La coltivazione del lino ebbe origine probabilmente nell’Asia
occidentale e venne praticata in
tutta Europa fino a non molto tempo fa.
In Val Pusteria la coltivazione del lino
era in parte diffusa
nelle zone montane delle valli laterali ancora fino agli anni 50. La
relativa produzione serviva
soprattutto a coprire il fabbisogno locale.
L’apprezzamento per questa pianta era sempre molto alto perché si
prestava a svariati impieghi: dai semi si ricavava l’olio e dalle fibre
della pianta si producevano tessuti molto apprezzati.
I l lino e la lana di pecora coprirono per diversi secoli praticamente
l’intero fabbisogno di fibre tessili che nei masi contadini venivano
trasformate in stoffe per il proprio fabbisogno.
In seguito all’avanzare
dell’industrializzazione ed alla diffusione del cotone, la coltivazione
del lino venne gradualmente abbandonata in Italia, mentre la Francia e i
paesi bassi sono diventati i primi produttori mondiali.
La semina del lino avviene in primavera . Circa 50 giorni dopo la
semina, la pianta fiorisce trasformando i campi in un mare di fiori
azzurri.
Le piante raggiungono un’altezza di ca. 60 - 90 centimetri. Preferiscono
un clima mite ed umido ed un terreno di buona qualità.
Il campo deve essere liberato
regolarmente dalle erbe infestanti per consentire alle piante di
crescere indisturbate e per ottenere così delle fibre di
qualità.
Nel periodo della maturazione, in luglio
o agosto, i fiori si trasformano in capsule all’interno delle quali
maturano i semi.
Quello é il momento in cui si può
procedere alla raccolta.
Il lino non viene tagliato, ma estirpato
dal terreno insieme alle radici in modo da poter utilizzare la pianta in
tutta la sua lunghezza.
Successivamente le piante di lino vengono legate in covoni e disposte a
strati o appese affinché possano asciugarsi bene.
La scapsolatura
I l termine scapsolatura indica l’attività in cui le piante di lino
vengono passate a covoni
attraverso un pettine di ferro per privale delle capsule contenenti i
semi.
Il pettine da lino é composto da
diversi denti di ferro verticali lunghi all’incirca 1 5–20 cm.
Successivamente i semi vengono estratti dalle
capsule e puliti a fondo.
Una parte dei semi
viene utilizzata per la semina dell’anno successivo, ma la maggior parte
di essi veniva
pressata per ottenere olio di semi di lino.
L’olio
di lino veniva in parte usato in cucina, ma ancor
di più come medicamento domestico contro
tutta una serie di disturbi di persone e animali
perché gli si attribuivano proprietà
medicamentose.
L’olio di lino era però usato
principalmente come combustibile per le
lampade, mentre i semi venivano utilizzati
anche come mangime per gli uccelli.
La macerazione ed essiccazione
La fase successiva della lavorazione del lino è la macerazione.
Ci sono due metodi diversi:
la
macerazione sui campi (Tauröste) e quella in acqua (Wasserröste).
Nella
prima gli steli vengono
distesi sui campi. Il sole e la rugiada svolgono il lavoro.
Mettono
cioè in atto il processo di
macerazione. Le piante devono essere solo rigirate regolarmente. In
tal modo si ottiene che
la parte esterna legnosa dello stelo si possa staccare più facilmente.
Un’altra possibilità con il
medesimo risultato è quella di mettere a mollo il lino in fosse
riempite d’acqua.
Dopo la macerazione i covoni vengono asciugati ed essiccati.
L’essiccazione consiste nel
disporre gli steli su una griglia di legno riscaldandoli. In questo modo
gli steli diventano più
fragili e possono essere lavorati più facilmente.
La gramolatura
Per gramolatura si intende la fase di
lavorazione in cui l’involucro esterno dello stelo viene rotto,
liberando le fibre. La gramola è
una sorta di coltello di legno mobile sopra listelli
fissati ad un cavalletto.
I l covone di lino viene fissato fra i listelli ed il coltello di legno
e tirato avanti e indietro. Il
lavoro della gramolatura si esegue nel tardo
autunno quando i lavori dei campi sono
terminati.
La spatolatura (stigliatura) e la pettinatura
In alcuni posti i covoni di lino passati alla
gramola venivano messi su una tavola verticale
detta “Schwingbock”.
Con la spatola vengono
eliminati per battitura gli ultimi avanzi di
corteccia.
Questi ultimi possono essere
utilizzati come strame nella stalla.
Segue la pettinatura.
Le fibre corte dette
“Werg” vengono separate dalle pregiate fibre
lunghe facendo passare più volte il lino
attraverso il pettine. Questo è formato da diversi chiodi di ferro
fissati ad una tavola.
La
funzione è appunto quella del pettine e con il lino pettinato vengono
poi fatte delle trecce.
Le fibre più corte vengono filate grezzamente e impiegate per corde o
sacchi, mentre le fibre più
fini, ricavate dopo due o tre pettinature, vengono trasformate in
stoffa per ricavarne ad esempio
delle camicie.
