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  Cenni di Economia Pratese
     
La storia dell'economia pratese ha origini molto lontane, che risalgono addirittura al periodo pre-medioevale. Castello dell'Imperatore
Nel corso dei secoli poi Prato ha saputo mantenere e mettere a frutto nuove competenze produttive,
in modo particolare nei settori che riguardano l'artigianato e il tessile.
Grazie alla forte industrializzazione, avvenuta tra l'800 e il '900, il fatturato delle fabbriche pratesi ha ottenuto
un forte incremento che ha trovato la massima affermazione a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
Prato è riuscita a diventare un vero e proprio esempio nel settore tessile e della moda, calcando i primi posti
nelle classifiche europee, grazie soprattutto alla specializzazione delle piccole imprese e delle case di moda della città.
Con l'affermarsi del fenomeno moda a livello di massa, a partire dagli anni '70, assieme all'incremento dei redditi e alla
rivoluzione dei costumi, Prato ha conosciuto  un vero e proprio boom, che porterà alla provincia toscana una grande notorietà.
Da distretto tessile laniero a distretto tessile della moda, Prato amplia i propri orizzonti e si affaccia alle nuove tecnologie
di processo.
Grazie a questo nuovo modo di operare, Prato riceve nel corso degli anni '70 una forte domanda, alla quale sarà in grado di rispondere in modo eccezionale, sperimentando nuove tecniche, nuovi materiali e nuove collezioni, grazie ad una forte competitività e ad una innegabile creatività.
Anche se nel corso degli anni Ottanta l'industria tessile pratese subisce un rallentamento, con gli anni '90 la situazione
si riprende in maniera decisiva, contando su un forte sviluppo del terziario e su esperienze di diversificazione produttiva anche
nei settori affiancati al tessile, come per esempio il meccanotessile.
Con il nuovo millennio però le cose sono andate mutando, basti pensare che intorno al 2001, a causa del vuoto di domanda e
della caduta del Dollaro rispetto all'Euro, la situazione dell'industria tessile pratese ha subito un forte tracollo.
Le cause vanno ricercate anche in ambito strutturale: fattori come l'integrazione internazionale sempre più intensa e il ruolo sempre
più potenziato delle reti e dei marchi di distribuzione, hanno fatto si che l'industria tessile pratese abbia subito un grande
ridimensionamento in termini di imprese, fatturato, export e valore aggiunto.

Ma Prato è stata brava a capire le cause del proprio declino.
Purtroppo certe dinamiche esistevano già quando l'economia girava a mille, anche se non erano state chiarite.
La crisi le ha accentuate, per certi versi sviluppate.
Nonostante il Pil procapite (26mila euro) sia da 36esima posizione in Italia, non esattamente roba da serie B, i numeri dell'istruzione fanno di Prato una delle zone a più basso livello di scolarizzazione.
Proprio l'istruzione è uno dei temi più controversi, dalla proposta di tagliare le tasse universitarie in giù.
Ma perché da queste parti siamo alle ultime posizioni dell'Italia scolarizzata?
La tentazione più grande sarebbe quella di dare tutta la colpa ai cinesi. Qui succede spesso e volentieri, a volte pure a sproposito. In realtà il fenomeno esisteva già molto tempo prima che i cinesi arrivassero.
E per ragioni molto diverse:
Negli anni d'oro del tessile, trovavi lavoro senza neanche finire gli studi.
Qualcuno si licenziava, usciva dalla fabbrica, entrava nel capannone accanto e subito firmava un nuovo contratto a migliori condizioni
Negli anni Sessanta accadeva che bambini di nove anni che trovassero posto in azienda.
Per l'opinione pubblica dell'epoca il fenomeno non rappresentava un problema: il lavoro veniva prima di tutto il resto.
Chiaramente questo mondo non esiste più: il distretto del tessile si sarà pure rimesso in moto dopo la grande crisi, ma non offre certo le occasioni occupazionali di una volta.

E poi ecco la grande immigrazione.
Il fenomeno è noto: a fronte di oltre 193mila residenti, a Prato si contano 38.199 stranieri di cui 20.695 appartenenti alla comunità cinese, letteralmente esplosa dopo il 2001, anno in cui la Repubblica maoista entrò nel Wto e l'area industriale cittadina cominciò a popolarsi di aziende pronto moda cinesi. Mentre le storiche imprese tessili pratesi si ritrovavano fuorigioco perché impossibilitate a competere sul prezzo con i tessuti importati dalla Cina.
Ecco allora che quello toscano diventa il primo comune italiano per incidenza degli stranieri sulla popolazione residente (18,9%), davanti a Milano (18,7%) e Brescia (18,4%).

Se il cinese diventa «Neet»
Recentemente la situazione è cambiata: l'immigrazione di manodopera cinese si è fermata, un po' perché il livello di benessere medio in Cina è cresciuto, un po' perché l'Italia della crisi è meno attrattiva rispetto a quella di qualche anno fa.
E poi c'è il tema dei cinesi di seconda generazione che non riescono a finire gli studi, si arenano e di avvicinarsi alla cabina di comando delle aziende fondate dai loro padri proprio non ne vogliono sapere.
Il tasso di ritardo degli alunni stranieri nelle scuole secondarie di secondo grado pratesi, per esempio, è del 58,7% contro il 17,2% dei loro compagni italiani.
Come dire: anche presso la comunità cinese di Prato prende piede la figura del «Neet», il ragazzo «not in education, employment or training» che non studia, non lavora e non cerca lavoro.

