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Immigrazione in Italia


L'immigrazione in Italia ha cominciato a raggiungere dimensioni significative all'incirca dagli anni 1970, per poi diventare un fenomeno caratterizzante della demografia italiana nei primi anni del terzo millennio.

Prima di tutto occorre distinguere la popolazione immigrata dalla popolazione straniera:
la popolazione immigrata è composta da tutti i residenEmigrazione italianati che sono nati all'estero con cittadinanza straniera, anche se hanno successivamente acquisito la cittadinanza italiana;
la popolazione straniera è composta da tutti i residenti che hanno cittadinanza straniera, anche se sono nati in Italia.

Secondo Eurostat, al 1º gennaio 2017 l'Italia era il quarto Paese dell'U.E. per popolazione immigrata, ovvero nata all'estero, con 6,1 milioni di immigrati, dopo Germania (12,1 milioni), Regno Unito (9,3 milioni) e Francia (8,2 milioni), appena davanti alla Spagna (6,0 milioni)[3]. Era invece il terzo Paese dell'Unione Europea per popolazione straniera, con 5 milioni di cittadini stranieri, dopo Germania (9,2 milioni) e Regno Unito (6,1 milioni) e davanti a Francia (4,6 milioni) e Spagna (4,4 milioni)[4]. Per numero di stranieri (inclusi gli apolidi) in percentuale rispetto al totale della popolazione residente, l'Italia si classificava al quattordicesimo posto (su 28) nell'Unione Europea (con l'8,3% di immigrati sul totale della popolazione).

L'Italia, per gran parte della sua storia dall'unità in poi, è stata un paese di emigrazione e si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone, con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze, al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana.

Per tutto questo periodo, il fenomeno dell'immigrazione era stato invece pressoché inesistente, dove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l'esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d'Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d'integrazione dal punto di vista sociale o culturale.
emigrazione italianaL'Italia rimase tendenzialmente un paese dal saldo migratorio negativo; il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo gli anni del miracolo economico.
In particolare, nel 1973, l'Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe diventata costante, amplificandosi negli anni a venire.

È da notare tuttavia che in tale periodo gli ingressi erano ancora in gran parte costituiti da emigranti italiani che rientravano nel Paese, piuttosto che da stranieri.
Il flusso di stranieri cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la "politica delle porte aperte" praticata dall'Italia, sia per politiche più restrittive adottate da altri paesi. Nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, di cui circa un terzo "stabili" e il rimanente "temporanei". Un anno dopo, nel 1982 veniva proposto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti, mentre nel 1986 fu varata la prima legge in materia (legge 30 dicembre 1986, n. 943) con cui ci si poneva l'obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani.
Nel 1991 il numero di stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a 625.000 unità.

Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale è diventato negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana.

Nel 1990 veniva emanata la cosiddetta legge Martelli, che cercava per la prima volta di introdurre una programmazione dei flussi d'ingresso, oltre a costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nordafrica.

Nel 1991 l'Italia dovette anche confrontarsi con la prima "immigrazione di massa", dall'Albania (originata dal crollo del blocco comunista), risolta con accordi bilaterali. Negli anni seguenti ulteriori accordi bilaterali verranno stipulati con altri Paesi, principalmente dell'area mediterranea. Secondo dati stimati dalla Caritas, nel 1996 erano presenti in Italia 924.500 stranieri.

È del 1998 la legge Turco-Napolitano, che cercava di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando tra l'altro di scoraggiare l'immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, i centri di permanenza temporanea per quegli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione".
La materia sarà tuttavia regolamentata nuovamente nel 2002, con la cosiddetta legge Bossi-Fini, che prevede, tra l'altro, anche la possibilità dell'espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica.

Alla data del censimento della popolazione del 2001 risultavano presenti in Italia 1.334.889 stranieri, mentre le comunità maggiormente rappresentate erano quella marocchina (180.103 persone) e albanese (173.064)[8]; tale valore, nel 2005 era giunto a 1.990.159, mentre le comunità albanese e marocchina contavano, rispettivamente 316.000 e 294.000 persone[9].

