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Prato Medievale
Prato ebbe origine nel medioevo come luogo strategico lungo le vie di collegamento verso l'Appennino e la Pianura Padana.
Attorno all'anno 1000 esistono nella zona di Prato due nuclei abitativi distinti: il Borgo al Cornio, situato nella zona dell'attuale piazza Duomo,
e il castello di Pratum dei Conti Alberti, Conti di Prato, che sorgeva poco distante e che diede il nome alla città . Questi due centri abitati nella seconda metà  dell'XI sec. si riunirono a formare la città  di Prato che divenne libero comune.

La prima cerchia muraria fu costruita nel IX secolo e si pensa che fosse parte in legno e parte in muratura.
All'interno di questa sorgeva il primo nucleo della città di Prato: Borgo al Cornio. All'esterno delle mura sorgeva il Pratum, feudo dei Conti Alberti di Firenze.

Tra le fine del XII e l'inizio del XIII sec. vengono costruite in successione due cinte murarie a difesa della città  diventata importante per il commercio della lana, i cittadini si organizzano militarmente in una Società  del Popolo. Nel 1237 fu iniziata la costruzione del Castello dell'Imperatore. Nel 1350, Prato stremata da un'epidemia di peste si arrese ai fiorentini che l'assediavano.

La seconda cerchia muraria fu terminata nel XII secolo e inglobava il Borgo al Cornio ed il Pratum, dando origine al Borgo al Prato. La seconda cerchia racchiude la piazza religiosa (piazza del Duomo) e la piazza politica - piazza del Comune - dove sorge il Palazzo Pretorio. Racchiude anche le case torri, abitazioni delle famiglie più ricche e il Palazzo Datini.

La cerchia muraria (iniziata intorno al 1175 e terminata nel 1196) era costituita da blocchi squadrati di pietra alberese, provvista di torri e bertesche e comprendeva otto porte:

porta San Giovanni, situata di fronte a via Santo Stefano;
porta Tiezi in via Garibaldi;
porta Capo di Ponte in via Cairoli;
porta Corte in via San Jacopo;
porta Santa Trinita in via Santa Trinita;
porta Fuia in via del Pellegrino;
porta Gualdimare in via Cesare Guasti;
porta Travaglio in via San Michele.
In prossimità  delle porte maggiori, ponti levatoi gettati sul fossato assicuravano il transito da e verso la città.
L'andamento della prima cinta muraria aveva una forma quadrangolare. Dapprima, secondo una tecnica assai comune nel medioevo, furono edificate le porte lungo i fossati dove venivano posati i ponti levatoi e poi vennero erette le mura che univano tutte le porte già costruite.
La seconda cerchia era collegata al Castello dell'Imperatore Federico II di Svevia.

Il Palazzo Pretorio nacque nella parte più antica dalla trasformazione di una torre in laterizio rosso, appartenuta alla famiglia Pipini ed acquistata dal Comune nel 1248.
Il palazzo fu poi ampliato nel 1336/38, quando il comune fu costretto ad acquistare altre case adiacenti sempre di proprietà  della famiglia Pipini, che furono unite all'edificio.
La parte nuova del palazzo, che occupa la parte sinistra dell'edificio, è in pietra ed ha la facciata con otto bifore, su tre
ordini, in stile gotico, e una nicchia, che ospitava una statua di marmo.
Le pareti esterne del palazzo recavano, com'era uso del tempo, stemmi familiari in pietra, marmo e terracotta, appartenuti a Podestà  e Capitani che si erano succeduti nelle cariche cittadine. La maggior parte di questi stemmi sono stati perduti, i pochi rimasti risalgono al XV e XVI secolo.
L'intero edificio ha subito numerose trasformazioni nei secoli, come l'aggiunta nel Cinquecento dei merli e del campaniletto a vela.
Il palazzo è articolato su tre piani, ha un ampio salone con soffitto ligneo per ciascun piano. Il primo piano era accessibile da una scala pensile esterna, che probabilmente in un primo tempo era in legno, mentre quella attuale é stata restaurata negli anni venti del Novecento.

