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Piano di Sorrento 16 giugno 1887 – Napoli 15 novembre 1982.
Armatore, editore
e politico.
Achille Lauro,
figlio di Giaocchino Lauro, capobarca della penisola sorrentina, e
Laura Califiero. Ha cinque fratelli. Il padre armatore di alcuni velieri gli
trasmette l’amore per le navi.
Lomartire,
biografo di Lauro, scrive: «Achille, appena quattordicenne, viene imbarcato, per
punizione paterna, sul Navigatore, una nave commerciale il cui equipaggio resta
sperduto in pieno oceano Atlantico, il giovane è stato messo in punizione perché
sorpreso dalla madre in atteggiamenti inequivocabili con Concettina, una ragazza
dell’entroterra salernitano in servizio a casa Lauro. Ebbene, nonostante sul
Navigatore si rischi di morire per assenza di acqua e di cibo, il giovane
Achille non si perde d’animo, anzi, è ligio ai doveri, lava e pulisce con
precisione».
Quando il padre muore gli lascia solo debiti e lui deve ricominciare da zero e
da solo. Nel 1920 Achille compra l’Iris, la prima del suo grande impero.
Fondamentale per
la crescita delle sue attività, l’idea di far partecipare agli utili i
dipendenti (molla straordinaria per stimolarli a impegnarsi nel lavoro).
Achille Lauro sposa Angelina. La famiglia Lauro, sempre più ricca, si
trasferisce a Napoli, in via dei Mille, dove si consolida la figura di Achille
Lauro, lavoratore infaticabile, padre padrone (tre figli), marito
tradizionalista ma fedifrago. Lomartire, biografo: «La voce popolare attribuisce
a don Achille un sovrumano, mitico e insaziabile vigore sessuale: dai Quartieri
Spagnoli a Forcella, da Posillipo al Pallonetto Santa Lucia si favoleggia della
incontrollabile necessità di don Achille
di avere almeno tre amplessi giornalieri. Questa reputazione conferisce alla già
molto popolare figura di Lauro un tratto caratteristico particolarmente caro ai
napoletani».
Achille Lauro durante il ventennio fascista è iscritto al
Pnf del 1933, il 15 novembre del 1938 viene nominato cavaliere del Lavoro e poi
consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle corporazioni, grazie alla
famiglia Ciano. Il 15 marzo 1936 diventa presidente della squadra di calcio del
Napoli.
Un giorno, nudo come un verme, riceve un giornalista per farsi intervistare e
quello, dopo averlo descritto pelo per pelo, gli spara come titolo
«L’abominevole uomo delle navi». Assunta la presidenza della società calcistica
Napoli, Lauro chiude subito la sontuosa sede sociale di via Roma relegando i due
ragionieri del Napoli in una stanzetta della sua compagnia armatoriale. Tutti
gli altri impiegati vengono licenziati. Caccia su due piedi l’allenatore
ungherese e al suo posto mette Angelo Mattea del Messina. Manda via tutti i
giocatori litigiosi e non più utili, poi capisce al volo che pagando subito gli
stipendi si conquisterà l’ardore di quelli rimasti. E anticipa di tasca propria.
Alla fine dell’operazione Lauro si trova ad aver sborsato 300 mila lire. Ma la
squadra non diventa squadrone e così nel giugno del ’40 Achille Lauro, irritato,
se ne va. Sotto la sua gestione, il bilancio era tornato in pareggio. In un solo
anno va nuovamente a scatafascio.
La ripresa della flotta Lauro - Nel 1945, dopo il
disastro degli affondamenti bellici, a Lauro, prosciolto dalle accuse di
collaborazionismo, non è rimasto niente e deve nuovamente ricominciare da zero.
A Livorno c' è un'unica nave della sua flotta che ancora a galleggia ma nessuno
della gente del porto vuole lavorare con l'ex-fascista. Dopo qualche giorno
trova un marinaio disposto a imbarcarsi e con un solo uomo e una sola nave
ricomincia a viaggiare. Più tardi riesce ad accaparrarsi qualcuna di quelle navi Liberty che
gli Usa stanno svendendo - ne hanno varate a migliaia durante la guerra. Così
riprende la sua ascesa finanziaria.