Il cosiddetto Codice del'immigrazione, dell'asilo e della cittadinanza è formato da un insieme di Direttive dell'Unione Europea, leggi e decreti di recepimento, a partire dal Decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, dal D. Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, e anche dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 in merito al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, la quale amplia la fattispecie alla promozione, direzione, organizzazione, finanziamento e trasporto, ma senza risolvere il "problema del quando", vale a dire della determinazione dell'inizio dell'attività penalmente perseguibile.

Caratteristiche
Numero
Anno             Stranieri residenti al 1º gennaio                 Naturalizzazioni
2001                              1.334.889
2002                              1.341.209                                     12.258
2003                              1.464.663                                     17.183
2004                              1.854.748                                     19.123
2005                              2.210.478                                     28.643
2006                              2.419.483                                     34.260
2007                              2.592.950                                     45.459
2008                              3.023.317                                     53.679
2009                              3.402.435                                     59.362
2010                              3.648.128                                     65.932
2011                              3.879.224                                     56.147
2012                              4.052.081                                     65.183
2013                              4.387.721                                   100.712
2014                              4.922.085                                   129. 887
2015                              5.014.437                                   178.035
2016                              5.026.153                                   201.591
2017                              5.047.028                                   146.605
2018                              5.144.440
2019                              5.255.503

Secondo i dati Istat relativi al bilancio demografico nazionale, alla data del 31 dicembre 2017, risultavano regolarmente residenti in Italia 5.144.440 cittadini stranieri, pari all'8,5% della popolazione residente totale pari a 60.483.973 di individui.
Dati praticamente invariati rispetto all'anno precedente (+0,42%, pari a 20.875 individui).
L'incremento nel corso degli anni della popolazione straniera residente è dovuto sia a un saldo migratorio positivo tra immigrati ed emigrati, sia a un saldo naturale positivo tra nati e morti: per quanto riguarda il primo, i nuovi arrivi di immigrati stranieri dall'estero sono in calo da alcuni anni (da 530.456 nel corso del 2007 a 250.026 nel corso del 2015), ma continuano a superare gli stranieri emigrati (44.696 nel 2015); per quanto riguarda il saldo naturale, nel corso del 2015 ci sono stati 72.096 nati stranieri (il 14,8% dei nati, anch'essi in diminuzione rispetto ai due anni precedenti) contro 6.497 morti.
Da notare che tutti i conteggi riguardano stranieri regolarmente registrati, a questi si devo aggiungere tutti gli irregolari e i clandestini.ù

Il dato complessivo dei cittadini stranieri presenti nel territorio nazionale da censimento generale ISTAT del 2011 della popolazione italiana, risulta pari a  4.029.145 stranieri (6,8% della popolazione), valore triplicato rispetto a quello del precedente censimento dell'ottobre del 2001, quando i cittadini stranieri risultavano essere 1.334.889 (2,3%).
Stranieri residenti al 1° gennaio 2005 2010     2015 2019
Romania Romania 248 849 887 763 1 131 839 1 206 938
Albania Albania 316 659 466 684 490 483 441 027
Marocco Marocco 294 945 431 529 449 058 422 980
Cina Cina 111 712 188 352 265 820 299 823
Ucraina Ucraina 93 441 174 129 226 060 239 424
Filippine Filippine 82 625 123 584 168 238 168 292
India India 37 971 105 863 147 815 157 965
Bangladesh Bangladesh 35 785 73 965 115 301 139 953
Moldavia Moldavia 54 288 105 600 147 388 128 979
Egitto Egitto 52 865 82 064 103 713 126 733
Pakistan Pakistan 35 509 64 859 96 207 122 308
Nigeria Nigeria 31 647 48 674 71 158 117 358
Sri Lanka Sri Lanka 45 572 75 343 100 558 111 056
Senegal Senegal 53 941 72 618 94 030 110 242
Perù Perù 53 378 87 747 109 668 97 128
Tunisia Tunisia 78 230 103 678 96 012 95 071
Polonia Polonia 50 794 105 608 98 694 94 200
Ecuador Ecuador 53 220 85 940 91 259 79 249
Macedonia del Nord Macedonia del Nord 58 460 92 847 77 703 63 561
Bulgaria Bulgaria 15 374 46 026 56 576 60 129