La città di Prato,  in epoca medioevale, era caratterizzata da strade strette e tortuose, raramente lastricate, molto sporche e buie.
Questo perchè  le case erano costruite molto vicine,  attaccate l'une alle altre, per sfruttare al massimo lo spazio all'interno delle mura.
Gli animali domestici si muovevano liberamente, al centro delle strade le acque formavano rigagnoli maleodoranti e ai lati si trovavano mucchi di rifiuti.
A causa di questa mancanza di igiene spesso scoppiavano epidemie come la peste, il colera e il tifo.

Le case che sorgevano in Borgo al Cornio e nella zona del Pratum, dall'VIII al IX secolo circa, erano fatte di legno e frasche,
tali costruzioni rimasero in uso per le case dei poveri e dei contadini anche negli anni seguenti.

Intorno all'XI -XII secolo, all'interno delle mura sorsero edifici di pietra , torri e in seguito case - torri, che costituivano le abitazioni di famiglie della piccola nobiltà  e della borghesia.
Queste abitazioni di altezza elevata e con porte e finestre molto piccole e strette, fanno pensare che chi le abitava tenesse più alla sicurezza che alla comodità , infatti erano per le famiglie luoghi di difesa, durante le lotte che spesso scoppiavano fra le varie fazioni e fra le famiglie stesse.

Nelle case torri risiedeva la piccola nobiltà  feudale, venuta ad abitare in città  per poter esercitare un maggior controllo sulla politica cittadina e sui traffici delle merci, e la ricca borghesia, costituita da mercanti ed artigiani abitanti nel Borgo
.
Le case torri erano edifici stretti ed elevati in altezza e venivano costruite con blocchi di pietra (laterizio o alberese), con poche finestre, lunghe e strette come le porte. L'interno delle torri era suddiviso in piani, vi era una stanza per piano, con pavimenti e scale in legno.
Il fine più importante di questi edifici era di essere usati come luogo di difesa e offesa durante i periodi di lotte tra vari nuclei familiari alleati, che si riunivano in consorterie e che si contendevano il potere all'interno della città. Infatti, le torri non sorsero mai isolate, ma vicine ad altre torri, appartenenti a famiglie della stessa consorteria, alle quali potevano essere collegate mediante passerelle di legno mobili.
Vi fu anche un'altra esigenza urbanistica del tempo che costrinse a costruire questo tipo di edifici alti e stretti, ossia la massima utilizzazione del suolo all'interno della cinta urbana fortificata, in cui lo spazio limitato obbligava a costruire in verticale.
La torre, elevandosi maestosa nell'abitato, era un simbolo di prestigio e di potenza per il proprietario e quindi, spesso, a colui che veniva sconfitto nelle frequenti lotte interne, veniva abbattuta buona parte della torre. Tuttavia, la torre veniva ricostruita, per dimostrare al popolo la ricchezza e la potenza della famiglia.
In Prato si contavano, prima dell'epoca comunale, ben sessanta torri. Ma, col sorgere del Comune (XII secolo), varie torri nel centro della città furono abbattute fino ad una certa altezza, proprio per indebolire le consorterie, che rappresentavano un pericolo per l'autonomia del Comune. Il Comune, inoltre, adottò il sistema di punire i trasgressori dei suoi ordini con l'abbattimento delle loro torri. Invece, le torri che erano situate nei borghi subito fuori le mura furono lasciate integre, poiché servivano allo stesso Comune come punto di difesa e di avvistamento.
Fu proprio col sorgere del Comune e con l'instaurarsi di un clima cittadino più tranquillo che le torri cambiarono fisionomia, perdendo il loro carattere rigidamente difensivo e assumendo un aspetto da abitazione tranquilla e confortevole. Divennero così case con torri, con le finestre più grandi e con le botteghe artigiane e i e fondaci dei mercanti al piano terra.

