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Pozzallo (Ragusa) 1904 Firenze 1977
Giorgio La Pira nacque a Pozzallo, una cittadina di mare presso Ragusa, il 9
gennaio 1904 da Gaetano e Angela Occhipinti, primogenito di sei figli.
Nel 1914,
per poter proseguire gli studi, si trasferì a Messina presso lo zio Luigi Occhipinti, titolare di un'azienda commerciale nella quale si impiegò dopo aver
ottenuto, nel 1921, il diploma di ragioniere; intanto, sotto la guida del prof.
Federico Rampolla del Tindaro, preparava l'esame per la maturità classica, che
conseguì nel 1922.
Nel periodo siciliano La Pira strinse amicizia con Salvatore Quasimodo e con
Salvatore Pugliatti, frequentò i circoli futuristi, ebbe parole di ammirazione
per Gabriele DʹAnnunzio, lesse gli autori russi, fra cui Dostoevskij.
Gli anni
1921/22 sono quelli della crisi spirituale che lo portò a una ricerca religiosa di cui è
indice, per esempio, l'entusiasmo per la Storia di Cristo di Papini; lesse
L'azione di Blondel, tradotta da Codignola nel 1921, e alcuni degli autori
classici della tradizione francese, da Pascal a de Lamennais, a de Chateaubriand,
al Bossuet del Discorso sulla storia universale. In casa Rampolla conobbe poi il
fratello del suo professore, il sacerdote don Mariano, che gli sarebbe stato
vicino nella riscoperta della fede e della tradizione cristiana. Nella Pasqua
del 1924 La Pira annotò sulla prima pagina dei suoi Digesta Iustiniani (Corpus
Iuris civilis, I, Berolini 1920, conservato fra i suoi oggetti a Firenze: cfr.
Catalano) di aver ricevuto l'eucarestia, richiamando, poi, più volte questa data
come quella della sua "conversione", [in realtà la “conversione” ci fu qualche
tempo prima; ciò che avvenne quella mattina, di cui parla in una lettera
all’amico Pugliatti, è una sorta di “estasi mistica” . Significative nel
suo itinerario religioso furono anche altre figure sacerdotali come: E. Foghesato, S. Gallo, gesuita, coordinatore della Congregazione mariana, e mons.
Bensaja, assistente della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI),
all'interno della quale La Pira fu rappresentante della Società di S. Vincenzo.
Nel novembre 1922 La Pira si era iscritto alla facoltà di
giurisprudenza di Messina, dove insegnava il prof. E. Betti che, trasferitosi a
Firenze, nel
1925 lo invitò a seguirlo nella città toscana; con lui, nel 1926,
si laureò in diritto romano con una tesi su
"La successione ereditaria intestata
e contro il testamento in diritto romano"
Intanto il suo impegno religioso si era approfondito e già nel 1925, a Messina,
era divenuto terziario domenicano con il nome di fraʹ Raimondo, nel primo nucleo
di terziari fondato dal padre Enrico de Vita.
Nellʹanno accademico 1926/27 La Pira era stato nominato assistente di diritto
romano presso la facoltà di giurisprudenza fiorentina e nel successivo 1928/29
ottenne lʹincarico di istituzioni di diritto romano; vinse quindi una borsa di
studio presso le Università di Vienna e di Monaco di Baviera. Dal 1929/30
ricoprì anche lʹincarico di storia del diritto greco- romano. Nel 1930 ottenne
la libera docenza in diritto romano. Contemporaneamente, nel 1927, aveva
confermato la sua vocazione, vestendo lʹabito di terziario domenicano anche in
S. Marco a Firenze, sempre con il nome di fraʹ Raimondo. Nel 1928 divenne membro
dellʹIstituto secolare dei missionari della Regalità di Cristo, inserito nel
movimento spirituale del TerzʹOrdine francescano; pronunciò quindi i voti di
povertà, castità, obbedienza. A questi anni datano i legami con padre Agostino
Gemelli e con don Luigi Moresco.
La prospettiva intransigente dellʹIstituto della Regalità, alla quale La Pira
sembrò aderire con convinzione, era quella espressa da Pio XI nella enciclica
Quas primas del 1925; in questa chiave lʹistituzione della festa di Cristo Re, a
coronamento dellʹanno liturgico, con lʹimmagine del "regno sociale di Cristo" da
instaurare, era concepita come una risposta ai processi di laicizzazione dello
Stato scaturiti dalla Rivoluzione francese.