Analizzando i Paesi di provenienza dei cittadini stranieri regolarmente residenti, si nota come negli ultimi anni ci sia stato un deciso incremento dei flussi provenienti dall'Europa orientale, che hanno superato quelli relativi ai paesi del Nordafrica, molto forti fino agli anni novanta. Ciò è dovuto soprattutto al rapido incremento della comunità rumena in Italia, dopo l'ingresso della Romania nell'Unione europea.

Le condizioni economiche degli stranieri migliorano con l'allungarsi della permanenza in Italia.
Infatti, il reddito di una famiglia di soli stranieri residente nel Paese da più di 12 anni è in media superiore del 40% rispetto a quello di una famiglia arrivata da soli due anni. Inoltre, le entrate delle famiglie straniere dipendono per oltre il 90% da redditi da lavoro, mentre per le famiglie italiane tale quota si attesta solo al 63,8%. I redditi da capitale incidono appena per l'1,1% (contro il 5,5%) e le pensioni contano solo per l'1,9% (contro quasi il 30% delle famiglie italiane). Da osservare anche che il possesso di una laurea si traduce, in media, in un reddito solo dell'8% più elevato rispetto a quello di chi possiede la licenza elementare.
Gli italiani laureati, al contrario, guadagnano in media il 75% in più di quelli con una licenza elementare.

Analisi statistica dell'immigrazione in Italia nel 2018 con dati Istat
I principali reati compiuti dagli immigrati detenuti riguardano lo spaccio di droga, la rapina e i delitti legati al furto. Il seguente grafico riguarda i reati compiuti da detenuti immigrati che si trovano nelle carceri italiane.

Stranieri irregolari
I dati delle statistiche ufficiali basate sulla residenza, come è ovvio, non comprendono i numerosi stranieri che dimorano illegalmente sul territorio nazionale. La Fondazione Ismu-Iniziative e studi sulla multietnicità stima la presenza di stranieri irregolari presenti sul territorio italiano al 1º gennaio 2014 in 300.000 unità (pari al 6% in proporzione alla popolazione straniera regolare), la stessa fondazione stimava gli irregolari in 500.000 unità nel 2003 e in 326.000 nel 2012.

In Italia l'immigrazione irregolare è alimentata soprattutto dagli overstayers, tutti quegli stranieri che, entrati nel Paese regolarmente, restano dopo la scadenza del visto o dell'autorizzazione al soggiorno: un fenomeno che ha raggiunto - secondo dati ufficiali del Ministero dell'Interno - il 60% del totale degli immigrati irregolari nel 2005 (il 63% nel primo semestre del 2006). Un altro 25% circa degli immigrati irregolari giunge illegalmente da altri Paesi Schengen, approfittando dell'abolizione dei controlli alle frontiere interne (il 24% nei primi sei mesi del 2006). Soltanto il 15% dell'immigrazione irregolare arriva dalle rotte del Mediterraneo.

Sbarchi
A sbarcare sulle coste italiane attraversando irregolarmente i confini marittimi sono sia rifugiati in fuga da conflitti armati o persecuzioni e aventi diritto di asilo, sia migranti economici in cerca di migliori condizioni di lavoro[44][45]. Negli ultimi anni, i principali Paesi d'imbarco dei migranti sono quelli del Nordafrica - soprattutto Libia, Tunisia ed Egitto, ma anche Turchia e Grecia.

