Negli anni precedenti la 2° guerra
mondiale e in quelli che
immediatamente la seguirono si
crearono i presupposti o si
scatenarono le lotte per
l’indipendenza di più di 60 paesi
coloniali, in Asia e in Africa, dove
il coinvolgimento nella guerra aveva
creato nuove idee liberiste.
Il momento centrale di questo
processo è stato il periodo
1945-1957. In questi anni, lo
scontro tra le forze colonialiste e
i movimenti di liberazione creò i
presupposti di tutto lo sviluppo
futuro.
La rivolta dei popoli dopo il 1945
ha dischiuso la via allo sviluppo
naturale delle popolazioni del Terzo
Mondo.
Questo il quadro della situazione
coloniale nel 1939.
In Asia, in Africa e in Oceania,
fatta eccezione per l’Australia, la
Nuova Zelanda e il Sud Africa, tutti
gli altri territori erano
interamente soggetti al colonialismo
europeo, americano e giapponese.
La Cina era invasa dai giapponesi.
La Manciuria era occupata dai
giapponesi.
La Corea era giapponese.
Il Vietnam, il Laos e la Cambogia
erano sotto autorità francese.
La Birmania era britannica.
L’india (che comprendeva gli attuali
Pakistan e Bangladesh) era una
colonia britannica.
La Malesia era colonia inglese.
Le Filippine erano sotto dominio
americano.
L’Indonesia era colonia olandese.
In Medio Oriente, la Palestina era
protettorato inglese.
Il Libano era protettorato francese.
La Siria ugualmente.
L’Irak era sotto dominio inglese.
In tutto il Golfo Persico dominavano
gli inglesi anche quando, come nel
caso dell’Arabia Saudita, era stato
creato uno Stato indipendente.
In Africa, l’Eritrea, l’Etiopia, la
Somalia erano colonie italiane.
Il Somaliland era colonia inglese.
Il Kenia, l’Uganda, il Tanganika
erano colonie portoghesi.
La Rhodesia (oggi Zimbabwe) e lo
Zambia erano colonie inglesi.
Il Madagascar era colonia belga.
Il Sudan era colonia inglese.
Sull’Egitto gravava la “protezione”
britannica.
La Libia era colonia italiana.
Tunisia, Algeria e Marocco erano
francesi.
Guinea francese, Mauritania,
Senegal, Costa D’Avorio, Dahomei,
Togo Niger e Ciad costituivano
l’Africa equatoriale francese.
Sierra Leone, Ghana e Nigeria erano
colonie inglesi.
La Liberia era sotto protettorato
americano.
Il Cameroun, il Gabon, il Congo
Brazzavile erano colonie francesi.
Su questa situazione la seconda
guerra mondiale fu una irresistibile
furia sconvolgitrice.
Conviene puntualizzare
schematicamente i meccanismi che, in
soli sei anni, hanno innescato, dopo
quattro secoli e mezzo, il processo
di trasformazione delle ex colonie:
>>>
I soldati coloniali chiamati a
partecipare alla guerra antinazista
proclamata come guerra per la
libertà, dopo la fine della guerra
rappresentarono una potente spinta
alla rivolta. Avevano combattuto per
la libertà e volevano la libertà.
>>> I partigiani che avevano
combattuta le guerre di guerriglia
in Europa contro i tedeschi e in
Asia contro i giapponesi, a guerra
finita si trovarono con le armi in
mano e non si lasciarono disarmare.
>>> In Asia i giapponesi
avevano scatenato la guerra sulla
base di una dottrina, quella
dell’”area di grande prosperità” ,
che nascondeva la volontà di
sostituire la colonizzazione
giapponese a quella occidentale. A
guerra perduta, in extremis,
sfruttarono gli ultimi residui di
autorità per consegnare il potere
locale nelle mani delle borghesie
indigene, proclamando i paesi
indipendenti. Con ciò impressero una
dinamica violenta alla ribellione
contro il dominio coloniale europeo.
Dalle seguenti cifre si capisce
l’importanza assunta dalla
partecipazione di truppe reclutate
nelle colonie alla guerra mondiale:
Nel marzo del 1940 la Francia aveva
alle armi 340.000 soldati
nordafricani e 110.000 nelle altre
colonie. Alla guerra sul suolo
francese parteciparono 8 divisioni
di truppe coloniali. Dopo il 1940
per continuare la lotta nelle
colonie i francesi reclutarono altri
60.000 uomini nell’Africa orientale
(Senegal, Oubangui, Cameroun) e
nell’Africa equatoriale francese che
furono poi impiegati sul fronte
atlantico, in Provenza, in Alsazia
ecc. Nella famosa divisione Leclerc
i soldati coloniali erano in
maggioranza rispetto agli europei.
Solo nella fase iniziale della
guerra, fino al momento
dell’armistizio nel 1940, 24.270
soldati coloniali e 4.350 malgasci
erano caduti sul campo.
L’Inghilterra fece un ricorso ancora
maggiore della Francia alle truppe
coloniali. Per mettere insieme un
esercito per combattere contro gli
italiani in Etiopia, Eritrea e
Somalia, i britannici reclutarono
truppe in Tanganika, in Kenia, in
Uganda, nel Nyassaland e in
Rhodesia.
