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Libia 1801-2014 |
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Durante il XIX secolo le
province costiere di Tripolitania e Cirenaica, nominalmente ottomane, si resero
protagoniste inattese di un avvenimento storico dal profetico valore: tra il
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01 e il 1805 queste regioni furono scenario del primo intervento militare
esterno statunitense. Una flotta USA venne inviata a difesa dei floridi
commerci mediterranei minacciati dalle razzie dei corsari barbareschi autoctoni.
La guerra italo-turca del
1911 può essere considerata un evento spartiacque nella storia libica. Essa decretò la fine del
secolare dominio ottomano e l’inizio della penetrazione italiana, completata con
l’avvento del fascismo e soprattutto con le nuove e brutali strategie del
generale Graziani, che nel 1931 catturò l’ultimo ribelle, il senussita Omar al-Mukhtar.
La conquista fu di una violenza spaventosa: tra deportati e fucilati il popolo
libico fu letteralmente decimato. Nel 1934 il governo fascista riorganizzò
l’entità statale, unendo definitivamente Tripolitania, Cirenaica e Fezzan con il
nome di Libia.
Quindi de facto l’immagine che noi oggi abbiamo del paese (vale anche per
molti altri paesi africani) è frutto di un disegno politico coloniale imposto
dall’alto alle popolazioni del luogo. Il Fezzan, e più in generale l’area
meridionale del paese, presenta una diversità maggiore rispetto alle altre due
province «mediterranee». Il Sud tradizionalmente legato al «mondo del deserto»,
ospita numerose comunità etnicamente non-arabe, spesso discriminate, come ad
esempio le grandi comunità Tuareg o
Tebu, e non solo presenta
usanze e stili di vita decisamente diversi dal resto del paese, ma si distingue
anche per un diverso rapporto con la religione islamica, è questo il caso delle
popolazioni nomadi non-arabe il cui culto è intriso di retaggi animisti e
pagani.
Tripolitania e Cirenaica, invece, benché entrambe abitate da un comune ceppo
etnico arabo-sunnita e parte di una più vasta «società mediterranea» furono
sempre, almeno fino all’Atto d’unione del ‘34, orientate verso due orizzonti
opposti, con storia e tradizione propria.
Mentre la Tripolitania ha sempre
guardato verso l’Africa nord-occidentale, verso il Maghreb (maghreb
significa «il tramonto») Bengasi, capitale della Cirenaica rivolgeva il suo
sguardo verso il confinante Egitto e più in generale verso il Mashrek (Mashrek
significa «l’alba»).
È importante capire che queste caratteristiche etnico-politiche potrebbero in un ipotetico futuro aprire a nuovi ed inaspettati
scenari.
La colonizzazione italiana sotto il fascismo durò sino al 1943 e, ad
onor del vero, contribuì all'ammodernamento del paese che, con la fine della
guerra venne sottoposto ad una breve amministrazione fiduciaria congiunta tra
Gran Bretagna e Francia in previsione dell'indipendenza che avvenne nel 1951.
Il potere fu affidato dalle Nazioni unite alla monarchia di Re Idris I ma,
nonostante l’indipendenza e la scoperta del petrolio, il paese rimase nel suo
atavico stato di regressione economico-sociale.
Ed è in questo contesto che nel
1969 maturò il colpo di stato di Mu’ammar Gheddafi, guida dei Giovani
ufficiali panarabisti. In quell’anno fu proclamata la Repubblica, vennero
nazionalizzati possedimenti ed imprese, chiuse le basi militari straniere ed
infine espulsi tutti i cittadini italiani.
Gheddafi modernizzò il paese e
assicurò un crescente benessere alla popolazione, ma al tempo stesso
frustrò le
aspettative di riforma sociale e di libertà. La repressione del dissenso, già
presente con la monarchia, fu mantenuta e il dispotismo venne aggiornato secondo
i dettami del nuovo spirito del tempo.