Nei primi anni Trenta a Firenze la vita di La Pira si caratterizzò come impegno
scientifico-accademico e religioso-ecclesiale.
Fu incaricato di istituzioni di diritto romano nellʹUniversità di Siena dal 1931
al 1933; in quellʹanno vinse il concorso in diritto romano, e venne chiamato,
nel dicembre, come straordinario, presso la seconda cattedra dellʹUniversità di
Firenze. Fu incaricato di elementi di storia del diritto romano a Firenze dal
1933 al 1935 e anche di istituzioni e di pandette a Pisa sempre nel 1935.
Promosso ordinario, nel 1936 fu chiamato alla cattedra di istituzioni di diritto
romano presso lʹateneo fiorentino.
Nella vita religiosa si impegnò nellʹAzione cattolica fiorentina, strinse
amicizia con don Giulio Facibeni, fondatore dellʹOpera della Divina Provvidenza
"Madonnina del Grappa" e animatore di unʹinnovativa esperienza pastorale nella
parrocchia operaia di Rifredi. Nel 1934 La Pira dette vita, prima a S. Procolo
poi alla Badia, alla "messa del povero" in cui, dopo la celebrazione, La Pira si
rivolgeva ai fedeli con una predicazione laica e dove praticava unʹassistenza
caritativa, coinvolgendo anche giovani della città. Nel 1937 fondò la Conferenza
di S. Vincenzo "Beato Angelico", inizialmente composta in prevalenza da avvocati
e magistrati che si riunivano presso la LEF (Libreria editrice fiorentina), una
piccola casa editrice che aveva un ruolo significativo di promozione culturale
in ambito cattolico, in particolare a Firenze, e che, negli anni successivi,
avrebbe pubblicato anche gli scritti di La Pira e di altri protagonisti del
mondo cattolico fiorentino, quali don Lorenzo Milani. In questo periodo strinse
unʹamicizia importante e duratura con Giovan Battista Montini, che gli avrebbe
fatto conoscere don Raffaele Bensi, sacerdote fiorentino legato alla Gioventù di
Azione cattolica, noto in città per la sua finezza spirituale e anche per gli
orientamenti antifascisti; il profondo legame di amicizia con Bensi, che era
diventato suo padre spirituale, e anche quello con Montini lo avrebbero
accompagnato per tutta la vita.
Nel 1936 fu accolto nella comunità domenicana di S. Marco, dove abitava nella
cella VI, e dove approfondì lo studio delle opere di S. Tommaso. In questi anni
e in questi ambienti si affermò una presa di distanza di La Pira dalle
iniziative del regime, che si accentuò dopo lʹemanazione delle leggi razziali.
Nel gennaio 1939 La Pira iniziava a curare la pubblicazione di Principî,
supplemento di Vita cristiana, la rivista di ascetica e mistica edita dai
domenicani di S. Marco. Nelle sue pagine la condanna del razzismo si univa a una
forte riaffermazione dellʹuguaglianza di tutti gli uomini; le ampie citazioni di
brani dei padri e dei dottori della Chiesa miravano a denunciare, senza
incorrere immediatamente nella censura, gli errori e le deviazioni della
politica nazista e fascista. Lʹultimo numero
(gennaio/febbraio 1940, n. 1-2), provocò lʹintervento repressivo del regime.
Contestualmente La Pira sottolineava la
responsabilità di ciascun credente di fronte ai problemi storico-sociali.
Nel 1939 La Pira aveva commentato con entusiasmo su Vita cristiana l'enciclica
programmatica del nuovo pontefice Pio XII, Summi pontificatus, dello stesso anno è
anche il suo inserimento più organico a S. Marco come fratello laico con il nome
di Donato. Nel novembre 1941, con l'assenso della curia arcivescovile, che gli
lasciava spesso mano libera, organizzò presso il convento di S. Marco una
"settimana di cultura cattolica" che suscitò un violento articolo del periodico
della federazione fascista, Il Bargello, e un'inchiesta della polizia politica.
Alla fine di settembre del 1943, in seguito a una perquisizione nazifascista del
convento durante la quale risultò che era tra i ricercati, si ritirò a Fonterutoli, presso Siena; poi, in novembre, in presenza di un mandato di
cattura nei suoi confronti, si diresse a Roma, dove ottenne una tessera di
riconoscimento della Città del Vaticano come collaboratore de L'Osservatore
romano.
