleurs Senegalais” fucilieri senegalesi, un corpo coloniale dell’esercito francese, liberati dai campi di prigionia tedeschi, sbarcati qualche giorno prima a Dakar, si trovavano concentrati nel campo di Thiaroye. Reclamavano le paghe arretrate e la smobilitazione e organizzarono una manifestazione. L’esercito francese intervenne e aprì il fuoco uccidendone 60 e ferendone decine altri. Molti dei superstiti furono poi processati e condannati e restarono in carcere fino al 1947. Questa fu una specie di repressione preventiva, seguita da una serie di 17 altri massacri nei diversi paesi in rivolta nell’impero coloniale francese in Africa.

Il Congo Belga fu coinvolto a sua volta nel processo evolutivo generato dalla guerra. Ma il Congo Belga era troppo importante per la strategia militare occidentale in quanto produttore dell’uranio necessario alla fabbricazione delle armi atomiche. Nel 1942 gli Stati Uniti lo presero sotto la propria tutela. Dalla lotta politica contro il colonialismo occidentale usci uno dei grandi eroi africani, PATRICE LUMUMBA; assassinato poi da Mobutu il 17 gennaio 1961.

Il Libano era occupato dalla Francia come eredità dello smembramento dell’impero turco nel 1919. Nel 1943 i libanesi erano in armi contro gli occupanti francesi. Nel maggio 1945, lo sbarco di nuove truppe francesi portò alla insurrezione armata. Si produsse un conflitto sanguinoso con centinaia di morti, bombardamenti aerei e di artiglieria. I Francesi dovettero infine piegarsi e abbandonare il levante. Nel 1945 c’era dunque una rivoluzione armata in Libano che coinvolse anche la Siria.
In Iraq erano invece gli Inglesi che dal dopo la 1° guerra 1914-18 “proteggevano” le zone petrolifere gestite dall’Anglo-Iranian Oil Company. L’Iraq era stato conquistato dagli Inglesi nel corso di questa guerra con un corpo di spedizione formato in gran parte da truppe coloniali. Nel 1941, allo scoppio della seconda guerra mondiale, elementi antibritannici presero il potere a Baghdad e gli Inglesi concentrarono truppe a Bassora. La resistenza nazionalista fu vinta e le forze britanniche ripresero il controllo di tutto il paese stabilendo basi aeree e navali e presidi terresti.
Alla fine della guerra, con il graduale ritiro delle truppe britanniche, l’agitazione nazionalista riprese in grande stile. L’Iraq nel 1945 si trovava anch’esso in una situazione rivoluzionaria, che condusse più tardi gli Inglesi al ritiro definitivo.
Nel 1945 esisteva una situazione rivoluzionaria anche in Kurdistan e nel nord dell’Iran. Nel 1941 l’Iran fu occupato contemporaneamente da forze angloamericane e sovietiche. La nuova situazione consentì un rapido sviluppo del partito comunista Tudeh.  Le forze d’occupazione sovietiche favorirono l’organizzazione di forza autonomista e progressiste nell’Azerbajgian iraniano, nel Nord dell’Iran e nel Kurdistan iraniano, dove si formarono due repubbliche autonome. Ma nel 1946 i due movimenti rivoluzionari subirono una dura repressione.