Ma a Prato tessile e abbigliamento hanno ripreso ad assumere?
C'è soprattutto bisogno di manodopera altamente qualificata, ma non sempre la si trova sul mercato del lavoro. Le scuole che, su impulso delle imprese, hanno rinnovato l'offerta formativa, sono ancora poche.
Laboratorio Buzzi
Una di queste, sicuramente la più importante, è il «Buzzi», istituto tecnico nato nel 1886 con gli indirizzi
 tessile-sistema moda e chimica tintoria. Oggi gli indirizzi sono cinque – accanto al tessile c'è il chimico, poi meccanico, informatico, elettronico e meccanico energetico – e la scuola che sforna 147 diplomati in un anno, nel ranking del progetto Eduscopio della Fondazione Agnelli, è ai vertici dell'istruzione toscana con un indice di occupazione di chi si diploma pari al 79% e un tasso di iscrizione all'università pari al 52%, quasi anomalo per una scuola tecnica.
Il «motore» del Buzzi è il Buzzi Lab, avanguardistico laboratorio di analisi chimiche che fa controlli di qualità sui prodotti delle griffe dell'alta moda, da Gucci a Louis Vuitton passando per Ferragamo e Prada, dà lavoro a 40 persone, in molti casi ex studenti, fa stage agli alunni e muove un giro d'affari di alcuni milioni di euro. Che la scuola può re-investire sulla struttura. Quando si dice un modello da esportare.

Se nella foto dell’economia pratese, il manifatturiero resta al primo posto, sempre aziende sono interessate ai servizi
Il tessile mostra una sostanziale stabilità, senza grosse sorprese in termini di crescita, mentre sono le attività informatiche e quelle legate al credito e alle assicurazioni che proseguono l'avanzata, insieme alle confezioni.
La “top ten” dei settori in crescita, vede inserite quasi tutte attività legate ai servizi.
Proprio sui servizi anche le imprese straniere registrano un interesse crescente: nel primo trimestre le attività del comparto sono cresciute dell’8,2%.

E’ stato il 2008 l’ultimo anno ad aver registrato un trend positivo nella crescita su tutti i settori del tessuto economico pratese.
Ancora non era arrivata la grande crisi che ha colpito i mercati e il distretto aveva iniziato a cambiare pelle.
Il percorso di ridimensionamento era solo all’inizio.
Il manifatturiero ha ridimensionato la sua importanza, restando però il settore più rappresentativo del territorio; ma anche il commercio ha fatto la sua parte.
Uno studio ha preso in considerazione il tasso di crescita dei singoli settori nel periodo compreso tra il 2010 e il 2016, facendo poi una media per capire quale sia stato il tasso medio annuo di variazione delle imprese attive.
Così  si scopre che Prato è cambiata, per non chiudere
Dopo dieci anni la città ha un volto molto diverso: le imprese rimaste in vita hanno puntato su ricerca e sostenibilità, molte hanno chiuso i battenti, la maggioranza ora fa abbigliamento e non più filati. 
Più abbigliamento, meno tessile. Prato — o meglio il suo distretto industriale — non ha chiuso.
Molte aziende sono fallite o hanno chiuso autonomamente i battenti, mentre quelle rimaste in vita hanno puntato sulla sostenibilità e sulla ricerca, tornando a crescere.
E a chiedere sempre maggiori garanzie per poterlo fare.
Il comparto tessile ha perso un terzo delle ditte in dieci anni. A questo dato corrisponde un’ancor più sensibile diminuzione della forza lavoro: gli addetti nello stesso periodo sono passati da 40 mila a 20 mila.
Il distretto si è dunque dimezzato? Non proprio. E’ più corretto sostenere, osservando i report, che l’industria manifatturiera di tutta l’area pratese ha cambiato pelle, diventando soprattutto il distretto dell’abbigliamento. Le imprese che tagliano e cuciono, assieme a quelle di maglieria, sono diventate infatti maggioritarie. Abbigliamento a Prato
Queste aziende crescono con la dinamica contraria a quelle diminuite nel tessile: mille imprese in più nel decennio (+33%). Com’è noto le ditte di questo settore sono per lo più a conduzione cinese e hanno dimensioni molto ridotte (almeno sulla carta) rispetto alle imprese tessili che hanno costituito il cuore storico della manifattura pratese. I dati sono quantitativamente e qualitativamente chiari: i pronto moda orientali non hanno sostituito le ditte di tessuti e filati, ma hanno occupato gli spazi di produzione locale puntando su un altro settore, attiguo ma diverso.
La città che cambia pelle conserva comunque il suo segno: i tessili che hanno resistito, tutte imprese pratesi, fanno segnare una crescita costante degli utili rispetto al patrimonio netto delle aziende.
L’indicatore, individuato dagli uffici di Confindustria, vede innalzare questo dato costantemente dal 2010 ad oggi, sino ad arrivare a sfiorare la crescita annuale in doppia cifra. Dati che danno la dimensione di una resilienza economica importante, anche se imparagonabili a quelli di crescita del settore attiguo— quello dell’abbigliamento e della maglieria — che dieci anni fa era talmente esiguo da far registrare oggi performance impressionanti.
L’export di questa branca dell’industria locale è aumentato del 110% dal 2009, a fronte di una sostanziale stabilità dell’export del tessile nello stesso periodo di riferimento.