Gli africani arruolati dagli Inglesi
furono 372.000. I reggimenti
coloniali esistenti nel 1939 furono
rafforzati costituendo nuove unità:
3 brigate di truppe nigeriane; 2
brigate della Costa D’Avorio; 1
brigata della Sierra Leone; 1
brigata del Gambia.
Nel 1943 queste brigate formarono la
ottantunesima divisione e la
ottantaduesima divisione.
Dopo essere state impiegate in
Africa Orientale italiana queste
truppe furono impiegate su altri
fronti: in Africa del nord, in
Italia, poi sui fronti asiatici, in
particolare in Birmania.
Soltanto in India gli Inglesi
reclutarono e armarono 2 milioni di
uomini. Gli indiani alla data
dell’agosto 1945 avevano subito
180.000 fra morti e feriti. Gli
indiani furono impiegati
dappertutto, in Europa, in Medio
Oriente, in Africa, in Asia. La
quarta divisione indiana, fu
impiegata in Eritrea, in Siria, in
Libia, in Tunisia, in Italia e in
Grecia. Nelle varie campagne
perdette 25.000 uomini. In Italia
6.000 soldati indiani furono uccisi
nei combattimenti contro i tedeschi.
In una sola battaglia nel sud est
asiatico morirono 32.000 soldati
indiani.
Si può comprendere come i
combattenti coloniali siano tornati
a casa con nuove idee alla fine
della guerra. Erano stati chiamati
a combattere contro tedeschi,
italiani e giapponesi in nome della
libertà e a guerra finita i popoli
coloniali cominciarono a esigere la
libertà.
Ma soprattutto, a differenza di ogni
precedente occasione di rivolta, gli
oppressi erano bene armati. Avevano
recuperato armi nel corso della
guerra in grandi quantità; erano
addestrati al combattimento moderno;
in più avevano acquisito per la
prima volta da 450 anni esperienza
di guerra e di guerriglia. Nel 1945
colonizzati in rivolta e
colonialisti repressori si sono
trovati con le stesse armi in mano,
fucili, mitragliatrici, bazooka,
bombe a mano, mine, artiglieria.
Vediamo più a fondo la situazione in
Asia e in Africa nel 1945.
I
Giapponesi attuarono la
conquista dell’Asia nei “duecento
giorni di vittorie” (ricordiamo che
per completarla mancavano loro
soltanto l’occupazione della Nuova
Guinea e l’invasione
dell’Australia). Il problema in quel
momento fu l’insufficienza delle
forze giapponesi contro una
eventuale rivolta dei paesi occupati
dove erano presenti oltre 400
milioni di abitanti. I Giapponesi
ricorsero quindi al tentativo e di
associare i popoli asiatici alla
lotta contro il colonialismo
occidentale, sfoderando un programma
detto di “creazione di un’area di
grande prosperità asiatica” dopo il
rovesciamento del dominio coloniale
inglese, francese, americano e
olandese.
L’India era una colonia
inglese. Il 3 settembre 1939 il
viceré inglese annunziò con un breve
comunicato che l’India era entrata
in guerra a fianco dell’Inghilterra.
Furono arruolati
2 milioni di
sudditi indiani e mandati a
combattere sui vari fronti.
La partecipazione delle truppe
indiane alla guerra inglese non
destò che scarsa risonanza nelle
masse indiane, abituate a
considerare i soldati indiani
inquadrati nell’esercito britannico
come mercenari. Ma sul piano
politico generale innescò il
processo che dopo 9 anni di lotte
portò allo smembramento dell’India e
all’indipendenza. Infatti il Partito
de Congresso di Ghandi colse
l’opportunità storica che gli si
presentava. Già nel marzo 1940 i
partiti indiani presero posizione
contro il coinvolgimento indiano
nella guerra dichiarando formalmente
che l’India era stata trascinata in
guerra senza essere stata
consultata. Ghandi rifiutò il suo
appoggio all’Inghilterra, richiese
l’immediata convocazione di una
Assemblea Costituente ed
l’indipendenza assoluta.
Il movimento nazionalista indiano
aveva come massimo esponente Ghandi.
Ma una parte del Movimento del
Congresso passò dalla parte dei
giapponesi, guidata da Chandra Bose
che per tutta la durata della guerra
continuò a incitare con tutti i
mezzi gli indiani alla rivolta
promettendo libertà all’India. Il
Giappone cercò di influire sulla
situazione interna indiana
organizzando gli elementi indiani
anti-inglesi riparati all’estero. Si
formò, sotto gli auspici del
Giappone, un esercito composto di
indiani residenti in Malesia e in
altre regioni sotto controllo
giapponese, di prigionieri di guerra
e di disertori, Dopo l’occupazione
della Birmania nel marzo del 1944, i
giapponesi entrarono in contatto
diretto con il territorio indiano e
tentarono di scagliare questo
esercito raccogliticcio guidato da
Bose contro l’India invadendo lo
stato di Manipur. L’operazione
riuscì a tagliare le comunicazioni
fra il Manipur e il resto
dell’India. Ma la controffensiva
inglese respinse gli invasori
nippo-indiani oltre la frontiera
birmana.
L’India è un paese complesso fatto
di 25 Stati e 6 territori, nei quali
si parlano 15 lingue ufficiali e fra
le 3.000 e le 5.000 lingue e
dialetti non riconosciuti. In India
il peso delle religioni è enorme.