Numero di migranti sbarcati in Italia, 1997-2016
Il numero degli arrivi dalla fine degli anni novanta è altalenante. Due picchi sono stati raggiunti nel 1999 (49.999 arrivi) e nel 2008 (36.951 arrivi). Nel 2009-2010, anche a seguito degli accordi stipulati dal governo Berlusconi con il governo di Gheddafi in Libia, gli arrivi si sono ridotti a un minimo di 9.573 nel 2009 e 4.406 nel 2010. I respingimenti dei migranti intercettati in mare dall'Italia e riportati in Libia in base agli accordi con Gheddafi hanno procurato all'Italia una condanna della Corte europea dei diritti umani nel 2012, per violazione del divieto di espulsioni collettive e per aver esposto i migranti a trattamenti inumani e degradanti in Libia e al rischio di essere rimpatriati dalla Libia in Paesi d'origine non sicuri.
Nel 2011, con l'inizio delle primavere arabe in Tunisia, Libia ed Egitto, si è avuto un nuovo picco di 62.692 arrivi, per quasi la metà provenienti dalla Tunisia.

Richiedenti asilo e rifugiati
Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto di asilo.
Da non confondersi con la maggioranza degli stranieri, immigrati in Italia quasi sempre per motivi economici, i richiedenti asilo sono stranieri che hanno presentato all'Italia richiesta di protezione e ospitalità in base alle convenzioni internazionali, perché perseguitati nel loro paese di origine per le loro opinioni politiche, appartenenza a un gruppo religioso, appartenenza a una determinata classe sociale, appartenenza etnica, o provenienti da zone di guerra totalmente insicure, o oggetto di discriminazioni o persecuzioni.

Quanti migranti stanno arrivando nel 2019?
Nel 2018 gli arrivi di migranti via mare in Italia e in Europa sono calati sensibilmente rispetto agli anni precedenti, ma nonostante questo il confronto tra i governi europei e l’opinione pubblica è sempre acceso.
Il modello adottato dall’Europa per ridurre drasticamente gli arrivi di migranti è stato quello di chiuderli fuori: prima in Turchia, per bloccare il flusso di siriani e altri asiatici che attraversava il Mar Egeo per approdare in Grecia, poi in Libia, per fermare le partenze verso l’Italia.
Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 settembre 2019 sono sbarcate in Italia 7.636 persone. Nei primi nove mesi del 2018 arrivarono circa 21 mila migranti, addirittura 107 mila nel 2017.
A settembre sono arrivate circa 2.500 persone, il dato più alto dell’anno, più che doppio rispetto a settembre 2018 ma comunque inferiore rispetto agli anni precedenti.
Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 34.951 arrivi tra il 1 ottobre 2017 e il 30 settembre 2018 agli 11.773 arrivi del periodo 1 ottobre 2018 – 30 settembre 2019, un calo del 66%.
Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,9 mila persone, 25% del totale) seguite da Pakistan (1,1 mila persone, 10%), Algeria (9%), Iraq (8%) e Costa d’Avorio (7%).  Esce completamente di scena l’Eritrea, paese di provenienza di molti richiedenti asilo negli ultimi anni, grazie alla pace con l'Etiopia del nobel per la pace Abiy Ahmed Ali

La principale linea comune europea continua a essere quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile. Vanno letti in questa direzione gli accordi con la Turchia del 2016 e con la Libia del 2017, ulteriormente rafforzato nel 2018, e i nuovi accordi che diversi paesi europei stanno stringendo con paesi di transito o partenza, come il Niger, la Tunisia e il Marocco. Tuttavia le cose stanno cambiando, soprattutto a partire dai mesi estivi. Vediamo le principali conseguenze di alcune delle scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

I morti in mare e in Libia - La principale conseguenza delle politiche europee ed italiane sulle migrazioni è che più persone muoiono tentando di attraversare il Mediterraneo oppure in Libia. Negli ultimi cinque anni, dal 2014 al 2019 sono 15 mila le persone morte nel Mediterraneo. 15 mila. Una vera e propria ecatombe, che pure considera solo le morti di cui siamo a conoscenza. Nel 2019 sono già oltre mille i morti in mare, di cui 343 sulla rotta del Mediterraneo centrale, quella verso l’Italia. Un destino di morte, torture, violenze aspetta anche chi viene respinto e riportato in Libia, destino che riguarda quasi tremila persone nel 2019. La situazione in Libia è ulteriormente precipitata nel 2019 con la guerra civile avviata dal generale Haftar.