Agli inizi dell'XI secolo, subito fuori del primo nucleo fortificato, esisteva la corte con il palazzo dei Conto Alberti. Nell'area di questo palazzo, andato poi distrutto, fu costruito un antico "Palazzo dell'Imperatore", di modeste dimensioni, probabilmente utilizzato dagli imperatori di passaggio in città.
Nel 1247, quando Prato ospitò Federico II di Svevia, fu necessario trasformare l'antico "Palazzo dell'Imperatore" nel più prestigioso "Castello dell'Imperatore".
È l'unico esempio presente di architettura sveva nell'Italia centro-settentrionale: Federico II intese dare sostegno al potere imperiale sulla via tra la Germania ed il suo regno dell'Italia meridionale.
Il Castello, costruito in pietra alberese, aveva una struttura rigorosamente geometrica, con due torri quadrate già  esistenti ed altre sei torri pentagonali.
I lavori furono interrotti nel 1250, per la morte di Federico II: il porticato interno rimase privo della prevista copertura a volte e le modeste sistemazioni in legno che vi furono realizzate sono andate perdute.
Il portale maggiore, come quello più piccolo posto sul lato opposto, fu decorato in alberese e serpentino verde, secondo il tipico motivo della bicromia toscana romano-gotica.
L'arcone ogivale, con capitelli sormontati da leoni, si rifà invece alla cultura gotica.

Alla fine della guerra tra guelfi e ghibellini, terminata con la vittoria dei guelfi nel 1267, il Comune decise di costruire un nuovo Palazzo Comunale e un Palazzo del Popolo. Nel 1284, a questo scopo fu acquistata una casa torre nella piazza del Comune dove adesso c'è la fontana del Bacchino e dove si svolgeva il mercato del grano.

Durante il XIII secolo,grande importanza assunse in Prato l'opera dei frati predicatori, che spinse i cittadini pratesi a costruire chiese e conventi dei maggiori ordini monastici, sorsero così le chiese di San Francesco e San Domenico.
Dal momento che la chiesa di San Domenico era sorta fuori dalle mura insieme a numerosi borghi, si rese necessaria la costruzione di un' altra cerchia di muraria che, iniziata alla fine del trecento, era stata interrotta a causa dello scoppio della "peste nera " del 1348.


Per la costruzione occorsero molti anni e terminò quando Prato si trovava sotto il dominio dei Medici, i quali costrinsero i pratesi ad edificare il Cassero, che serviva ai fiorentini a far passare le truppe che , entrando dall'esterno delle mura, potevano raggiungere il Castello dell'Imperatore
 senza essere viste.

Firenze infatti, dopo il crollo della potenza ghibellina, volse le sue mire espansionistiche verso
Prato, che nonostante si fosse messa nel 1326 sotto la protezione di Roberto d' Angiò, re di Napoli, fu venduta da Giovanna I, regina di Napoli, nel 1351 ai fiorentini e da loro completamente assoggettata.
Con 17.500 fiorini acquistarono Prato dalla dinastia dei D'Angiò di Napoli, cui i pratesi si erano appunto legati da poco meno di trent'anni proprio per farsi proteggere da un corteggiamento un po' troppo asfissiante dei fiorentini

I Pratesi, per compensare la mancanza di libertà, rivolsero il loro interesse alle attività  artistiche e industriali.
Si dice che qui l'arte della tessitura si sia affermata grazie ai numerosi mulini ad acqua facilmente installabili sul corso impetuoso del Bisenzio, che, appena sbucato dagli Appennini, incontra subito la città, per poi andarsi placidamente a riversare nella piana in cui scorre l'Arno. E il tessile è stato in certo modo lo stigma di questa comunità , tradizione ed arca su cui ha navigato dall'Alto Medioevo

In campi artistico, oltre la costruzione di Santa Maria della Carceri di Giuliano da Sangallo, fu ampliata la pieve di Santo Stefano e la rispettiva piazza, dove furono demolite alcune case. Si ebbe così uno spazio più ampio  per contenere i pellegrini che arrivavano numerosi a Prato in occasione dell' ostensione della Sacra Cintola.
Questa, custodita per molto tempo all'interno della Pieve di Santo Stefano, dal 1490 fu collocata in una cappella costruita apposta all' interno della chiesa. Le pareti della cappella, che furono affrescate dal fiorentino Agnolo Gaddi negli anni 1392-95, narrano episodi della vita della Vergine e la storia della Cintola.
La leggenda racconta che Michele da Prato, figlio di Stefano Dagomari, si recò per affari presso il padre che si trovava a Gerusalemme, qui si innamorò di una fanciulla di nome Maria
 e la sposò, il padre di lei le diede in dote la Cintola.
Michele, tornato a Prato nel 1141, la custodì in casa sua per
 molti anni. Poco prima di morire, la consegnò al Proposto della Pieve di S. Stefano
 e gli confidò le proprietà miracolose di essa.
Il Proposto, da prima incredulo, la portò in una casa fuori della città , poi convintosi, in seguito ad alcuni miracoli, dell'autenticità  della reliquia la
collocò nella Pieve, dove è sempre rimasta.
Il controllo di Firenze non limita la crescita economica, culturale e artistica della città .
Nel 1512 Prato viene saccheggiata da parte degli spagnoli accorse per restaurare la spodestata signoria medicea.

