7 agosto 1945

Ieri è finita la più grande guerra della storia.

Secondo un Bomba atomicabilancio approssimativo ha lasciato circa 55 milioni di morti, 35 milioni di feriti, 3 milioni di dispersi.

Mai si era registrata una percentuale così alta di perdite civili: circa la metà del totale.

Gli attacchi aerei avevano colpito 1,5 milioni di civili, lo sterminio di massa di 5-6 milioni di ebrei, e inoltre oltre le deportazioni nei campi di concentramento e di lavoro e le lotte partigiane hanno ucciso dai 20 ai 30 milioni di civili di cui:

7 milioni erano Russi, 5,4 milioni Cinesi, 4,2 milioni Polacchi, 3,8 milioni di Tedeschi.

 

Molti soldati non sono stati fortunati:

l’Unione sovietica ne ha perduti 13,6 milioni,

la Cina 6,4 milioni,

la Germania 4 milioni,

il Giappone 1,2 milioni.

Gli USA con circa 325mila caduti e il Commonwealth con 600mila vittime sono quelli che hanno subito meno Ricostruzioneperdite. Anche qui in Italia, oltre ai civili, sono morti in combattimento 400mila uomini.

Per il mondo la guerra ha avuto un costo enorme: 1.500 miliardi di dollari complessivi, il 21% sono stati spesi dagli USA, il 20% dalla Gran Bretagna, il 18% dalla Germania, il 13% dall’URSS, il 4% dal Giappone.

 

Il generale progresso tecnico-industriale permette di riparare abbastanza presto i danni di guerra.

Già nel 1948 la produzione e il commercio mondiali raggiungono il livello di anteguerra e lo superano dopo la crisi coreana. 

L’America, ma sarebbe meglio dire gli Stati Uniti, cominciano a correre e l’Europa ha perso la sua funzione di guida.

La distruzione di interi centri abitati e industriali (soprattutto nell’Europa Centrale e Orientale) paralizza inizialmente la ricostruzione.

Ma l’Europa Occidentale con l’aiuto del capitale privato e soprattutto dei finanziamenti governativi americani (piano Marshall) ritrova il suo equilibrio economico e nel 1950, con la liberazione e l’integrazione degli scambi, ha superato il livello d’anteguerra.

Nei Paesi del blocco orientale l’industria si sviluppa a tappe forzate attraverso una rigorosa pianificazione che dà un’assoluta priorità all’industria pesante a spese della produzione agricola e del tenore di vita generale.

Solo dopo la morte di Stalin il “Nuovo corso” attenua il centralismo economico e si eleva la produzione dei beni di consumo.