Il lato oscuro degli accordi con Libia e Turchia - A inizio ottobre 2019 un’inchiesta di Nello Scavo per Avvenire ufficializza ciò che in realtà sapevamo già, fornendo però prove schiaccianti e imbarazzanti: nel 2017 l’Italia ha trattato direttamente con i trafficanti di esseri umani per siglare l’accordo che avrebbe notevolmente ridotto le partenze di migranti dalla Libia. Peraltro non con trafficanti qualunque, ma con quello che si ritiene essere il più importante di tutti, conosciuto con il nome di Bija. Diverse inchieste giornalistiche, ma anche documenti delle Nazioni Unite, lo accusano di essere a capo del sistema che gestisce il traffico di esseri umani in Libia, ma anche protagonista di azioni di guerra, tortura e violenza. Insomma, un vero e proprio criminale di alto profilo, quello con cui ha trattato l’Italia all’epoca di Minniti.
Per altri motivi, è sotto attenzione anche l’accordo stretto dall’Unione Europea con la Turchia nel 2016. In quell’accordo la Turchia si impegnava a gestire il flusso di profughi in fuga da Siria, Aghanistan e Iraq evitando che entrassero in Europa, in cambio di un contributo di sei miliardi di euro.
A distanza di tre anni l’accordo traballa per la pressione interna che il governo turco si trova a gestire: la convivenza dei 3,7 milioni di profughi siriani con i turchi sta diventando nel lungo periodo complicata, con una fetta crescente di popolazione che esprime la propria insoddisfazione rispetto all’accordo con l’Europa o, almeno, così ha deciso che deve essere Erdogan, alla ricerca di riscatto elettorale dopo le batoste di Istanbul e Ankara.
Per questa ragione Erdogan sta cercando soluzioni diverse alla questione: da una parte spera di creare, a discapito dei curdi, una “zona cuscinetto” nel nord est della Siria dove parcheggiare i profughi, dall’altra sta aprendo il rubinetto in uscita – causando l’incremento delle persone che entrano in Grecia – per mettere a sua volta pressione all’Europa sperando di ottenere qualcosa d’altro in cambio.
E per questo il 9 ottobre 2019 la Turchia ha attaccato i territori occupati dai Curdi presenti in Siria, scatenando una vera guerra, per creare un territorio cuscinetto in cui far confluire i profughi siriani.

Gli effetti sul già carente sistema di accoglienza greco sono stati tragici, fino all’incendio del 29 settembre nel campo profughi di Moria, sull’isola di Lesbo, dove hanno perso la vita una donna e un bambino. Non si tratta tuttavia di un caso isolato: da tempo il campo di Moria è un inferno, e la situazione di rifugiati e richiedenti asilo in Grecia è motivo di imbarazzo per tutta l’Europa.

Nuove vecchie rotte - Il deciso incremento di flussi registrato tra Turchia e Grecia ha riportato in auge una vecchia e gloriosa rotta migratoria mai davvero esaurita: la rotta balcanica. Sarà un caso ma da quando la Turchia ha riaperto, almeno parzialmente, i rubinetti, sono cresciute le segnalazioni di movimenti di migranti anche fra gli altri paesi di transito sulla rotta balcanica. Gli effetti si fanno sentire anche alle frontiere italiane: sono circa cinquemila gli ingressi di persone che hanno attraversato il confine tra Slovenia e Italia nel 2019, dopo aver vissuto condizioni inumane in Bosnia e Croazia, la cui polizia non si fa scrupolo di picchiare i migranti che tentano di varcare i confini.