L’influenza delle idee del marxismo
rivoluzionario e la sua diffusione
fra le masse era assai ridotta. Lo
sviluppo dei partiti comunisti si è
fatalmente adattato alle condizioni
regionali e ne è risultato molto
limitato.
I 340 milioni di abitanti dell’India
sono usciti dal controllo diretto
del colonialismo inglese dal 15
agosto 1947 dopo le lunghe campagne
di disobbedienza pacifica di Gandhi.
La Cina inizia la lotta
armata nel 1934 con la “lunga
marcia” dei comunisti cinesi che
aveva un obiettivo esplicito: fare
della Cina un paese socialista.
Gli effettivi dell’Armata Rossa, che
erano di 92.000 uomini nel 1937,
erano diventati 475.000 nel 1944 e
crebbero vorticosamente nella fase
finale del conflitto.
Le “Milizie del popolo”, forze
rivoluzionarie ausiliarie, contavano
già nel 1944 2.130.000 uomini.
Erano armate in modo sommario ma
avevano portato al livello dell’arte
l’uso delle bombe a mano e degli
esplosivi.
Inoltre i comunisti cinesi avevano
formato un corpo da autodifesa
chiamato “Associazione Popolare di
Resistenza ai Giapponesi”, che
metteva in atto forme elementari di
resistenza e rudimentali azioni
offensive di ogni genere (contro le
trasmissioni, i trasporti, i
rifornimenti nemici).
Già nel 1942 l’”Associazione”
contava ben 16 milioni di uomini e
donne che aumentarono ancora fino al
1945.
L’assoggettamento economico della
Cina poteva essere un obiettivo
americano in Asia: l’immenso mercato
cinese avrebbe consentito uno
sviluppo illimitato al capitalismo
statunitense. Così si può
comprendere l’accanimento americano
nel contrastare l’avanzata della
rivoluzione cinese.
Nell’ultima fase del conflitto,
quando ormai era certo che il
Giappone sarebbe stato sconfitto
dagli anglosassoni, Ciang Kai Shek
smise di attaccare i Giapponesi e
concentrò tutte le sue migliori
truppe, addestrate dagli Americani,
e tutto il meglio del suo armamento
americano, artiglieria, aviazione e
carri armati, contro l’Armata Rossa
nell’inutile tentativo di
arrestarla.
In Malesia nel 1945 la
situazione si presentava ugualmente
sull’orlo di uno sbocco
rivoluzionario. I Giapponesi avevano
occupato la penisola di Malacca in
50 giorni nel dicembre 1941. I
britannici, fatto saltare il ponte
che univa l’isola di Singapore al
continente, tentarono un’ultima
resistenza a Singapore poi
capitolarono. All’epoca la Malesia
era uno Stato a composizione mista.
A Singapore la popolazione era
costituita da 120.000 malesi,
750.000 cinesi, oltre a 70.000
indiani e 9.000 europei.
Nell’insieme della Malesia, la
maggioranza era di origine malese ma
con una fortissima minoranza cinese
(più di un terzo degli abitanti).
La predominante etnica malese
all’interno della quale i contadini
poveri erano in maggioranza, fu
corteggiata dai Giapponesi, nel
quadro della loro politica che
mirava a presentare la guerra
antiamericana come una guerra di
liberazione dell’Asia.
La resistenza antigiapponese in
Malesia fu essenzialmente condotta
dalla parte di popolazione di
origine cinese. I britannici
stabilirono una intensa
collaborazione con il “Malayan
Communist Party”, che nel corso del
conflitto continuò incessantemente a
rafforzarsi in numero d’uomini, in
armamento e in organizzazione.
Quando i giapponesi abbandonarono la
Malesia, i comunisti rappresentavano
la forza dominante, sia nella
penisola che a Singapore.
Nell’aprile 1945, il Partito
Comunista Malese proclamò in chiaro
che l’obiettivo della lotta armata
consisteva nella “lotta per la
liberazione nazionale” e nella
creazione di un “esercito di
liberazione” per la costituzione di
una Repubblica Democratica Popolare
alla fine delle ostilità.
Nel dicembre 1945, dopo la resa
giapponese, i guerriglieri tornarono
ai loro villaggi ma rifiutarono di
farsi disarmare e si organizzarono
politicamente nell’Associazione dei
Veterani dell’APMAJ e nella
Federazione dei sindacati
pan-malesi.
Inoltre, circa 4.000 guerriglieri
rimasero nascosti nella giungla,
perfettamente armati e inquadrati.
Nel 1945 la guerriglia comunista era
in realtà la forza di potere
decisiva in Malesia. Nel febbraio
1948 si verificò un’importante
svolta con la Conferenza della
Gioventù Asiatica di Calcutta. La
repressione colonialista era stata
scatenata in tutta l’Asia. La parola
d’ordine dell’insurrezione armata fu
lanciata a Calcutta e raccolta dal
Partito Comunista Malese. La
federazione dei sindacati pan-malesi
organizzò una raffica di scioperi.
La guerriglia antibritannica
raggiunse uno sviluppo
notevolissimo. 5.000 guerriglieri
restarono alla macchia nella giungla
a tempo pieno e 9.000 partigiani
agivano in funzione di truppe di
sostegno.