Come abbiamo accennato in precedenza, l'attività  economica di Prato si basava soprattutto sulla lavorazione della lana. Le industrie utilizzavano le acque del Bisenzio per far muovere i mulini e le gualchiere e per risciacquare i panni tinti; per questo scopo fu costruito un complesso sistema di gore per portare l'acqua anche nelle zone della città lontane dal fiume.
Fu questo un periodo di forte espansione economica e mercantile ed è proprio in questo contesto che si colloca la figura di Francesco Datini.
Nonostante lo sviluppo dell'economia e le buone condizioni di vita, in città  vivevano anche molti poveri, storpi, zoppi e malati, che spesso venivano abbandonati per le strade ed erano raccolti dai religiosi o da associazioni benefiche e venivano portati negli ospedali e nei lazzeretti.
I primi ospizi che furono costruiti a Prato, furono quelli di San Fabiano, della Misericordia e di San Giovanni di Gerusalemme.
In seguito alle numerose e gravi epidemie, soprattutto alla della peste del 1348, i lazzeretti furono costruiti fuori delle mura della città , per evitare il contagio con gli altri cittadini. Uno di questi fu quello di Santa Maria Maddalena dei Malsani nei pressi del Ponte Petrino.

L'elegante duomo di Prato, in origine Pieve di Santo Stefano, è stato costruito dal secolo VIII al 1317.
La facciata rivela la presenza di più stili architettonici: da quello romanico (con archi rotondi) a quello gotico (con archi a punta). È stata realizzata con liste di pietra alberese bianca e marmo serpentino verde, estratti dalle cave dei vicini monti pratesi.
All'angolo destro della facciata si trova il pulpito di Donatello, composto da sette formelle con angeli danzanti e realizzato nel 1434.
Al lato destro della cattedrale si eleva il maestoso campanile con bifore (aperture a due luci) e trifore (aperture a tre luci).
L'interno della cattedrale ha tre navate, separate da grosse colonne. Anche i rivestimenti interni sono realizzati in pietra alberese bianca ed in marmo serpentino verde. Nelle navate laterali ci sono grandi finestroni gotici.
In fondo alla chiesa ci sono cinque cappelle affrescate e con grandi finestroni di vetro colorato.
Sulla sinistra appena entrati c'è la cappella dove si conserva la sacra cintola della Madonna.

Sacra Cintola - La Sacra Cintola della Madonna viene mostrata ai fedeli dal pulpito di Donatello 5 volte l'anno: Natale, Pasqua, 1 Maggio, 15 Agosto, 8 Settembre.
La reliquia venne inizialmente custodita dentro l’altare maggiore della Pieve di Santo Stefano, poi (nel 1490 circa) fu collocata in una cappella appositamente costruita sulla sinistra della chiesa.

La cappella contiene, tra gli altri, i bellissimi affreschi di Agnolo Gaddi, eseguiti tra il 1392 e il 1395, che raffigurano le seguenti scene:
 La Madonna, assunta in cielo, consegna la Cintola a San Tommaso.
 L'apostolo Tommaso consegna la Cintola della Madonna ad un pio sacerdote della Palestina, prima di partire per l'India.
 Un mercante di Prato, di nome Michele Dagomari, si reca per affari in Palestina e qui sposa una ragazza di nome Maria. Era discendente del sacerdote e recava in dote la cintola della Madonna.
 Viaggio per mare : Michele e Maria ritornarono in barca verso Prato. La ragazza teneva in mano un cofanetto con la Cintola.
 Ritorno a Prato (1141) : Michele sbarca dalla nave senza la moglie, perché era morta durante il viaggio.
 Michele custodisce gelosamente la reliquia. Durante la notte gli angeli sollevavano Michele dal letto e lo deponevano in terra, perché dormiva sopra la cintola, temendo che gli fosse rubata.
 Consegna della reliquia (1174): Michele, sul letto di morte, consegna la cintola al proposto Umberto (parroco del Duomo).
 Il proposto, piuttosto incredulo, la custodisce in una casa poco distante dalla città ma, poi, convintosi dell'autenticità  del Cingolo (in seguito ad alcuni episodi miracolosi), la trasferisce nella Pieve. Così la Cintola, che fino ad allora era rimasta sconosciuta a tutti, venne trasportata in processione al Duomo.