Liberata
Firenze l'11 agosto 1944, La Pira torna all'insegnamento universitario. Inizia a
studiare e ad approfondire la cultura cattolica francese e l'economia
anglosassone; sostiene il diritto universale al lavoro e l'accesso generalizzato
alla proprietà. Il risultato di questo periodo di studio e riflessione è un
testo noto: "La nostra vocazione sociale: valore della persona umana" del 1946
Nel settembre
1944, venne nominato presidente dell'Ente comunale di assistenza, sviluppando una
vasta attività in cui fu coadiuvato da don Bensi.
Legato a Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, nel gruppo
denominato dei "professorini", che aveva una sua posizione autonoma all'interno
della Democrazia cristiana (DC), nel 1946 fu eletto alla Costituente. Membro
della Commissione dei settantacinque, relatore nella prima sottocommissione sui
Diritti e doveri dei cittadini, contribuì significativamente alla stesura del
testo costituzionale intervenendo su molti temi e, in assemblea generale, nel
dibattito che precedette la votazione finale, propose di porre all'inizio della
Costituzione il riferimento al "nome di Dio".
Di là da questo episodio, frequentemente ricordato, nella circostanza La Pira
utilizzò il suo retroterra culturale di romanista e di pensatore legato alla
tradizione tomistica e importante fu il suo contributo nell'elaborazione dello storico
"compromesso" con Togliatti che portò all'approvazione dell'articolo 7
[“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti
e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni
dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale”].
Eletto alla Camera dei deputati il 18 apr. 1948 e nominato, nel V governo De
Gasperi, sottosegretario al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, si
impegnò in appoggio alle lotte sindacali, mentre, in stretta collaborazione con
il gruppo dei "professorini", nel maggio 1947 aveva fondato, insieme con
Dossetti, la rivista Cronache sociali (pubblicata fino al 31 ott. 1951). Dopo
due anni, per dissensi su alcuni aspetti della politica economica e sociale del
governo, si dimise insieme con altri esponenti della corrente dossettiana, poi
disciolta.
Nel 1951 La Pira, candidatosi anche su sollecitazione delle autorità
ecclesiastiche e in particolare dell'arcivescovo Elia Dalla Costa, venne eletto
sindaco di Firenze nella lista della DC; rieletto a tale carica nel 1956 vi
rimase senza soluzione di continuità fino al 1965.
L'impegno sul piano locale assunse il valore di una verifica delle ultime
possibilità di concretizzare una linea politica particolarmente aperta alle
istanze di un cattolicesimo sociale che, nell'accezione di La Pira, dimenticava
spesso remore di partito o ragioni prudenziali. D'altro canto le difficoltà
incontrate all'interno della DC portarono La Pira a chiedere una legittimazione,
una supplenza ecclesiale per una politica sociale diversa, ritenuta necessaria
anche per contrastare diversamente il comunismo, sentito come pericolo in ambito
religioso, oltreché politico. Emblematici furono gli episodi delle fabbriche
fiorentine del Pignone nel 1953, quando il sindaco e gran parte della Chiesa
fiorentina appoggiarono le lotte operaie, fino ad accettare l'occupazione della
Pignone dove La Pira assistette alla messa all'interno della fabbrica
occupata, riuscendo, quindi a risolverne la crisi con il contributo di Fanfani e
di Enrico Mattei, presidente dell'ENI (Ente nazionale idrocarburi) che rilevò
l'azienda e a effettuare la requisizione della fonderia Le Cure, poi
trasformata in cooperativa. Si trattò di episodi di forte significato
emblematico e aggregante, che suscitarono non poche polemiche nella
stampa moderata, anche in ambito cattolico, in particolare con Piero
Malvestiti e Luigi Sturzo negli anni 1953'55. Durante la crisi della Pignone
tali polemiche furono ulteriormente aggravate da un'allusione di condanna
contenuta nel discorso natalizio del pontefice del 1953 (a questo proposito le
smentite ufficiali non mutano l'evidenza del riferimento, che è anche confermata
dalla recente pubblicazione delle Lettere a Pio XII dello stesso La Pira).
La sua opera
di sindaco è segnata da pregevoli realizzazioni amministrative e da
straordinarie, quanto necessarie, iniziative di carattere politico e sociale:
vengono ricostruiti i ponti Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinità distrutti
dalla guerra; si riedifica il nuovo Teatro Comunale; si realizza la Centrale del
Latte.