I 14.000 uomini erano suddivisi in
reparti organici che noi tenderemmo
a chiamare “brigate”. Il 95% di
queste 12 “brigate” era costituito
da combattenti di etnia cinese; solo
la decima brigata, che agiva nella
provincia di Pahang, era composta da
300 malesi musulmani. Le azioni
armate dell’ANLM erano sostenute dal
movimento popolare “Min Yuen”, che
ne costituiva la logistica, per il
rifornimento dei guerriglieri di
alimenti, medicamenti e fondi, per
le informazioni.
La tattica del PCM consistette
nell’applicazione di un terrorismo
senza sfumature contro i Britannici
e i loro sostenitori. Gli Inglesi
sfruttarono questa tattica errata
per dividere Cinesi da Malesi e per
alimentare nei Malesi risentimento e
paura. Nell’ottobre 1951 il Comitato
Centrale prese coscienza che
l’insurrezione stava andando
incontro alla sconfitta e decise un
cambiamento di strategia. I
guerriglieri si ritirarono nelle
regioni montagnose mentre il
movimento popolare ricevette la
direttiva di agire soprattutto sul
piano della propaganda.
Gli Inglesi usarono una tattica
spietata e in 12 anni di lotta
giunsero quasi a sterminare la
guerriglia cino-malese. Nel 1955
apparve evidente che la lotta armata
era fallita e i superstiti dell’ANLM
ripiegarono all’estremo sud della
Thailandia.
La repressione inglese fu l’unico
successo pieno ottenuto dai
colonialisti occidentali in Asia e
ha continuato a essere studiata come
un modello di contro-guerriglia
nelle accademie occidentali. Era
basata sul principio di frantumare
le unità guerrigliere, isolarle in
piccoli gruppi e distruggerle con
forze soverchianti.
Tutta la popolazione suscettibile di
fornire aiuto alla guerriglia venne
concentrata in 480 campi
sorvegliati, spopolando le campagne.
I lavoratori delle piantagioni
furono obbligati a vivere, dopo il
lavoro, in villaggi posti sotto
sorveglianza militare.
La Birmania
offre un altro esempio dei
meccanismi rivoluzionari: paese
molto ricco di risorse (legno di
tek, rubini, piombo, rame, zinco,
tungsteno) era considerata uno dei
gioielli della corona inglese, ed
era governata con mano di ferro.
Un’agitazione per l’indipendenza era
in atto in Birmania fin dal 1931. La
resistenza anti inglese era animata
dagli strati intellettuali della
società indigena, espressione
principalmente del desiderio della
borghesia birmana di strappare agli
Inglesi lo sfruttamento delle
ricchezze del paese. Nelle campagne
i contadini erano invece in
movimento per la riforma agraria. Al
loro interno andavano rapidamente
radicandosi i movimenti di
ispirazione comunista.
Quando i Giapponesi invasero la
Birmania nel 1942 non vi fu una
resistenza propriamente birmana.
Solo le popolazioni di frontiera, al
nord, al centro e al sud, non
propriamente birmane, che erano
state artificiosamente annesse alla
Birmania dall’amministrazione
coloniale britannica, i Karen a est
di Rangoon, gli Shan a nord-ovest, i
Cachin e i Chin alla frontiera con
l’India, opposero una accanita
resistenza agli invasori giapponesi.
I Birmani propriamente detti, o per
meglio dire le classi abbienti
birmane accettarono globalmente i
vantaggi della politica di
“co-prosperità” giapponese che
offriva la possibilità di accedere,
almeno formalmente, a una parvenza
di indipendenza. Fu cosi formato
anche un governo birmano filo
giapponese che dichiarò guerra alla
Gran Bretagna e agli Stati Uniti.
Se la politica filo giapponese trovò
successo negli strati superiori
della società birmana, lasciò
indifferenti gli strati interiori. I
contadini erano contro tutti i
colonialismi, sia quello giapponese
che quello inglese, poiché il
colonialismo era ciò che impediva la
riforma agraria.
Nel 1944 gli alleati occidentali
intrapresero la riconquista della
Birmania con un corpo di spedizione
di 750.000 uomini composto di truppe
inglesi, americane, di due divisioni
cinesi nazionaliste addestrate in
India, di mercenari gurka e
coscritti indiani. La nuova
situazione diede luogo alla nascita
di un forte movimento contro
l’occupazione angloamericana, che
assunse tutta le caratteristiche di
una guerra di liberazione nazionale.
La borghesia birmana capì che era
giunto il momento di approfittare
delle contraddizioni
anti-imperialistiche per ottenere
l’indipendenza e i contadini
compresero che occorreva costituire
una forza armata popolare. Il
generale Aung San, che era stato
ministro della guerra nel governo
birmano filo giapponese, fondò la
“Lega Popolare Antifascista per la
Libertà” attorno alla quale si
agglomerarono successivamente tutte
le forze moderate birmane.