Non si può parlare di Prato Medievale senza citare Francesco di Marco Datini

Francesco Datini nacque a Prato verso il 1335 (nel periodo comunale) dall'oste Marco e da Monna Vermiglia.
I suoi genitori e due fratelli morirono di peste nel 1348; Francesco ed un altro fratello furono affidati ad un tutore.
Francesco rimase per due anni in una bottega di Firenze ad imparare un mestiere; poi, nel 1352, partì per Avignone, in Francia.
In questa città  Francesco Datini iniziò la sua attività  mercantile, prima come garzone presso qualche mercante, poi come titolare di una compagnia in società con un fiorentino.
Commerciò inizialmente armi ed armature, poi altre merci: gioielli, spezie, stoffe di lana, lino e seta, quadri sacri, sale, vino.
In breve tempo diventò molto ricco.
Nel 1376, a 41 anni, sposò una diciottenne fiorentina, Margherita Bandini, che viveva ad Avignone.
I coniugi tornarono a prato nel 1383, dopo che Francesco ebbe affidato ad un socio la gestione della compagnia avignonese.
A Prato i Datini abitarono nel palazzo che Francesco si era fatto costruire quando risiedeva ad Avignone. Le dimensioni e la forma del palazzo non sono tipicamente medioevali, ma giò  rinascimentali.
Il mercante volle dotare la propria casa di un cortile centrale con il pozzo, di una loggia, di un giardino e di molte decorazioni pittoriche
 (affreschi), come si usava nelle case dei nobili e dei ricchi fin dai primi del 1300.
Nonostante la ricchezza del proprietario, l'arredamento delle stanze era molto scarno.
Datini si fece costruire anche una villa di campagna in uno dei terreni che possedeva in collina: la Villa del Palco.
Nel 1396 Datini a Prato creò una compagnia a carattere industriale per la fabbricazione dei panni di lana: Francesco procurava la materia prima, la faceva lavorare a vari artigiani pratesi e poi vendeva il panno finito.
La novità del Datini consisté nella creazione non più di un'azienda singola, anche se di grandi dimensioni, alla maniera dei mercanti medievali, ma di un sistema di aziende facenti capo ad un unico dirigente: il Datini stesso.
Egli rivelò, quindi, una mentalità  molto avanzata: quella, già  rinascimentale, del mercante-imprenditore.
Nel 1398 a Firenze fondò una banca, specializzata in prestiti ed in emissione di cambiali. Un fatto importante fu l'uso degli assegni e delle carte di credito come mezzo di pagamento.
Francesco Datini morì il 16/8/1410. Poiché non aveva eredi, lasciò tutte le sue ricchezze ai poveri della città , istituendo una fondazione che si chiamò al "Ceppo dei poveri di Francesco" di Marcò.
Datini fu sepolto nella chiesa di San Francesco, alla quale aveva fatto molti lasciti. La lastra tombale è di marmo e vi é scolpita la sua immagine.

Con l'espansione dei sobborghi fuori della seconda cerchia muraria, fu necessario provvedere a nuove fortificazioni, costruendo il primo tratto di mura che si estendeva per tutta la lunghezza della piazza Mercatale.
Il secondo tratto di mura, terminato nel 1332, si estendeva sino a porta Gualdimare.
Probabilmente la costruzione era proceduta indipendentemente dalle due estremità  delle mura sul Bisenzio (lato settentrionale sino a porta Gualdimare e lato orientale sino alla Rocca Nuova).
Fra il 1338 e il 1351 furono costruite le mura fra porta Gualdimare, porta Santa Trinita e una rocca nel punto in cui si attesta il cosiddetto Cassero.
Dopo la peste del 1348 il Comune di Prato interruppe la costruzione del tratto di mura mancante che fu ripresa 1382 per esplicito ordine del comune di Firenze a cui Prato era sottomessa.