Iniziò la costruzione del nuovo ampio
quartiere dell'Isolotto, che si proponeva di dare una soluzione organica al
problema dell'emergenza abitativa, mentre la crisi degli alloggi, sia per le
distruzioni della guerra sia per l'arrivo degli alluvionati dal Polesine, lo
indusse a cercare anche soluzioni tampone come la costruzione di "case minime" o
la requisizione di ville disabitate per gli sfrattati, suscitando pure in questo
caso non poche polemiche.
Altro filone centrale delle iniziative di La Pira, in
questo primo mandato come sindaco, fu quello della pace. I convegni
internazionali "Per la pace e la civiltà cristiana" (il primo fu del 1952)
crearono fervore di dibattiti e di proposte, ma anche le ormai consuete
polemiche e opposizioni.
La Pira trovò ampio consenso e consonanza di prospettive religiose e
storico-politiche con una parte significativa del mondo cattolico. Sembrava a
molti che, attraverso la sua azione, si potesse realizzare quel "mito" della
"società cristiana" così a lungo coltivato nella Chiesa e nella cultura
cattolica.
Il tema della pace, connesso al pericolo costituito dalle armi nucleari, fu al
centro del suo intervento, Il valore delle città, tenuto il 12 apr. 1954, al
comitato internazionale della Croce rossa di Ginevra, dove sottolineò il ruolo
delle città quali protagoniste nella costruzione della pace. Fu ancora questa la
prospettiva del Convegno dei sindaci delle
capitali del mondo, convocato dal 2
al 6 ott. 1955 a Firenze, dove si incontrarono per la prima volta sindaci del
mondo occidentale e comunista, che firmarono insieme un appello contro la guerra
nucleare.
Nelle elezioni amministrative del 1956 la lista DC registrò un notevole
incremento di voti, e per La Pira le preferenze passarono da 19.192 del 1951 a
33.907. Nonostante il successo, la logica strettamente proporzionale della nuova
legge elettorale impose una coalizione difficile, per l'impossibilità di una
"apertura" ai socialisti. La Pira venne eletto sindaco, ma la mancanza di una
maggioranza per l'approvazione del bilancio impose le sue dimissioni e la nomina
di un commissario prefettizio. Eletto nel 1958 alla Camera come capolista della DC, La Pira rimase comunque fortemente legato alla realtà fiorentina, dove prese
posizione decisamente nella vicenda delle Officine Galileo, difendendo le lotte
sindacali contro la paventata chiusura dell'azienda.
Nel 1958 dà
vita ai Colloqui Mediterranei, favorendo l'incontro tra arabi ed israeliani.
Nel 1961 venne nuovamente eletto sindaco di
Firenze in una delle prime giunte di centro-sinistra.
In questo secondo mandato la sua azione si caratterizzò per alcuni elementi
nuovi: l'abbandono del modello della civiltà cristiana e una forte connessione
con i temi della libertà religiosa e della libertà di coscienza, momenti
centrali di un rinnovato rapporto della Chiesa con la società e con la storia,
sulla base delle novità che stavano affiorando nel pontificato di Giovanni XXIII
e nel Concilio.
Concretamente, durante la sua amministrazione fu varato un nuovo piano
regolatore e, nel 1961, La Pira si impegnò in un'azione diplomatica per evitare
la prima esplosione nucleare sovietica. Negli anni (1962-67) dei dibattiti
relativi all'obiezione di coscienza, collegati al processo, tenutosi a Firenze
nel 1962, al primo obiettore cattolico, Giuseppe Gozzini, e ai successivi
processi per "apologia di reato" contro padre Ernesto Balducci, don Milani e
Fabrizio Fabbrini, La Pira organizzò, in forma privata, ma tuttavia alla
presenza di un vasto pubblico, una proiezione del film "Tu ne tueras point" di C.
Autant- Lara, di cui era stata proibita la circolazione e in cui si affrontava
appunto il problema dell'obiezione di coscienza. Questi anni furono definiti da
La Pira come quelli di una "germinazione fiorentina", nei quali la città si era
proposta come un "laboratorio" di una nuova politica di pace, ritenuta
assolutamente necessaria di fronte al "crinale apocalittico" costituito dalla
corsa agli armamenti.
Nel novembre 1964 La Pira fu eletto come capolista nelle elezioni comunali,
ma le divisioni interne al suo partito lo costrinsero a ritirare la candidatura
a sindaco e a lasciare questa carica definitivamente. Ciò nonostante, in
collaborazione con Fanfani, allora ministro degli Esteri, si fece promotore di
una vasta azione diplomatica per una soluzione politica della guerra del
Vietnam.