Quando dopo il ritiro dei Giapponesi
dalla Birmania, la forza
d’occupazione anglo-cino-americana
viene sciolta e ritirata, la
situazione birmana sfuggì a
qualsiasi possibilità di controllo
da parte dell’impero inglese e nel
settembre del 1947 Londra si
rassegnò a dare alla Birmania lo
statuto di Stato sovrano. Le
elezioni del 9 aprile 1947 furono
boicottate dai partiti nazionalisti
regionali ed etnici e comunisti, e
furono perciò poco o nulla
rappresentative. Gli scarsi elettori
portarono al potere la “Lega
Popolare Antifascista per la
Libertà”, contro la quale si
produsse subito una intensificazione
in tutta la Birmania delle
guerriglie etniche. Il generale Aung
San, fu assassinato subito dopo le
elezioni: l’azione repressiva dei
militari di Rangoon ha avuto ragione
della resistenza armata comunista
solo nelle regioni centrali della
Birmania del fiume Iravadi, del Pegu
e dell’Arcan. Per decenni
l’immutato governo dittatoriale di
Rangoon ha dovuto fronteggiare
una quindicina di eserciti ribelli
che controllavano circa un terzo della
Birmania.
La Thailandia fa
eccezione nel quadro. Sfuggita alla
colonizzazione diretta occidentale
la Thailandia era nel 1940 un paese
retto, a partire dal 1933, da una
elite aristocratica rigidamente
nazionalista che fu attratta dal
programma giapponese della “ grande
area di prosperità” e firmò un
trattato di alleanza con il
Giappone, e nel gennaio 1942
dichiarò guerra alla Gran Bretagna e
agli Stati Uniti. Un esercito
tailandese di 90.000 uomini
partecipò a fianco dei giapponesi
alla conquista della Birmania.
L’alleanza con i Giapponesi portò la
Thailandia ad annettersi, durante la
guerra, 70.000 chilometri quadrati
di territorio laotiano e cambogiano,
quattro province malesi e il
territorio birmano abitato dalla
popolazione Shan. La Thailandia non
subì l’occupazione giapponese. Alla
fine della guerra l’elite dirigente
tailandese operò un perfetto
voltafaccia in senso filo
occidentale, allineandosi agli
interessi Inglesi e americani,
sfruttando la sua preziosa posizione
strategica di baluardo reazionario
giusto al centro di tutta la regione
in rivolta (Birmania, Malesia,
Indocina). La Thailandia ufficiale
passò così dal campo giapponese al
campo occidentale senza subire
danni.
Il Vietnam fino al 1944
fu posto sotto le direttive del
governo di Vichy. Spontaneamente un
po’ in tutto il Vietnam nacquero
nuclei di resistenza, che per
inesperienza rischiarono di farsi
sterminare da Giapponesi e Francesi
uniti. Ho Chi Minh intervenne per
impedire le rivolte isolate. Istituì
un comando centrale, al confine con
la Cina e intraprese
l’organizzazione capillare della
resistenza armata. Nel 1944, quando
si fece palese che i Giapponesi
avrebbero perduto la guerra, Ho Chi
Minh affidò a Vo Nguyen Giap il
compito di organizzare una grande
forza armata per la lotta decisiva
contro il colonialismo.
Giap creò i
reparti di “propaganda armata” che
si affiancarono alle “Unità per la
Liberazione della Patria” e creò in
ogni villaggio i “comitati di
autodifesa”. Il tutto costituì
l’”Esercito per la Liberazione del
Vietnam”. Politicamente tutti gli
elementi rivoluzionari furono
raggruppati nella “Vietnam Doc Lap
Dong Minh”, cioè la “Lega per
l’indipendenza del Vietnam”,
conosciuta come Viet Minh.
Nel marzo del 1945 i Giapponesi
attaccarono e disarmarono le
guarnigioni francesi sospettate di
seguire gli ordini degli alleati. La
rivoluzione vietnamita veniva
automaticamente spinta nella fase
finale. Il 24 luglio 1945, quando
già il Giappone era in procinto di
arrendersi, il governo di Tokio
emise una dichiarazione formale
proclamando l’indipendenza del
Vietnam e trasferendo il potere
all’imperatore Bao Dai.
Dopo la seconda atomica, quella di
Nagasaki, il 10 agosto la radio
giapponese annunciò che il Giappone
era pronto a capitolare. Lo stesso
10 agosto Ho Chi Minh fu eletto
presidente del governo provvisorio
del Vietnam, e venne lanciato
l’ordine di insurrezione generale.
Agli ordini di Nguyen Giap,
comandante militare, le unità
dell’esercito popolare uscirono
dalle foreste ed irruppero nei
territori fin li occupati da
Giapponesi e Francesi impadronendosi
di un grande bottino di armi e
munizioni, che furono subito
distribuite al popolo.
Contemporaneamente le “Brigate di
propaganda” promossero
manifestazioni di massa ad Hanoi,
nella città imperiale di Hue e a
Saigon.
Il 26 agosto l’imperatore Bao Dai
abdicò compiendo in modo ufficiale e
solenne il gesto pubblico di
consegnare il “sigillo imperiale di
Stato” all’inviato del governo
provvisorio di Ho Chi Minh. Fatto di
grande significato poiché:
a) legittimò giuridicamente il
potere del nuovo governo;
b) agli occhi di quella parte dei
vietnamiti ancora chiusi nella
tradizione confuciana, il “mandato
del cielo” passò direttamente
dall’imperatore ai comunisti e
assicurò la legale continuità del
potere statale.