Nel 1977 fu proclamata la Jamahiriyya, ovvero la «repubblica delle masse»
orientata su un rivisitato ed anacronistico socialismo panarabo. Ma questi erano
anche gli anni della guerra fredda e il paese per quanto al suo interno attuasse
una dura repressione dei movimenti marxisti, in politica estera dovendo
scegliere da che parte stare scelse una linea di avvicinamento all’URSS.
Questo
importante rapporto che si venne ad instaurare prima con l’Unione sovietica e
successivamente con quella che sarà la futura Russia, risulterà fondamentale per
sviare l’isolamento internazionale in cui il paese andrà a cadere a seguito
della rischiosa e spregiudicata decisione di Gheddafi di offrire supporto sia
logistico che ideologico a numerosi e disparati movimenti terroristi.
Tutto ciò
faceva parte di un più ampio progetto marcatamente antioccidentale, in
particolare anti-americano ed anti-israeliano. che ebbe il suo culmine nella
sanguinosa stagione di attentati sponsorizzati dal regime di Tripoli che
insanguinarono l’Europa negli anni ’80.
Nel 1986 si verificò il secondo importante intervento americano nella storia del
paese, il presidente Reagan decise di autorizzare un bombardamento mirato conto
le residenze tripoline del raìs in risposta ad un sanguinoso attentato
contro militari americani d’istanza in Germania Ovest sponsorizzato dal colonnello; al bombardamento di Tripoli seguì il misterioso e poco
chiaro
lanciò da parte libica di missili Scud sull’isola di Lampedusa con obiettivo
installazioni militari americane. Il punto più drammatico fu raggiunto nel 1988 quando in risposta al più efferato
degli attentati organizzati dalla longa manus libica, l’esplosione di un
volo Pan Am sui cieli della tristemente famosa Lockerbie, venne dichiarato con
risoluzione ONU l’embargo internazionale contro il Paese.
Per uscire da un inevitabile declino il regime fu costretto ad inaugurare una
nuova stagione, con una serie di decisioni a sorpresa: nel 1990 venne condannata
l’aggressione irachena al Kuwait, il 1999 fu l’anno in cui vennero consegnati
gli imputati responsabili dell’attentato al volo Pan Am 103, e in occasione
dell’attentato al World Trade Center dell’11/09/01 il regime espresse una ferma
condanna del movimento fondamentalista islamico.
Gli USA sembrarono premiare la
ritrovata buona volontà libica depennando il paese dal famigerato elenco dei
rogue states, complice di ciò, indiscutibilmente, anche la malcelata
compiacenza europea verso uno stato che poteva divenire “sicura fonte di
approvvigionamento energetico” oltre che un utile alleato nella stabilizzazione
delle coste e dei traffici mediterranei (in sostanza bloccare l’immigrazione
clandestina).
Ma Gheddafi e il resto della comunità internazionale, non avevano ancora fatto
bene i conti con la storia di un paese stanco di vari Re e Colonnelli, di
un paese diviso in clan, le cui nobili aspirazioni di libertà potrebbero
divenire spinte autonomistiche, in particolare per le province orientali e
meridionali ben ricche di petrolio, dove le arcaiche rivalità tribali potrebbero
intrecciarsi ai tanti interessi d’Oltremare.
Dunque, agli inizi
del Duemila, Gheddafi ristabilisce i rapporti diplomatici con gli USA
e l’occidente e la Libia viene definitivamente
depennata dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo. L’ondata di proteste c
he
dal dicembre 2010 iniziano a
scuotere il nord africa, colpisce anche la Libia nel febbraio2011. La rivolta
contro il regime libico è particolarmente
dura e, da Bengasi si estende a macchia d’olio sul resto del Paese. Segue una
guerra civile che oppone le forze fedeli
a Gheddafi agli insorti del consiglio Nazionale Libico. a seguito della
risoluzione 1973, la NaTO interviene militarmente.