Nell'aprile 1965 si tenne a Firenze un simposio internazionale per la pace in
Vietnam, con presenze internazionali autorevoli, fra cui parlamentari inglesi,
francesi, sovietici. Dal convegno ebbe origine il viaggio ad Hanoi di La Pira,
che vi incontrò Ho Chi Minh e Pham Van Dong, e la successiva proposta di pace
trasmessa al governo americano tramite Fanfani, in quel momento presidente dell'Assemblea generale dell'ONU. L'iniziativa fallì, forse anche a causa di
anticipazioni e rivelazioni su quotidiani e periodici statunitensi, mentre
attacchi giornalistici violenti venivano rivolti a La Pira in Italia; di fatto,
quando più tardi si giunse alla pace, gli accordi presentavano sostanziali punti
di contatto con i suggerimenti di La Pira.
Nelle elezioni amministrative del 1966 la DC decise di non ricandidare La Pira
alle elezioni amministrative, evidenziando così le difficoltà e le
incomprensioni da lui incontrate all'interno del suo stesso partito e provocando
gravi polemiche nel mondo cattolico fiorentino, anche perché molti ritenevano
che tale decisione fosse stata presa con l'avallo dell'arcivescovo di Firenze,
Ermenegildo Florit.
In effetti il governo della diocesi da parte di Florit aveva rappresentato una
svolta rispetto alla precedente linea di governo del cardinale Dalla Costa:
Florit si opponeva, man mano con maggior decisione, alle iniziative “imprudenti"
di La Pira, mentre censure "romane" si erano verificate alla fine degli anni
Cinquanta con l'allontanamento di religiosi legati al sindaco e alle sue
iniziative, quali Ernesto Balducci, David Maria Turoldo e Giovanni Vannucci. La
dialettica e il conflitto, già presenti nella Chiesa fiorentina, si erano
accentuati negli anni Sessanta con i processi a Balducci e a Milani e uno
scontro di più vasta portata si evidenziò nel 1968 con il caso Isolotto, che
vide contrapposti la comunità di base, l'arcivescovo di Firenze e lo stesso
Paolo VI. Di fronte a una crisi che sembrava registrare una frattura profonda,
La Pira ribadì la sua assoluta fedeltà ecclesiale e gerarchica.
Lacerazioni e incomprensioni avrebbero continuato a caratterizzare la vita
ecclesiale fiorentina degli anni successivi, in un clima di rassegnato
immobilismo. Tuttavia La Pira proseguì e ampliò la sua intensa attività
politico-diplomatica internazionale sui temi del disarmo nucleare e della
distensione con numerosi viaggi, proposte, iniziative; dal 1967 divenne
presidente della Federazione delle città unite.
Propose un ampliamento della struttura dei gemellaggi al fine di approfondire la
cooperazione tra le città dell'Ovest, dell'Est e del Sud del mondo; seguì e
partecipò nei primi anni Settanta alle iniziative per le conferenze di
convergenza, come quella di Helsinki per la sicurezza e cooperazione in Europa
(CSCE) del 1973, quella di Parigi sulla fine della guerra e il mantenimento
della pace in Vietnam, quella di Ginevra per un "cessate il fuoco" in Medio
Oriente dopo la quarta guerra arabo-israeliana. Seguì anche la politica
italiana, impegnandosi nella campagna per il referendum sul divorzio (13 maggio
1974), in appoggio alla richiesta di abrogazione della legge Fortuna- Baslini.
Nel 1976 dette il suo sostegno all'opera di Benigno Zaccagnini come segretario
della DC, accettando di candidarsi come capolista alla Camera dei deputati, dove
fu eletto con un alto numero di preferenze.
La sua candidatura aveva assunto di fatto anche il significato di una risposta
alla candidatura nella Sinistra indipendente di non pochi cattolici che nel
passato gli erano stati molto vicini, come Mario Gozzini e Raniero La Valle, e
che nel referendum sul divorzio si erano schierati tra i "cattolici del no".
La Pira morì a Firenze il 5 novembre 1977 in un
"sabato senza vespri" così come aveva desiderato.
Poco tempo prima aveva ricevuto una lettera autografa di Paolo VI, a conferma di
un'amicizia e di un legame spirituale che non erano mai venuti meno. Il suo
funerale, che vide una partecipazione corale, diversificata e vastissima, fu la
conferma di un rapporto profondo e singolare che si era instaurato con la Chiesa
e la città fiorentina.
Nel gennaio 1986 l'arcivescovo di Firenze, cardinale Silvano Piovanelli, aprì il
processo diocesano per la causa di beatificazione.
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