Il 2 settembre infine, mentre a
bordo della corazzata Missouri gli
Americani ricevevano a Tokio la
capitolazione giapponese, ad Hanoi
Ho Chi Minh proclamava la nascita
della Repubblica democratica del
Viet Nam.
Il Viet Nam fu il primo paese ex
coloniale che raggiunge insieme i
due obiettivi, quello di scrollarsi
di dosso l’oppressione coloniale,
quello di raggiungere l’indipendenza
come Stato e quello di porre le basi
di un regime di uguaglianza sociale.
Quello vietnamita è stato un modello
insuperato di strategia e di tattica
rivoluzionaria.
Le Filippine furono
occupate dai Giapponesi fra il
dicembre del 1941 e l’aprile del
1942, e giocarono con la borghesia
filippina la carta della “grande
prosperità”.
La maggior parte della classe
dirigente filippine si mostrò pronta
a collocarsi nell’orbita giapponese.
La resistenza fu esclusivamente
popolare, in specie contadina, in
quanto le truppe giapponesi si
sostenevano con requisizioni e
razzie dei raccolti e i contadini
erano nella necessità di difendersi.
La resistenza popolare cominciò a
prendere forma nel marzo del 1942
come movimento Huk, abbreviazione
della parola “Hukhalahap”, che
significa Eserciti di Liberazione.
Il movimento si estese rapidamente e
al termine della guerra gli Huk
disponevano di una forza armata di
oltre 100.000 uomini. Gli americani
avevano inizialmente sostenuto gli
Huks per indebolire i Giapponesi, ma
si resero rapidamente conto che a
guerra finita gli Huks avrebbero
rappresentato un pericolo per il
colonialismo. Prima ancora che la
guerra finisse, nelle zone sotto
loro controllo gli Huks avevano
stabilito, per la prima volta nella
storia filippina, delle istituzioni
democratiche nei villaggi, lo
sfruttamento in comune delle terre
senza padrone, il sequestro dei
raccolti dei proprietari feudali pro-imperialisti.
Gli Americani iniziarono il doppio
gioco contro gli Huks già a meta del
1944 e dopo il termine della guerra
scatenarono la guerra aperta contro
gli Huks che rifiutarono di
lasciarsi disarmare. Una guerra che
non è mai terminata, perché la
guerriglia Huks, fra alti e bassi è
proseguita per decenni.
Il nazionalismo borghese filippino
segui una diversa strada. Una parte
legata agli interessi americani si
limitò ad attendere il ritorno degli
Stati Uniti. Una parte si schierò a
fianco dei Giapponesi e formò un
governo collaborazionista.
Nell’autunno del 1944 gli Americani
intrapresero la riconquista delle
Filippine che fu compiuta in nove
mesi.
L’Indonesia era
caratterizzata da un movimento di
liberazione dal colonizzatore
olandese il cui leader Suekarno,
imprigionato dagli Olandesi, fu
liberato dai Giapponesi nel 1942.
In Indonesia i Giapponesi giocarono
fino il fondo la carta dell’”area di
grande prosperità”. Fin dall’inizio
della loro occupazione (dicembre
1941-gennaio 1942) lasciarono una
certa autonomia ai nazionalisti e
pochi giorni prima della
capitolazione, il 14 agosto 1945,
proclamarono l’indipendenza
dell’Indonesia con presidente
Suekarno, con l’evidente scopo di
strappare l’Indonesia alla
dominazione olandese. Con le armi
lasciate dai Giapponesi, il nuovo
governo indonesiano armò subito un
esercito di 300.000 uomini.
Dopo la proclamazione
dell’indipendenza i comunisti
appoggiarono Suekarno, che poteva
essere definito un nazionalista
radicale. Ma il colonialismo
occidentale non aveva alcuna
intenzione di rinunciare alla
colonia Indonesia. Già nel settembre
1945 gli Inglesi intrapresero la
riconquista delle “Indie Olandesi”
cominciando dal Borneo. Non
incontrarono alcuna resistenza nel
Borneo settentrionale, già colonia
britannica, e nel Sarawak. Ma nelle
sei settimane trascorse dal crollo
giapponese i nazionalisti di
Suekarno appoggiati dai comunisti si
erano nel frattempo organizzati
nominando un primo ministro
socialista, un presidente simbolo
dell’unità, Suekarno, strutturando
il nuovo stato e rafforzando
l’esercito.
Gli Inglesi temporeggiarono in
attesa degli Olandesi che
impiegarono due anni a concentrare
le forze di 140.000 uomini per
riconquistare la colonia. Partirono
all’attacco nel 1947. La lotta
contro gli olandesi fu il momento
dell’espansione del PKI. Gli
Olandesi furono alla fine obbligati
a concedere l’indipendenza alla
colonia indonesiana.
Timor-est era una colonia
portoghese, la sua posizione
geografica ne faceva un trampolino
di lancio naturale per una eventuale
invasione giapponese dall’Australia.
I Giapponesi vi sbarcarono una forza
di invasione di 20.000 uomini nel
1942. I Portoghesi non opposero
alcuna resistenza, secondo gli
ordini ricevuti da Lisbona. La
popolazione, cogliendo l’occasione
di indebolire il colonizzatore, si
schierò unanimemente contro i
Giapponesi appoggiando la piccola
forza guerrigliera di 400 uomini
installata a Timor-Est dagli
australiani.