All’intervento prendono parte Stati Uniti,
Francia, Regno Unito, Italia, Canada,
Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Rovesciato il regime, il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso nella
sua città natale di Sirte.Il suo assassinio segna la fine della guerra, seppur la situazione ad oggi non sia ancora
normalizzata. Nell’agosto 2012 il consiglio
nazionale di transizione libico (CNT)
cede il potere alla nuova assemblea
congressuale (GNC) eletta il 7 luglio con le
prime votazioni democratiche dopo quarant’anni.
Tuttavia la crisi politica non
accenna a risolversi, né tantomeno la
precaria situazione della sicurezza, destabilizzata anche dalla crescente spinta
secessionista proveniente dalla cirenaica.
Dopo il difficile premierato di
Ali Zeidan (novembre 2012 - marzo 2014), durante
il quale il premier è stato
prima rapito da milizie separatiste e poi è fuggito in Europa in seguito allo
scandalo della petroliera che tentava di
esportare greggio per conto di ribelli indipendentisti, il Paese è passato di
mano al ministro della Difesa, Abdullah al
Thinni, capo del governo ad interim, in attesa della convocazione di nuove
elezioni.
Dopo le elezioni del giugno 2014, una parte del Paese non ha riconosciuto la
vittoria del nuovo parlamento e si è generata
una violenta spaccatura politica.
Una parte del Paese è rimasta fedele al
vecchio parlamento di Tripoli, che
non riconosce il risultato delle ultime elezioni, e che continua a governare la
capitale e la città di Misurata.
Il nuovo
parlamento, che ha ottenuto il riconoscimento internazionale, è stato costretto
dai tumulti a fuggire a Tobruk, vicino
al confine egiziano, da dove non riesce però a governare che una piccola
porzione del Paese. in mezzo a questo caos
istituzionale, a Bengasi gruppi salafiti che si rifanno alla Rivoluzione del
2011 hanno preso possesso della città e governano
con le armi la provincia.
A ottobre 2014, inoltre, un gruppo di uomini a Derna ha defezionato da una
corrente islamista e giurato fedeltà allo
Stato islamico, istituendo un avamposto del califfato ed espandendosi fino a
Sirte.
Dunque, oggi in Libia il potere è polverizzato e conteso da almeno quattro città
Stato. Non esistendo un unico governo centrale, la guerra civile prosegue senza
sosta, con il rischio concreto del radicamento di estremisti islamici,
combattuto
in primo luogo dal generale Haftar, a capo dell’esercito regolare, e dall’Egitto.
L’economia libica ha subito un duro colpo a seguito dell’interruzione quasi
totale delle esportazioni petrolifere durante
il conflitto nel corso del 2011 e il bilancio pubblico ha registrato il primo
deficit dopo anni di notevole crescita, situazione
poi peggiorata con il proliferare della guerra civile che ha portato a cali
anche di oltre tre quarti della produzione
rispetto alla situazione pre-rivoluzionaria.
Le esportazioni sono, infatti,
dominate dal settore degli idrocarburi (circa
1,6 milioni di barili al giorno di greggio e 30 milioni di metri cubi di gas
giornalieri), che costituiscono oltre il 95%
dell’export nazionale. Dopo la Nigeria, la Libia è infatti il secondo produttore
del continente africano e tra i primi
dieci per riserve. i suoi principali giacimenti petroliferi (Mabruk, Hofra,
Zelten, Beda, Raguba, Ora, Samah, Gialo,
Waha, Magid, amal, Serir, augila) sono collegati da oleodotti, mentre le
principali raffinerie sono a Marsa El Brega,
Tobruch, Ras Lanuf, al-Zawiya. Esistono, inoltre, cospicui giacimenti di gas
naturale, di natron (carbonato di sodio) e
saline.
I principali destinatari del greggio e del gas libici sono Unione
Europea e Cina, seguiti da Stati Uniti e India.