La filatura
Mentre le fasi lavorative del lino descritte finora
si svolgono per lo più all’aperto o
nell’essiccatoio, la filatura era un’attività di cui ci
si occupa all'interno dei capannoni.
Fin dal XVI secolo si conosce il filatoio a pedale. Sulla conocchia,
un‘asta cilindrica in legno,
vengono avvolte le fibre da filare.
La filatrice estrae la giusta
quantità di fibre e le bagna
con dell’acqua. Attraverso la rotazione dell’asse della ruota, messa in
movimento azionando il
pedale, le fibre di lino vengono ritorte a formare un filato e
contemporaneamente avvolte sul
rocchetto.
La filatura del lino richiede mani esperte perché le fibre
si rompono facilmente ed è difficile realizzare un filo regolare.
L’aspatura
Quando il rocchetto del filatoio è pieno, il filato
finito doveva essere avvolto sull’aspo. L’aspo é un attrezzo in legno con quattro o sei
braccia mobili
disposte a forma di stella, alle cui
estremità si trovava un piccolo legnetto
trasversale.
Intorno a questi bracci il filo poteva
essere teso e avvolto. In tal modo si ottenevano
filati uniformi che si potevano ben lavare,
candeggiare e conservare.
Il lavaggio e la sbiancatura
Per lavare il filato si utilizza una liscivia che si
ottiene facendo bollire della cenere nell’acqua
e che veniva poi filtrata.
I l procedimento del
lavaggio viene ripetuto più volte.
Infine il filato
viene messo al sole ad asciugare e
regolarmente rigirato.
La tonalità naturale del
filato di lino è grigio-beige.
Attraverso
l’esposizione al sole il filato viene sbiancato
finché diventa bianco.
In alcune località si
sbianca appena il tessuto.
La tintura
Come coloranti, prima dell'avvento della produzione industriale, si utilizzavano prodotti naturali come piante, cortecce
di alberi, foglie, licheni,
gusci e pietre.
Il cartamo e la malvarosa o malvone coloravano di
rosso, il guado veniva
impiegato per colorare di blu finché non fu gradualmente sostituito
dall’indaco importato
dall’Asia.
Meno difficile
da ottenere erano le colorazioni gialle. Il
colore veniva prodotto in grandi
calderoni in cui si immergevano poi le matasse o il tessuto da tingere.
Affinché il colore potesse
anche penetrare nel filato, il colore doveva essere dotato di un
mordente.
Come mordente
venivano usati l’aceto, ma anche l’ammoniaca sotto forma di urina.
Dopo
la tintura le matasse
venivano lavate e disposte ad asciugare su steccati, balconi o analoghi
supporti in legno.
La tessitura
Affinché il tessitore posse iniziare il suo lavoro, il filato di lino
doveva prima essere avvolto su
delle spole con l’ausilio di un mulinello. Quindi si devo ordire.
Questa
è la fase di
lavorazione con cui viene preparato l’ordito o catena vale a dire
l’insieme di fili paralleli in senso
verticale.
Su una rocchettiera vengono disposti
20 rocchetti d’ordito, che possono ruotare
liberamente.
Il filo di ogni rocchetto viene tirato
attraverso una tavola con degli occhielli
metallici in modo che ogni singolo filo possa
essere mantenuto separato dagli altri. Quindi il
fascio di ordito della lunghezza e nel numero di
fili desiderato viene teso
sull’orditoio girevole.
Quando l’ordito è finito, viene rimosso e
fissato sul telaio.
Nella tessitura i fili verticali (ordito) vengono
incrociati ad angolo retto con un filo che corre
orizzontalmente.
Il filo orizzontale, vale a dire la
trama o filo di trama si trova sulla spola e con
l’ausilio della navetta viene fatto passare da
destra a sinistra e viceversa. Il tessitore
aziona un pedale in modo da alzare
alternativamente ogni secondo filo di ordito ed
abbassando l’altro creando la cosiddetta
boccatura o passo del telaio, una sorta di tunnel
attraverso il quale passa la navetta. Quindi si
aziona il pettine che muove avanti e
indietro battendo così il filo di trama e compattando il tessuto in modo
da creare una stoffa
omogenea.
L’ordito
viene regolarmente inumidito con la bozzima, un
liquido colloso, in modo
che i fili non si strappino. Il tessitore avvolge gradualmente il
tessuto finito sul subbio del
tessuto.
Con il tessuto di lino finito si realizzavano diversi capi di vestiario
quali camicie, grembiuli, pantaloni
e vestiti. La stoffa di lino, che è molto resistente, viene utilizzata
soprattutto per l’abbigliamento estivo perché ha un effetto
rinfrescante.
Con il tessuto di lino si realizzavano però anche tovaglie
e lenzuola e
sacchetti. Nella pittura il tessuto di lino ha svolto nel tempo un ruolo
importante. Molte opere sono infatti
dipinte su tela di lino.
I
l tessuto di lino viene impiegato anche in
legatoria.
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