La lotta armata
antigiapponese produsse un impatto
notevole sull’evoluzione politica
degli abitanti di Timor-Est. I
Giapponesi applicarono metodi feroci
e gli abitanti di Timor-Est subirono
perdite proporzionalmente
disastrose: circa 60.000 morti, cioè
il 13% della popolazione. Molti
villaggi e paesi furono distrutti.
Dopo la resa giapponese, gli
Australiani riconsegnarono Timor-Est
ai Portoghesi, i quali si
vendicarono sugli “indigeni”
imponendo loro il lavoro forzato ed
esercitando l’autorità coloniale in
modo brutale. Al momento del crollo
della dittatura fascista in
Portogallo nel 1974, i militari
indonesiani occuparono Timor-Est
facendo ripiombare questo territorio
nella guerriglia, che dura ancor
oggi. Gli abitanti di Timor-Est sono
in guerriglia ininterrottamente da
cinquantadue anni.
La Corea era stata
sottoposta al dominio coloniale
giapponese per 40 anni, a partire
dal 1905.
Fu coinvolta direttamente nella
guerra nel 1945 quando i Sovietici,
provenendo da nord, prolungando
l’avanzata dopo aver occupato la
Manciuria, la presidiarono fino
all’altezza del 38º parallelo,
secondo gli accordi con gli alleati,
mentre gli Americani, sbarcando da
sud, occuparono l’altra metà fino al
38º parallelo sbarcandovi l’8
settembre 1945.
Nella zona sovietica, il comando
militare pose il governo nelle mani
dei comunisti che subito
distribuirono le terre ai contadini
confiscandole ai proprietari
giapponesi e ai coreani che avevano
collaborato con i nipponici. Gli
Americani arrivarono in Corea con un
presidente anticomunista già
confezionato, Singhman Rhee. Lo
scontro fra rivoluzione e reazione
capitalista in Corea assunse subito
il valore di una questione di
principio e porterà in breve allo
scontro armato.
Africa e medio oriente
Un fenomeno analogo a quello che si
è prodotto in Asia si è verificato
in Africa e in Medio Oriente. Il
processo di trasformazione ha
seguito lo stesso iter che in Asia.
La guerra mondiale ha coinvolto
tutte le colonie europee in Africa.
Nella guerra di difesa della
cosiddetta Africa Orientale
italiana, Etiopia, Eritrea e
Somalia, gli italiani armarono e
gettarono nella mischia 200.000
uomini di truppe coloniali. Le
contraddizioni della guerra
strapparono Libia, Etiopia, Somalia
ed Eritrea al dominio del
colonialismo italiano e le misero
sulla via dell’indipendenza.
La Libia
divenne campo di battaglia per tre
anni fra Inglesi e italo-tedeschi e
fu occupata dagli Inglesi. Durante
la guerra si era formato in Egitto
un corpo militare libico rafforzato
da volontari arabi che operò
concretamente contro le truppe
italiane nel quadro dell’ottava
armata inglese.
Questi combattenti antitaliani
costruirono l’ossatura
dell’indipendenza libica., la cui
proclamazione fu peraltro laboriosa.
Le compagnie petrolifere
ango-franco-americane non volevano
al potere rivoluzionari che
nazionalizzassero il petrolio.
Madagascar
fu occupato dagli Inglesi nel maggio
del 1942 con un corpo di spedizione
di 10.000 uomini con il pretesto
strategico di proteggere il traffico
navale del canale del Mozambico. Fra
il maggio e la fine di ottobre gli
Inglesi liquidarono le forze
francesi fedeli al regime
filotedesco del maresciallo Petain.
Riconsegnarono poi il Madagascar
alla Francia di De Grulle. Ma nel
frattempo la resistenza
anticolonialista malgascia,
organizzata nel Movimento
Democratico del Rinnovamento
Malgascio, era ormai divenuta una
forza capace di condurre alla fine
della guerra una interruzione
generale. I francesi tentarono di
soffocarla con una vera guerra di
sterminio a base di massacri. I
Malgasci subirono oltre 80.000
morti.
In Marocco
nel 1943 il nazionalismo marocchino
unito nel Partito Unico
dell’Indipendenza (ISTIOLAL) era in
movimento per ottenere
l’indipendenza. La resistenza del
Marocco al colonialismo francese
aveva già dato luogo a una guerra
lunga e sanguinosa che era terminata
solo nel 1934. La repressione
francese fu durissima e il simbolo
ne resta il massacro di Rabat e Fes
per reprimere una sollevazione
popolare antifrancese nel
gennaio-febbraio 1944, seguito poi
da vari altri massacri.
In Algeria
l’attività indipendentista era già
stata messa fuori legge nel 1939 e
l’agitazione nazionalista si
manifestò in modo scoperto nel
maggio 1945, con manifestazioni
represse con assurda durezza dalle
truppe francesi. A Setif nella
regione di Costantina, le
manifestazioni si trasformarono in
rivolta armata. Nello spazio di due
mesi (maggio giugno) la repressione
francese causò 45.000 morti fra gli
Algerini. Questo massacro segnò
l’inizio di una guerra lunga e
spietata terminata con la sconfitta
francese.