L’agricoltura ha scarsa importanza per via delle condizioni climatiche e anche
la pesca è poco rilevante. Molto sviluppato
è invece l’allevamento. Una volta messo in sicurezza, il Paese potrà puntare sul
commercio e sullo sviluppo
del settore turistico - vista la ricchezza di siti archeologici e il gran numero
di coste incontaminate prossime al mercato
europeo.
Nella Libia del post Gheddafi le condizioni della sicurezza generale sono
assolutamente critiche e peggiorano, se
possibile, di giorno in giorno.
Nel Paese imperversano bande di miliziani che
dopo la rivoluzione non sono state assorbite
dalle forze armate regolari. alcuni di questi miliziani sono
collegati con al
Qaeda nel Magreb islamico (aQiM)
e con le più recenti formazioni jihadiste salafite che operano tra Libia,
Tunisia e Algeria.
Diversi attentati terroristici
sono stati condotti dal 2012 su scala nazionale colpendo obiettivi occidentali a
Tripoli, Berna e Bengasi. L’episodio
più grave resta senza dubbio l’attentato dell’11 settembre 2012 all’ambasciatore
americano Chris Stevens, ucciso a
Bengasi con quattro connazionali di scorta, da miliziani del gruppo islamista
ansar al Sharia. Il 12 gennaio 2013
anche il console italiano a Bengasi è scampato a un attentato in seguito al
quale l’Italia ha temporaneamente chiuso
il consolato. Riaperto mesi dopo, a febbraio 2015 l’ambasciata italiana è stata
evacuata.
Per quel che riguarda gli elementi terroristici esogeni, questi sono
principalmente di ispirazione centrafricana e ciadiana.
La presenza di frontiere meridionali difficilmente controllabili, rappresenta un
ulteriore elemento di instabilità:
il pericolo maggiore è rappresentato dall’infiltrazione di elementi qaedisti, la
cui base operativa principale è tuttavia
localizzata più a ovest, nella regione di frontiera tra il sud dell’Algeria e il
nord del Mali. Un altro significativo elemento
di criticità è dato dalle spinte secessioniste che giungono dalla cirenaica: le
regioni di Jebel al-akhdar e di Bengasi
rappresentano un’area di eversione storica e, come succede anche altrove in nord
africa (si pensi alla cabilia in Algeria),
costituiscono epicentri di resistenza al potere centrale. Dall’estate del 2013,
in particolare Bengasi è caduta
nelle mani di miliziani separatisti che controllano i terminal petroliferi della
regione, con gravi conseguenze anche
per l’economia nazionale. in alcune aree del fezzan, inoltre, permangono faide
tribali e scontri con fazioni gheddafiane.
Si segnalano, oltretutto, diversi rapimenti ai danni di stranieri residenti in
Libia (tra cui due italiani, catturati
nel gennaio 2014). Ma l’aspetto forse più preoccupante si è verificato a cavallo
tra la fine del 2014 e il 2015,
quando Derna e Sirte sono cadute sotto il controllo di milizie islamiche che si
dichiarano fedeli allo Stato islamico di
Siria e Iraq. Il che ha precipitato il Paese in una nuova fase della guerra
civile, tuttora in corso.
La situazione generale della criminalità in Libia è decisamente grave, complice
la capillare diffusione di armi.
Secondo il Ministero dell’interno di Tripoli
dal 2010 al 2012 gli omicidi sono aumentati del 503%, mentre le rapine ai danni di
esercizi commerciali sono cresciute nello stesso periodo del 448%; i furti in
abitazione sono aumentati “soltanto”
del 30%. Stime odierne sono comunque inattendibili vista la massiccia
generalizzazione della criminalità, delle azioni
di vandalismo e dell’attività disseminata in tutto il Paese dei militanti
appartenenti alle varie brigate che hanno tendenza
a farsi giustizia da sé in un ormai incessante regolamento di conti che non
risparmia nessuno, tantomeno le
istituzioni nazionali.
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