L’accordo per la redistribuzione dei migranti - Grande novità delle ultime settimane in ambito europeo è l’accelerazione imposta al processo che dovrebbe portare ad un accordo per la redistribuzione dei migranti in arrivo sulle coste di Italia e Malta in altri paesi europei. L’accordo è stato raggiunto a Malta lo scorso 23 settembre, ma è un accordo transnazionale in attesa che venga discusso e eventualmente adottato dall’Unione Europea durante il Consiglio dell’Unione Europea di ottobre. In sostanza l’accordo prevede che i migranti soccorsi in mare e poi sbarcati sulle coste italiane o maltesi da navi militari o da navi umanitarie siano redistribuiti secondo quote da stabilire tra i paesi firmatari dell’accordo, che al momento sono Francia e Germania, oltre a Italia e Malta, ma che dovrebbero diventare almeno otto dopo il passaggio in Consiglio.
E in Italia? A parte il lavoro a livello europeo per rendere effettivo ed efficace l’accordo per la redistribuzione dei migranti, ancora non si è capito quale linea intende prendere il nuovo governo Conte sulla gestione delle politiche di asilo e accoglienza.
Lo scorso 4 ottobre i ministri Di Maio e Bonafede hanno presentato in pompa magna un decreto secondo cui i rimpatri verso 13 paesi considerati sicuri avverranno entro quattro mesi all’arrivo in Italia rispetto ai due anni precedenti.
La realtà è che probabilmente questo decreto rimarrà inattuato. Addirittura, secondo il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, il risultato potrebbe essere un incremento degli irregolari. Designare un paese come sicuro significa che le persone che chiedono asilo provenendo da quel paese avranno una bassissima possibilità di ottenere una forma di protezione, non significa certo accelerare le procedure di rimpatrio.
Il governo precedente, su iniziativa dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, aveva aggiornato le politiche di gestione dei flussi e di accoglienza a colpi di decreti sicurezza. L’ultimo, chiamato decreto sicurezza bis, stabilisce che il Ministro dell’Interno può decidere sulla chiusura dell’accesso alle acque territoriali e che le navi che violano questo divieto possono essere punite con una sanzione da 150 mila a un milione di euro e con il sequestro della nave.
Il precedente decreto, denominato decreto sicurezza e immigrazione, è in vigore da dicembre 2018 e ha introdotto diverse novità.
Il decreto ha abolito l’istituto della protezione umanitaria, la forma di protezione più utilizzata per i richiedenti asilo che fanno domanda in Italia, che si aggiungeva alle due forme condivise a livello internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria).
La conseguenza più immediata è stata l’aumento degli immigrati irregolari presenti sul territorio italiano, a causa del netto incremento della percentuale di diniegati, di coloro cioè che ricevono risposta negativa alla domanda di asilo e che prima ricevevano – non tutti certo, il 25% circa – la protezione umanitaria.

Il decreto ha inoltre modificato radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia. Tra le modifiche, anche un drastico abbassamento della quota giornaliera riconosciuta agli enti gestori dei progetti di accoglienza, scesa da 35 a 21 euro circa, retta con cui non è più possibile garantire servizi fondamentali per la promozione dell’integrazione, come la copertura del costo dei trasporti, dei corsi di lingua italiana, dei corsi di formazione al lavoro, dei servizi speciali per persone vulnerabili (minori, vittime di tratta, persone con disagio psichico).
I due decreti sicurezza sono ancora in vigore, e si attende di capire se il nuovo governo intende confermarli, cancellarli o modificarli. Le organizzazioni attive nel campo dell’immigrazione e della tutela dei diritti umani, riunite nella campagna "Io Accolgo", ne auspicano il superamento chiedendo in particolare: la reintroduzione della protezione umanitaria, un sistema di accoglienza in grado di promuovere inclusione sociale, l’abrogazione delle norme che ostacolano le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi umanitarie, la cancellazione degli accordi con la Libia.