In Tunisia
nel novembre 1942 iniziò
l’occupazione di tedeschi e italiani
fino al maggio 1943. In questo
periodo il movimento nazionalista
tunisino ebbe la possibilità di
organizzarsi praticamente allo
scoperto. Dopo la rioccupazione
alleata il governo francese operò
una profonda e radicale epurazione
nell’intento di distruggere il
nazionalismo tunisino provocando una
serie di rivolte tutte duramente
represse. Il capo del partito Uabib
Burguiba si rifugiò al Cairo.
Il Senegal
era controllato dalle forze di Vichy
e fu oggetto di un fallito tentativo
di riconquista da parte di un corpo
di spedizione anglo-gollista
appoggiato da una parte della flotta
britannica con due corazzate. Gli
inglesi bombardarono Dakar
producendo numerose vittime tra i
civili europei e africani, ma furono
respinti dal fuoco dell’artiglieria
costiera che danneggiò le corazzate
e perdettero 19 aerei.
Nel 1942, nel momento dell’invasione
dell’Africa del Nord, gli Americani
imposero al governatore
antigaullista Boisson di poter
utilizzare Dakar come base per la
loro flotta. In tal modo il Senegal
e tutta l’Africa Occidentale
francese (oltre al Senegal, la
Guinea francese, la Costa D’Avorio,
il Dahomey, il Ciad, la Mauritania e
il Niger) tornarono sotto l’autorità
della Francia gollista. Ma in tutti
questi paesi era in atto la rivolta
anticolonialista.
Le vicende della guerra avevano
ormai determinato il crollo della
credibilità imperiale francese e
distrutto il mito dell’invincibilità
del colonialismo. Le popolazioni
manifestavano apertamente una
esigenza di indipendenza. La
reazione francese si espresse sotto
forma di una serie di massacri.
Il dicembre 1944, alcune centinaia
di “Tirailleurs Senegalais”
fucilieri senegalesi, un corpo
coloniale dell’esercito francese,
liberati dai campi di prigionia
tedeschi, sbarcati qualche giorno
prima a Dakar, si trovavano
concentrati nel campo di Thiaroye.
Reclamavano le paghe arretrate e la
smobilitazione e organizzarono una
manifestazione. L’esercito francese
intervenne e aprì il fuoco
uccidendone 60 e ferendone decine
altri. Molti dei superstiti furono
poi processati e condannati e
restarono in carcere fino al 1947.
Questa fu una specie di repressione
preventiva, seguita da una serie di
17 altri massacri nei diversi paesi
in rivolta nell’impero coloniale
francese in Africa.
Il Congo Belga
fu coinvolto a sua volta nel
processo evolutivo generato dalla
guerra. Ma il Congo Belga era troppo
importante per la strategia militare
occidentale in quanto produttore
dell’uranio necessario alla
fabbricazione delle armi atomiche.
Nel 1942 gli Stati Uniti lo presero
sotto la propria tutela. Dalla lotta
politica contro il colonialismo
occidentale usci uno dei grandi eroi
africani, PATRICE LUMUMBA;
assassinato poi da Mobutu il
17 gennaio
1961.
Il Libano
era occupato dalla Francia come
eredità dello smembramento
dell’impero turco nel 1919. Nel 1943
i libanesi erano in armi contro gli
occupanti francesi. Nel maggio 1945,
lo sbarco di nuove truppe francesi
portò alla insurrezione armata. Si
produsse un conflitto sanguinoso con
centinaia di morti, bombardamenti
aerei e di artiglieria. I Francesi
dovettero infine piegarsi e
abbandonare il levante. Nel 1945
c’era dunque una rivoluzione armata
in Libano che coinvolse anche
la Siria.
In
Iraq erano invece
gli Inglesi che dal dopo la 1°
guerra 1914-18 “proteggevano” le
zone petrolifere gestite dall’Anglo-Iranian
Oil Company. L’Iraq era stato
conquistato dagli Inglesi nel corso
di questa guerra con un corpo di
spedizione formato in gran parte da
truppe coloniali. Nel 1941, allo
scoppio della seconda guerra
mondiale, elementi antibritannici
presero il potere a Baghdad e gli
Inglesi concentrarono truppe a
Bassora. La resistenza nazionalista
fu vinta e le forze britanniche
ripresero il controllo di tutto il
paese stabilendo basi aeree e navali
e presidi terresti.
Alla fine della guerra, con il
graduale ritiro delle truppe
britanniche, l’agitazione
nazionalista riprese in grande
stile. L’Iraq nel 1945 si trovava
anch’esso in una situazione
rivoluzionaria, che condusse più
tardi gli Inglesi al ritiro
definitivo.
Nel 1945 esisteva una situazione
rivoluzionaria anche in
Kurdistan e nel nord
dell’Iran.
Nel 1941 l’Iran fu occupato
contemporaneamente da forze
angloamericane e sovietiche. La
nuova situazione consentì un rapido
sviluppo del partito comunista Tudeh.
Le forze d’occupazione sovietiche
favorirono l’organizzazione di forza
autonomista e progressiste nell’Azerbajgian
iraniano, nel Nord dell’Iran e nel
Kurdistan iraniano, dove si
formarono due repubbliche autonome.
Ma nel 1946 i due movimenti
rivoluzionari subirono una dura
repressione.