Proprietario del quotidiano napoletano Roma, schierato decisamente a destra,
aspira alla carica di sindaco di Napoli. Aderisce all’Uomo Qualunque e al
partito monarchico di Alfredo Covelli finanziandone la nascita (Pnm). Durante la
campagna elettorale regala cibo e soldi, promette mari e monti, dà ai potenziali
elettori la metà di mille lire o una sola scarpa, promettendo di dare l’altra
metà a elezioni finite.
Il 9 luglio 1952, alle elezioni amministrative, Lauro, che s’è alleato al
monarchico Covelli, diventa sindaco di Napoli: ottiene 53 consiglieri comunali
contro i 15 della Dc e i 12 della sinistra. Lauro appare invincibile: dalla sua
ha anche il Napoli calcio e, per l’acquisto di giocatori, ha profuso somme
ingenti, uno è stato pagato oltre cento milioni di lire, un primato per i tempi.
Quando però diventa sindaco di Napoli, a palazzo San Giacomo succede di tutto:
in giunta entrano tutti i suoi fedelissimi, vengono date licenze edilizie senza
criterio e vengono assunte migliaia di persone senza la copertura finanziaria.
La sua flotta cresce a dismisura: cento navi battono la sua bandiera scatenando
l’invidia di tutti gli armatori italiani. Stranieri del calibro di Onassis,
Niarkos, Getty, iniziano a temerne la concorrenza.
Nel 1954 fonda, da una scissione del Pnm, il Partito monarchico popolare.
Nel 1956, rieletto sindaco di Napoli, in piazza urla: «Chi non ci credeva è un
cornuto», Lauro, 69 anni, conosce Eliana Merolla, 18 anni, partecipante al
concorso “La stella di Napoli” promosso dal suo giornale Roma. Una passione
travolgente. Eliana, con il nome d’arte Kim Capri, è protagonista di alcuni film
prodotti dallo stesso Lauro (tutti fiaschi).
Il comune di Napoli è sull’orlo della bancarotta, e a nulla servono le richieste
di Lauro di una “legge speciale” per la città. Allora Lauro decide di pagare di
tasca propria i netturbini in sciopero per gli stipendi arretrati. È costretto
a dimettersi, e il suo comune viene commissariato. Il Pmp nel 1961 diventa il
Partito democratico italiano di Unità monarchica. Rieletto nel 1963, nel 1968
lascia il seggio al figlio Gioacchino Lauro. Nel 1970 il figlio muore per cancro
al fegato, lasciando debiti per sette miliardi di lire, Achille Lauro non va
neanche al funerale.
Intanto il
quotidiano Roma è sull’orlo del fallimento. Ercole, un altro figlio, dà la
direzione a Pietro Zurlino all’insaputa del padre che per ripicca accoglie il
nuovo direttore «pisciando con la porta aperta, e fingendosi sordo».
Nel 1972 Lauro
aderisce, insieme alla maggioranza del partito, all’Msi.
Dopo la morte della moglie Angelina, Lauro, ormai ottantaquattrenne, sposa
Eliana. Lomartire: «La prima iniziativa, quasi immediata, della nuova signora
Lauro consiste nell’andare dal notaio Giovanna Monticelli per fare la
separazione dei beni con quello che probabilmente è l’uomo più ricco d’Italia.
Lo fa all’insaputa di Achille».
Nel 1980 la società accumula un’esposizione bancaria di 250 miliardi, le sue
navi si riducono a 18, anche a causa della costruzione di superpetroliere che,
quando viene riaperto il canale di Sue, diventano inutili. Nell’82 viene
dichiarato il crack e arriva un commissario straordinario. A 95 anni, in quello
stesso 1982, il Comandante fa l’ultimo grande gesto: mette all’asta tutti i suoi
beni personali. Vuole pagare, dice, tutti «i debiti, fino all’ultima lira».
Qualche mese dopo, nel novembre ’82, il Comandante muore, le sue ultime parole:
«Vendetevi tutto ma non le navi».
La sua flotta
viene dimezzata ancora, e passa di mano in mano, contesa da vari pretendenti.
Nell’85 è dell’armatore greco Chandris – che ha già acquistato la Galileo
Galilei – e che ha chiesto di comprare la Lauro insieme con due armatori
italiani: Luciano Ochetti e Giancarlo Ligabue. La nave è comunque di Chandris
fino al 1987: l’ha infatti noleggiata con un contratto di “joint venture”.
Significativa
la somiglianza tra la storia di Achille Lauro e quella di Silvio Berlusconi:
entrambi hanno successo negli affari, fondano una partito, comprano una squadra
di calcio....
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