L'ultima cinta muraria è ancora oggi completamente visibile e si estende per circa 4500 m.

La "Terza cerchia muraria" fu terminata nel XIV secolo sotto il dominio della famiglia Medici di Firenze e racchiudeva la piazza economica (piazza Mercatale).
I Medici fecero costruire il "Cassero", un passaggio fortificato che collegava il Castello dell'Imperatore Federico II di Svevia con le mura (Porta Fiorentina), per permettere alle truppe fiorentine di raggiungere il Castello senza entrare dalle mura.
La terza cerchia muraria aveva sette porte, di cui quattro esistono ancora oggi:
- Porta Mercatale;
- Porta del Serraglio;
- Porta Pistoiese;
- Porta Santa Trinita;

Porta Fiorentina fu invece abbattuta a fine 800.

Le porte erano di importanza fondamentale dal punto di vista economico e sociale.
Per quanto riguarda l'aspetto della sicurezza, invece, le porte rappresentavano il punto più vulnerabile dell'intera struttura difensiva, cioè dell'intera cerchia muraria.
Alle porte si riscuotevano le gabelle di ingresso e di uscita delle merci, si addensavano i magazzini dei mercanti e gli uffici dei funzionari, sorgevano taverne e locande.
Inoltre, essendo queste il primo punto della città che si offriva alla vista dei visitatori, di solito erano curate ed abbellite da pitture o da bassorilievi, che rappresentavano l'immagine del santo patrono o lo stemma cittadino.

Il Cassero
In origine "Corridore del Cassero" (cioè corridoio del Castello), fu voluto dai fiorentini nel 1351, subito dopo l'assoggettamento del Comune di Prato per collegare la piccola fortezza da loro costruita a ridosso delle mura (Porta Fiorentina) con la porta orientale del Castello dell'Imperatore.
La via coperta (3 metri e mezzo di larghezza, 230 m di lunghezza) che collegava le mura al Cassero (cioè al Castello dell'Imperatore) era inaccessibile dalla città , serviva infatti a difendersi dagli invasori esterni ma anche da rivolte cittadine.
Un altro camminamento scoperto corre al di sopra. Il "corridore" fu acquistato dal Comune nel 1878, venduto un tratto ai privati. L'alto muro merlato mostra una lunga serie di finestre a lunetta alternate a piccoli finestrini rettangolari che danno luce al passaggio, coperto con volta a botte, realizzato nel muraglione.

Gli Ottavi
L'organizzazione dello spazio all'interno delle mura era anche a Prato definito originariamente dalle principali aperture della cerchia che circondava la città .

Le otto porte (porta San Giovanni, porta Tiezzi, porta Capo di Ponte, porta Corte, porta Santa Trinita, porta Fuia, porta Gualdimare e porta al Travaglio) dividevano la terra in otto circoscrizioni omonime.
Questa suddivisione in "ottavi" rappresenta nel panorama urbano della Toscana dell'epoca una nota originale, la partizione infatti avveniva solitamente per terzieri (Siena, Volterra e Pisa), per sestieri (Firenze dal XII secolo sino al 1343) oppure per quartieri (Pistoia e Arezzo).
Tuttavia, per facilitare la vita amministrativa locale fu deciso dal Comune di riunire le otto porte a due a due. Gli "ottavi", divenuti quindi "quartieri", erano i seguenti:

porta San Giovanni e Porta al Travaglio (quartiere di Santo Stefano); lo stemma era costituito da un leone giallo in campo rosso;
porta Gualdimare e Porta Fuia (quartiere di Santa Maria); lo stemma era costituito da un orso nero in campo giallo;
porta Santa Trinita e porta a Corte (quartiere di Santa Trinita); lo stemma era costituito da un'aquila rossa in campo bianco;
porta Capo di Ponte e Porta Tiezzi (quartiere di San Marco); lo stemma era formato da un drago verde in campo rosso.
Nel 1653 viene istituita la diocesi, e a Prato viene concesso il titolo di Città.